martedì 20 dicembre 2011

Incontro con gli assessori

Ieri sera in Zona 9 a Milano si è tenuto un incontro con gli asserrori Lucia Castellano (Casa e Lavori Pubblici), Daniela Benelli (Decentramento) e Marco Granelli (Sicurezza) per parlare di riqualificazione dell'edilizia pubblica della zona. Il problema è molto sentito nel quartiere, dove sono tantissime le case popolari, troppo spesso lasciate in una condizione disastrosa ed è importante che i rappresentanti delle istitutozioni si mostrino presenti e propongano soluzioni ai problemi che da tempo vi sono.
Nel corso dell'incontro, Lucia Castellano ha presentato il progetto per la costruzione di un primo laboratorio di Zona che dovrà servire da punto di incontro tra le diverse realtà che operano nei quartieri (associazioni, cooperative, parrocchie, istituzioni) e cittadini; un modo per mettere insieme esperienze e provare a costruire insieme qualcosa di utile per far fronte alle tante problematiche che sono presenti sul territorio.
Daniela Benelli ha segnalato che di questi laboratori ne verranno avviati 7 per il primo anno e che dovranno operare in rete tra loro; ricordando che, ad oggi, uno dei principali problemi è quello delle risorse, in quanto occorre creare una voce apposita nel bilancio comunale (già non proprio positivo).
Marco Granelli, invece, ha fatto sapere che arriveranno i vigili di quartiere e che saranno messi anche a disposizione di questo progetto, in quanto è  stato dimostrato che è utile investire nella mediazione dei conflitti; così come occorrerà promuovere tutto il lavoro svolto dal mondo dell'associazionismo (nella Zona, qualcosa di simile è stato realizzato con il lavoro delle cooperative).
La parola è stata poi lasciata ai cittadini, rappresentanti delle associazioni, dei sindacati degli inquilini delle case popolari e inquilini stessi, con l'inivito ad essere propositivi nelle soluzioni per affrontare i problemi, in quanto l'ottica del Comune non vuole essere quella di imporre qualcosa ma di accogliere le esperienze e le richieste maturate dal basso.
Al di là delle problematiche specifiche degli alloggi popolari e di chi ci vive, che devono essere assolutamente affrontate perché in certi casi ci si trova di fronte a condizioni di degrado e anche di pericolo insostenibile; ci sono sicuramente delle novità importanti emerse in questo incontro: intanto - come alcuni degli intervenuti hanno sottolineato - l'incontro stesso con gli assessori è stata una novità (in Zona, da quando c'è la giunta Pisapia, gli assessori sono arrivati spesso per incontrare i cittadini e dialogare in assemblee pubbliche, anche di recente, ma negli anni passati, dei precedenti governi non si è mai fatto vedere nessuno) e poi il tipo di approccio utilizzato in cui, per la prima volta, i rappresentanti delle istituzioni - pur avendo presentato dei progetti - hanno espresso chiaramente la volontà di voler accogliere le proposte dei cittadini (dove ci sono) e istaurare una collaborazione. Certo per ora si tratta solo di parole, ma dalle giunte del centrodestra non erano mai arrivate neanche parole simili. Il cambiamento di Milano inizia anche da qui, ovviamente, si spera che poi dalle parole si passi ai fatti (soprattutto per gli inquilini delle case popolari).

lunedì 19 dicembre 2011

Il partito degli smemorati


È ricomparso ieri il più importante dei ministri del governo Berlusconi, Giulio Tremonti. Intervistato su Rai Tre da Lucia Annunziata, ha criticato la manovra del governo Monti: «Troppe tasse, pochi tagli alla spesa pubblica e niente per la crescita», ha detto in sintesi. È probabile che, sentendolo, molti suoi colleghi di partito (o forse «ex» colleghi, visto che Tremonti ha cominciato la trasmissione dicendo che ormai «lavora in proprio», e l’ha finita non smentendo un suo passaggio alla Lega) si siano stropicciati gli occhi, credendo di sognare. Sono quei molti esponenti del Pdl che in questi anni hanno accusato proprio Tremonti di essere il «signor no» che ha bloccato ogni iniziativa volta alle liberalizzazioni, alla crescita, al taglio delle tasse. È vero che in questo Paese si dimentica tutto in fretta: ma ci vorrebbe un clamoroso deficit di fosforo per scordare che proprio all’interno del Pdl Tremonti è stato contestato da tutta un’ala (Brunetta, Crosetto e molti altri, per non dire di Martino che ormai da molto tempo è fuori dai giochi) che l’ha accusato di essere un ministro più statalista che liberista. E non è un mistero che lo stesso Berlusconi abbia più volte considerato Tremonti un ostacolo alla linea che avrebbe voluto seguire. Sempre facendo un piccolo sforzo di memoria, ci si ricorderebbe che nella manovra proposta in agosto da Tremonti era addirittura previsto un aumento dell’Irpef chiamato «contributo di solidarietà», nome un po’ beffardo perché di solito si solidarizza con i terremotati e con gli alluvionati, non con il debito pubblico. Furono due quotidiani di centrodestra come «il Giornale» e «Libero» a fare una campagna contro quell’aumento delle tasse, che alla fine fu ritirato dal governo. Ma d’altra parte proprio lo stesso Tremonti ieri da Lucia Annunziata ha ricordato quanta ostilità abbia ricevuto, all’interno del Pdl, per le sue scelte considerate «poco coraggiose», tutte rivolte al contenimento dei conti e non allo sviluppo. «Dopo le sconfitte elettorali di maggio - ha detto - ci sono stati interventi estemporanei nella nostra coalizione da parte di personaggi che volevano più coraggio, non comprendendo che interventi di quel tipo si sarebbero potuti fare solo in Paesi senza debito pubblico». Più avanti ha aggiunto che la maggioranza è andata in crisi proprio perché «da maggio in poi è emersa una classe politica che non voleva seguire il rigore». E dunque come può Tremonti oggi criticare una manovra che è certo criticabile, ma che va in gran parte nella direzione di quelle che ha fatto lui, e che è perfino stata scritta da molti uomini che erano con lui al ministero dell’Economia? Ieri Tremonti, poi, ha detto pure che uno dei gravi problemi dell’economia italiana è la mancanza di libertà, visto che «un imprenditore non può neanche tirare su un muretto». Giustissimo: però da chi è stata governata, l’economia italiana e non solo l’economia, negli ultimi dieci anni? Ma sarebbe sbagliato accusare di incoerenza solo Tremonti. Il suo è un atteggiamento molto diffuso. Lo stiamo vedendo in queste quattro settimane di governo Monti: da Berlusconi che dà del disperato al nuovo premier alla Gelmini che si lamenta per la manovra e per le tasse; dai deputati del Pdl che disertano l’Aula perché hanno il mal di pancia alla Lega che urla contro Roma e contro la crisi. Tutte cose comprensibili e a volte condivisibili. Ma a tutti costoro viene spontaneo rivolgere la stessa domanda di prima: scusate, non c’eravate voi, al governo, fino a un mese fa? E non ci siete stati per otto anni negli ultimi dieci? La smemoratezza di questi giorni è in realtà un qualcosa di già visto, un vizio che colpisce tutti, destra e sinistra e in fondo ognuno di noi, che appena passiamo da un ruolo di governo (di qualsiasi genere) a un ruolo di opposizione (di qualsiasi genere) ci dimentichiamo quanto sia difficile fare e quanto sia facile criticare.
 

