mercoledì 21 dicembre 2016

Italia e PD: prospettive dopo il referendum

Lunedì sera al Circolo PD di Niguarda a Milano si è discusso di “Italia e PD: prospettive dopo il referendum” . Un incontro aperto al pubblico, non solo agli iscritti, per confrontarsi sullo scenario politico nazionale dopo l’esito referendario che ha visto la vittoria del No alla Riforma Costituzionale, con uno sguardo al Partito Democratico, impegnato in prima linea sia su quel fronte che nel Governo.
Un incontro pensato e costruito, oltre che con lo scopo di riflettere su quanto sta avvenendo, anche per dare un messaggio chiaro ai simpatizzanti del PD sul fatto che, nonostante la sconfitta, si è ancora in piedi.
L’impresa è riuscita. La discussione, interessante, è stata aperta da Enrico Borg, Segretario del Circolo Pd di Niguarda (video dell’intervento), che ha evidenziato l’impegno di quel Circolo a sostegno del Sì al referendum e di come ora sentano il peso della sconfitta netta subita. Una sconfitta, però, che ha tante ragioni e non può essere riconducibile solamente ad alcuni errori comunicativi e tattici che pure ci sono stati - ha segnalato Borg - ma che va inquadrata in un contesto generale, di cui gli ultimi esempi sono la vittoria della Brexit e la vittoria di Trump.
«Da diversi anni, il Partito Democratico si è assunto l’onere e la responsabilità di farsi carico dei problemi del Paese. - ha proseguito Borg, nella sua analisi - Qualche volta abbiamo assunto dei ruoli di responsabilità anche quando, magari, avremmo potuto fare scelte diverse e più appaganti dal punto di vista elettorale. Per il bene del Paese, quindi, sono state fatte diverse scelte, alcune dall’esito più felice e altre meno. Abbiamo concluso un percorso di Governo con il Presidente del Consiglio che è stato il nostro Segretario Renzi, che ha messo in cantiere e realizzato molte opere importanti. Dal nostro punto di vista, quindi, il segno è più che positivo. Purtroppo, molto di questo lavoro non ha dato i frutti sperati. Questo, a mio avviso, è avvenuto perché oggi esistono dei problemi strutturali di natura mondiale che vanno anche al di là delle responsabilità delle singole forze politiche».
Il Segretario del Circolo di Niguarda ha evidenziato anche come da anni sia in corso una crisi che ha colpito in maniera feroce le nostre società e rispetto alla quale è difficile dare delle risposte. «La stessa sinistra - ha sottolineato Borg - è in crisi a livello mondiale: non ha prodotto altre risposte concrete ai problemi che non fossero quelle valide fino al Secolo scorso ma che oggi risultano insufficienti. È difficile anche trovare nuove risposte: siamo di fronte ad un cambiamento epocale dovuto alla globalizzazione che, se da un lato, ha fatto sì che miliardi di persone abbiano visto migliorare le proprie condizioni di vita, dall’altro lato, coloro che prima erano avvantaggiati dallo scambio ineguale a livello mondiale, si sono trovati in crisi e si tratta soprattutto delle classi medie e povere. C’è, quindi, un problema generale di disuguaglianza. Per la prima volta, ad esempio, le future generazioni non hanno davanti una prospettiva rosea o di miglioramento rispetto alla generazione precedente. Oggi, il vento della protesta e del ribellismo soffia comunque contro chiunque governi. La difficoltà sta nel cercare di capire quali sono le ragioni e molte volte sono ragioni reali. La perdita del potere d’acquisto, la perdita del lavoro, la perdita del futuro per molti sono problemi enormi che chiedono risposte che sono difficili da trovare, soprattutto per chi non vuole porsi sulla scia della demagogia. Sappiamo benissimo, infatti, che non esistono risposte facili. Per chi è abituato soltanto ad urlare e dire No, è sicuramente più facile».
Per quanto riguarda, invece, le prospettive per il futuro, Borg ha detto di auspicare che, in seguito alla vittoria del No al referendum, per l’Italia non ci sia un ritorno indietro, all’epoca del proporzionalismo, della deresponsabilizzazione delle forze politiche, della proliferazione di partitini in cui ciascuno si spartisce il suo e poi nessuno è responsabile di niente e, quindi, del via alla spesa pubblica improduttiva.
Mentre sul fronte del PD, il Segretario del Circolo di Niguarda ha affermato: «Credo che sia giusto mantenere quella che era la ragione fondante del nostro partito: siamo nati come partito che doveva unire, includere sensibilità e anime diverse. Questa era la vocazione maggioritaria, non la presunzione di voler fare da soli ma la giusta visione di ciò che stava avvenendo e la necessità di coagulare attorno a sé altri che la pensavano in modo diverso e che avevano storie diverse ma in grado di trovare poi dei momenti di sintesi comune. Credo, quindi, che vadano anche un po’ ridiscusse le regole del gioco perché in un partito penso che un minimo di regole ci debbano essere e anche coloro che dissentono o hanno opinioni diverse, alla fine, debbano allinearsi alle decisioni prese a maggioranza. Questo, purtroppo, non sempre è avvenuto e auspico, invece, che da qui in avanti ci sia un percorso di grande impegno ma anche di grande responsabilità da parte di tutti».
Prima di lasciare spazio a domande o interventi del pubblico, a chiarire ulteriormente il quadro della situazione è stato il senatore Franco Mirabelli (video dell’intervento), il quale ha segnalato che «C’era bisogno di riscrivere un patto tra i cittadini e la politica perché era in crisi la credibilità delle istituzioni ed erano già arrivati molti segnali in tal senso. Paradossalmente, abbiamo perso il referendum proprio per questa ragione, nel senso che credo che uno dei dati che va a comporre il 60% dei No riguarda persone che hanno votato sull’onda di una spinta che non è né di destra né di sinistra ma di protesta anti-istituzionale, molto simile a quella che ha portato alla vittoria di Trump negli Stati Uniti o della Brexit e che temo potrà portare a risultati positivi anche la Le Pen in Francia. Questo perché oggi, di fronte alla crisi e alle diseguaglianze che si sono formate, la risposta è lo scaricare la rabbia contro le istituzioni. Il PD, in questi anni, ha rappresentato le istituzioni e questo ha influito.
Questo non è stato l’unico aspetto ma ha contribuito a caratterizzare il voto».
Mirabelli ha evidenziato come il clima di sfiducia sia stato alimentato ad arte perché per un’intera settimana a ridosso del referendum si è discusso dei possibili brogli sul voto degli italiani all’estero e poi, in sede referendaria, c’è stata la polemica sulle matite copiative.
«Tutto ciò ha alimentato il clima di sfiducia verso le istituzioni per cui chi governa non appare più credibile. – ha affermato il senatore - Inoltre, quello del referendum è stato anche voto molto politico. La spinta anti-istituzionale si è saldata con una critica al Governo che non ha saputo intervenire sulle diseguaglianze. Personalmente, penso che il Governo Renzi abbia fatto moltissime cose e quei mille giorni non vadano dimenticati e dovremo raccontare quanto abbiano inciso sulla vita di tante persone i provvedimenti e le riforme portate avanti. Credo che dovremo anche continuare a raccontare quanto sia importante il fatto che abbiamo cambiato in meglio i dati economici e occupazionali. Il problema è che probabilmente si è creato un cortocircuito tra una voglia di raccontare questa Italia che ripartiva e otteneva risultati e la vita concreta di una parte di questo Paese che non si ritrovava in quel racconto e, anzi, di fronte a quel racconto si arrabbiava e vedeva rappresentate proprio le diseguaglianze che ci sono nella nostra società. Questo è un dato su cui dovremo riflettere nei prossimi mesi».
Mirabelli ha ribadito ancora che, comunque, non tutto si spiega dentro le dinamiche delle tradizionali contrapposizioni tra destra e sinistra e «oggi c’è uno scontro tra forze anti-istituzionali che spingono contro (e non importa se siano più a destra o a sinistra) e forze riformiste, e questo è un tema su cui dovremo riflettere perché recuperare su questo terreno non è semplice. Così come non sarà semplice recuperare credibilità rispetto alla lotta alle diseguaglianze perché i tempi in cui possiamo rispondere ai problemi aperti dalle diseguaglianze ai disoccupati fino alle famiglie che sono sulla soglia di povertà, non sono rapidi».
Il senatore PD ha sottolineato anche che «Avevamo dato per morte alcune forze, invece, i partiti della destra sono ancora capaci di mobilitare le persone in maniera significativa. Lo stesso Silvio Berlusconi, che consideravamo politicamente morto, in realtà ogni volta che parla riesce a mobilitare una parte importante dell’elettorato».
Alla luce di questo quadro uscito dalle urne, Mirabelli ha segnalato che c’è bisogno di un PD che non rinunci a rivendicare i meriti dei tre anni di Governo Renzi, perché sono state fatte cose importanti, e che non abbandoni la scelta di fare riforme, mettendo in discussione privilegi e rendite di posizione, perché l’Italia ne ha bisogno.
In merito ai dubbi sollevati sulla questione della legge elettorale e della data del voto, Mirabelli ha detto che in Assemblea Nazionale, Renzi ha proposto il Mattarellum perché ha in sé ancora un principio maggioritario (mentre tutto il resto del panorama politico spinge verso il sistema proporzionale), sottolineando anche l’importanza dei collegi perché il tema delle preferenze invece è molto problematico (in particolar modo al Sud). «Non rinunciamo al maggioritario e ad alcune battaglie, sapendo, però, che quell’idea di stabilità secondo cui il giorno successivo alle elezioni si sa con certezza chi ha vinto e chi governa ha fatto dei passi indietro. Resta il bicameralismo paritario che, come abbiamo spiegato per tutta la campagna referendaria, dal punto di vista della stabilità dei Governi è un problema», ha spiegato Mirabelli che, in merito a questo aspetto, ha ricordato anche come l’idea del partito a vocazione maggioritaria non possa più essere interpretata come l’autosufficienza e occorrerà fare un ragionamento sulle alleanze.
«In questo senso - ha detto il senatore PD - il “modello Milano” può essere un punto di riferimento anche a livello nazionale».
Impensabile, secondo Mirabelli, l’ipotesi di andare al voto a febbraio, perché occorre attendere almeno l’esito dell’esame dell’Italicum da parte della Consulta e poi vi è la necessità di armonizzare le leggi elettorali di Camera e Senato, nel tentativo di avvicinarci il più possibile all’obiettivo di garantire governabilità e avere una stessa maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Il voto, comunque, secondo il senatore, sarà sicuramente prima dell’estate, anche per raccogliere la sollecitazione arrivata dai cittadini con il No al Referendum Costituzionale.
Mirabelli ha poi affermato che il PD deve tornare al voto senza alcuna paura, in quanto è l’unica forza politica che ha ancora un consenso e un radicamento molto grande.
Il Governo Gentiloni ha, quindi, la funzione di fare la legge elettorale e affrontare i temi dell’oggi (risolvere la crisi bancaria, la ricostruzione post-terremoto, gli impegni internazionali).
Sul fronte del partito, Mirabelli ha segnalato la necessità di «reimmergerci nella società e ricominciare a stare nelle periferie non solo con la presenza (anche perché in molti luoghi ci siamo già) ma anche con la testa. Questa, a mio avviso, è la priorità e viene prima rispetto al fare un congresso che, oltretutto, diventerebbe un regolamento di conti interno, in cui si parlerebbe di noi solo per le liti dell’uno contro l’altro anziché parlare all’Italia della proposta politica per il Paese e i cittadini. Il congresso lo faremo alla naturale scadenza, in ogni caso, ci occuperemo ugualmente anche del partito. Adesso, dunque, dobbiamo fare un ragionamento serio, mettendo al centro il tema delle diseguaglianze che, nonostante gli sforzi fatti in questi anni, si sono allargate (come si stano allargando in tutto il mondo). Dobbiamo, quindi, ritornare a mostrare che la nostra priorità è essere dove ci sono le persone che soffrono le diseguaglianze e cercare di chiudere la forbice tra ricchi e poveri di questo Paese».
L’incontro è poi proseguito con alcune domande da parte del pubblico, curioso di comprendere in particolare la dinamica del rapporto interno al PD tra maggioranza e minoranza e il come organizzarsi in vista del voto.

