domenica 27 febbraio 2011

Valori e democrazia per ricostruire la società italiana

Sala gremita venerdì sera al Palazzo delle Stelline per il convegno “I valori e la democrazia in politica”, organizzato dall’Associazione Democratici per Milano, a cui sono intervenuti Dario Franceschini (Capogruppo Pd alla Camera dei Deputati), Padre Bartolomeo Sorge (esperto di dottrina sociale della Chiesa), Luigi De Paoli (Professore di Economia dell’Energia all’Università Bocconi), introdotti da Patrizia Toia (Eurodeputato Pd) e Franco Mirabelli (Consigliere regionale Pd).
Tra il pubblico tanta gente comune ma anche tutto lo stato maggiore del Partito Democratico lombardo, da Maurizio Martina (segretario regionale Pd) a Francesco Laforgia (coordinatore dei circoli di Milano), ai parlamentari Erminio Quartiani, Emilia De Biasi, Enrico Farinone, la senatrice Fiorenza Bassoli e il candidato al consiglio comunale Stefano Boeri, ma anche importanti rappresentanti del mondo dell’associazionismo e della cultura. Video integrale dell'incontro>>>
Padre Bartolomeo Sorge ha aperto il suo intervento ricordando che viviamo in un momento di depressione collettiva: «Nel secolo scorso c’erano le ideologie ma erano accompagnate dai grandi ideali; oggi siamo passati alla “politica del fare”».
Il vuoto di ideali, secondo Padre Sorge, è stato riempito dall’ideologia tecnocratica che si è accompagnata al neoliberismo e questo si è trasformato in pensiero unico dominante grazie alla diffusione fatta dai mezzi di comunicazione di massa, primo fra tutti la televisione.
Quello che oggi chiamiamo “Berlusconismo”, ha affermato Padre Sorge, altro non è che «un neoliberismo consumistico e individualistico». Pensiero questo che a parere di Padre Sorge, oggi è andato in crisi in quanto le promesse che lo avevano portato al trionfo, si sono rivelate impossibili da realizzare. L’esplosione della bolla finanziaria che ha determinato la crisi economica globale ne è l’esempio e indica, per Padre Sorge, che «anche il capitalismo è arrivato al capolinea, esattamente come è stato per il socialismo reale con la caduta del Muro di Berlino».
Restano, tuttavia, i problemi legati al neoliberismo: «è aumentata la conflittualità sociale: la politica del fare ha portato ad un prevalere di interessi personali o di “casta”, finendo per generare una crisi della democrazia e anche della rappresentanza e ha alimentato forme di autoritarismo populista», ha sottolineato Padre Sorge.
Padre Sorge non ha mancato di evidenziare come nella società, attualmente, stiamo assistendo ad un fermento nuovo ma che non viene affatto messo in luce dai mezzi di comunicazione.
In politica, come nella società, per Padre Sorge, è necessario fare un «salto di qualità» che, probabilmente al Pd è mancato, in quanto il «partito non è mai nato perché si sono solo giustapposte posizioni provenienti dall’antico ma è mancata una fase costituente».
Padre Sorge si è poi soffermato sulla questione cattolica e sull’apporto dei cattolici dentro al Partito Democratico e dentro la politica.
«I valori - ha detto Padre Sorge – sono principi irrinunciabili e vanno enunciati: occorre passare attraverso il convincimento e la pazienza» e, soprattutto «i valori etici vengono prima del consenso; sono iscritti nella coscienza delle persone: non è una maggioranza a legittimarli».
Se il tempo delle barriere ideologiche è terminato, per Padre Sorge, oggi occorre trovare una sintesi nuova: i padri costituenti per scrivere la carta costituzionale trovarono una sintesi tra personalismo, solidarietà, laicità… Oggi, secondo Padre Sorge, occorre «lavorare insieme per un nuovo umanesimo, che dev’essere l’anima per una nuova convivenza civile». Un umanesimo che deve essere laico – ha sostenuto Padre Sorge – ma deve avere un’anima etica, mettere al centro la persona, la solidarietà, la legalità. «occorre trovare una strada nuova che abbia valore non solo per noi e il Partito Democratico può essere un esempio di sintesi culturale nuova», ha concluso Padre Sorge.

