domenica 30 ottobre 2011

Siamo esplosi

Siamo esplosi...
A leggere i giornali delle ultime settimane, ma anche a frequentare un po’ di riunioni e assemblee, l’impressione è che il Pd sia esploso in mille frammenti, che difficilmente insieme riescono a formare un puzzle di senso compiuto.
Ma questa è solo un’impressione, la realtà è più complessa.
La rottura ufficiale è arrivata ieri con lo scambio di battute infelici tra il segretario Bersani - che, dall’incontro dedicato ai giovani organizzato a Napoli, ha detto che «Bisogna mettersi a disposizione, non si può dare l’idea che un giovane per andare avanti deve scalciare, deve insultare. […] Guai a un ricambio secondo la logica del “vai via tu che vengo io perché sono più giovane”» - e Renzi (che gli ha risposto di non essere un asino che scalcia).

Querelle che poteva terminare lì e che, invece, è degenerata con un «non scambiare per nuove delle idee che sono un usato degli anni '80, perché con certe ricette facili e idee troppo semplici siamo finiti nei guai» da parte di Bersani riferito a Renzi e un «il modello di Pd per cui ci sono i dirigenti che danno la linea agli eletti, i quali sono chiamati ad andare dagli elettori a fare volantinaggio per spiegare, andava bene nel '900» da parte di Renzi riferito a Bersani.
Lo scontro c’è ed è anche molto acceso, inutile minimizzare o nascondere la testa sotto la sabbia fingendo di non vedere ciò che è evidente (come purtroppo ha fatto L’Unità, con buona pace dell’onestà intellettuale che i giornalisti dovrebbero cercare di avere quando scrivono un pezzo), solo che il problema che c’è non si chiama Renzi ma di chiama Bersani.
Al di là dello scambio di battute velenosette (e Renzi un po’ se l’è andata cercare perché, è vero che un segretario dovrebbe cercare di essere inclusivo, ma è anche comprensibile che dopo tutte le bordate di contestazioni ricevute, Bersani si offenda pure), infatti, i problemi che in queste settimane sono emersi all’interno del Pd vanno ben oltre al “caso Renzi”.
Prima di Renzi sono arrivati i “giovani turchi”(Fassina, Orfini, Orlando... tutti della segreteria Bersani, oltretutto) che hanno recentemente dato vita ad un incontro a L’Aquila che doveva essere aperto ma di fatto ne è emersa una piattaforma molto "di sinistra", soprattutto in materia economica; a questi hanno risposto i “giovani curdi” (Gianluca Lioni, di area Franceschini) con un documento di intenti "liberal" dal punto di vista economico; sempre di area “liberal” c'è MoDem (Veltroni, Fioroni, Gentiloni, i quali sono anche un po' “rottamatori” ma più nei confronti di Bersani e dei suoi per ragioni che vanno anche oltre la linea politica); poi sono arrivati Civati & Serracchiani (molto easy, sicuramente abbastanza liberal, nati come “giovani” ma poi allargatisi al resto del Pd ma soprattutto di maggior impatto mediatico rispetto alle altre aree) e alla fine si è aggiunto il Big Bang di Renzi (molto più duro nella critica alla linea del segretario, “di destra” per le scelte economiche e di welfare e decisamente più sveglio a comunicare). Ci sarebbe anche AreaDem di Franceschini, fino ad ora la componente più vicina alla segreteria Bersani (addirittura troppo in certi momenti) ma che in queste settimane è rimasta in silenzio o ha mostrato varie aperture qua e là, senza prendere posizioni troppo nette.
In questo quadro così composito, è chiaro che il problema di Bersani è serio: come mai ha lasciato lo spazio perché nascessero tutte queste aree di pensiero così divergenti dalla sua linea?
Da Bersani e dal suo giro si percepisce il vuoto (soprattutto a livello comunicativo) perché se c'era qualcosa di solido e di condiviso, tutte queste aree non sarebbero nate. Nel vuoto, infatti, è più facile inserirsi ed è più facile che ad imporsi sia chi urla di più (come Renzi) o chi è più giovane e quindi interpreta meglio il desiderio di rinnovamento che è emerso con chiarezza dalle ultime tornate elettorali, perché ha un’immagine meno “usurata” e, soprattutto, ha una maggior padronanza del linguaggio dei mezzi di comunicazione moderni (Civati, ad esempio, senza il web non sarebbe mai esistito e adesso rischia di essere uno dei soggetti candidabili al Parlamento esclusivamente in virtù del suo seguito virtuale, indipendentemente dalla consistenza del suo operato politico nel mondo reale e va bene che ci sia perché porta molti voti ma poi una volta eletto che contributo reale potrà dare all’Italia?!).