giovedì 15 dicembre 2016

Renzi ha fretta

“Il Governo Avatar” oppure “Il Governo Fotocopia”: i grillini hanno definito così il nuovo Governo Gentiloni, un governo “avatar di Renzi”, “fotocopia” di quello precedente guidato da Renzi, appunto. La scelta della riconferma di quasi tutta la squadra che lo compone, sembra confermare questa teoria.
Per tutta la scorsa settimana sulle pagine dei giornali si sono rincorse ipotesi e nomi ma la realtà, invece, è stata molto semplice e banale: Renzi vuole andare a votare presto.
Non c’è altro da spiegare. Tutto ciò che si sta vedendo è conseguenza di questa scelta.
Renzi ha promesso che, in caso di sconfitta al referendum, avrebbe lasciato e lo ha fatto ma, non volendo fare anche la figura del perdente, ha cominciato a pensare di voler tornare al voto in fretta per non restare schiacciato dalle urla continue delle forze di opposizione che rivendicano le urne e anche per capitalizzare il “suo” presunto 40% conquistato con i Sì.
Da questo punto Renzi è partito e da questo punto non si è mai mosso.
Nessuna trattativa nel PD per arrivare altrove: altro che i presunti tradimenti di Franceschini e gli accordi. Tutti nel PD sanno che l’unica carta possibile da giocarsi anche per il futuro resta Renzi e, quindi, si sono adeguati. Tutti nel PD sanno che si ottengono risultati migliori se si è uniti e, quindi, perché mai andare contro al Segretario (oltretutto che rivendica una forza del 40% nel Paese) e rompere tutto?
Magari qualcuno ci ha pure provato a dire a Renzi che occorreva agire in modo diverso ma poi deve aver capito che non c’era spazio per altre ipotesi oltre a ciò che Renzi stesso aveva già esplicitato. Lo si è visto anche negli interventi alla Direzione Nazionale. Il PD ha scelto di salvare la faccia di Renzi e poi di salvare la propria unità, convergendo di fatto, su ciò che Renzi aveva deciso.
Il Governo Gentiloni è espressione di questo e serve a questo.
“Gentiloni marionetta di Renzi”, dicono le forze di opposizione, tanto che ne ha mantenuto anche i Ministri, un “Governo Renzi Senza Renzi” scriveva Gramellini su La Stampa e via con commenti analoghi ma è evidente che se la scelta politica di fondo è quella di salvare la faccia di Renzi, tenere unito il PD e andare al voto presto non ci potevano essere altre strade.
E che la scelta di fondo sia proprio quella lo si vede bene anche dalla composizione del nuovo Governo, che sicuramente ricalca quello vecchio: che bisogno c'è, infatti, di mettere persone nuove nei Ministeri, se comunque devono durare poco? Tanto vale lasciare chi c'è già e consentire almeno che si provi a finire ciò che si è iniziato. Restano, tuttavia, alcuni accorgimenti: la Boschi, a dispetto dei commentatori che la volevano fuori in quanto al referendum è stata bocciata la sua riforma, acquista potere e diventa Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e Luca Lotti (altro uomo di Renzi) ha la delega al CIPE (gestisce la distribuzione delle risorse sui vari progetti).
Inoltre, siamo di fronte ad un Governo Elettorale, cioè studiato sulle esigenze della campagna elettorale: nell’analisi del voto del 4 dicembre si è detto che il Sud ha votato No perché scontento del disinteresse per le questioni meridionali e ora arriva un Ministro per il Sud (De Vincenti); nell’analisi del voto è emerso che un gran caos è avvenuto in seguito alla rivolta degli insegnanti scatenata dalla Buona Scuola e allora si è sostituita la Giannini con la Fedeli. Infine, è un governo senza Verdini perché così la sinistra potrà smettere di dire che Renzi va a braccetto con Verdini e poi è un governo a prevalenza netta PD ed è evidente che i voti del PD da soli non sono sufficienti per garantirgli lunga vita, soprattutto al Senato dove i numeri sono sempre traballanti. E Gentiloni stesso lo ha detto: “il Governo non ha scadenza ma dura finché c’è la fiducia” e questa potrebbe venire a mancare molto in fretta.

mercoledì 7 dicembre 2016

Fare politica per qualcosa

Il discorso di Matteo Renzi nella notte della sua sconfitta elettorale è stato molto bello. Nel suo stile, positivo e con il sorriso nonostante la sconfitta, ma dai toni pacati. Fossero stati tutti così i suoi discorsi durante i tanti mesi di campagna elettorale, forse il risultato sarebbe stato un po’ diverso.
«Fare politica andando contro qualcuno è più facile, fare politica per qualcosa è più bello ma più difficile», ha detto Renzi in uno dei passaggi del suo discorso.
È vero: è più facile dire no a tutto, è più facile opporsi a qualunque cosa; è più difficile costruire e cercare di mostrare di aver costruito bene.
Eppure, l’impressione è che uno dei problemi di questo risultato elettorale sia stato proprio il “per qualcosa” che forse non era così chiaro agli occhi degli elettori.

Sul fatto che il referendum costituzionale avesse valenza politica era chiarissimo fin da subito, con Renzi che annunciava “se perdo me ne vado” e il fronte del No che insisteva “votate No per mandare a casa Renzi” ma sul come Renzi volesse cambiare il Paese, invece, c’era molta confusione.
Renzi e i suoi ce l’hanno messa tutta per semplificare il messaggio (anche troppo a volte) ma la realtà è che cambiare la Costituzione di un Paese non è mai cosa semplice e richiede sempre qualche sforzo di chiarimento in più che forse è mancato.
Lo si capiva dal caos di argomentazioni che circolavano: il fronte del Sì e quello del No diffondevano messaggi contraddittori, che si smentivano l’un l’altro e, in un periodo in cui vale tutto, le “bufale” vengono accreditate anche da mezzi di comunicazione autorevoli e amplificate dai social network e nessuno si cura più di approfondire le tesi, è più complicato spiegare qual è la verità. Così come è complicato cercare di far passare per semplice una riforma che semplice non è, oltretutto nell’anno in cui si è festeggiato il 70esimo anniversario della Repubblica Italiana e ci si avvicina proprio al 70esimo della Costituzione.
La Costituzione, nel bene e nel male, è da sempre un punto di riferimento per gli italiani, anche precedenti referendum in materia hanno fatto una brutta fine.
Bisognava pensarci ma è difficile pensare quando si va a tutta velocità.
Così come, da sempre, quando le persone hanno dei dubbi preferiscono tenere ciò che c’è e che conoscono. La logica dell’azzardo non fa ancora parte della mentalità italiana. Di fronte alla scelta tra uno scenario nuovo ipotetico e non chiaro, di fronte all’idea del “non è una riforma perfetta ma intanto cominciano a cambiare poi magari più avanti miglioreremo” senza spiegare come e quando, si preferisce rimanere come si è perché almeno se ne comprende il meccanismo.
A questo, probabilmente, il fronte del sì sperava di rimediare cercando di spiegare nel merito la riforma proposta e di semplificarla agli occhi dei cittadini. Il messaggio, però, evidentemente, non è arrivato.

Succede. Non è grave. Si può vincere e si può perdere.
Il problema di Renzi è stato, però, l’aver legato indissolubilmente il destino del suo Governo all’esito del Referendum.
Il motivo va ricercato nell’idea che si era diffusa che questa fosse una legislatura nata male e, quindi, destinata a fare le riforme per poi farsi da parte. Un’idea nata in realtà con Enrico Letta che, sostituendo Bersani incapace di trovare i numeri per formare un Governo, probabilmente non si sentiva forte di una legittimazione politica e ha preferito puntare sul fronte istituzionale per sentirsi autorizzato a svolgere il ruolo di Presidente del Consiglio. Una spinta in tal senso è arrivata anche da Giorgio Napolitano, il quale, però, se si va a guardare bene, aveva semplicemente sferzato i politici a fare il proprio dovere e a mettersi a lavorare con impegno e serietà per il bene del Paese, che non voleva necessariamente dire fare una riforma costituzionale. La riforma costituzione è il quadro delle regole e si rende necessario cambiarlo quando non si è in grado di cambiare attraverso l’azione politica.
In Italia c’è sicuramente un problema serio dovuto alla burocrazia, agli sprechi e, quindi, al quadro delle regole, che provoca lentezza e sfiducia ma c’è anche un problema serio di scelte politiche finalizzate a bloccare il Paese per miopi giochi di potere piuttosto che a far funzionare le cose.
La scelta del Governo Renzi, però, non è stata solo quella di agire sulle regole: la riforma costituzionale non è l’unica cosa fatta dal Governo Renzi; lui stesso, nel corso del suo intervento di saluto, ha elencato le tante cose realizzate.
«In questi giorni il governo sarà al lavoro per completare l’iter di una buona legge di Stabilità, che deve essere approvata al Senato e per assicurare il massimo impegno ai territori colpiti dal terremoto. Lasceremo a chi prenderà il nostro posto il prezioso progetto di Casa Italia. […] Lasciamo la guida dell’Italia con un Paese che passato dal -2% al +1% di crescita del Pil, che ha 600mila occupati in più con una legge, quella sul mercato del lavoro, che era attesa da anni, con un export che cresce e un deficit che cala. Lasciamo la guida del Paese con un’Italia che ha finalmente una legge sul terzo settore, sul dopo di noi, sulla cooperazione internazionale, sulla sicurezza stradale, sulle dimissioni in bianche, sull’autismo, sulle unioni civili. Una legge contro lo spreco alimentare, contro il caporalato, contro i reati ambientali. Sono leggi con l’anima, quelle di cui si è parlato di meno ma a cui tengo di più. Lasciamo infine l’Italia con un 2017 in cui saremo protagonisti in Europa a marzo con l’appuntamento di Roma per i sessant’anni dell’Unione. Saremo protagonisti a Taormina a maggio per il G7. Saremo protagonisti con la presidenza de consiglio di sicurezza dell’Onu a novembre. Aver vinto le sfide organizzative dell’Expo e del Giubileo non è merito del governo ma di una struttura straordinaria di professionisti a cui va la mia rinnovata gratitudine», aveva detto Renzi nel suo discorso post-sconfitta.