Il professor Luigi De Paoli ha utilizzato l’economia – sua materia – come base per allargare il discorso alla politica e ai valori: «il mercato è l’istituzione più consona alla democrazia», ha detto in apertura del suo intervento, senza per questo dimenticare che «il mondo per sua natura è imperfetto e le regole non camminano da sole, ma necessitano di persone che le portino avanti e le facciano rispettare».
La globalizzazione, secondo De Paoli, ha molti aspetti ma occorre cercare di utilizzare quelli positivi, ad esempio cercando di favorire la diffusione della conoscenza e dell’informazione che, sono modi di garantire diritti e democrazia.
Oggi, ha ricordato De Paoli, si parla molto di sviluppo sostenibile, che è un concetto ampio e non sempre chiarissimo ma che sostanzialmente significa cercare di conciliare la crescita economica (legata al reddito e alla produzione) con il rispetto dell’ambiente e dei diritti delle persone. Questo concetto, secondo il prof. De Paoli, è un importante valore che riscuote anche un notevole consenso ma deve esserlo per tutti, non solo per una parte politica, mentre sembra che i governi di centrodestra tendano a frenare questa idea.
Lo stesso discorso De Paoli lo ha applicato al federalismo: «un buon federalismo deve essere condiviso, non può essere imposto secondo le esigenze di una parte a tutti gli altri», ha sostenuto il professore. Il governo di centrodestra, invece, secondo De Paoli, «tende a frenare l’Italia e a generare conflitti a tutti i livelli: tra chi è protetto e chi no, tra giovani e anziani»: lo si vede anche nel mondo del lavoro e nei problemi che comporta il precariato con alcuni che hanno molti diritti e altri che non ne hanno neanche uno.
Oggi i partiti tendono a preoccuparsi solo del breve periodo, per De Paoli, ovvero di come vincere le elezioni, anche perché tra politiche e amministrative ci sono tornate elettorali abbastanza frequenti e questa continua campagna elettorale consente poco di occuparsi di governare e mettere mano ai problemi del Paese. «I politici – ha concluso De Paoli – devono gestire il bene comune ispirandosi a valori ideali che spesso configgono con le cose concrete», un esempio è la vicenda libica, dove l’Italia ha numerosi interessi commerciali ma dove sono in gioco anche la democrazia e i diritti delle persone.
Dario Franceschini ha aperto il suo intervento ricordando che la politica deve offrire una soluzione ai problemi del giorno dopo ma all’interno di un progetto.
«Oggi – ha detto Franceschini – il Paese vive una fortissima crisi di identità: il ventennio berlusconiano ha smontato valori, ideali e principi su cui si era basata tutta la ricostruzione italiana del dopoguerra, basta pensare al messaggio che arriva nelle case con i comportamenti personali di Berlusconi: un uomo pubblico con le sue parole e i suoi atteggiamenti crea inevitabilmente dei comportamenti emulativi».
Berlusconi e la Lega, che per Franceschini sono due facce della stessa medaglia, hanno trasmesso «un messaggio di egoismo sociale e territoriale» che è stato amplificato dalle televisioni in questi anni.
«Fino a qualche tempo fa era la ricchezza l’apice da raggiungere, adesso non basta più neanche quello», ha segnalato Dario Franceschini: «Adesso conta la popolarità, diventare famosi, andare in tv. Una volta, in televisione ci andava chi sapeva fare qualcosa, ora ci si va anche se non si sa far niente». «E’ stata completamente rovesciata la gerarchia dei valori», ha denunciato Franceschini, raccontando che una volta gli insegnanti erano rispettati in quanto educatori dei figli, mentre adesso non vengono rispettati né dagli allievi né dai genitori perché magari guadagnano pochi soldi al mese e arrivano a scuola in motorino.
I valori di uguaglianza, solidarietà, sussidiarietà, famiglia su cui era stata improntata la società italiana, secondo Dario Franceschini, sono stati rovesciati e la società è rimasta come «intorpidita».
«Oggi – ha evidenziato Franceschini – è cominciato un risveglio della società: lo abbiamo visto con la manifestazione delle donne del 13 febbraio, nata in rete ma che ha richiamato moltissime persone, e soprattutto lo abbiamo visto con il festival di Sanremo, tempio della cultura nazional-popolare dove c’è stato Roberto Benigni che ha raccontato la storia dell’Unità d’Italia e Roberto Vecchioni, votato dal televoto, che ha vinto con una canzone impegnata che mandava un messaggio chiarissimo». Il Pd, per Franceschini, deve lavorare su questo terreno e non disperdere il risveglio della società civile.
Franceschini ha evidenziato poi che, probabilmente, il giorno dopo la caduta di Berlusconi, si troveranno le macerie e, per ricostruire il tessuto delle regole e dei valori condivisi, c’è l’esigenza di avere un’alleanza larga e solo dopo aver ricostruito la base comune si potrà ristabilire il confronto normale tra le parti.
Il capogruppo Pd ha insistito anche sulla necessità di sfidare la destra sul terreno dei valori, facendo proposte alternative e non dei correttivi a quanto propongono altri: «Dopo la caduta del Muro di Berlino, in Europa, i partiti socialisti si sono limitati a proporre delle correzioni alle proposte politiche della destra, invece la globalizzazione ha mostrato come ci sia una linea distintiva enorme tra i due schieramenti».
In Europa non sono riuscite ad emergere le forze progressiste perché la destra ha sfruttato le paure della gente, enfatizzandole per ottenere consenso, offrendo idee di chiusura e protezione, ha ricordato Franceschini, mentre Obama, in America, non ha proposto dei correttivi delle politiche di Bush ma ha presentato un progetto alternativo e ha creato aspettative così alte che adesso è normale che si presenti la delusione da parte degli elettori.
«Il Partito Democratico – ha detto ancora Dario Franceschini – è nato per questo: per creare un ambizioso progetto di cambiamento per il Paese. La sintesi è rimasta incompiuta perché ci si trova ad agire sempre dentro a scenari di emergenza, con elezioni o minacce di elezioni continue».
«Fare un partito nuovo in un tempo nuovo è una sfida enorme», ha affermato Franceschini, segnalando che la globalizzazione è un tempo emozionante che offre sfide per cui si può ridiscutere tutto. Alcuni esempi fatti da Franceschini hanno riguardato l’estensione globale dei diritti attraverso internet (dalla manifestazione delle donne italiane ai movimenti del Nord Africa), la necessità di un welfare universale (in quanto siamo in un mondo in cui sono aumentate le disuguaglianze), ma anche la necessità di uscire dalla chiusura dei nazionalismi per considerare l’Europa come nuova area (in questo «i governi – soprattutto quelli di destra che hanno seminato euroscetticismo - sono indietro rispetto all’opinione pubblica, ai cittadini che viaggiano, che usano la rete», ha sottolineato il capogruppo Pd).
Per Franceschini, inoltre, il Pd deve riappropriarsi di alcune battaglie, come quella dell’uguaglianza unita al merito e per questo è indispensabile investire nella ricerca e nella cultura.
In merito al ruolo dei cattolici in politica, Franceschini ha affermato che non può essere solo quello di presidiare alcuni temi, ma occorre che i cattolici si occupino di cercare la sintesi tra le posizioni.
In chiusura del suo intervento, Dario Franceschini ha citato il libro di Edmondo Berselli “L’economia giusta”, in cui nel finale c’è scritto che per il futuro bisognerà imparare ad essere più poveri. «Abbiamo pensato prima ad espandere il mercato che le regole», ha ricordato Franceschini, affermando che «essere più poveri significa anche sprecare meno e quindi garantire uno sviluppo sostenibile. Oggi si hanno molti beni materiali e poco tempo per usarli».
I valori e la democrazia in politica