Al problema dell’incapacità di stare sui media di Bersani (anche la spinta di Crozza si sta ormai esaurendo) e dei componenti dell’attuale gruppo dirigente, con ovvie ripercussioni negative su tutto il fronte della comunicazione del Pd, in queste settimane, però è emerso che c’è anche un problema serio di idee: che linea politica vogliamo dare al Pd? Le linee dei giovani turchi, dei giovani curdi, di Civati-Serracchiani, di MoDem e di Renzi sono profondamente divergenti. Tutte hanno in comune che divergono dalla linea Bersani, ma ciascuno a modo suo. E allora com'è che Bersani ha vinto le primarie per la segreteria del Pd con tutti quei voti se poi la sua idea politica non piace a nessuno neanche nel partito? Ed è evidente che non piace a nessuno dato il proliferare di tutte queste iniziative di giovani e meno giovani, alcune di successo (magari un po’ caricato dai media) e altre meno.
Oggi siamo tutti impegnati a sprecare tempo a dissertare sul dualismo Renzi/Bersani e a schierarci da una parte o dall’altra ma il punto è che questo dualismo non ci porta da nessuna parte perché quello che occorre è sapere fare la sintesi delle posizioni (ad oggi troppo divergenti) e anche cercare di comunicarla bene sui media in modo da non lasciare spazio a dubbi che fanno sorgere iniziative dai toni più o meno accesi che poi ci fanno apparire come lacerati all'interno.
Evidentemente Bersani non è percepito come una figura di sintesi (nonostante lui abbia cercato più volte di conciliare istanze diverse e qualche apertura rispetto ai suoi inizi da segretario l’abbia anche fatta), oppure semplicemente non è in grado di comunicarla con sufficiente forza oppure ancora le aperture fatte fin qui non sono bastate.
Tuttavia, il problema resta.
Dal punto di vista comunicativo Bersani sui media non esiste e, quando parla, spesso sbaglia anche quando esprime concetti giustissimi e condivisibili e, questo, certamente non lo aiuta.
Eppure qui non è solo il solito gioco di indebolire il leader di turno (anche perché il “leader” non c'è, c’è appunto un segretario) ma è che proprio con il segretario non sembra essere più d'accordo nessuno e allora cosa sta lì a fare? Chi rappresenta?
Tutte le divergenze che si sono aperte nelle ultime settimane sembrano tanto posizionamenti precongressuali ma al momento non c’è alcun congresso aperto nel Pd e sarebbe sciocco aprirlo dato che ci potrebbero essere elezioni politiche a breve se il governo in carica non regge.
Però quello che viene messo in discussione da tutte le parti è la linea politica oltre che le persone del gruppo dirigente e questo va un po’ oltre il cercare di far venir fuori delle proposte per l’Italia.
Può essere anche che tutte le divergenze di queste settimane siano semplicemente posizionamenti elettorali per i più “vecchi” del partito, quelli che Renzi vorrebbe rottamare e che, invece, stanno facendo di tutto per alzare la voce e mettersi in luce in modo da guadagnarsi posti di privilegio ma a partecipare alle schermaglie sono anche i giovani (non solo quelli noti come Civati e Serracchiani ma anche quelli veri, della base, dai nomi sconosciuti per le platee mediatiche) che non giocano sui posizionamenti perché non hanno posti da prendere ma vogliono le idee e la politica e allora vuol dire che c'è un problema vero.
Un problema che non si può risolvere con la candidatura di Renzi a premier (che oltretutto si è tirato contro tante antipatie che difficilmente potrebbe ottenere buoni risultati) al posto di Bersani, perché le divergenze di vedute interne resterebbero.
Lo scontro Renzi/Bersani potrebbe aprire la strada ad un’altra figura in grado di mediare tra le due posizioni (e quindi tra i due grandi blocchi del Pd, quello più “a sinistra” e quello più “liberal”), non a caso si è fatto avanti Chiamparino (che smania dalla voglia di rimettersi in pista, alla faccia dei “dinosauri” da mandare in pensione).
Tuttavia, al di là delle candidature a premier o alla prossima segreteria, sarebbe il caso che, nel frattempo, il fronte interno si ricomponesse, anche perché simili schermaglie rappresentate sui giornali non fanno bene al Pd. Male ha fatto Bersani a non partecipare a nessuno degli eventi organizzati da questi gruppi in disaccordo con la sua linea: se la logica era quella di presentare delle idee, lui sarebbe dovuto andare ad ascoltarle (nel caso del Big Bang era sicuramente più difficile dati i toni volutamente contro utilizzati da Renzi); allo stesso modo spiace che tutta questa vivacità che c’è continui a restare lontana dai luoghi ufficiali della vita del partito, quelli in cui si prendono o si dovrebbero prendere le decisioni che contano, come ad esempio le Assemblee nazionali, le direzioni ecc. perché da lì di tutte queste proposte innovative e di queste modalità più friendly non se n’è mai vista neanche l’ombra e la colpa non è certamente solo di Bersani.