venerdì 2 dicembre 2011

La crisi in Lombardia

Questa estate restavo impressionata dal vedere che ogni giorno c'era una manifestazione sotto al Parlamento (ci sono stati tutti: disabili, terremotati, artisti, lavoratori licenziati, studenti, popolo viola, associazioni di volontariato e cooperazione... ogni giorno c'era qualcuno). Da qualche mese, nel Tg Regionale della Lombardia si vede che sotto i palazzi della Regione accade la stessa cosa: ogni giorno ci sono gruppi di persone che manifestano e sono prevalentemente lavoratori delle aziende delle provincie lombarde che chiudono e licenziano o mettono in mobilità il personale senza troppi preavvisi e senza garanzie per il futuro...

[per quelli che "la crisi è un fatto psicologico", "la crisi è alle nostre spalle" e "i ristoranti sono pieni" e per quelli che promettevano di occuparsi degli interessi della "Padania"]

mercoledì 30 novembre 2011

Debora Serracchiani a Milano

Domenica mattina alla Casa di Alex di Milano si è tenuto un bellissimo incontro con la parlamentare europea Debora Serracchiani, a cui hanno partecipato anche Franco Mirabelli (Consigliere Regionale), Onorio Rosati (Segretario Generale della Camera del Lavoro di Milano), Emanuele Lazzarini (Consigliere Comunale), Enrico Borg (Consigliere Provinciale), Mariangela Rustico (Segreteria Pd Milano).
Tanti i temi trattati nel corso degli interventi per mettere a fuoco gli scenari che ci attendono nei prossimi mesi, a partire dal nuovo governo guidato da Mario Monti alle problematiche del lavoro (precarietà, giovani, diritti), dalla crisi economica al ruolo dell'Europa, dalle macerie che ci lasciano in eredità Berlusconi e il suo governo, compresa tutta la gerarchia rovesciata dei valori portata dal berlusconismo che probabilmente resisterà anche senza Berlusconi, dal ruolo ambiguo e pericoloso giocato dalla Lega ai meri fini elettorali, fino alle scelte di cui dovrà farsi carico il Partito Democratico.
Qui il video completo dell'iniziativa>>


 

Qui di seguito i video dei singoli interventi:
Franco Mirabelli>>
Onorio Rosati>>
Enrico Borg>>
Emanuele Lazzarini>>
Debora Serracchiani>>
Franco Mirabelli sui costi della politica>>
Chiusura dell'incontro da parte di Debora Serracchiani>>
Incontro con Debora Serracchiani - Milano, 27 novembre 2011

mercoledì 23 novembre 2011

Questo è un Paese per giovani

Oggi pomeriggio all'Università Cattolica di Milano si è tenuto un bellissimo incontro di giovani, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, dal tema "Questo è un Paese per giovani. O almeno potrebbe diventarlo", in cui studenti di diverse esperienze e culture si sono confrontati su problemi di grande attualità, portando le loro esperienze e le loro storie. 
Oratori e pubblico erano interamente giovani (dai 20 ai 30 anni circa). Ad aprire il pomeriggio è stata Elisa Coviello del quartiere Marassi di Genova, che ha portato un'importantissima testimonianza di come è stato vissuto l'alluvione (con una versione profondamente discordante da quella presentata dai media), di come la normalissima pioggia del mattino si è trasformata inaspettatamente in qualcosa di tremendo e di come i due torrenti, sempre passati inosservati, si siano rivelati in tutta la loro pericolosa potenza sorprendendo le persone. Il racconto si è fatto appassionante nella descrizione dell'arrivo dei giovani a Genova per ripulire la città dal fango, della forza della solidarietà che ha unito le persone e bellissime erano le immagini dei cartelli di ringraziamento per l'aiuto ricevuto appesi dai genovesi ai negozi e alle finestre.
Louisse Glassier, invece, ha spiegato l'operato dell'associazione Naga, nell'aiuto alla gestione dei profughi arrivati in Lombardia a causa della recente guerra in Libia e degli iter burocratici con cui le persone che arrivano in Italia si trovano a fare i conti, senza la certezza che questo possa garantire loro un futuro nella legalità qui o altrove.
 