domenica 20 febbraio 2011

Luci a Sanremo





Roberto Vecchioni è stato grande. Ha meritatamente vinto con una splendida canzone, nel suo stile ma non banale, attualissima nei contenuti ed emozionante.
Ci sono parole e cose che danno un senso di "respiro" dall'oppressione del presente, che fanno immaginare che esiste un fuuro e che possiamo fare qualcosa per costruircelo.    Sono commossa davvero dall'esibizione del Professore sul palco dell'Ariston. La vittoria di Vecchioni ha ridato speranza ad una parte di Italia: a quella che non si arrende, che non ci sta all'appiattimento generale del pensiero. Quella vittoria è molto di più della vittoria di una canzone ad una gara musicale, è il segnale che non è ancora tutto piatto, non siamo ancora tutti addomesticati, c'è ancora chi ha il coraggio di dire no a questo sistema di appiattimento subculturale e di rivendicare con forza che esiste un modo diverso di essere nel mondo. Forse qualcosa sta cambiando e sono gli artisti a farsi portavoce del cambiamento... Speriamo che sia davvero l'inizio di un risveglio
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lunedì 14 febbraio 2011

Se non ora, quando?!


Tanta gente per "Se non ora quando?", tantissima come a Milano non la si è vista mai per una manifestazione. Persone che arrivavano da ogni parte in continuazione, nonostante la pioggia e il clima non proprio gradevole. Persone che hanno affollato piazza Castello, ma anche tutte le strade attorno fino a piazza del Duomo. Persone (anche non più giovani) arrampicate in ogni angolo: sulle pensiline delle fermate del tram, sulle cabine telefoniche, sulle statue, sulla fontana del Castello, sui cornicioni delle finestre.
Tanti i politici in mezzo alla gente: Antonio Di Pietro (che chiacchierava liberamente con tutti), Nichi Vendola (scortato da militanti e security) acclamato dalla folla e che lasciava in preda alle emozioni le ragazzine che si accalcavano per stringergli la mano, ma anche tutto il Pd, da Filippo Penati a Pierfrancesco Majorino, alle donne organizzatrici dell’evento (tra cui Piera Landoni, acclamata come una diva) fino ai militanti intenti nella raccolta delle firme per mandare a casa Berlusconi.
Dal palco si sono susseguiti tantissimi interventi, dagli immancabili Dario Fo e Franca Rame a Gad Lerner, da Ottavia Piccolo a Daria Colombo e poi tanta musica e tante sciarpe bianche che venivano fatte sventolare.
Vani erano i tentativi di spostarsi da un punto all’altro della piazza: troppo pieno e, ovunque ci si muovesse, era un andare incontro a un altro fiume di gente.
Tantissime donne, ovviamente, ma anche tanti uomini. Famiglie intere, ragazzini, signori anziani, italiani e stranieri. Ed erano proprio gli stranieri a non capire perché in Italia un Presidente del Consiglio poteva permettersi tutto quello che si è permesso Berlusconi: «Ci sono presidenti che si dimettono per molto meno», raccontava una giovane italo-brasiliana arrivata sola alla manifestazione perché amici e fidanzato sono berlusconiani. Non se lo riusciva a spiegare come fosse possibile che gli «italiani non riescano a svegliarsi e se ne freghino dei fatti accaduti come se fossero cose di scarsa importanza», anche se comprendeva alla perfezione i meccanismi della società mediatica ed era la prima a puntare il dito contro il conflitto di interessi di Berlusconi e a ricordare che in altri Paesi, chi ha le tv, non si candida in politica.
Ma lei, che non si è fermata un momento («devo fare tante foto, così le metto su facebook e le faccio vedere ai miei amici perché capiscano che qui siamo in tanti e che forse qualcosa si sta muovendo e bisogna darsi da fare per cambiare», spiegava), non era sola: c’era anche una ragazza del Senegal, un signore spagnolo, una coppia argentina e molti altri immigrati che da anni vivono in Italia e conoscono il nostro Paese e la nostra politica meglio di noi ed erano in piazza anche loro per dire basta a questo modello politico-subculturale sbagliato.
E poi tantissimi giornalisti, operatori, fotografi (anche stranieri) e tra questi colpiva la presenza numerosa delle ragazze (alcune dalle capigliature appariscenti), anche molto giovani, tutte dotate di macchine fotografiche professionali e tutte prontissime ad arrampicarsi in ogni punto pur di avere scatti che rendessero perfettamente l’idea di cosa accadeva in piazza.
In piazza era una festa, una enorme festa bellissima e man mano che passava il tempo e smetteva di piovere, le persone continuavano ad arrivare.
La veduta dall’alto di quella marea umana era davvero impressionante: nessuno si aspettava tanto successo a Milano, città normalmente fredda (non solo per il clima).
Anche quando è arrivato il buio e la manifestazione si è conclusa, le persone sono rimaste lì, ad ascoltare la musica che continuava ad arrivare degli altoparlanti, e a ballare e saltare come se in qualche modo, dopo i discorsi importanti, la festa continuasse.


È stato bellissimo, una manifestazione stupenda!
La scena più bella che ricorderò è quella dell’anziano Orsini in piedi sul cornicione di una finestra, aggrappato alle sbarre, mentre sventola la sciarpa bianca e la folla sotto che si accalca per trovare un varco verso il palco e poi la gente che continua a ballare e a restare in piazza anche quando ormai tutti gli organizzatori scendono dal palco e la manifestazione è finita.