martedì 25 ottobre 2011

Non facciamone una questione generazionale

Sui giornali si vede spesso il dibattito interno al Pd ridotto ad una questione di nomi, di leadership e di candidature. Lo scontro sembra sempre infiammarsi tra occupatori di poltrone da una vita e per la vita e rottamatori in cerca di visibilità, con schiacciati nel mezzo altri soggetti che non stanno né da una parte né dall’altra e che faticano farsi spazio perché schiacciati da entrambi.
È un po’ triste che la politica si riduca a questo. È un po’ triste che anziché discutere di idee, di proposte (che pure ci sono, non sempre convergenti ma esistono come ha dimostrato anche l’ultimo evento di Bologna), si finisca sempre e solo a discutere di nomi e di posti.
I posti dovrebbero servire a delle persone per portare avanti delle idee e dei progetti che non devono essere solo quelli di chi li propone ma devono essere condivisi da una parte più larga possibile.
Sulle candidature, alla fine, ci sarà la guerra, come è sempre stato e come sempre sarà.
Personalmente, non mi interessa sapere se qualcuno ha fatto della politica la sua professione o se, invece, fa altro e alla politica si sente solo momentaneamente prestato.
Personalmente, mi interessa che chi fa politica la faccia bene e si occupi seriamente delle problematiche da affrontare nell’interesse dei cittadini.
Mi interessa che vengano candidate persone serie, competenti, capaci e possibilmente per bene. Non credo che il dato anagrafico debba essere determinante; sicuramente serve un certo ricambio ma non credo che sia corretta una “rottamazione” complessiva: le persone vanno giudicate singolarmente per ciò che hanno fatto, per il loro grado di competenza, per l’apporto di valore che sono state in grado di portare e per quello che possono offrire ancora.
E credo, inoltre, che le persone nuove debbano sapere convivere e confrontarsi con chi ha maggiore esperienza e chi ha maggiore esperienza debba essere in grado di accogliere le nuove leve invece di tirare su dei muri: si cresce insieme e nascono buone idee quando ci si confronta giovani con meno giovani e non quando ci si mette aprioristicamente uno contro l'altro. Alle giovani generazioni servono i consigli di chi ha maggiore esperienza; alle generazioni più adulte servono le idee nuove che possono arrivare solo chi è nato dopo. Il confronto è necessario perché è insieme che si possono trovare soluzioni per affrontare le sfide che abbiamo di fronte nel Paese, perché da soli si rischia molto spesso di non vedere i propri limiti e di andare a sbattere contro al muro senza neanche comprenderne il motivo.
È insieme che si costruisce e per tutti, non separati (poi magari certi soggetti potrebbero anche farsi da parte ma non credo si debba fare una questione puramente generazionale).
 