Virginia Invernizzi ha poi fatto un interessantissimo resoconto di come vive ed è organizzata la comunità cinese di Via Paolo Sarpi a Milano, della difficoltà di interagire con i non cinesi ma anche delle tenaglie amministrative che sono state applicate in quei luoghi e che, di fatto, hanno aumentato i problemi (esplosi poi nella rivolta dello scorso anno).  Per interagire con i bambini di quella comunità cinese (ma anche di altre comunità in altri quartieri), Sant'Egidio ha realizzato la Scuola della pace, di cui Virginia Invernizzi ha illustrato le modalità operative, l'idea di fondo di favorire il dialogo e l'incontro e da cui sono nate anche importanti amicizie tra i ragazzi che vi insegnano e le famiglie dei bambini che arrivano (famiglie che molto spesso necessitano di aiuto per comprendere la nostra lingua e di un tramite per comprendere regole e realtà italiane a loro estranee e per le quali i ragazzi fanno da mediatori culturali, diventando veri e propri punti di riferimento per esse).
L'intervento conclusivo è stato dell'affascinante Rascea El Nakoury, "una musulmana italiana": ragazza bellissima, dagli occhi grandi, il velo rosa sulla testa, dai tratti somatici "stranieri" ma nata e vissuta sempre in Italia e, ora, impiegata in banca, che ha raccontato della sua difficile vita da "doppia". Per tutti Rascea è una straniera solo per i suoi tratti somatici, anche se è nata e vissuta in Italia, anche se parla l'italiano meglio degli stessi italiani, anche se si sente più a casa sua in Italia che nel Paese d'origine della sua famiglia e, a causa della nostra legislazione, la è anche per lo Stato (con la conseguenza che fino ai 18 anni ha avuto necessità di un visto anche solo per andare in gita scolastica; sorte che capita anche oggi a tutti i ragazzini nati qui ma da genitori stranieri). Rascea El Nakoury ha messo in evidenza anche la necessità di essere "bravi il triplo" per farsi strada ed essere accettati dagli altri italiani e di faticare per superare quella visione un po' stereotipata che vede tutti gli stranieri come bisognosi di aiuto e non come protagonisti dei loro diritti (lei stessa è impegnata per aiutare gli altri in difficoltà stranieri e non).
Ne è seguito un appassionante dibattito tra ragazzi.
A colpire è stata la perfetta competenza mostrata dalle persone intervenute e dalla padronanza completa degli argomenti che hanno scelto di trattare (anche perché alcune erano storie vissute sulla propria pelle), facendolo molto meglio di come lo avrebbero fatto tanti adulti e risultando anche particolarmente interessanti e mai noiosi.
Colpisce anche l'assenza degli adulti (come sempre agli eventi organizzati e gestiti dai giovani ma la stessa cosa si verifica anche al contrario) e questo un po' spiace perché questi ragazzi (e probabilmente anche altri) hanno davvero tanto da dire e da insegnare ai loro coetanei ma anche a persone più grandi. Per chi lavora nel mondo dell'associazionismo, il confronto avviene in altre sedi e ad altri livelli perché, ovviamente, per operare in terreni così complessi come quello dell'integrazione e delle politiche per l'immigrazione occorrono sinergie con realtà molto grandi. L'impressione, però, è che il mondo degli adulti usi male questi ragazzi e li lasci soli in eventi belli come lo è stato quello di oggi, per utilizzarli magari come contorno e far recitare loro un copione ammorbidito per altre iniziative che servono a loro, un po' come delle figurine appiccite lì per far vedere che c'è anche la rappresentanza giovanile. I giovani pensano, ragionano, agiscono e sanno farlo anche molto bene ma c'è bisogno che gli adulti sappiano cogliere questo spessore che arriva dal mondo giovanile e non che si agisca come mondi separati che, ogni tanto, si incontrano per caso.

 

mercoledì 9 novembre 2011

Lega tra Crocifissi e lotta agli immigrati

Mirabelli (Pd): "Crocifisso in Regione Lombardia, strumentalizzazione demagogica della Lega"

 

Il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato il progetto di legge della Lega sull'esposizione del crocifisso negli immobili regionali, con il Gruppo del Partito democratico fuori dall'Aula a segnare la netta contrarietà a una visione strumentale di un simbolo altamente religioso.
"Non ci creerà certo disagio vedere il crocefisso sui muri del nostro palazzo, ma ci mette a disagio il metodo con cui la Lega lo impone, che è assolutamente strumentale e inaccettabile tanto per i laici quanto per i cattolici. Che coerenza c'è con i valori cristiani in chi usa il crocifisso, un segno di pace e di unità per dividere, in chi dovrebbe accogliere e invece vuole cacciare gli immigrati e demonizza chi è diverso, in chi cerca di scaricare ogni problema sui più deboli anziché usare la solidarietà, in chi tollera comportamenti moralmente inaccettabili dai propri rappresentanti, quelli che dovrebbero essere punto di riferimento per i Paese e, ancora, in chi parla di Europa e di civiltà e poi propaganda la secessione e la Padania? La lega è tutto questo e non può certo lavarsi la coscienza strumentalizzando un simbolo come il crocefisso. E' nei comportamenti che laici e cattolici praticano i valori, non certo con la propaganda" - è quanto ha affermato il consigliere regionale Pd Franco Mirabelli durante la dichiarazione di voto (video).
 