venerdì 11 febbraio 2011

La misoginia di Giuliano Ferrara

Non sono mai stata un’estimatrice di Giuliano Ferrara, ma ultimamente ammetto di provare proprio un certo fastidio verso il modo in cui si impossessa della scena (mediatica o di carta) per intestarsi della battaglie misogine e fuori luogo (nei modi e nel merito).
Tempo fa, ha fatto discutere per il suo mettersi a capo delle battaglie contro il referendum per modificare la Legge 40 (quella relativa alla fecondazione assistita), con numerose sceneggiate e fiumi di inchiostro scritti dalle colonne dei quotidiani, fino a concretizzare un movimento politico antiabortista (operazione sciocca e al quanto inutile dal punto di vista politico ma che sicuramente avrà permesso al noto giornalista di vendere qualche copia in più del suo giornale e di attirare un po’ di attenzione – sbagliata – su se stesso più che sui temi di cui voleva farsi portavoce).
Poi c’è stata un’altra battaglia “in difesa della vita” portata avanti con forza da Giuliano Ferrara, nei momenti drammatici in cui si decideva del destino di Eluana Englaro. Una questione di dolore privato trasformata in battaglia parlamentare e di piazza (con Ferrara che invitata a portare bottigliette d’acqua davanti al Duomo di Milano per dire di non lasciar “morire di sete” la giovane in stato vegetativo).
Al di là delle opinioni, tutte legittime, quello che suscita un certo sconcerto è il modo in Giuliano Ferrara le esprime, volutamente sopra le righe, infiammando polemiche dove in realtà non c’è affatto bisogno che ce ne siano e finendo per brutalizzare e banalizzare con questi suoi toni tra l’arringa e il grottesco, questioni che invece sono molto serie e andrebbero trattate con rispetto e con linguaggi appropriati.
Sembra quasi che il direttore del Foglio si diverta a spararla grossa con l’unico scopo di sollevare polemiche pretestuose e non per mettere davvero argomenti dentro al dibattito in corso che possano in qualche modo a contribuire ad arricchirlo. Insomma, sembra quasi che l’unico scopo di Ferrara, con queste uscite sgraziate e fuori luogo, sia solo quello di creare caos e magari spostare l’attenzione da un dibattito anche serio e importante su tutt’altri piani che finiscono per sminuire il valore delle discussioni in corso.
Tutte le battaglie che si è intestato Ferrara negli scorsi mesi, oltretutto, sono profondamente oscurantiste, legate a visioni del mondo e della vita di secoli fa e che poco si addicono ai cambiamenti della società attuale, ai progressi della scienza e anche alle nuove esigenze delle persone.
È un po’ curioso che Giuliano Ferrara, dopo essersi intestato una campagna pro-life, altamente moralizzatrice, in merito alla Legge 40 (che oltretutto finiva per fare del male al corpo delle donne), e contro le aperture del mondo femminile ottenute in secoli di battaglia, adesso invece si schieri dall’altra parte, a sostegno del libertinaggio più spinto (di signorine dalle scelte di vita discutibili, non solo sul piano morale ma anche legale, visto che ci sono alcune indagate per favoreggiamento della prostituzione).
Unico tratto comune a tutte le battaglie superflue di Giuliano Ferrara è la misoginia, frutto di una visione maschilista e retrograda: il suo voler relegare la donna a oggetto, prima come macchina per fare figli, poi come oggetto sessuale (del premier o di chi ha i soldi per comprarsele), come se le donne fossero per destino questo e nulla altro.
Personalmente, da donna, preferirei che Giuliano Ferrara non parlasse più di questioni che riguardano il mondo femminile perché non ne è in grado: non conosce minimamente la realtà delle donne (giovani e meno giovani) normali, che studiano, lavorano, inseguono le loro aspirazioni (che non sono certo quelle di fare il Bunga Bunga ad Arcore, anche se 7 mila euro in una sera aiuterebbero a risolvere non pochi problemi, ma non è quello il modo di risolvere le cose). Ci sono donne che faticano quotidianamente, la cui strada è tutta in salita e si scontra con molti muri nella vita affettiva come nel lavoro eppure a loro nessuno pensa, nessuno offre aiuto concreto, che non sono 7 mila euro per ballare attaccata al palo di una discoteca in una festa privata, ma sono leggi che favoriscano l’occupazione femminile attraverso politiche dell’infanzia (più asili nido, congedo di paternità e di maternità, garanzia di non essere licenziata se in gravidanza - che esiste sulla carta ma non nei fatti - orari lavorativi flessibili) e di assistenza agli anziani adeguate e soprattutto è necessaria la collaborazione degli uomini con cui quotidianamente si raffrontano.
Le donne hanno fatto un lungo cammino nel corso degli anni per ribadire la loro libertà, anche in ambito sessuale, ma questa libertà non è garantita se il ruolo della donna viene ridotto ad oggetto del piacere maschile di cui disporre a pagamento.