giovedì 13 ottobre 2011

Il Pd metta in campo la politica

Questa sera c'è stata l'assemblea del Pd della Zona 9 di Milano. C'è stata una certa confusione in merito all'interpretazione dell'ordine del giorno (per non dire che ne sono arrivati tre di natura diversa l'uno dall'altro). Ecco il mio intervento:
In un momento come questo, in cui il governo sembra sul punto di cadere e i cittadini non fanno altro che dare segni di insofferenza verso l’operato del governo, ogni giorno di più (lo hanno dimostrato con la tornata delle amministrative, con i referendum di giugno, con i risultati della raccolta di firme per la campagna referendaria per cambiare la legge elettorale e poi con manifestazioni continue); noi abbiamo il dovere di parlare di politica, di presentare le nostre proposte politiche.
Il tema del partito serpeggia al nostro interno da molto tempo e probabilmente si è fatto male a non affrontarlo prima. È giusto non nascondere la polvere sotto il tappeto, è giusto cercare di risolvere i nodi che da troppo tempo ci fanno apparire come divisi ma non è questo il momento di sprecare energie per incastrarci in una discussione che è solo nostra.
Non possiamo chiuderci adesso in una discussione organizzativa autoreferenziale che non interessa ai cittadini che ogni giorno si trovano a pagare il prezzo delle mosse sbagliate di questo governo.
Non possiamo farlo perché altrimenti non verremmo percepiti dai cittadini come l’alternativa. Magari poi ci voterebbero ugualmente pur di liquidare il centrodestra ma potrebbe non bastare.
Oggi c’è bisogno che il Pd si sintonizzi sulle richieste dei cittadini e cerchi dai dare loro delle risposte convincenti.
A mio avviso, due sono le richieste che emergono dai cittadini in questo momento: la prima è cambiare, rinnovare. C’è voglia di novità in questo Paese e il Pd ha il dovere di dare risposte politiche a questa esigenza, se non vuole essere spazzato via dal “vento” delle proteste di chi dice che “sono tutti uguali” e deve cominciare a farlo in fretta perché sembriamo sempre essere in ritardo rispetto agli accadimenti della società.
L’altra domanda che arriva dai cittadini è quella della partecipazione e allora dobbiamo fare vedere di essere aperti, di non avere paura di incontrare le domande dei cittadini, senza però rinunciare a elaborare noi delle proposte nostre.
Tutto questo c’è bisogno di farlo sul piano milanese e sul piano nazionale.
Sul piano cittadino perché, pur amando tutti moltissimo il neo sindaco Pisapia, spesso non riusciamo affatto a comprendere alcune decisioni della sua giunta (come l’aumento del costo dei biglietti del tram e la questione ecopass) e non possiamo rispondere ai cittadini semplicemente che erano previste nel programma o che non ci sono soldi perché la lista delle priorità da realizzare deve essere condivisa con la città e noi dobbiamo essere il tramite tra gli elettori e gli eletti, e non soltanto un comitato di volantinaggio di supporto nelle campagne elettorali.
Ci troviamo in una situazione molto pericolosa per il Paese, la crisi economica e la degenerazione di una parte della politica stanno producendo tensioni sociali fortissime.
Perché tutto non degeneri occorre che ci sia la politica, che la politica sia all’altezza delle situazioni che deve fronteggiare, che sia meno timida nell’affrontare i nodi. Noi, come Pd, dobbiamo inserirci in questo contesto. Il filo che si è spezzato tra cittadini e le istituzioni passa dalla politica e noi dobbiamo stare sui territori con le nostre proposte per cambiare il Paese, che vanno elaborate in fretta e presentate in modo chiaro e credibile, senza tentennamenti.
 

domenica 2 ottobre 2011

L'organizzazione e la politica

Il Pd milanese ha invitato gli iscritti ad essere partecipi del processo di costruzione del partito, attraverso una serie di forum e assemblee che ci guideranno verso la Conferenza sul Partito, individuando alcuni punti di discussione in merito alle questioni organizzative. Oggi il mio circolo ha svolto una bella e partecipata assemblea (in cui, però, ovviamente si è parlato di politica perché è questo il tema che a tutti interessa ora e non certo l'organizzazione) e una parte di ciò che segue è la riflessione che ho portato.