lunedì 7 novembre 2011

Vecchioni alla manifestazione Pd

Durante la manifestazione del Partito Democratico a Roma, c'è stato un bellissimo concerto di Roberto Vecchioni, ecco il video:

domenica 6 novembre 2011

La contestazione a Renzi

A leggere i giornali, sulla manifestazione del Pd di ieri ci sono quasi sempre due tematiche di discussione: 1) l’evento in sé, la tanta gente che ha affollato piazza San Giovanni, i big del partito presenti, il discorso politico di Bersani; 2) la contestazione a Renzi.
La contestazione a Renzi ha tenuto banco anche in rete, in particolare su Twitter più o meno per tutta la durata della diretta della manifestazione e due erano sostanzialmente i messaggi diffusi che poi venivano rilanciati ripetutamente: il primo in cui si diceva, appunto, che il sindaco di Firenze era stato contestato e gli era stato detto “Vai ad Arcore, sei come Berlusconi” e un altro in cui si replicava che si può anche pensarla diversamente da Renzi ma era sbagliato contestarlo.
Curioso il secondo messaggio, anche perché la contestazione a Renzi in questione era stata fatta da militanti del Pd (oltretutto di Firenze) e non dai vertici. Non c’è stata la stessa reazione quando Bersani, dal palco, ha pronunciato l’assurda frase sulla comunicazione, con chiari riferimenti a Renzi (senza mai nominarlo).
Come sarebbe che Renzi non può essere contestato?
Non mi pare si sia detto lo stesso quando a ricevere le contestazioni, a settembre, è stato D’Alema a Genova.
Renzi è un esponente del partito come gli altri e, spesso, si è distinto proprio per i suoi modi forti e per le sue contestazioni al gruppo dirigente nazionale e allora, adesso che ha ottenuto visibilità, si abitui anche lui a ricevere applausi e contestazioni. Non si vive di soli applausi.
Siamo in democrazia ed esiste ancora la libertà di opinione e di espressione, quindi c’è tutto il diritto di contestare qualcuno se non si è d’accordo (oltretutto era una contestazione civilissima e di parole, non è che sia successo chissà che cosa).
Spiace vedere lo scontro di tifoserie pro e contro Renzi ma la base ha tutto il diritto di esprimere la propria opinione e anche di contestare, anche perché è un modo per far sapere come la si pensa. Discorso diverso per i vertici: a loro spetta il compito di smorzare gli angoli e trovare la quadra, soprattutto al segretario. Purtroppo, spesso, nel Pd avviene il contrario: c'è una base che troppo spesso tace o dice sì a tutto (anche a ciò che non va bene) e un segretario che invece martella chi alza un po’ la voce, per paura di vedere messo in discussione il suo ruolo.
Detto questo, Renzi e i suoi tifosi si rasserenino perché di applausi e di fischi per uno che vuole stare alla ribalta ce ne saranno sempre tanti anche in futuro.
 