AreaDem Milano torna in campo

Lunedì sera a Milano si è tenuta un’appassionante riunione di Area Dem con la partecipazione di Antonello Giacomelli.
Sostanzialmente c’è stata una grande convergenza di vedute tra tutti gli intervenuti, che hanno evidenziato il ruolo importante svolto dalla componente di Area Dem a livello nazionale dentro al Partito Democratico, rivendicando i risultati ottenuti nell’arco di questi ultimi mesi, ma che hanno anche richiesto di non lasciare che siano altri a portare avanti tematiche di innovazione o delicate in cui è necessario un consistente lavoro di sintesi tra le posizioni.
Tanti gli argomenti di discussione, comunque, oltre al ruolo di Area Dem a livello nazionale e locale, anche il clima che si respira nel Paese in queste settimane, le manifestazioni organizzate dalla società civile, il Partito Democratico e le sue ultime riunioni nazionali.
Ad aprire la serata è stato il coordinatore regionale di Area Dem Lombardia, Franco Mirabelli, il quale ha segnalato i risultati positivi riscontrati sia alla Direzione Nazionale che all’Assemblea Nazionale, da cui il Pd è uscito più unito, lasciandosi alle spalle la lunga fase di incertezza e di divisione che aveva caratterizzato i mesi precedenti e che aveva alimentato l’idea che ciò che non va nel Paese non fosse solo colpa di Berlusconi ma anche dell’opposizione.
Berlusconi sta facendo pagare all’Italia i danni che crea l’assenza del governo e – ha ricordato Mirabelli – Bersani, nel suo discorso in Assemblea, ha fatto un richiamo forte alle classi dirigenti del Paese affinché non rimangano più in silenzio di fronte ai danni provocati dal governo.
Mirabelli ha ricordato anche che Bersani ha presentato un’agenda per lo sviluppo, un programma in cui il Pd ha messo in campo delle proposte.
In merito al clima che si respira nel Paese, Mirabelli ha registrato che qualcosa sta cambiando e lo dimostrano le tante manifestazioni organizzate a cui i cittadini partecipano e la raccolta di firme lanciata dal Pd per chiedere le dimissioni di Berlusconi, che sta andando molto bene.
Il Pd, in questo scenario, si pone come una forza che può raccogliere intorno a sé le altre opposizioni, anche perché i rischi che sta correndo la democrazia italiana sono sempre più evidenti. Mirabelli quindi ha sottolineato il ruolo importante svolto da Area Dem in questo contesto, segnalando che molte cose espresse in Direzione e in Assemblea dalla componente che fa capo alla maggioranza sono le stesse che aveva detto Franceschini a Cortona in precedenza.
Oltretutto, ad oggi, la maggioranza congressuale non c’è più, all’interno di quel gruppo si sono create divisioni e personalismi (lo stesso Bersani ha una sua corrente: “Per l’Italia, per Bersani”). Ad un certo punto si è quasi avuta l’impressione che Area Dem fosse stata cooptata dalla maggioranza e si fosse appiattita su quelle posizioni, ma questo non deve essere, anzi, Mirabelli ha precisato che proprio in un simile momento è ancora più necessaria Area Dem perché ha al suo interno rappresentanti di tutte le culture che hanno dato vita al Pd e, fino ad ora, è stata l’unica componente in grado di fare sintesi tra esse.
Area Dem, dunque, deve continuare a stare in campo e portare il suo contributo all’interno del Partito Democratico.
A Milano, secondo Mirabelli, un risultato importante ottenuto è stato quello di non avere liste civiche a sostegno del sindaco ma di presentare tutti i nostri candidati nella lista del Pd. Un altro importante lavoro da svolgere è quello che riguarda la collocazione di Pisapia: alla sua corsa per la poltrona di sindaco occorre dare un profilo riformista, moderno, innovatore e su questo si può giocare il ruolo di Area Dem, anche attraverso iniziative che guardino non solo dentro al Pd ma anche fuori, cercando di allargare il consenso. Quello di Area Dem, insomma, è anche un ruolo importante di ponte tra il partito e la società civile.
La riunione è proseguita con interventi dei vari esponenti milanesi e nazionali, da cui è emerso un sostanziale riconoscimento del grande lavoro fatto da Area Dem dentro al Pd.
Le conclusioni della riunione sono state affidate ad Antonello Giacomelli, il quale ha ripreso un po’ tutti i punti toccati nel corso della serata e ha lasciato qualche spunto per condurre la campagna elettorale a Milano.