Ammetto che ho appreso con un certo stupore la decisione di affrontare ora la Conferenza sul Partito. È da quando abbiamo chiuso il congresso che in qualche modo il tema del partito serpeggia nelle nostre discussioni senza che ci sia mai stata voglia di affrontarlo davvero, forse per paura del gruppo dirigente di sfasciarsi e sempre con la scusa che il governo Berlusconi poteva cadere da un giorno all’altro. È stato un peccato perdere tutto questo tempo a nascondere la polvere sotto al tappeto, perché di tempo allora ce n’era parecchio, mentre ora sembriamo essere davvero sull’orlo del crollo del governo Berlusconi e, mentre gli italiani aspettano di capire cosa sarà del futuro del loro Paese (con la crisi che incombe, le manovre pesanti che si trovano sulle spalle e le promesse deluse da una classe di affaristi prestati alla politica per farsi gli affari propri), noi ci mettiamo a discutere di come vogliamo fare il partito.
Siamo un po’ surreali. Certo meglio farlo adesso che non farlo del tutto, però ci si poteva pensare prima.
Ci si poteva pensare prima anche a tante cose che abbiamo visto fare in modo un po’ frettoloso dai dirigenti nazionali del Pd negli ultimi tempi, come se aspettassero sempre l’imbeccata dai giornali, come se aspettassero sempre di capire se la gente si era accorta che qualcosa non andava e quindi occorreva agire oppure si poteva temporeggiare ancora un po’ (è accaduto con la questione del voto sulle province, con la storia dei tagli ai costi della politica, con la presentazione di proposte alternative alla manovra sbagliata di questo governo).
In questi giorni osservavo il malumore che c’è in partiti come Lega e Pdl, anche per motivi piuttosto gravi e, quindi, tutto sommato viene da pensare che noi stiamo molto meglio e abbiamo molti motivi per essere contenti. Eppure, nonostante questo è come se ci mancasse quello scatto che ci consente di fare il balzo in avanti che ci serve.
Sembra sempre che il Pd sia ad inseguire, anche quando magari ha delle sue proposte tenute nei cassetti da tempo o presentate quando tutta l’attenzione mediatica è concentrata su altro (si veda ad esempio la presentazione della proposta di riforma fiscale in coincidenza con l’esplosione dell’inchiesta sul caso Ruby).
E questo non è una questione da poco perché il rapporto con gli elettori passa da lì, passa da quello che comunichiamo e da come lo comunichiamo. Purtroppo, troppe volte, noi sembriamo asincroni rispetto agli accadimenti della società.
C’è bisogno di una maggiore reattività del partito di fronte agli accadimenti, una maggiore tempestività e anche una maggiore agilità decisionale nel partito.
Spesso si vedono i dirigenti nazionali ancora un po’ spaesati rispetto a questo clima pesante di antipolitica, dai tratti anche molto brutali e violenti verso la classe politica tutta indistintamente, per cui “tutti sono uguali”. L’impressione è che i nostri dirigenti nazionali siano rimasti prigionieri del “Palazzo” e non si siano bene resi conto di cosa stia accadendo nelle piazze, nonostante abbiano manifestazioni tutti i giorni fuori dalla porta del Palazzo in cui si trovano e questo li porta a dare risposte che, a volte, sembrano un po’ sfasate rispetto alla realtà e ciò aggrava la distanza che c’è tra i cittadini e i politici.
I politici, non la politica. Sembra, infatti, che i politici non riescano a capire perché tutto continui a sfociare nell’anti-politica e faticano a difendersi, anche quando magari hanno ragione. Le nostre idee, le nostre proposte diverse sono emerse poco.
Quello che la classe politica non comprende è che perché tutto non degeneri occorre che ci sia la politica, che la politica sia all’altezza delle situazioni che deve fronteggiare, che sia meno timida nell’affrontare i nodi (come ad esempio quello dei costi delle istituzioni, ma anche delle regole).