sabato 5 novembre 2011

La comunicazione e la politica

È stata una manifestazione bellissima quella che ha organizzato il Partito Democratico ieri a Roma. C’era una piazza stracolma di gente già dalla mattina (del resto i primi treni hanno cominciato ad arrivare a Roma molto presto), tante bandiere, tanti stand che distribuivano spillette e altri materiali e le persone erano tutte felicissime di essere lì. Sul palco si sono alternate musica (non proprio tutta bellissima ma, insomma, ci si poteva accontentare) e parole (forse i tempi degli interventi andavano calibrati un po’ meglio) e, a parlare con chi era in quella piazza, si sentivano voci cariche di entusiasmo, di chi pensava che finalmente, forse, questa volta il Pd c’è davvero, non solo per far cadere Berlusconi, ma anche perché il partito esiste e ha preso forma e forza.
L’impressione complessiva è, dunque, quella di un evento perfettamente riuscito che può lasciare pienamente soddisfatti organizzatori e partecipanti e anche l’impatto mediatico dovrebbe necessariamente esser buono.
Era quasi tutto finito quando, in chiusura del suo discorso, Bersani ha detto l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto dire: "La comunicazione sta alla politica come la finanza all'economia"...
Una sola frase sbagliata di Bersani ha rovinato una manifestazione bellissima.
Lo dico da “operatrice della comunicazione” impegnata nel Pd. Quella frase mi ha offesa profondamente: quando l’ho sentita mi sono chiesta per cosa e per chi stiamo lavorando, se il giudizio che ci viene riservato è questo?
Ovviamente si tratta di una frase semplificata: Bersani intendeva dire che non può essere il predominio delle forme comunicative sui contenuti da comunicare. Tuttavia, resta una frase sbagliata. Da giornalista, se avessi dovuto scrivere un pezzo, al di là degli aspetti politici, avrei messo quella frase in un titolone, scrivendo che il Pd pensa questo della comunicazione (perché il linguaggio semplificato giornalistico funziona così e perché quella frasetta rappresenta una notizia).
Ecco allora che qui emerge tutto il problema di Bersani perché con questa frase fuori luogo ha dimostrato perfettamente di non saper comunicare. Si può poi discutere del merito dei contenuti politici (che sono quelli che interessano per capire davvero che direzione prende il Pd), si può discutere (come hanno fatto alcuni su twitter) della forma comizio ormai vecchia e da rivedere ma resta che, dal punto di vista comunicativo, uno che se ne intende quella frase inappropriata non l’avrebbe detta. 
In realtà, però, Bersani non è sciocco e quella frase (che tra l’altro ha scatenato la polemica in rete un po’ da parte di tutti e viene ora portata avanti da Pippo Civati) non l’aveva rivolta tanto agli operatori della comunicazione quanto a Matteo Renzi e al suo "partito-format" sostenuto da alcuni commentatori sulle pagine dei quotidiani nei giorni scorsi. Probabilmente Bersani si è sentito attaccato per il suo essere “poco mediatico” e non deve aver gradito tutto il successo del sindaco di Firenze ottenuto più in virtù dei suoi aspetti comunicativi che non dei contenuti di cui si è fatto portatore e ha cercato rivendicare la forza della politica concreta, ma è stato un errore contrapporla così fortemente alla comunicazione.
Oltretutto, questo implica un altro problema interno perché è la dimostrazione del fatto che Bersani continua a non essere inclusivo verso chi la pensa diversamente da lui – più per debolezza, in realtà, perché il modo in cui ha posto la questione era quello di uno che cerca di difendere il proprio operato più che di uno che rilancia la sfida – ma il risultato è che ha chiuso la porta in modo anche molto pesante (e magari, dal suo punto di vista, ha pure ragione, con tutto ciò che gli ha detto e fatto contro Renzi).
I piddini della rete, da quando è cominciata la diretta della manifestazione, non hanno fatto che discutere e hanno messo alla ribalta tre argomenti: 1) bella manifestazione, 2) la contestazione a Renzi (però avvenuta da parte della base e non dai dirigenti), 3) la frase di Bersani sulla comunicazione.
A leggere le opinioni che circolano si percepisce in modo chiaro la divisione interna: la rete è schierata in prevalenza con Renzi e contro la frase di Bersani sulla comunicazione (del resto in rete si comunica e vige una forma molto più easy dell'impostazione bersaniana); la piazza, invece, è contro Renzi e dalla parte di Bersani (ma qui pesa il fatto che quella di ieri è stata una bella giornata e sono stati tutti contenti della riuscita della manifestazione e chi si porta dentro tanto entusiasmo non è certo interessato a simili sciocchezze, che si spera non finiscano sui giornali di domani).
La speranza è che i quotidiani si interessino della proposta politica espressa da Bersani e la polemica interna si chiuda lì oppure venga affrontata nelle sedi interne opportune, se non altro per rispetto delle persone che ieri erano in piazza e ci hanno messo tempo, passione, entusiasmo e anche tanta fatica, ma è difficile che qualche dirigente non colga l’occasione ghiotta per innescare una nuova guerriglia (Civati ha già cominciato).
Da operatrice della comunicazione, a Bersani mi permetto di suggerire di evitare certi svarioni perché più che rafforzarlo lo danneggiano e, anziché denigrare la comunicazione, farebbe meglio ad imparare le regole per comunicare bene perché i messaggi (che ci devono essere e devono essere corretti) se non trovano giusta forma non arrivano da nessuna parte.
 

domenica 30 ottobre 2011

Siamo esplosi

Siamo esplosi...
A leggere i giornali delle ultime settimane, ma anche a frequentare un po’ di riunioni e assemblee, l’impressione è che il Pd sia esploso in mille frammenti, che difficilmente insieme riescono a formare un puzzle di senso compiuto.
Ma questa è solo un’impressione, la realtà è più complessa.
La rottura ufficiale è arrivata ieri con lo scambio di battute infelici tra il segretario Bersani - che, dall’incontro dedicato ai giovani organizzato a Napoli, ha detto che «Bisogna mettersi a disposizione, non si può dare l’idea che un giovane per andare avanti deve scalciare, deve insultare. […] Guai a un ricambio secondo la logica del “vai via tu che vengo io perché sono più giovane”» - e Renzi (che gli ha risposto di non essere un asino che scalcia).