E allora che bisogno c’era di legare il destino di un Governo che stava lavorando bene su tanti fronti ad un referendum tanto difficile e per di più affrontato praticamente da solo contro tutto il resto delle forze politiche?
Per quale ragione ora che Renzi ha perso una battaglia deve crollare anche tutto il resto?
Renzi, purtroppo, soffriva della sindrome della colpa originaria di esser arrivato a Palazzo Chigi senza esser passato dalle elezioni. La legittimazione enorme ottenuta con il risultato del 40% preso alle Europee non gli bastava più, soprattutto, dopo lo sbandamento alle elezioni amministrative di giugno e forse anche per questo ha spinto così tanto sul personalizzare il referendum costituzionale e sul cercare una legittimazione personale attraverso di esso.
Ma la partita era più complicata e Renzi non solo ha perso ma ha perso male. In giro, non c’era la sensazione di una sconfitta così ampia sul piano nazionale: si poteva ipotizzare al massimo un pareggio o una sconfitta di poco, invece, un risultato così, inevitabilmente fa crollare tutto.

Eppure il risultato è complesso.
Il No è stato un insieme di cose: è stato un No a Renzi in prevalenza (lo ha ammesso lui stesso quando a margine della conferenza stampa ha detto “Non credevo che mi odiassero così tanto”), un No all’azione del Governo (prevalentemente da soggetti che non stanno particolarmente bene e che pensano che la politica abbia colpa di qualunque cosa, magari senza neanche sapere cos’ha davvero fatto il Governo in questi anni), un No alla Riforma Costituzionale (perché “la Costituzione è sacra” dicevano oppure perché “la riforma è fatta male”, perché “si va verso la deriva autoritaria dell’uomo solo al comando” ma anche perché “non ho capito”).
Un No arrivato, quindi, da soggetti diversi, legati gruppi elettorali diversi e fondati su motivazioni diverse ma che ha prodotto una percentuale altissima.
Una percentuale che non è certamente raggiungibile in caso di elezioni politiche perché è evidente che il fronte del No è composto da tanti partiti e movimenti (in prevalenza M5S) spesso distantissimi tra loro ma complessivamente resta una bocciatura del 60% per Renzi, parte del suo operato o la sua riforma o tutte le cose insieme.

Il , invece, arrivato al 40%, è prevalentemente legato ad un elettorato vicino al Partito Democratico o a Renzi. Gli altri partitini uniti nel fronte del Sì in questa battaglia hanno dimostrato di contare poco o nulla.
Non è un dato da poco: arrivare da soli a prendere il 40% è moltissimo. Eppure, anche in questo caso, non è detto che sarebbe confermato in caso di elezioni politiche. Come il No, anche il Sì, infatti, ha motivazioni variegate: per alcuni è stato un Sì incondizionato a Renzi perché “mi fido di lui”, per altri un Sì ad una “riforma utile per cambiare il Paese e rendere le sue regole più snelle”, per altri ancora era semplicemente un Sì perché “se vince il No, crolla tutto ed è assurdo fermare l’azione positiva di questo governo”, a prescindere dal merito della riforma.

In ogni caso, questo era un referendum e un referendum è fatto anche così: ci sono due opzioni, si vince o si perde e il PD di Renzi era da solo contro tutti gli altri e ha perso.
Una sconfitta di queste dimensioni, inoltre, ha un peso enorme e non può essere liquidata con qualche battuta (che è giusto che facciano in pubblico i personaggi con ruoli di rilievo per salvare la faccia ma che non può essere anche replicata da soggetti delle retrovie senza incarichi né meriti a cui invece spetta il dovere di far funzionare il cervello e mettersi a pensare per evitare nuovi disastri in futuro).

A mio avviso un altro grande errore è stata la campagna elettorale (tempi e modalità). In alcune città la campagna referendaria è stata lanciata a maggio (il via ufficiale è stato a Bergamo il 21 maggio) mentre nei luoghi in cui si è votato alle elezioni comunali è partita a luglio, poco dopo i ballottaggi. La campagna referendaria si pensava che sarebbe terminata ad ottobre e invece il referendum si è svolto il 4 dicembre. Quasi sei mesi di campagna elettorale sono troppi e poco importa se nel frattempo ci si occupa anche di altre urgenze perché i mass media si focalizzano su un tema e lo fanno diventare dominante. Uno dei momenti peggiori è stato con il terremoto. Era stonato parlare di referendum mentre il Centro Italia crollava sotto il terremoto e poco importa se il Governo si è occupato molto anche dei terremotati.
La campagna elettorale, inoltre, è stata brutta, con dei toni aggressivi e macabri (usati in prevalenza dai sostenitori del No) e con toni da marketing da televendita (usati in prevalenza dai sostenitori del Sì, istruiti con dei format non proprio utili a sembrare naturali).
L’idea di vendere la riforma costituzionale come se fosse un prodotto qualsiasi messa in pratica degli strateghi della comunicazione della campagna del Sì è stata abbastanza penosa.
Il format che pervade il mondo renziano è quello della comunicazione aziendale, tutta puntata al positivo: non esiste il No, non esiste il brutto, non esiste la negatività ma tutto deve diventare esempio di realizzazione riuscita di qualcosa (anche le persone che spesso non rappresentano un bel niente). È una comunicazione ottimistica che assomiglia molto a quella berlusconiana degli anni migliori ma che non tiene conto del fatto che nel frattempo l’Italia è stata attraversata dalla crisi economica e sociale e che l’idea politica non è un prodotto ma qualcosa di diverso. Berlusconi vendeva un sogno agli italiani illusi di poter diventare come lui. Il risveglio è stato l’incubo dello spread e del Governo Monti. Oggi gli italiani sono delusi e arrabbiati e faticano a credere in un altro sogno, soprattutto se non ne vedono le fondamenta e se chi lo propone sta già al Governo e da lui si aspettano miracoli (che ovviamente non sono possibili e dove anche lo fossero non verrebbero percepiti o verrebbero considerati non sufficienti).
Renzi ha vinto il congresso del PD e le elezioni europee da rottamatore e da propulsore del cambiamento e lo ha vinto in prevalenza su quello non sulla sua eventuale idea di Paese. Al Governo Renzi ha fatto molte leggi positive, ricordate tutte nel messaggio di saluto dopo la sconfitta, ma è chiaro che la costruzione di un percorso non ha lo stesso impatto e la stessa forza dell’urlo di rottura. È molto più facile, invece, per le opposizioni urlare contro le cose che non vanno, imputandole al Governo anche quando il Governo non c’entra o quando sono cose palesemente false.
Renzi aveva anche assunto il guru di Obama per la campagna elettorale ma lo stile di Renzi è diverso da quello di Obama. Obama accendeva speranza, lasciava intravedere un percorso di riscatto, dava una visione, non nascondeva i problemi e le cose negative ma invitava a rilanciare e risolvere. Renzi rompeva il sistema, piaceva quando diceva di voler scardinare l’esistente, al resto non faceva caso nessuno ed è evidente che da uomo di governo non può essere percepito come contro il sistema pur avendo uno stile profondamente diverso dai predecessori governativi.

Un altro aspetto è che la campagna elettorale sembra ormai essere prettamente mediatica. I mezzi tradizionali servono a poco: i volantinaggi e gli eventi servono a dare visibilità ma spesso non spostano voti. Lo si era già cominciato a vedere alle elezioni amministrative e con il referendum è stato ancora più chiaro.
Questo può diventare un problema se si andrà verso elezioni con preferenza perché i “non famosi” potrebbero avere grandi difficoltà a raccogliere consenso, anche mettendo in campo uomini e risorse, se non passano dai media.
Inoltre, è stata in prevalenza una campagna elettorale caotica, fatta di piccole cose, di piccoli eventi, di piccoli contatti. Il presupposto – corretto – è che oggi le mobilitazioni di massa funzionano poco, le persone non vengono raggiunte e coinvolte e poi per quelle sono sufficienti le televisioni mentre invece bisogna andare a prendere i singoli e raggiungerli dove si trovano, anche dentro casa. È una teoria. Può anche funzionare. Il dato di fatto che avendo venti micro eventi al giorno si rischiava di non pubblicizzarne neanche uno, di non dare valore a nessuno di essi (quindi non far capire qual era l’evento principale e quali quelli secondari). La strategia, comunque, di per sé non è errata ma può generare confusione e si può fare fatica a raccogliere pubblico.

Ora, però, è andata così e restano tutti i problemi conseguenti al risultato della vittoria del No. E il problema per l’Italia non è che resta il CNEL, che rimangono 315 senatori stipendiati e non si tolgono soldi ai gruppi dei Consigli Regionali.
Il problema è che ora l’Italia è senza governo.
Impiccare l’operato di un Governo che stava lavorando bene e anche velocemente per fare cose utili per i cittadini (magari non sempre con risultati visibili nell’immediato) all’esito del voto su una riforma che piaceva davvero a pochi anche tra i sostenitori del Sì, è stato uno sbaglio terribile.

Così come altrettanto sbagliati sono i discorsi che si sentono fare in questi giorni in prevalenza da esponenti del PD sul PD. In quei discorsi manca esattamente «il fare politica per qualcosa» che citava Renzi nel suo discorso post-referendum.
Ora si parla di elezioni anticipate, di percentuali e di regolamenti di conti in una discussione tutta autoreferenziale in cui in cui contano i destini personali, conta chi comanda, conta portare via il pallone, conta il non restare con il cerino in mano, conta far vedere che si hanno i numeri e non il resto.
Il Paese e i cittadini dove li mettiamo? Vogliamo occuparci di loro e farlo vedere ogni tanto o vogliamo continuare a mandare fuori messaggi su noi stessi?
Perché è vero che le leggi si facevano e si fanno anche su altri temi ma il dibattito sui media era ed è tutto su altro.
Dov’è «il fare politica per qualcosa» nella discussione di questi giorni?
Come andiamo dalla gente a chiedere il voto un'altra volta? A Milano, oltretutto, sarebbe la terza campagna elettorale di seguito. Vero è che fino ad ora in città si è sempre vinto ma i cittadini vogliono vedere anche i risultati dei voti che dànno, non solo i volantini elettorali.

Il Partito Democratico è comprensibilmente agitato per l’esito della consultazione referendaria. È evidente che una sconfitta così eclatante della linea di Renzi pesi anche sul fronte interno, però, ormai il PD era arrivato quasi compatto sul Sì e sarebbe meglio evitare ulteriori drammi.
I comportamenti di alcuni esponenti della minoranza (Bersani, Speranza, D’Alema) sono stati inqualificabili prima e dopo il referendum. Il vederli festeggiare la sconfitta del Segretario del proprio partito e la caduta di un Governo guidato dal proprio partito è ignobile. È evidente, però, che la loro forza numerica è molto scarsa e in quel 60% di No, di loro c’è poco o nulla per cui farebbero più bella figura a stare in silenzio.
L’ambizione della minoranza PD è senza dubbio quella di logorare Renzi: dopo essersi battuti per farlo cadere ora si impegnano per farlo rosolare a fuoco lento in modo che arrivi perdente per la prossima tornata elettorale.
Ragione per cui Renzi e i suoi amici ambiscono ad andare alle urne in fretta.
Di andare alle urne lo chiedono anche gran parte delle opposizioni ma per loro la situazione è più facile: se si andasse al voto dovrebbero iniziare una campagna elettorale e non tutte le forze sono pronte per questo, mentre se si formasse un nuovo Governo avrebbero qualche scusa in più per urlare un po’ più forte e farsi sentire un po’ di più magari accusando il PD di restare ancorato alle poltrone.
È evidente, quindi, che la situazione politica è complessa ma in tutto questo, ancora una volta manca la realtà quotidiana, il Paese, i cittadini, i lavoratori di aziende in crisi che aspettavano gli esiti di trattative governative ora bloccate, le fasce deboli di popolazione a rischio povertà che l’Istat dice essere in aumento e di cui non ci si occupa certo mentre si fa campagna elettorale.