L’ultima tornata elettorale delle amministrative ha dimostrato chiaramente che le persone volevano dare una spallata al governo in carica (un’altra legnata l’hanno data con i referendum di giugno e un altro bel segnale hanno voluto mandarlo accorrendo in massa a firmare per il referendum per cambiare la legge elettorale, magari senza ben capire cosa firmavano). Ma l’ultima tornata elettorale ha anche dimostrato che c’è una grande voglia di cambiamento e di novità.
Noi dobbiamo farci interpreti di questa voglia di cambiamento e di novità che attraversa il Paese, perché altrimenti questo vento di rinnovamento finirà per travolgerci insieme al resto. Tutti i sondaggi ci danno in vantaggio probabilmente perché i cittadini hanno percepito che il Pd è l’unico partito grande e, quindi, in grado di poter mettere alla porta Berlusconi e, in qualche modo, garantire una certa stabilità di governo che gli altri non riescono a dare. Ma noi dobbiamo essere pronti a questo, non possiamo rischiare di deludere di nuovo gli elettori che vorranno darci fiducia e, soprattutto, dobbiamo saper far breccia in un elettorato nuovo rispetto ai soliti nostri affezionati perché dobbiamo garantirci un voto che non sia solo per l’oggi ma anche per il futuro.
E allora dobbiamo fare attenzione a come ci rapportiamo agli elettori e a quali messaggi mandiamo loro.
I dirigenti politici comunicano tutti i giorni con i loro elettori attraverso i giornali, le tv, la rete ma anche attraverso i loro atti in Parlamento. Il rapporto con i cittadini sta qui.
Io sento spesso i dirigenti del Pd parlare di “ricostruzione” e di scenari apocalittici che, purtroppo, certamente sono reali ma le parole sono importanti e noi dobbiamo fare attenzione a quelle che utilizziamo per comunicare.
Siamo sicuri che i cittadini italiani vogliano sentir parlare di “ricostruzione”? Siamo sicuri che vogliano “ricostruire” ciò che c’era?
A me pare che vogliano “cambiare”, “innovare”, “rinnovare”, seppure in un quadro di regole, etica, valori che il governo Berlusconi ha calpestato, ma non vogliono affatto a tornare a prima. Questo lo dico anche pensando alle generazioni più giovani, cresciute negli anni del berlusconismo e dei “disvalori” portati avanti da quel modello fatti di egoismo, furbizia, velinismo, ricchezza e successo come chiavi per aprire tutte le porte. Queste generazioni non sanno cosa c’era prima e non possono volerlo ma si può proporre loro qualcosa di diverso da questo.
Il nostro “ricostruire”, invece, a volte ci fa apparire un po’ “pesanti”: sembra che quello che offriamo per il futuro sia una sorta di “restaurazione” con qualche correzione.
Questo non va bene.
C’è voglia di novità e noi siamo percepiti come il “vecchio” anche nel linguaggio che utilizziamo.
Il Pd era nato per “innovare” e allora dobbiamo farci percepire come innovativi, che non vuol dire assolutamente buttare via tutto il patrimonio di regole e di valori (che anzi dobbiamo difendere con maggior forza e chiarezza di quanto non abbiamo fatto) e non vuol dire neanche spingersi verso destra o verso derive liberiste che sono quelle hanno causato la crisi in cui ci troviamo (senza contare che se siamo la copia sbiadita della destra gli elettori non ci votano, scelgono l’originale). Questo vuol dire, però, che dobbiamo essere in grado di metterci in sintonia con le richieste dei cittadini, ascoltare la domanda di cambiamento e presentare proposte in grado di soddisfarli ma che, allo stesso tempo, rimettano al centro delle nostre politiche i valori tipicamente del centrosinistra, quali la solidarietà, l’accoglienza, la tutela del bene pubblico in quanto bene comune, la tutela dei diritti, l’etica nell’amministrazione della cosa pubblica e anche nei comportamenti degli uomini pubblici (che dovrebbero essere i nostri rappresentanti nelle istituzioni e non “uomini di potere”), la libertà dei mezzi di informazione, la tutela dei ceti più deboli senza che a pagarne le spese sia solo il ceto medio, la cultura, l’istruzione…
Questo lo dobbiamo fare in fretta perché solo così gli elettori potranno percepirci in modo chiaro e scegliere se stare dalla nostra parte o no.