Querelle che poteva terminare lì e che, invece, è degenerata con un «non scambiare per nuove delle idee che sono un usato degli anni '80, perché con certe ricette facili e idee troppo semplici siamo finiti nei guai» da parte di Bersani riferito a Renzi e un «il modello di Pd per cui ci sono i dirigenti che danno la linea agli eletti, i quali sono chiamati ad andare dagli elettori a fare volantinaggio per spiegare, andava bene nel '900» da parte di Renzi riferito a Bersani.
Lo scontro c’è ed è anche molto acceso, inutile minimizzare o nascondere la testa sotto la sabbia fingendo di non vedere ciò che è evidente (come purtroppo ha fatto L’Unità, con buona pace dell’onestà intellettuale che i giornalisti dovrebbero cercare di avere quando scrivono un pezzo), solo che il problema che c’è non si chiama Renzi ma di chiama Bersani.
Al di là dello scambio di battute velenosette (e Renzi un po’ se l’è andata cercare perché, è vero che un segretario dovrebbe cercare di essere inclusivo, ma è anche comprensibile che dopo tutte le bordate di contestazioni ricevute, Bersani si offenda pure), infatti, i problemi che in queste settimane sono emersi all’interno del Pd vanno ben oltre al “caso Renzi”.
Prima di Renzi sono arrivati i “giovani turchi”(Fassina, Orfini, Orlando... tutti della segreteria Bersani, oltretutto) che hanno recentemente dato vita ad un incontro a L’Aquila che doveva essere aperto ma di fatto ne è emersa una piattaforma molto "di sinistra", soprattutto in materia economica; a questi hanno risposto i “giovani curdi” (Gianluca Lioni, di area Franceschini) con un documento di intenti "liberal" dal punto di vista economico; sempre di area “liberal” c'è MoDem (Veltroni, Fioroni, Gentiloni, i quali sono anche un po' “rottamatori” ma più nei confronti di Bersani e dei suoi per ragioni che vanno anche oltre la linea politica); poi sono arrivati Civati & Serracchiani (molto easy, sicuramente abbastanza liberal, nati come “giovani” ma poi allargatisi al resto del Pd ma soprattutto di maggior impatto mediatico rispetto alle altre aree) e alla fine si è aggiunto il Big Bang di Renzi (molto più duro nella critica alla linea del segretario, “di destra” per le scelte economiche e di welfare e decisamente più sveglio a comunicare). Ci sarebbe anche AreaDem di Franceschini, fino ad ora la componente più vicina alla segreteria Bersani (addirittura troppo in certi momenti) ma che in queste settimane è rimasta in silenzio o ha mostrato varie aperture qua e là, senza prendere posizioni troppo nette.
In questo quadro così composito, è chiaro che il problema di Bersani è serio: come mai ha lasciato lo spazio perché nascessero tutte queste aree di pensiero così divergenti dalla sua linea?
Da Bersani e dal suo giro si percepisce il vuoto (soprattutto a livello comunicativo) perché se c'era qualcosa di solido e di condiviso, tutte queste aree non sarebbero nate. Nel vuoto, infatti, è più facile inserirsi ed è più facile che ad imporsi sia chi urla di più (come Renzi) o chi è più giovane e quindi interpreta meglio il desiderio di rinnovamento che è emerso con chiarezza dalle ultime tornate elettorali, perché ha un’immagine meno “usurata” e, soprattutto, ha una maggior padronanza del linguaggio dei mezzi di comunicazione moderni (Civati, ad esempio, senza il web non sarebbe mai esistito e adesso rischia di essere uno dei soggetti candidabili al Parlamento esclusivamente in virtù del suo seguito virtuale, indipendentemente dalla consistenza del suo operato politico nel mondo reale e va bene che ci sia perché porta molti voti ma poi una volta eletto che contributo reale potrà dare all’Italia?!).
Al problema dell’incapacità di stare sui media di Bersani (anche la spinta di Crozza si sta ormai esaurendo) e dei componenti dell’attuale gruppo dirigente, con ovvie ripercussioni negative su tutto il fronte della comunicazione del Pd, in queste settimane, però è emerso che c’è anche un problema serio di idee: che linea politica vogliamo dare al Pd? Le linee dei giovani turchi, dei giovani curdi, di Civati-Serracchiani, di MoDem e di Renzi sono profondamente divergenti. Tutte hanno in comune che divergono dalla linea Bersani, ma ciascuno a modo suo. E allora com'è che Bersani ha vinto le primarie per la segreteria del Pd con tutti quei voti se poi la sua idea politica non piace a nessuno neanche nel partito? Ed è evidente che non piace a nessuno dato il proliferare di tutte queste iniziative di giovani e meno giovani, alcune di successo (magari un po’ caricato dai media) e altre meno.
Oggi siamo tutti impegnati a sprecare tempo a dissertare sul dualismo Renzi/Bersani e a schierarci da una parte o dall’altra ma il punto è che questo dualismo non ci porta da nessuna parte perché quello che occorre è sapere fare la sintesi delle posizioni (ad oggi troppo divergenti) e anche cercare di comunicarla bene sui media in modo da non lasciare spazio a dubbi che fanno sorgere iniziative dai toni più o meno accesi che poi ci fanno apparire come lacerati all'interno.
Evidentemente Bersani non è percepito come una figura di sintesi (nonostante lui abbia cercato più volte di conciliare istanze diverse e qualche apertura rispetto ai suoi inizi da segretario l’abbia anche fatta), oppure semplicemente non è in grado di comunicarla con sufficiente forza oppure ancora le aperture fatte fin qui non sono bastate.
Tuttavia, il problema resta.
Dal punto di vista comunicativo Bersani sui media non esiste e, quando parla, spesso sbaglia anche quando esprime concetti giustissimi e condivisibili e, questo, certamente non lo aiuta.
Eppure qui non è solo il solito gioco di indebolire il leader di turno (anche perché il “leader” non c'è, c’è appunto un segretario) ma è che proprio con il segretario non sembra essere più d'accordo nessuno e allora cosa sta lì a fare? Chi rappresenta?
Tutte le divergenze che si sono aperte nelle ultime settimane sembrano tanto posizionamenti precongressuali ma al momento non c’è alcun congresso aperto nel Pd e sarebbe sciocco aprirlo dato che ci potrebbero essere elezioni politiche a breve se il governo in carica non regge.
Però quello che viene messo in discussione da tutte le parti è la linea politica oltre che le persone del gruppo dirigente e questo va un po’ oltre il cercare di far venir fuori delle proposte per l’Italia.
Può essere anche che tutte le divergenze di queste settimane siano semplicemente posizionamenti elettorali per i più “vecchi” del partito, quelli che Renzi vorrebbe rottamare e che, invece, stanno facendo di tutto per alzare la voce e mettersi in luce in modo da guadagnarsi posti di privilegio ma a partecipare alle schermaglie sono anche i giovani (non solo quelli noti come Civati e Serracchiani ma anche quelli veri, della base, dai nomi sconosciuti per le platee mediatiche) che non giocano sui posizionamenti perché non hanno posti da prendere ma vogliono le idee e la politica e allora vuol dire che c'è un problema vero.
Un problema che non si può risolvere con la candidatura di Renzi a premier (che oltretutto si è tirato contro tante antipatie che difficilmente potrebbe ottenere buoni risultati) al posto di Bersani, perché le divergenze di vedute interne resterebbero.
Lo scontro Renzi/Bersani potrebbe aprire la strada ad un’altra figura in grado di mediare tra le due posizioni (e quindi tra i due grandi blocchi del Pd, quello più “a sinistra” e quello più “liberal”), non a caso si è fatto avanti Chiamparino (che smania dalla voglia di rimettersi in pista, alla faccia dei “dinosauri” da mandare in pensione).
Tuttavia, al di là delle candidature a premier o alla prossima segreteria, sarebbe il caso che, nel frattempo, il fronte interno si ricomponesse, anche perché simili schermaglie rappresentate sui giornali non fanno bene al Pd. Male ha fatto Bersani a non partecipare a nessuno degli eventi organizzati da questi gruppi in disaccordo con la sua linea: se la logica era quella di presentare delle idee, lui sarebbe dovuto andare ad ascoltarle (nel caso del Big Bang era sicuramente più difficile dati i toni volutamente contro utilizzati da Renzi); allo stesso modo spiace che tutta questa vivacità che c’è continui a restare lontana dai luoghi ufficiali della vita del partito, quelli in cui si prendono o si dovrebbero prendere le decisioni che contano, come ad esempio le Assemblee nazionali, le direzioni ecc. perché da lì di tutte queste proposte innovative e di queste modalità più friendly non se n’è mai vista neanche l’ombra e la colpa non è certamente solo di Bersani.