Credo che Renzi possa rimettersi in gioco sul fronte interno, la maggioranza è sicuramente ancora saldamente con lui e forse ora è anche più ampia di prima. Auspicherei, però, che lo facesse con modi e toni diversi rispetto a prima. È, comunque, difficile che Renzi cambi stile: questo è il suo punto di forza e allo stesso tempo il suo punto debole, la ragione per cui piace molto o non piace per niente. Tuttavia, potrebbe almeno scegliersi amici e collaboratori più seri e capaci dei soggetti di cui si è circondato in questi mesi, anche perché andando dritti così si finisce a sbattere.

La politica non è marketing e non deve piegarsi al marketing, anzi, dovrebbe essere il contrario: dovrebbe essere il marketing a trovare formule adeguate ai contenuti dei messaggi politici.
La politica può essere una cosa bella, appassionante, utile al Paese se è un «fare politica per qualcosa» ma occorre riportarla ad un linguaggio di serietà. Questo non vuol dire essere cupi, tristi, pessimisti e complicati ma vuol dire esser seri quando si parla di cose serie. Il linguaggio dei clown va bene al circo, quello delle televendite va bene quando si vendono pentole e materassi. La politica ha bisogno di recuperare un suo linguaggio e un suo spazio. Per riconquistare credibilità, la politica ha bisogno anche di riconquistare autorevolezza. Questo non significa restaurare il grigiore e il politichese ma vuol dire cercare una strada e un linguaggio consono a ciò che il contesto richiede. E vuol dire anche che è il caso di smetterla di dipingere tutti i politici come parte della “casta” ma caso mai far vedere cosa implica il lavoro nelle istituzioni, valorizzare il merito delle competenze acquisite e degli sforzi fatti per arrivare a dei risultati perché quando andiamo a chiedere i voti è difficile ottenerli se lasciamo credere ai cittadini che vogliamo eleggere un pezzo della “casta”.

mercoledì 30 novembre 2016

L'esaltato

Tra gli incontri di questi giorni c'è anche lui.
Gira per i mercati (io l'ho visto in zona 9 ma non escluderei che vada anche altrove) tenendo alto il cartello del No sopra la testa e urlando come un matto tra i banchi.
Urla di essere disoccupato, di non aver paura a dichiarare di votare no. Urla che il sì farà reintrodurre l'immunità parlamentare (questo significa che non solo non conosce la riforma ma non conosce neanche le norme vigenti attualmente). Poi urla che sono tutti ladri, che verrà la dittatura perché vogliono impedire ai cittadini di scegliere.
Quando trova un gruppo del Sì gli si mette al seguito, con l'unico evidente scopo di disturbare. Urla come un esaltato di esser lì gratuitamente e non pagato come gli altri.
Urla anche di essere del quartiere.
Ovviamente non è vero: ieri in Bicocca ha urlato di esser nato lì, oggi a Niguarda ha urlato di esser nato anche lì... nessuno né a Bicocca né a Niguarda lo aveva mai visto prima, segno che di lì non è. Quando glielo si fa notare si arrabbia e si arrampica cercando di dire che comunque è della zona.
E' sempre vestito di scuro, sempre con il cappellino arancione, sempre con lo zainetto sulle spalle e sempre con il cartello sopra la testa e le urla da esaltato.
Oggi a Niguarda, le persone incontrate ci hanno detto in massa di votare per il sì e alcuni vecchietti si sono messi addirittura a farci da scorta e a rispondere a questo ragazzo per cercare di mandarlo via.
Io non credo che un simile soggetto raccolga molto consenso ma non credo neanche che una persona intelligente possa mettersi a girare per il mercato urlando cose false o prive di senso e incollarsi al seguito di chi cerca di fare un normale volantinaggio e chiacchierare un po' con le persone.
Non so se questo ragazzo si diverte a girare per i mercati a fare figuracce, insultare e disturbare, non sono neanche tanto convinta che lo faccia gratis, rimango comunque basita di fronte a tanta imbecillità e penso che ci sono modi migliori per impiegare il proprio tempo (a maggior ragione se si è disoccupati, come questo tizio dice di essere).

mercoledì 9 novembre 2016

Leopolda 7

A questa edizione della Leopolda sono finalmente riuscita ad andare anch’io. Ci sono andata per curiosità, per vedere chi c’è e che si dice lì dentro, quanto c’è del PD e quanto c’è di altro.
L’impressione complessiva è di essere dentro ad un grande show: bello e studiato in ogni suo particolare.
Un format che si è evoluto molto, mi spiegavano persone che sono state presenti fin dagli esordi, per dare vita ad un appuntamento che è cresciuto in partecipazione e in prospettive nel corso del tempo ma che ha anche visto cambiare il ruolo dei propri protagonisti: oggi Renzi non è più un coraggioso esordiente della politica che vuole rovesciare le poltrone agli inamovibili ma è il Presidente del Consiglio e così molti altri suoi amici e compagni di avventura.
Molto positivo e propositivo il clima: sorridenti i presenti, contenti di essere lì; non le facce serie da convegno politico ma i volti allegri di chi partecipa ad un evento festoso.
Dal palco si sono alternati novità (come il medico di Lampedusa Piero Bartolo e l’attore Alessandro Preziosi) e habitué (Farinetti, Nesi), qualche ritorno (Giorgio Gori e Matteo Richetti) e soprattutto molti “nessuno”, in prevalenza giovani e poi rappresentanti dei vari mondi (imprese, mamme, studenti, amministratori locali).
Tutti hanno portato se stessi e le proprie esperienze ponendosi al pubblico come esempio positivo, ciascuno per il proprio ambito e, poi, ovviamente, tutti gli interventi erano volti anche a esplicitare le ragioni del sì alla Riforma Costituzionale, applicandola ciascuno al proprio contesto (molto apprezzata l’appassionata Teresa Bellanova, dal sindacato al Ministero dello Sviluppo Economico, che ovviamente ha parlato delle battaglie portate avanti dal Governo e dei risultati ottenuti in termini di lavoro).
Alla Riforma Costituzionale è stato dedicato anche l’intero pomeriggio del sabato, in cui Boschi e Richetti si sono calati nelle vesti di presentatori e, con l’aiuto di costituzionalisti, hanno smontato le “bufale” che diffondono i sostenitori del No. Sembrava di assistere ad un spettacolo televisivo, con politici perfettamente a loro agio nei panni di intrattenitori.
Nella mattinata, invece, si erano fatti i tavoli di lavoro con esperti e politici, diventati un po’ un must della Leopolda dopo il successo avuto in una passata edizione.
La giornata conclusiva della domenica è stata decisamente presa d’assalto: tutti gli spazi dell’ampia ex stazione erano superaffollati di giornalisti, politici, fans e curiosi ed è stata un continuo di crescendo di interventi a ritmo sostenuto fino all’arrivo del momento di Renzi (preceduto da un black out causato dal temporale).
Non è semplicissimo cogliere tutto in quanto gli spazi della Leopolda sono davvero molto grandi e non tutti sempre accessibili (per ragioni di sicurezza, dato che si era in presenza di Ministri) ma comunque sempre affollati e anche districarsi tra la folla per spostarsi da un punto all’altro dei saloni poteva essere complicato.
Complessivamente si è trattato di un grande evento, con tanto di gadget da poter acquistare, non necessariamente legato al PD ma fortemente legato a Renzi.
Per questo, sbaglia chi si indigna per cori o altro contro esponenti del “partito” perché la Leopolda non è l’Assemblea Nazionale del Partito Democratico, tanto che di politici, pur essendo presenti in massa, hanno parlato in pochissimi dal palco (e il miglior intervento è stato quello di Debora Serracchiani, in conclusione della giornata del sabato) e chi vi partecipa non necessariamente è parte anche del PD o magari ci è entrato da quando c’è Renzi e cercando dentro ciò che trova alla Leopolda. I due contenitori si mischiano a volte ma non sono la stessa cosa.
In generale, al di là delle polemiche uscite sui quotidiani, all’interno si respirava un clima positivo e c’erano persone propositive, con molta voglia di impegnarsi e di mettersi in gioco.

martedì 1 novembre 2016

Le estetiste cinesi

Le estetiste cinesi sono meravigliose.
Lo hanno capito in tante perché tante sono le donne (giovani e non) che vanno a farsi fare la manicure o altri trattamenti estetici dalle cinesi.
Non è il costo a fare la differenza con le estetiste italiane, anzi, su alcune cose costano di più le cinesi.
E' che le cinesi sono proprio brave!
Non sono improvvisate, non sono parrucchiere prestate alle cerette o alle manicure, non sono svogliate che si sono dovute inventare un lavoro: sono proprio artiste delle manicure e di altri trattamenti, per i quali utilizzano strumenti professionali appositi (in alcuni casi anche più igienici come le cerette con ricambi usa e getta) e i capolavori che compongono sulle unghie delle clienti con smalti e pennellini sono bellissimi.
E poi le estetiste cinesi sono aperte in orari in cui chi esce dagli uffici e finisce di lavorare trova il tempo di andarci.
Ovviamente, auspico che le cinesi possano avere dei giorni di riposo, come tutti i lavoratori. Però, in generale, sono dell'idea che viviamo in una società in cui i ritmi sono cambiati e occorre trovare la formula migliore per garantire a tutti ciò che serve e apprezzo negozianti e professionisti che sono aperti quando altri escono dagli uffici, magari sperando che poi possano restare chiusi in altri momenti.
Ricapitolando, quindi, non è vero che si va dalle cinesi perché costano poco: ci si va perché sono brave e perché sono aperte in orari in cui gli altri sono chiusi.

mercoledì 19 ottobre 2016

La legalità nelle imprese

Questa mattina Assolombarda ha presentato un "toolkit" per aiutare gli imprenditori a riconoscere i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nelle imprese e cercare di contrastarli. Il progetto è nato per cercare di far fronte alla preoccupante crescita della presenza delle organizzazioni criminali al Nord, anche in ambiti non tradizionalmente interessati dal fenomeno. La tesi di fondo è che criminalità organizzata ha affinato le proprie tecniche di avvicinamento degli imprenditori e di infiltrazione nelle imprese e non tutti sono in grado di riconoscerli o di rendersi conto del reale pericolo in cui incorrono (compresa la perdita dell'azienda), per cui si è cercato di fornire qualche strumento di supporto.
Oltre al problema etico, stamattina, i relatori hanno posto l'attenzione sul tema economico perché la criminalità organizzata costituisce un elemento di concorrenza pesantissima per le aziende che invece si muovono nell'ambito della legalità.
Due i problemi che sono emersi in modo chiaro: innanzitutto gli imprenditori devono aver chiaro che le mafie non sono agenzie di servizi ma sono elementi pericolosi con cui una volta avviato un rapporto è per sempre e porta alla sottrazione dell'azienda e poi vi è anche la difficoltà degli imprenditori a rapportarsi alle forze dell'ordine, in quanto molto spesso parlano linguaggi diversi e vedono i problemi da ottiche diverse, per questo occorre un po' piu' di supporto in alcune situazioni delicate.

lunedì 17 ottobre 2016

L'America e il suo ruolo nel mondo

Questa sera alla Fonderia Napoleonica si è parlato d'America e della campagna elettorale in corso con giornalisti, politici (italiani e stranieri) e industriali.
Ho apprezzato molto l'intervento del giornalista Paolo Di Giannantonio che ha ricordato che questa campagna elettorale si basa quasi esclusivamente sulla distruzione dell'avversario e non delle idee ma ha segnalato anche che ormai purtroppo tutto cio' avviene in tutti i sistemi democratici. Di Giannantonio ha poi evidenziato che gli Stati Uniti sono sempre stati un faro per tutto il Pianeta ma oggi, come dimostra anche la campagna elettorale in corso, non hanno una visione che possa fare da riferimento al mondo: non c'è un sogno, una speranza o un disegno che possa partire da lì per arrivare a tutti gli altri Paesi, come è più volte avvenuto in passato.
Interessante è stata anche l'analisi dei rapporti internazionali: Di Giannantonio ha chiarito che oggi le economie dei vari Paesi sono interconnesse e non ha senso innescare delle dinamiche da guerra fredda. Come suggerimento per il futuro, Di Giannantonio ha detto che occorre incalzare politici e filosofi affinché ci sia più politica perché è di questo che c'è bisogno.

giovedì 13 ottobre 2016

L'assenza di politica nella campagna elettorale U.S.A.