In merito alle manifestazioni di piazza, Giacomelli ha precisato come in realtà, nel Paese, l’indignazione è meno forte di quanto la si potrebbe ritenere adeguata: il premier ferisce la dignità del proprio ruolo, del proprio Paese e lo getta nel ridicolo, ma non si è determinata una rivolta profonda rispetto a tutte queste vicende.
Il Pd, secondo Giacomelli, deve far partire nel Paese una nuova fase, ricreare un’etica, ridare senso alle parole e impedire colpi di coda violenti perché la fase che stiamo attraversando è pericolosa e inquietante.
Giacomelli ha denunciato, infatti, come il potere sia stato lasciato solo nelle mani di Berlusconi: i suoi alleati non hanno voluto fare un’altra coalizione di centrodestra senza di lui e anche nel contesto internazionale le cose non vanno bene perché ci sono stati troppi rapporti con persone sbagliate.
Giacomelli ha segnalato come Berlusconi ha saputo unire la destra ad una parte della Dc e quel blocco che ha creato, oggi, diffida della nostra parte politica.
In merito all’emergenza democratica, Giacomelli ha evidenziato che non si tratta di una cosa astratta: è sufficiente considerare il problema dei mezzi di informazione che sono tutti piegati a Berlusconi e non presentano più critiche in grado di suscitare analisi o indirizzi nell’opinione pubblica.
Sul ruolo giocato da Area Dem in questi mesi, Giacomelli ha affermato che è costato caro, con inimicizie, assemblee infuocate, accuse di tradimento, ma poi i MoDem sono tornati indietro sulle loro posizioni e, oggi, sostanzialmente, sostengono le stesse tesi di Area Dem e della maggioranza del partito.
Certamente Area Dem ha pagato un prezzo alto in visibilità ma, secondo Giacomelli, se si fosse seguita la linea voluta dai MoDem (in particolare su una maggiore opposizione interna) si sarebbe fatta la fine del Partito Democratico.
Giacomelli ha sottolineato poi che Area Dem è l’unica componente che ha scommesso sulla mescolanza nel Pd e che ha al suo interno tutte le culture che hanno dato vita al Partito Democratico, per questo deve tornare a giocare un ruolo centrale.
Sui temi del lavoro, Giacomelli ha ricordato che Area Dem la sintesi l’ha fatta nell’ultimo appuntamento di Cortona, in cui si è anche parlato dei diritti e adesso sarà necessario avviare una riflessione anche su quanto sta accadendo nel Nord Africa.
Altro punto su cui far leva è la Lega è un elemento di rottura e occorre evidenziarne le contraddizioni, tra cui il federalismo che usa come bandiera ma è una cosa fittizia e pericolosa.
In merito alla questione cattolica e al rapporto con il mondo cattolico, Giacomelli ha ricordato che non può essere un tema personale ma deve assumerselo il Pd. La questione riguarda anche i diritti civili così come l’art. 41 della Costituzione che il governo vorrebbe modificare. Giacomelli, infatti, ha ricordato che questo articolo parla della funzione sociale delle imprese e il fatto che Berlusconi voglia modificarlo mette in luce la sua chiusura, il suo tendere a proteggere tutto dentro a un recinto invece di condividere le opportunità.
Giacomelli ha segnalato anche che questo tema può essere molto “milanese” in quanto la città è la patria di Montini e in questa funzione sociale delle imprese si iscrivono anche i diritti delle persone (a Cortona, ad ottobre, si era detto che i diritti appartengono alle persone e non al tipo di contratto).
Sul tema dei diritti, Giacomelli ha evidenziato anche che è un errore mandare a parlare a nome del Pd persone di rottura o che rappresentano solo una parte perché diventa un danno fatto a loro e a tutto il partito.
Stando sui temi di attualità partitica, Giacomelli ha espresso con forza l’importanza dell’elezione di Piero Fassino a sindaco di Torino perché il Pd ha bisogno di un sindaco che incarni le posizioni del partito e trascini su questo anche gli altri.
Sulla questione elettorale, Giacomelli ha segnalato che forse non è poi vero che il Pd perde voti al centro, in quanto il partito di Casini viaggia su percentuali stabili da quando è nato, mentre il Pd sembra perdere nelle ali più estreme a vantaggio di Vendola e Di Pietro.
A Milano, per le elezioni comunali, anche secondo Giacomelli è corretto mettere in primo piano un’azione riformatrice e riformista del Pd accanto alla candidatura di Pisapia e rendere Area Dem più visibile sul territorio.