martedì 25 ottobre 2011

Non facciamone una questione generazionale

Sui giornali si vede spesso il dibattito interno al Pd ridotto ad una questione di nomi, di leadership e di candidature. Lo scontro sembra sempre infiammarsi tra occupatori di poltrone da una vita e per la vita e rottamatori in cerca di visibilità, con schiacciati nel mezzo altri soggetti che non stanno né da una parte né dall’altra e che faticano farsi spazio perché schiacciati da entrambi.
È un po’ triste che la politica si riduca a questo. È un po’ triste che anziché discutere di idee, di proposte (che pure ci sono, non sempre convergenti ma esistono come ha dimostrato anche l’ultimo evento di Bologna), si finisca sempre e solo a discutere di nomi e di posti.
I posti dovrebbero servire a delle persone per portare avanti delle idee e dei progetti che non devono essere solo quelli di chi li propone ma devono essere condivisi da una parte più larga possibile.
Sulle candidature, alla fine, ci sarà la guerra, come è sempre stato e come sempre sarà.
Personalmente, non mi interessa sapere se qualcuno ha fatto della politica la sua professione o se, invece, fa altro e alla politica si sente solo momentaneamente prestato.
Personalmente, mi interessa che chi fa politica la faccia bene e si occupi seriamente delle problematiche da affrontare nell’interesse dei cittadini.
Mi interessa che vengano candidate persone serie, competenti, capaci e possibilmente per bene. Non credo che il dato anagrafico debba essere determinante; sicuramente serve un certo ricambio ma non credo che sia corretta una “rottamazione” complessiva: le persone vanno giudicate singolarmente per ciò che hanno fatto, per il loro grado di competenza, per l’apporto di valore che sono state in grado di portare e per quello che possono offrire ancora.
E credo, inoltre, che le persone nuove debbano sapere convivere e confrontarsi con chi ha maggiore esperienza e chi ha maggiore esperienza debba essere in grado di accogliere le nuove leve invece di tirare su dei muri: si cresce insieme e nascono buone idee quando ci si confronta giovani con meno giovani e non quando ci si mette aprioristicamente uno contro l'altro. Alle giovani generazioni servono i consigli di chi ha maggiore esperienza; alle generazioni più adulte servono le idee nuove che possono arrivare solo chi è nato dopo. Il confronto è necessario perché è insieme che si possono trovare soluzioni per affrontare le sfide che abbiamo di fronte nel Paese, perché da soli si rischia molto spesso di non vedere i propri limiti e di andare a sbattere contro al muro senza neanche comprenderne il motivo.
È insieme che si costruisce e per tutti, non separati (poi magari certi soggetti potrebbero anche farsi da parte ma non credo si debba fare una questione puramente generazionale).
 