Da settimane, seguendo la campagna per le elezioni americane sui telegiornali e sui quotidiani italiani, sembra che tutto si giochi sugli scandali sessuali e sessisti di Trump. 
Non che non sia importante un comportamento consono da parte di un futuro Presidente ma mi pare grave se il Paese più importante e più potente del mondo non ha altro da proporre per il suo futuro se non una diatriba a sfondo sessuale. 
Durante la campagna elettorale per Obama si parlava di cambiamento, di speranza, di riscatto sociale per le classi deboli. A prescindere da come sia andato poi davvero il mandato di Obama, oggi c'è un mondo che esplode e che porta con sé un proliferare di conflitti interni ed esterni agli Stati che necessitano di classi dirigenti in grado di gestirli con competenza, correttezza ed equilibrio. 
Mi aspetterei che il Paese più potente del mondo discutesse di questo nella sua campagna elettorale: mi pare che il rapporto tra Stati Uniti, Russia e Europa o quale futuro per la Siria, l'Iraq, l'Afghanistan o il come costruire una crescita globale più rispettosa dell'ambiente o il come evitare che le disuguaglianze producano conflitti sociali o il come globalizzare anche i diritti siano questioni più importanti e più interessanti rispetto alle vicissitudine sessuali di Trump o al fatto che Hillary è la prima candidata donna alla Presidenza. 
Non so cosa si dica sui media americani ma mi piacerebbe che in Italia, quando si parla delle elezioni in U.S.A., si parlasse un po' di più di America e delle scelte politiche dei due candidati (che oltretutto hanno visioni diversissime ma che continuano a essere messe in secondo piano rispetto ad argomenti da gossip).

martedì 11 ottobre 2016

L'eccellenza lombarda

Anche oggi ho buttato via una mattinata (dalle 7:45 alle 13:00) vagando da una sala all’altra di una struttura sanitaria pubblica e, come me, tutti gli altri numerosi presenti. Forse nella sanità pubblica pensano che abbiamo tutti un sacco di tempo da perdere.
Il medico aveva suggerito di far visitare mia madre da un pneumolgo di Villa Marelli (struttura che da qualche tempo dipende dall’Ospedale di Niguarda) perché “lì sono esperti e sono più bravi” e ci aveva suggerito di presentarci là direttamente con le richieste alla mattina verso le 7:30 per fare esami e visita con “accesso diretto”.
Lo abbiamo fatto venerdì scorso: siamo arrivate alle 7:30 a Villa Marelli (con grande fatica di mia madre per essere sveglia e pronta presto) e ci hanno detto che gli accessi diretti di quel giorno erano solo 10 e li avevano già terminati, con numeri distribuiti appena aperto il portone alle 7:00 a persone in coda fuori dalle 6:30. Una cosa folle.
Qualche anziana tra le presenti ci ha spiegato che è la prassi e che, essendo venerdì, tanti medici erano già via per il week end e, quindi, i numeri per l’accesso diretto erano pochi e ci ha consigliate di metterci in coda per un appuntamento ma “pubblico” perché “privato” poteva costare anche 200 euro e comunque l’esame non lo avrebbero fatto lo stesso quel giorno perché era venerdì e c’era il week end.
A quel punto abbiamo atteso due ore in coda per ottenere una prenotazione che è stata fissata per le 8.20 di questa mattina “ma mi raccomando, venite un po’ prima che dovete passare qui dall’accettazione”, ci ha precisato l’addetto.
Stamattina abbiamo fatto un’altra inutile alzataccia per arrivare a Villa Marelli alle 7:45. Purtroppo l’appuntamento per oggi dovevano averlo dato a tutti quelli che hanno saltato sia il venerdì che il lunedì per consentire ai medici di farsi un bel week end perché la sala di attesa dell’accettazione era affollatissima e gli sportelli lentissimi.
Avevamo 19 numeri davanti e siamo riuscite a superare lo step alle 10:15 ma ci siamo subito fermate nella sala di attesa gelida di aria condizionata per la lastra: un’altra ora e un quarto di attesa per passare pochi numeri (siamo arrivate che il display segnava il 24 e noi avevamo il 31) e, mentre i minuti passavano, anche le persone aumentavano.
Alle 11:35 siamo uscite da radiologia e ci siamo sedute nella sala di attesa del pneumologo. Un’infermiera si è accorta che fotografavo il cartello con scritto che l’orario dell’appuntamento in realtà serviva solo a stabilire l’ordine di chiamata (non che non lo avessi capito visto che il nostro appuntamento era per le 8:20 e alle 11:35 ancora eravamo in attesa) e mi ha chiesto se c’era qualche problema. Alla mia risposta, ha allargato le braccia e ha suggerito di presentare una segnalazione: “abbiamo pochi medici e facciamo fatica, da qualche anno anche noi lavoriamo male ma nessuno raccoglie le segnalazioni che facciamo”.
Abbiamo atteso venti minuti, poi il pnuemologo ci ha ricevute, ci ha chiesto un paio di cose per aggiornare la cartella clinica e ha detto che era necessario fare due esami per verificare il respiro e, quindi, dovevamo tornare all’accettazione con la richiesta che ci avrebbe lasciato e ritornare da lui con i risultati.
All’accettazione era il caos, abbiamo atteso un’altra mezzora e nell’attesa stavano arrivando anche tutte le altre persone che avevano fatto lo stesso nostro percorso. “Sa signorina, qui paghiamo ticket per ogni esame, si vede che hanno convenienza a farci spendere tutti questi soldi perché ogni volta che si viene qui si finisce per passare dall’accettazione tre volte”, mi ha detto un’anziana in attesa che tornasse il figlio che era uscito a allungare il pagamento per l’auto parcheggiata.
Nella sala di attesa per gli esami eravamo di nuovo tutto il gruppo al completo ma molto più incavolato per tutte le ore e i giri persi lì dentro. Siamo salite dal medico che era già ora di pranzo, con gli infermieri di fretta che non vedevano l’ora di andare in pausa. Il medico - persona simpatica, divertente - ha aggiornato la scheda e non ci ha detto niente. Alla fine ci ha detto un generico “va bene, non ci sono novità”. Non una valutazione dei sintomi, non uno sguardo a di che entità era il problema di mia madre o al grado della terapia che sta svolgendo… Nulla. Una mattina buttata per sentirci dire niente.
Con l’aggiunta che quando ho guardato che la scheda che ci hanno consegnato da portare al nostro medico, tra le voci che descrivevano mia madre, c’era scritto “Etnia: Sud Indiana”. Mia madre bionda con gli occhi verdi Sud Indiana?! Dato evidentemente rimasto nel computer dalla paziente precedente ma almeno fare attenzione, no?!
Ovviamente, tutto questo è capitato a me oggi ma capita anche tutti gli altri giorni e capita a tutti perché in quelle strutture (che una volta erano l’eccellenza dal punto di vista medico e chissà se lo sono ancora) ci vanno tutti: anziani affaticati da acciacchi ed età, persone con patologie serie, adulti che avrebbero dovuto essere al lavoro ma che stavano lì ad accompagnare anziani genitori, studenti… è inaccettabile che per fare un esame e una visita si debbano perdere una mattina e mezza.

giovedì 6 ottobre 2016

Roma dimenticata

Da un po' di mesi a questa parte leggo sui giornali che a Roma succede di tutto: mezzi pubblici che non arrivano, spazzatura ammassata in ogni posto della città, degrado, stupri di turiste...
Su tutto questo, però, non mi è ancora capitato di leggere sui giornali una parola della Sindaca.
Le uniche cose per cui sento esprimere la Raggi è per parlare di se stessa (il figlio, i giornalisti che la importunano, i suoi impegni, la cellulite...), della difesa della Muraro, degli assessori che doveva nominare "presto" e non trovava mai, del Movimento Cinque Stelle e di problematiche interne a loro...
Mi manca il punto di vista della Raggi su Roma e non parlo del suo affacciarsi in lacrime dal balcone del Campidoglio o della sua pausa sul tetto con vista sul Foro Romano ma parlo della sua visione della città che dovrebbe amministrare. L'unica cosa che ha detto su Roma è stato il No alle Olimpiadi perché sarebbero la vittoria dei palazzinari e della corruzione (come dire che lei non è capace di evitare tutto ciò).
Altro non è pervenuto.
I suoi colleghi di giunta o di Movimento fanno altrettanto: troppo presi dal discutere di nomine, di indagini che li riguardano, di direttorio, di Grillo che torna in scena per distrarre l'attenzione dal loro vuoto cosmico.
Pochi anni fa a Roma il centrosinistra perse le elezioni anche sull'onda emotiva di uno stupro brutale ai danni di una donna avvenuto in periferia; certo era una signora che contava e rincasava la sera non una povera turista sconosciuta o sprovveduta che usciva da una discoteca con un balordo travestito da uomo per bene, però l'indignazione per la gravità dell'accaduto e l'orrore per la brutalità del modo furono unanimi.
Oggi c'è silenzio. Silenzio di tutti e su tutto. Silenzio delle istituzioni, soprattutto, e della Sindaca sul degrado, sulla sicurezza, su Roma.
Come se le uniche cose importanti fossero il Movimento di cui la Sindaca fa parte, la sua giunta e le loro problematiche personali e legali. La città non esiste più, è sparita o forse non è mai entrata nell'agenda.