sabato 5 febbraio 2011

Pubblico da concerto rock per Libertà e Giustizia

Un appuntamento imperdibile quello di oggi pomeriggio al PalaSharp di Milano con Libertà e Giustizia. Un appuntamento nato da un’associazione che è sempre stata considerata un po’ d’élite (perché al suo interno vi sono illustri personalità) che, nel giro di pochi giorni, si è trasformato in un evento di massa, carico di attese e di personaggi importanti del mondo della cultura, dell’informazione, della politica e della società civile.
Non è una novità che gli eventi di Libertà e Giustizia riscuotano successo, lo si era visto in anni passati con le importanti giornate dedicate alla Costituzione, ma un conto è riempire un teatro e un altro conto è riempire un palasport da 10.000 posti e avere ancora gente che attende di entrare fuori dai cancelli.
Dopo tante giornate di freddo, oggi c’era un sole caldissimo a splendere su Milano e non pesava l’attesa dell’apertura dei cancelli tra i chiostri dei panini, i volontari di partiti e associazioni che distribuivano volantini (quelli per i diritti dei lavoratori, quelli delle firme per le dimissioni di Berlusconi, quelli per la manifestazione ad Arcore di domani, quelli per la manifestazione delle donne) e giornalisti a caccia di interviste.
In fila c’era gente arrivata da ogni parte d’Italia: persone arrivate all’alba con gli aerei dal Sud, ragazze di Arezzo arrivate in treno, delle signore di Bologna, una ragazza bulgara da anni residente a Milano e poi sono arrivati i pullman da Ravenna, Torino e altre città.
I posti all’interno sono stati esauriti in fretta e la composizione del pubblico (in prevalenza femminile) era stranamente molto eterogenea: c’erano giovani, famiglie con bambini, persone anziane… un pubblico ben più variegato di quello che solitamente si vede nelle platee degli eventi centrosinistra, segno che questa volta il vaso è davvero colmo e le persone hanno sentito il bisogno di partecipare.
Un’ovazione è scattata spontanea poco prima dell’inizio della manifestazione, quando un’esponente di Libertà e Giustizia ha preso il microfono per una comunicazione di servizio: voleva avvisare la signora che aveva perso la borsa che era stata ritrovata e che la tenevano gli addetti della sicurezza a bordo palco. «In questo Paese dove sembra dominare l’illegalità, suscita meraviglia il fatto che una borsa non venga rubata ma trovata e riconsegnata alla proprietaria», ha commentato una signora anziana con sua nipote.
Tanti anche i cartelloni portati, con scritte ironiche su Berlusconi ma anche altri messaggi come “Saviano vieni via con me”, firmato da tre ragazze.
Proprio Roberto Saviano è stato accolto con un tifo da stadio: pubblico in piedi, applausi, urla (soprattutto dalle ragazze che hanno mostrato di apprezzarlo molto e non solo per le sue doti intellettuali).
Roberto Saviano, al di là del bellissimo discorso, ha detto due cose personali che facevano riflettere sulla sua condizione. Saviano ha affermato di avere trent’anni e, salutando il pubblico, si è anche detto emozionato perché davanti a così tanta gente tutta insieme non c’era mai stato.
Saviano è salito sul palco accompagnato da due uomini della scorta e un terzo è rimasto sotto a controllare. Gli uomini della scorta sono rimasti dietro a Saviano sempre, anche mentre parlava. Quando Saviano ha finito il suo discorso, uno dei due uomini si è avvicinato, probabilmente per riportarlo via, ma lui ha fatto capire di volere restare e si è seduto accanto a Eco e agli altri di Libertà e Giustizia. I due uomini della scorta hanno assunto un’aria perplessa, poi si sono messi nuovamente dietro allo scrittore, accanto alla parete del palco. Saviano è rimasto presente per due interventi, poi il terzo uomo della scorta si è avvicinato e gli ha detto che doveva andare via. Lui ha fatto segno “uno” con il dito indice, ma la scorta ha detto di no e se n’è andato via, tra gli applausi e l’acclamazione del PalaSharp.