venerdì 29 luglio 2016

L'aggiornamento di Windows10

Ieri sera, dopo tante segnalazioni, mi sono decisa a scaricare Windows10. Ci sono stata dalle 21.30 alla 1.30 di notte. Oggi scadeva la possibilità di averlo gratuitamente e ho pensato che era meglio farlo e se ci sono riusciti tutti senza problemi perché non avrei dovuto riuscirci io?! Eh... già, perché?!
Il computer ha fatto le sue cose da solo; alla 1.30, quando ha finito di scaricare e si è avviato, ho fatto un rapido giro di perlustrazione e mi sembrava che fosse tutto ok.
Mi sembrava anche più bello di prima. Poi ho chiuso tutto regolarmente.
Stamattina il computer non si avvia più. Segnala un imprecisato errore e non c'è modo di farlo partire.
Premesso che sono contraria a questa mania degli aggiornamenti continui e dell'autogestione dei sistemi operativi e che non capisco perché vengono dati da fare se poi mandano in tilt gli apparecchi anziché farli funzionare meglio, qui proprio non mi capacito del fatto che si è chiuso bene con tutto e ora neanche parte. E' un computer relativamente nuovo (del 2014) e ancora in garanzia, peccato che della garanzia non me ne faccio niente perché quel computer mi serve per lavorare e mi serve in fretta. Lì dentro ho tutto il mio lavoro, compreso un file impostato ieri controvoglia e che avrebbe dovuto farmi da base per le prossime settimane. Cosa me ne faccio di una garanzia (pagata) che si realizza con il riportare il computer nel negozio in cui l'ho preso, il quale lo rimanda alla casa di produzione, dove quando hanno tempo ci guarderanno e poi lo riporteranno al negozio e se sono fortunata mi torna in mano tra un mese?
E' ovvio che garanzie così sono inutili o vanno bene per chi il computer ce l'ha per gioco o per hobby e non per lavoro. A me ora tocca chiamare qualche smanettone a pagamento e sperare che capisca come risolvere il problema.
Sempre che prima non decida di tirare una martellata al computer.

mercoledì 27 luglio 2016

Un’intera mattina persa all’ospedale

Un’intera mattina persa all’ospedale di Niguarda.
Appuntamento di mamma alle 8.00 per “prelievo + prima visita” ma già avvisate che il medico comunque sarebbe arrivato intorno alle 9:00.
Nel salone pieno, un’infermiera gira come una trottola e un signore vaga in camice bianco. Fermo lui perché fermare lei è difficile, in quanto corre molto. Lui sembra ancora nel mondo dei sogni, a fatica mi dice di andare a prendere il numerino senza dirmi bene per cosa.
Una signora in attesa ci sente, si avvicina e mi spiega lei cosa fare.
Guardo il bigliettino uscito dal totem e penso che siamo fortunate: abbiamo il n.3, dovremmo fare presto.
Non finisco neanche di pensarlo che l’infermiera folletto corre in sala e ci dice che è tutto bloccato: si è piantato il sistema informatico e l’ospedale è in tilt, non si può fare niente finché non viene ripristinato tutto.
Qui comincia una lunga serie di incazzature.
Dopo un po’ ci dicono che sono arrivati i tecnici ma che per ripristinare il sistema ci vorrà un’ora se tutto va bene, nel frattempo l’infermiera folletto chiama i “lavoratori” che, giustamente, hanno diritto di precedenza. E qui già si comincia a capire che il numerino uscito dal totem vale poco.
Dopo un po’ di caos, di gruppi che vengono portati dentro e poi di nuovo fuori, riesco a intercettare l’infermiera folletto e chiedo cosa deve fare mia mamma.
L’infermiera ci spiega che dobbiamo fare tante cose, quindi, ci dobbiamo muovere subito, ci imbuca alla accettazione e poi ci porta via insieme a un gruppo. Prende tutte le nostre carte e sparisce.
Nel frattempo il sistema operativo torna a funzionare ma il caos non si ferma.
Dopo un bel po’ di tempo, l’infermiera torna da noi: il prelievo fatto lunedì non va più bene perché le pastiglie che prende mia mamma possono aver cambiato molte cose, per cui si torna all’accettazione (imbucandosi in mezzo alla fila) e si fa una nuova richiesta, la si riconsegna e poi mia mamma viene imbucata a fare una prova di coagulazione del sangue. Mamma esce ma dimentica di prendersi il foglietto con il risultato. Ci sediamo in corridoio e stiamo lì tutta la mattina.
Davanti ci passano di tutto: lavoratori, anziani, imbucati che devono solo chiedere una informazione e che stanno dentro mezzora… Prima del nostro inutile numero 3 passano il 54, il 63 e molti altri, infilati a caso a seconda di ciò che passa per la testa dei medici presenti (due, uno per le prime visite e uno che prescrive le terapie senza guardare i pazienti di lungo corso).
Mamma non ha fatto colazione ma il bar non è vicino e nessuno sa dirci verso che ora ci chiameranno, per cui è complicato spostarsi. Il corridoio e il salone hanno anche l’aria condizionata piuttosto freddina, per cui chiedo a mamma se vuole qualcosa di caldo dalle macchinette ma dice di no perché se beve le viene voglia di fare pipì e non si sa mai che ci chiamino mentre siamo in bagno.
L’infermiera folletto riappare in tarda mattinata e cerca il foglio del prelievo che mia madre non ha preso. Lo recupera, lo porta dentro alla stanza dei medici e poi scompare con altri gruppi.
Il nostro turno di visita arriva alle 11:40 e dopo svariate lamentele. Entriamo in una stanzetta dal clima polare con una cafona che neanche ci guarda in faccia quando entriamo e continua serenamente a scrivere al computer. Dopo cinque minuti che siamo in quel Polo Nord in cui mancano solo i pinguini, la cafona alla scrivania alza la testa dalla tastiera e chiede a mia mamma il suo percorso medico.
Non riusciamo a dire neanche tre frasi che suona il telefono dello studio e la dottoressa, non solo risponde, ma resta attaccata alla cornetta per 10 minuti a dispensare consigli ad una collega incapace di curare una paziente a cui pare che gli esami vadano male.
Non so cosa mi trattenga dall’urlarle dietro, forse il freddo della stanza che mi ha congelato la lingua, oltre a farmi venire voglia di andare in bagno.
Poi finalmente la telefonata finisce, la maleducata riprende in mano le carte di mia mamma e dice: “mi stava dicendo della recidiva al fegato”…
Io e mia madre ci guardiamo come a chiederci se questa qui è scema: nessuno ha mai nominato il fegato e sulle carte presentate non è mai citato.
Sto per rispondere che il fegato è quello della paziente della sua collega con cui è stata al telefono oltre 10 minuti e che adesso ne abbiamo veramente abbastanza.
Poi la svampita si riprende, rilegge le carte, scrive una terapia valida fino alla prossima settimana e ci saluta. Alle 12:15 usciamo dalla stanza dei pinguini.
Cioè, ci hanno tenute in ospedale dalle 8.00 alle 12.15 per un prelievo di due minuti con esito immediato e una visita di 35 minuti con dentro 10 minuti di telefonata altra.
Se la prossima settimana al controllo succede lo stesso caos, pianto una scenata che rivolto l’ospedale.

mercoledì 20 luglio 2016

Dopo Expo, EXPerience

Dopo Expo è arrivata EXPerience.
Il nome è bello, evocativo e promette molto, il sito web anche e annuncia una serie di eventi e aperture programmate di spazi e iniziative.
La realtà è molto diversa.
Gli orfani di Expo ma anche quelli che in Expo non erano riusciti ad arrivare, scoraggiati dalle lunghe code degli ultimi mesi e dai costi alti dei biglietti, ci vanno con la voglia di ritrovare un po’ di ciò che hanno vissuto o visto nelle immagini televisive.
Quello che si trova, però, soprattutto per chi ha vissuto Expo, ha visto i Padiglioni, la gente, il caos, la “festa” e quell’atmosfera un po’ da parco dei divertimenti, ora si trova davanti uno scenario abbastanza desolante e deprimente.
Desolante perché c’è davvero poco niente e anche quello che c’è non sempre è accessibile. Quando si arriva, con tanta emozione e curiosità di rivedere i luoghi che sono stati al centro del mondo per sei mesi, ci si trova davanti il vuoto assoluto: niente folle, varchi aperti, niente musica o annunci dagli altoparlanti che ti invitano a partecipare a qualcosa, nessuna possibilità di ripercorrere alcuni tratti del Decumano (sebbene molte strutture di ex padiglioni siano ancora lì ma transennate). Ci sono solo molti gentilissimi operatori che indicano il percorso esterno o la navetta per arrivare al Cardo, dove ciò che resta aperto si concentra.
Chi si incammina a piedi dall’ingresso della Metropolitana di Rho si affatica inutilmente: la strada che si può percorrere è quella totalmente esterna al sito espositivo. Dalle recinzioni si intravedono il retro di padiglioni, lavori in corso, alberi e canali ma decisamente non ha senso incamminarsi a piedi tra il niente e il cemento: molto meglio sarebbe stato incamminarsi lungo il Decumano ma i cantieri in essere non lo rendono possibile.
Chi arriva dall’ingresso di Roserio, invece, può percorrere a piedi il tratto di Decumano che lo conduce al Cardo. Non c’è molto da vedere: tutto è recintato da teli che preannunciano cose che saranno ma non sono, palizzate con sopra disegni di Street Art, panchine vuote sparse; eppure in quel piccolo tratto di niente in via di smantellamento si ritrova un po’ di ciò che è stato e fa una certa impressione trovarlo così deserto e morto, dopo che è stato vivacissimo e colmo per mesi interi.
Un altro accesso con percorso interno è quello accanto alla Cascina Triulza ma dà sul parcheggio del Carcere di Bollate, quindi, è solo per chi arriva in macchina. Da qui si arriva all’area della Cascina e agli spazi dedicati ai bambini. Per raggiungere il Cardo, si può camminare lungo il retro dei padiglioni, costeggiando il canale (ormai ridotto ovunque a stagno degradato) ed è facile incontrare gli operatori pronti a dare indicazioni o a verificare che qualcuno non tenti di intrufolarsi altrove.
L’area “viva” è quella del Cardo, dunque, e l’ingresso più prossimo è quello di Merlata (ci si arriva con navetta o con l’auto, visto che il parcheggio funziona).
Il primo impatto, comunque, è deprimente: anche qui non ci sono le folle ma non ci sono neanche le attività. Tutto è morto, vuoto, silenzioso. Nessuno spazio ha riaperto: non un bar, non un ristorante… a vendere hamburger e patatine sono posizionati due furgoncini e poco distante ce n’è un altro che vende bibite e gelati. Solo lo scorso week end ha riaperto il Mc Donald (proprio il suo padiglione, sul fondo del Decumano), che offre un po’ più di varietà culinaria e sparge musica nel nulla che c’è intorno.
Sempre sul fondo del Decumano c’è uno spazio “disco” con tre furgoncini reduci dal padiglione americano e musica fantastica (di quella che si sentiva sulla terrazza del Padiglione USA) a tutto volume, ma è un’area imboscata dietro l’ex cluster di Bolivia-Zimbabwe-Togo-Haiti, quasi introvabile e, forse anche per questo, totalmente vuota. Attorno ci dovrebbero essere l’area sportiva e la spiaggia, o almeno questo è ciò che sta scritto sugli striscioni appesi alle recinzioni, in cui viene anche indicata come data di apertura quella del 15 luglio, già passata e senza che quelle aree potessero essere agibili, in quanto ancora con la terra smossa e in rifacimento. Chiedendo agli operatori viene indicata come nuova possibile data di apertura quella del 29 di luglio… un po’ tardi se si considera che l’area doveva essere utile a chi passa le ferie in città ma evidentemente non è semplice portare a compimento i lavori necessari e, forse, qualcuno comincia anche ad avere il sospetto che non ne valga la pena. A dirlo a mezza voce è uno degli operatori: “Non vede signorina? Siamo più noi che visitatori. – mi ha detto, mentre aspettavo la navetta del ritorno, indicando la moltitudine di soggetti con pettorina gialla luminescente seduti attorno al chiosco degli hamburger – Qui tornano tutti quelli che sono stati a Expo perché vogliono rivedere i posti dove sono stati ma poi non trovano niente e rimangono delusi”. Ed è così, la prima volta che si torna e si vede tutto quel niente ci si rimane proprio male e neanche si capisce tanto bene il perché è finita così: “Hanno detto che ci facevano un parco estivo ma come mai non lo hanno portato a termine? – ho provato a chiedere – Lungo il Cardo le strutture di bar e ristoranti e servizi erano già fatte, sarebbe stato sufficiente mettere la gestione a gara oppure rinnovare i contratti a quelli che le gestivano prima, ci sarebbe stata un po’ più di vita”. “Forse ci hanno provato ma non hanno trovato nessuno che voleva prendersi il rischio di continuare. Oppure semplicemente non ci sono riusciti per via dei tempi di rifacimento”, ha risposto perplesso il mio operatore.
E questi sono i veri dubbi di fondo che aleggiano nella mente mentre ci si incammina negli spazi grandi e deserti del dopo-Expo: che senso ha aprire un parco estivo quando visibilmente manca tutto? Se le possibilità non c’erano, forse era meglio lasciare perdere oppure, molto banalmente, bastava evitare i grandi annunci e dire solo ciò che effettivamente si sarebbe trovato una volta arrivati lì.
Ci sono, comunque, due punti di interesse dei visitatori: le “mostre” della Triennale (due padiglioni a lato del Cardo con in mezzo un “Orto Planetario” e due chioschetti per gelati e frullati) e Palazzo Italia con davanti l’Albero della Vita.
Entrare dentro a Palazzo Italia senza un briciolo di coda è qualcosa che dà una soddisfazione enorme e poco importa se le mostre dentro sono diverse da quelle che c’erano con Expo: va più che bene così e i saloni degli specchi, in cui tutti si divertono a farsi i selfie anziché capire cosa si sta proiettando, sono più che sufficienti per chi di Expo aveva già visto quasi tutto il resto.
Così come il fermarsi a riposare sotto l’Albero della Vita (in cui si può anche arrivare fino all’interno, dove dei tabelloni mostrano foto degli spettacoli e ne spiegano storia e funzionamento) è qualcosa che continua a piacere a tutti. Peccato che sono state rimosse tutte le panchine dalla Lake Arena e si è obbligati a sedersi sul cemento. Il primo impatto con quel che resta di Expo, dunque, come experience è davvero poco gratificante.
Al secondo giro, forse anche perché si arriva con meno aspettative, l’impressione è un po’ meno desolante: si comincia a prendere confidenza con il vuoto e il silenzio, si comincia a girare tra quel che c’è per capire cosa è rimasto e cosa è cambiato, si vedono le ninfee fiorire meravigliose negli stagni, si ascolta il fruscio dell’acqua e del vento che corre vicino ai canali, si prende il sole e il caldo degli spazi aperti, si prende il freddo dell’aria condizionata dei pochi spazi espositivi disponibili, si prova a sbirciare tra le grate delle recinzioni, si sentono le ranocchie nelle retrovie che portano alla Cascina Triulza, si prova a ripercorrere i tratti di Decumano e i corridoi laterali dove sono accessibili. Insomma, ci si ambienta e, quando ci si stanca, ci si va a sedere sul cemento dei gradini della Lake Arena a guardare l’Albero della Vita.
Niente a che fare con ciò che è stato Expo, quindi, e per ora neanche con un parco estivo ma, per tutti gli orfani dell’Esposizione Universale, qualche giro ad EXPerience si può anche farlo.

venerdì 29 aprile 2016

I mostri di Caivano

La vicenda di Caivano è qualcosa di orribile in tutti i suoi aspetti. 
Non si può accettare che una bambina (e non solo lei) venga abusata e poi gettata via dal balcone nell'indifferenza totale o peggio nella connivenza di molti. 
Che mostri sono quelli che hanno consentito tutto questo? 
Che gente orribile è mai questa che ha nascosto e difeso realtà così atroci anziché difendere i bambini?!

martedì 16 febbraio 2016

Voci della Resistenza

Qualche tempo fa, Antonio Masi (storico esponente dell'ANPI di Niguarda, Milano) mi ha regalato il suo recente libro "Voci di testimoni. 1943-1945. Da Venafro a Niguarda" che raccoglie, appunto, i racconti e le testimonianze della Resistenza.
Si tratta di un libro importante, per cui Antonio Masi e Vincenzina Scarabeo Di Lullo che lo hanno curato vanno ringraziati per il contributo di riflessione e storia che ci consegnano.
Vanno ringraziati perché dalle pagine del libro e dalle testimonianze che vi sono raccolte emergono importati momenti della storia dei nostri quartieri (Niguarda in particolare ma non solo), delle persone che li hanno abitati e vissuti e ci fanno conoscere meglio luoghi e persone che abbiamo intorno e di cui spesso abbiamo solo una vaga idea di ciò che sono stati.
Per me questo libro è un regalo bellissimo.
Io, in questi quartieri, ci sono stata trapiantata da bambina, così come ci sono stati trapiantati i miei nonni, a cui il Comune di Milano assegnò una casa popolare dopo che fu stabilito che dovevano lasciare quella di Via Larga perché il centro della città doveva essere ricostruito e adibito ad altro.
Questi quartieri li abbiamo un po’ subiti (i miei nonni erano arrivati in queste case quando intorno c’erano solo campi e nebbia) e molto vissuti ma le nostre storie vengono da altrove e, come le nostre, anche molte di quelle persone che – come i miei nonni – furono trapiantati nelle stesse case popolari ma arrivavano da altre zone di Milano.
La loro guerra e la loro Resistenza è stata fatta e vissuta altrove: ha percorso altre vie della città, altre montagne (quella dell’Emilia, dove mia nonna è nata ed è dovuta tornare sfollata).
Leggendo il libro mi sono accorta di quanto poco conoscevamo di questi quartieri, delle storie che li hanno segnati e delle persone di cui commemoriamo ogni anni la scomparsa con lapidi e corone di fiori e anche di quelli che magari sono stati vicini a noi ma non ne abbiamo mai saputo fino in fondo la grandezza del significato dei loro gesti per quanto esternamente potessero sembrare piccoli e quotidiani.
Con questo libro è stato fatto un importante lavoro di ricerca e raccolta di testimonianze: andrebbe fatto leggere a tutti coloro che arrivano in questi luoghi perché sapere dove ci trova, quale passato ha caratterizzato le strade che percorriamo quotidianamente e le fabbriche che ora vediamo chiudere e trasformarsi in altro come reperti di archeologia industriale, è materia preziosa per metterci nella giusta prospettiva per poter elaborare il futuro.
Nel libro c'è anche uno spaccato interessante che sulla Resistenza nelle aree del Centro-Sud (Molise e Campania), ben descritto e un po' diverso da quanto si legge su libri di Storia.
Dalle pagine, dalle voci raccolte emerge la volontà di un Paese che si è mosso per arrivare a costruire in modo stabile e duraturo la pace e la democrazia per riemergere dal buio. Per anni ci è sembrato che tutto questo fosse un dato acquisito, normale, scontato e, invece, oggi se ci guardiamo intorno e ci accorgiamo che c’è una parte di mondo neanche tanto lontana da noi che questa bellissima conquista se l’è dimenticata. Almeno noi, grazie ai racconti di chi ha già attraversato la tempesta, dovremmo provare a non dimenticare e a valorizzare quanto di positivo è stato fatto nel cammino della democrazia, grazie all’apporto di tanti.

lunedì 15 febbraio 2016

La buona educazione su Facebook

Lo scrivo, pur sapendo che risulterò anticipatissima.
Non amo facebook e in generale non amo la troppa interazione con troppi soggetti, però riconosco al mezzo una grande potenzialità di diffusione di informazioni (che sarebbe opportuno fossero vere e non "bufale"), di promozione di se stessi e delle proprie attività e anche di contatto con persone e realtà che altrimenti sarebbe più complicato raggiungere.
Facebook, come altri social network e forum, per molti è anche un semplice luogo di svago e di sfogo e va benissimo che lo sia.
Detto questo, però, ci sarebbero anche delle regole elementari di buon comportamento che forse a molti sfuggono quando interagiscono con altri.
Lo traduco esplicitamente: ciascuno ha la propria bacheca per scriverci sopra quello che vuole, perché deve andare a rompere le scatole sulle bacheche altrui?
Questa è una cosa che proprio non tollero soprattutto quando viene fatta a sproposito: mi infastidisce quando viene fatta sulla mia bacheca e mi infastidisce quando viene fatta su altri con cui magari mi trovo a interagire e, anziché leggere il loro pensiero, mi ritrovo a dover leggere quello di altri di cui sinceramente non me ne frega niente.
A me pare semplice buon senso che se ho una questione da porre ad un soggetto, gli scrivo in privato e non gli lascio un post in bacheca dove leggono anche mille altri (a prescindere dal fatto che la questione che gli vado porre possa avere valenza pubblica o personale), così come mi pare di buon senso che se ho qualcosa da dire lo scrivo nel mio spazio e non vado a invadere gli spazi altrui (che non sono tenuti a far pubblicità ai miei pensieri, a prescindere dal fatto che siano importanti o meno). Mi pare semplice buon senso e buona educazione che, purtroppo, vedo che spesso in rete manca a tante persone.
Vi dico di più: per ragioni di lavoro, mi ritrovo spesso a guardare sulle bacheche (pubbliche o personali) di personaggi politici, di cui mi servono comunicati stampa, dichiarazioni o altro e non c'è cosa più fastidiosa che andare sulle loro pagine e trovarle piene zeppe di stupidaggini postate da altri che nulla hanno a che vedere con quel politico e con la sua attività.
A me, quella roba lì fa perdere un sacco di tempo perché devo scorrere tutta la pagina e districarmi tra un'inutilità e l'altra per recuperare ciò che mi serve. A normali cittadini, invece, quella roba lì crea solo un'inutile confusione che non giova né al politico che deve far sapere cosa sta facendo e come sta espletando il suo mandato né a loro che vogliono informazioni perché spesso in quel caos non le si trovano.
Imparate l'educazione e il buon senso quando usate facebook.

domenica 7 febbraio 2016

Le primarie e i cinesi

Prosegue in queste ore la polemica sui cittadini di nazionalità cinese e residenti a Milano che hanno votato alla primarie del PD.
Un polemica prevedibile visti i casi precedenti discutibili avvenuti in altre città italiane in altre occasioni ma che indubbiamente avvelena il clima di festa che, invece, si voleva creare per incentivare la partecipazione dei cittadini alla scelta del candidato sindaco per Milano.
Una polemica fatta in prevalenza da esponenti dei partiti e dei giornali della destra (Lega, Forza Italia, Il Giornale, Libero), oltre che dai perenni contestatori di tutto del Movimento 5 Stelle e Il Fatto Quotidiano ma che coinvolge anche esponenti della sinistra e in particolare di SEL (partito che pure fa parte della coalizione che concorre alle primarie).
Polemica strumentale, secondo alcuni, che serve a gettare un po’ di fango in casa di chi, con le primarie, si sforza di avvicinare i cittadini alla politica, mettendo in campo un collaudato strumento di partecipazione.
Eppure lo strumento delle primarie non è la prima volta che dà problemi, così come già se ne erano verificati per la partecipazione (in alcuni casi indotta) degli stranieri al voto.
Polemiche strumentali, soprattutto a Milano da parte di SEL che poco gradisce la partecipazione di Beppe Sala alla corsa per diventare candidato sindaco e continua a minacciare di uscire dalla coalizione nel caso fosse proprio lui il vincitore delle primarie e che ora potrebbe utilizzare la storia dei cinesi (che pare in prevalenza sostengano Mister Expo) per sganciarsi dalla partita a urne chiuse se il risultato non li soddisfacesse.