A osservare questa scena c’era da restare impressionati: che vita fa un ragazzo che ha trent’anni non può stare in mezzo alla gente? Non può andare a un concerto dentro a un palazzetto e non può nemmeno fermarsi ad un evento a cui è stato invitato e dove la maggior parte del pubblico è lì per ascoltare lui. E probabilmente non può fare molte altre cose, anche più banali.
Capita a volte di non condividere o di non gradire il fatto che ogni cosa che dice Saviano venga presa come se fosse fonte assoluta di saggezza e verità; capita di non apprezzare il fenomeno che trasforma tutto in “mito”; capita di sentire la frase «Saviano ha fatto i soldi». Tutto legittimo da pensare, solo che quando si vede una scena del genere, si capisce che tutti questi pensieri spariscono o comunque hanno poca importanza perché - al di là di come la si pensi sui contenuti degli scritti di Saviano, sulle sue opinioni e sugli eventuali soldi - che vita è quella che è costretto a fare questo ragazzo di trent’anni?
I discorsi volavano alto all’interno del palazzetto oltre che con Saviano, anche con persone come Zagrebelsky, Eco, De Gregorio, Camusso, Lerner, Ovadia, Pollini, Scalfaro (in video) e Ginsborg (al telefono), Bice e Carla Biagi
Grandi applausi suscitati un po’ da tutti, con il pubblico che ogni tanto si soffermava su qualche passaggio e si ripeteva le frasi più importanti come a volerle sottolineare e imprimersele nella memoria.
Qualche perplessità l’ha suscitato il video della scrittrice che è intervenuta a parlare del corpo delle donne: una denuncia importante la sua contro la società mercificatoria e maschilista che riduce le donne a corpi, presentata quotidianamente dai media. Il suo discorso non faceva una piega, ma il video-denuncia di introduzione (realizzato con un collage di spezzoni televisivi in cui le donne apparivano prevalentemente mezze nude) era forse troppo lungo e alla fine, anche gli uomini in sala hanno urlato «basta» di fronte all’ennesimo sedere scoperto.
Un boato di delusione c’è stato quando Sandra Bonsanti ha annunciato che Landini non sarebbe arrivato perché colpito dall’influenza. Ed è strano per una platea come quella di Libertà e Giustizia avere così tanta simpatia per un rappresentante della Fiom: segno il pubblico è arrivato da ben più parti che dai semplici canali dell’associazione e di Repubblica (che tanto ha supportato l’evento).
Il Partito Democratico era presente al gran completo, dai responsabili cittadini Cornelli, Laforgia e Majorino ai militanti fino ai parlamentari (De Biasi, Bachelet e Franceschini): nessuno di loro aveva simboli di partito, come avevano chiesto gli organizzatori. Non è andata allo stesso modo per Sinistra Ecologia e Libertà, altrettanto presente ma altamente riconoscibile con i suoi rappresentanti con i cartelli appiccicati alla schiena con il simbolo del partito ben in evidenza (e non è la prima volta che succede una cosa del genere a manifestazioni della società civile).
Sul palco, in chiusura di giornata, è salito a parlare anche Giuliano Pisapia, candidato a sindaco di Milano per il centrosinistra.
Dai discorsi di chi è intervenuto sul palco, in prevalenza sono arrivati anche appelli all’unità delle forze politiche perché liberino l’Italia da Berlusconi e dal malcostume che rappresenta. Qualche connotazione un po’ più forte nei toni è stata usata da Moni Ovadia, applauditissimo. In molti, invece, si sono domandati come fare per fare arrivare i messaggi che si dicevano lì dentro anche all’esterno e a chi la pensa diversamente.
Una lunga e bella giornata quella di oggi organizzata da Libertà e Giustizia, densa di contenuti importanti, di belle parole, di appelli a far sentire la propria voce per chiedere rispetto, diritti e soprattutto per ribadire che il Paese è diverso e migliore di quella minoranza che lo sporca.

Mi sono commossa ad ascoltare Saviano e non lo avrei mai immaginato. Così come non avrei mai immaginato di vedere un tifo da stadio per lui e quella presenza così evidente della scorta.
Bellissimi anche i discorsi di Scalfaro, Susanna Camusso e Concita De Gregorio.