Se i partiti della destra e delle varie opposizioni fanno il loro gioco, su SEL, invece, vale la pena di qualcosa in più. SEL, infatti, che ora cerca vie di fuga, ha ampiamente partecipato ai tavoli per la preparazione e la gestione delle primarie, compresa la stesura delle regole e ha anche ampiamente rotto le scatole sull’individuazione della data utile al voto.
Le regole delle primarie, come sempre, prevedono che a votare possano essere i cittadini che abbiano compiuto i 16 anni di età e anche gli stranieri purché residenti a Milano, visto che in questo caso si tratta di votazioni per scegliere il candidato sindaco, e con permesso di soggiorno.
Regole note e collaudate da tempo, che SEL conosceva bene e su cui avrebbe potuto intervenire prima se avesse ritenuto che non erano adeguate al tipo di competizione in campo e all’attuale situazione.
È un po’ opportunistico intervenire a gamba tesa a partita in corso per dire che le regole non vanno più bene e che un pezzo di elettorato non dovrebbe votare semplicemente perché si suppone che voti un candidato che non è il proprio.

Al di là della satira molto divertente che si legge su twitter in merito alla partecipazione dei cinesi al voto per le primarie, non si capisce perché non si dica nulla su persone di altre nazionalità che pure partecipano al voto.
Perché se il problema è il voto agli stranieri, lo deve essere per tutti. Non si può sostenere che i cinesi non possono votare ma gli africani o i sudamericani sì.

Le accuse che girano intorno al voto della comunità cinese sono anche piuttosto pesanti, vanno dal “cammellaggio” al “voto di scambio” che sarebbe documentato dai selfie che tutti si fanno in prossimità dei luoghi di voto o accanto ai manifesti elettorali da parte di soggetti che neanche sanno parlare in italiano.
Sono parole un po’ grosse che bisognerebbe utilizzare con maggiore attenzione.
Premesso che i selfie nei luoghi di voto li abbiamo fatti tutti e anche postati in rete e oggi i selfie si fanno in ogni occasione e prevalentemente per mostrare se stessi e cosa si sta facendo, per inseguire la moda dei social network o per ansia personale di esibizionismo, quindi da qui a parlare di “voto di scambio” ce ne corre.
Inoltre, sul “cammellaggio” la situazione è un po’ più sottile.
Innanzitutto, va subito sgombrato il campo dai paragoni con ciò che è avvenuto in altre città in occasione delle primarie con il voto agli stranieri: a Roma, nel napoletano e in Liguria erano stati denunciati casi di soggetti pagati per andare a votare dei candidati, mentre a Milano gli stranieri (cinesi e non) che si sono presentati ai seggi lo hanno fatto liberamente e non dietro a compenso.
Per quanto riguarda la comunità cinese, Beppe Sala nei giorni scorsi ne aveva pubblicamente incontrato il rappresentante – al pari di come altri candidati hanno incontrato rappresentanti di altre comunità straniere di Milano – e da qui deriva l’appoggio prevalente. Fermo restando che la comunità cinese aveva organizzato un proprio gazebo per sensibilizzare i cittadini sulle primarie e in cui erano presenti volantini di tutti i candidati e tra loro ci sono comunque anche sostenitori di altri candidati che lo hanno pubblicamente mostrato.
Non è un segreto nemmeno che la comunità dei Latinos appoggia in prevalenza Majorino.
Così come altri dati sugli appoggi degli stranieri erano stati pubblicati sui giornali nei giorni scorsi.
Insomma, nulla di strano: i candidati hanno puntato su soggetti con cui avevano dei rapporti (per vicende lavorative, professionali o personali) e ne hanno attivato le reti per raccogliere voti.
Il discorso non si applica solo agli elettori stranieri ma anche ai mondi italiani: i membri della Comunità di Sant'Egidio, ad esempio, in prevalenza sostengono Majorino perché ci hanno lavorato in questi anni in cui lui è stato assessore, probabilmente si è costruito un rapporto e hanno anche lavorato bene e ambiscono a proseguire questa esperienza per il futuro, non è un segreto.
E’ un reato? E’ pericoloso? E’ lobby? E’ clientelismo? E’ voto di scambio?
E’ semplicemente che ciascun candidato ha attivato le proprie reti e chiesto loro appoggio e questi lo hanno concesso. Non c'è molta differenza rispetto all'America in questo. Il meccanismo delle preferenze comporta anche questo rischio, soprattutto quando ci si muove in un terreno aperto ma non troppo come è quello delle primarie. Le preferenze o si prendono perché si è molto famosi e facendo campagna a tappeto ovunque (ma questo ha un senso per competizioni elettorali vere, in cui tutti votano, mentre sulle primarie dove notoriamente viene a votare solo una parte di elettorato è più complicato e probabilmente anche inutilmente dispendioso) o si prendono attivando le reti che normalmente si frequenta. In questa tornata, si è scelta in prevalenza questa seconda strada ed è ciò che anche la polemica di queste ore mette in luce. Quando poi arriveranno i risultati finali e si potrà andare a vedere davvero da cosa era composta la platea elettorale, allora si potranno anche fare valutazioni diverse.
In ogni caso, nulla di strano.

In merito al fatto che alcuni siano arrivati a votare in gruppo è anche abbastanza normale.
Capita di arrivare “in gruppo”: di solito le famiglie all’uscita dalla Messa arrivano insieme, oppure marito e moglie, oppure un figlio che accompagna il genitore anziano, o coppie di fidanzati, o ragazzi che arrivano con gli amici… Non si capisce perché se lo fanno gli italiani va bene e se lo fanno i cinesi no.
Oltretutto per molti di loro era la prima volta che potevano votare in Italia e magari avevano anche un po’ di insicurezza.
Più sgradevole il fatto che alcuni neanche sapevano l’italiano e si sono presentati con un foglietto in mano con il nome del candidato da votare.
Non è così strano: anche in anni passati capitavano stranieri che volevano votare e si esprimevano in un italiano pessimo ma cercavano di esprimere il loro desiderio di poter partecipare e chiedevano impegno ai partiti presenti affinché a breve potessero votare anche alle elezioni vere.
Del resto, nei partiti come nei sindacati, vengono tesserati anche cittadini stranieri per cui è normale che poi siano incentivati a partecipare o far partecipare anche loro connazionali.
Nello specifico caso dei cinesi, purtroppo la maggior parte di loro non parla italiano neanche all’interno dei loro negozi radicatissimi nei nostri quartieri e frequentatissimi anche dagli italiani. Questo, però, non significa che siano del tutto inconsapevoli o che non seguano ciò che accade loro intorno, anzi, spesso lo sanno molto bene.
Sul fatto che arrivassero con il nome del candidato da votare scritto su un foglietto, lo fanno da sempre anche gli elettori di nazionalità italiana, soprattutto quelli più anziani.
Francamente, si fatica a capire perché se l’elettore cinese arriva con il foglietto con scritto il nome del candidato che gli hanno indicato di votare susciti sdegno e, invece, se arriva allo stesso modo la vecchietta che cammina a stento e che ragiona ancora meno sia considerato segno di attenzione e ammirazione.
Personalmente, mi suscita molto più sdegno vedere chi va a “cammellare” soggetti deboli, non sempre capaci di intendere e volere o anziani quasi in punto di morte che non i giovani stranieri che sono in grado di pensare con la propria testa e valutare da soli se vale la pena di partecipare o no e votare il candidato che qualcuno ha loro consigliato.

Pretestuosità a parte, resta il senso generale di una situazione pasticciata e il fatto che era prevedibile che accadesse e si poteva evitare.
I motivi per evitare il pasticcio erano molti: innanzitutto, dopo tante primarie uscite zoppe nelle ultime tornate in varie Regioni, vi era la necessità di restituire lustro e dignità allo strumento; secondariamente gli occhi di tutti erano puntati su Milano data l’importanza della competizione e anche dei candidati in campo e uno scivolone così – seppure caricato – si poteva evitare.
I dati elettorali finali, molto probabilmente, ridimensioneranno il fenomeno e mostreranno come gli stranieri partecipanti al voto siano poi un’esigua minoranza e magari neanche influente ma il pasticcio d’immagine sui media è già fatto ed è difficile che si smonti.

Il nodo della questione riguarda le regole delle primarie.
Ha senso che a scegliere il candidato sindaco siano cittadini che poi alle elezioni vere non possono votare?
Le primarie del PD sono nate con la regola del voto ai 16enni e agli stranieri ma spesso si è trattato di primarie congressuali, in cui si andava a scegliere il Segretario/leader del Partito Democratico e ai partiti ci si può iscrivere anche a 16 anni e se si è cittadini stranieri, altra cosa dovrebbero essere le primarie per cariche elettive monocratiche.
Sicuramente è meritevole il tentativo di inclusione delle comunità straniere attraverso la sensibilizzazione volta al coinvolgimento e alla partecipazione al voto ma resta da capire quanto poi sia realmente efficace al fine di una migliore integrazione. Probabilmente questa risposta dovrebbero darla le stesse comunità straniere e in parte lo hanno fatto in positivo con il comunicato di Francesco Wu. Probabilmente, risultati del coinvolgimento, della partecipazione e dell’integrazione anche attraverso questi strumenti si vedranno nel tempo se il percorso troverà un seguito, perché si tratta di processi lenti e che richiedono costanza nell’applicazione e non basta un voto a spot in una sola occasione per attivarli.
Tuttavia, personalmente, resto molto dubbiosa della strada scelta: in questa fase di forte antipolitica, di partiti che mostrano un’immagine di sé tutt’altro che limpida e di primarie importanti su cui vi erano tutti i riflettori puntati, forse sarebbe stato più opportuno fare scelte più oculate, che non esponessero i partiti promotori (e in particolare il PD) a polemiche di cui in questa fase già difficile non vi era bisogno e consentire la partecipazione al voto solo dei soggetti che realmente votano alle elezioni, cercando invece altre strade per coinvolgere e promuovere la partecipazione delle comunità straniere alla vita civica.
Così come sarebbe stato più intelligente da parte dei candidati e dei loro staff andare a fare campagna elettorale tra i soggetti che, oltre alle primarie, possono votare poi alle elezioni vere, onde evitare di strumentalizzare comunità importanti e presenti sui nostri territori che rischiano con queste polemiche di subire un becero linciaggio, invece, che dell’incoraggiamento a proseguire sulla via della partecipazione.
Molto più corretto e concreto da parte dei partiti sarebbe impegnarsi al fine di ottenere il voto anche dei cittadini stranieri residenti in Italia almeno alle elezioni amministrative.