giovedì 13 ottobre 2011

Il Pd metta in campo la politica

Questa sera c'è stata l'assemblea del Pd della Zona 9 di Milano. C'è stata una certa confusione in merito all'interpretazione dell'ordine del giorno (per non dire che ne sono arrivati tre di natura diversa l'uno dall'altro). Ecco il mio intervento:
In un momento come questo, in cui il governo sembra sul punto di cadere e i cittadini non fanno altro che dare segni di insofferenza verso l’operato del governo, ogni giorno di più (lo hanno dimostrato con la tornata delle amministrative, con i referendum di giugno, con i risultati della raccolta di firme per la campagna referendaria per cambiare la legge elettorale e poi con manifestazioni continue); noi abbiamo il dovere di parlare di politica, di presentare le nostre proposte politiche.
Il tema del partito serpeggia al nostro interno da molto tempo e probabilmente si è fatto male a non affrontarlo prima. È giusto non nascondere la polvere sotto il tappeto, è giusto cercare di risolvere i nodi che da troppo tempo ci fanno apparire come divisi ma non è questo il momento di sprecare energie per incastrarci in una discussione che è solo nostra.
Non possiamo chiuderci adesso in una discussione organizzativa autoreferenziale che non interessa ai cittadini che ogni giorno si trovano a pagare il prezzo delle mosse sbagliate di questo governo.
Non possiamo farlo perché altrimenti non verremmo percepiti dai cittadini come l’alternativa. Magari poi ci voterebbero ugualmente pur di liquidare il centrodestra ma potrebbe non bastare.
Oggi c’è bisogno che il Pd si sintonizzi sulle richieste dei cittadini e cerchi dai dare loro delle risposte convincenti.
A mio avviso, due sono le richieste che emergono dai cittadini in questo momento: la prima è cambiare, rinnovare. C’è voglia di novità in questo Paese e il Pd ha il dovere di dare risposte politiche a questa esigenza, se non vuole essere spazzato via dal “vento” delle proteste di chi dice che “sono tutti uguali” e deve cominciare a farlo in fretta perché sembriamo sempre essere in ritardo rispetto agli accadimenti della società.
L’altra domanda che arriva dai cittadini è quella della partecipazione e allora dobbiamo fare vedere di essere aperti, di non avere paura di incontrare le domande dei cittadini, senza però rinunciare a elaborare noi delle proposte nostre.
Tutto questo c’è bisogno di farlo sul piano milanese e sul piano nazionale.
Sul piano cittadino perché, pur amando tutti moltissimo il neo sindaco Pisapia, spesso non riusciamo affatto a comprendere alcune decisioni della sua giunta (come l’aumento del costo dei biglietti del tram e la questione ecopass) e non possiamo rispondere ai cittadini semplicemente che erano previste nel programma o che non ci sono soldi perché la lista delle priorità da realizzare deve essere condivisa con la città e noi dobbiamo essere il tramite tra gli elettori e gli eletti, e non soltanto un comitato di volantinaggio di supporto nelle campagne elettorali.
Ci troviamo in una situazione molto pericolosa per il Paese, la crisi economica e la degenerazione di una parte della politica stanno producendo tensioni sociali fortissime.
Perché tutto non degeneri occorre che ci sia la politica, che la politica sia all’altezza delle situazioni che deve fronteggiare, che sia meno timida nell’affrontare i nodi. Noi, come Pd, dobbiamo inserirci in questo contesto. Il filo che si è spezzato tra cittadini e le istituzioni passa dalla politica e noi dobbiamo stare sui territori con le nostre proposte per cambiare il Paese, che vanno elaborate in fretta e presentate in modo chiaro e credibile, senza tentennamenti.
 

domenica 2 ottobre 2011

L'organizzazione e la politica

Il Pd milanese ha invitato gli iscritti ad essere partecipi del processo di costruzione del partito, attraverso una serie di forum e assemblee che ci guideranno verso la Conferenza sul Partito, individuando alcuni punti di discussione in merito alle questioni organizzative. Oggi il mio circolo ha svolto una bella e partecipata assemblea (in cui, però, ovviamente si è parlato di politica perché è questo il tema che a tutti interessa ora e non certo l'organizzazione) e una parte di ciò che segue è la riflessione che ho portato.

Ammetto che ho appreso con un certo stupore la decisione di affrontare ora la Conferenza sul Partito. È da quando abbiamo chiuso il congresso che in qualche modo il tema del partito serpeggia nelle nostre discussioni senza che ci sia mai stata voglia di affrontarlo davvero, forse per paura del gruppo dirigente di sfasciarsi e sempre con la scusa che il governo Berlusconi poteva cadere da un giorno all’altro. È stato un peccato perdere tutto questo tempo a nascondere la polvere sotto al tappeto, perché di tempo allora ce n’era parecchio, mentre ora sembriamo essere davvero sull’orlo del crollo del governo Berlusconi e, mentre gli italiani aspettano di capire cosa sarà del futuro del loro Paese (con la crisi che incombe, le manovre pesanti che si trovano sulle spalle e le promesse deluse da una classe di affaristi prestati alla politica per farsi gli affari propri), noi ci mettiamo a discutere di come vogliamo fare il partito.
Siamo un po’ surreali. Certo meglio farlo adesso che non farlo del tutto, però ci si poteva pensare prima.
Ci si poteva pensare prima anche a tante cose che abbiamo visto fare in modo un po’ frettoloso dai dirigenti nazionali del Pd negli ultimi tempi, come se aspettassero sempre l’imbeccata dai giornali, come se aspettassero sempre di capire se la gente si era accorta che qualcosa non andava e quindi occorreva agire oppure si poteva temporeggiare ancora un po’ (è accaduto con la questione del voto sulle province, con la storia dei tagli ai costi della politica, con la presentazione di proposte alternative alla manovra sbagliata di questo governo).
In questi giorni osservavo il malumore che c’è in partiti come Lega e Pdl, anche per motivi piuttosto gravi e, quindi, tutto sommato viene da pensare che noi stiamo molto meglio e abbiamo molti motivi per essere contenti. Eppure, nonostante questo è come se ci mancasse quello scatto che ci consente di fare il balzo in avanti che ci serve.
Sembra sempre che il Pd sia ad inseguire, anche quando magari ha delle sue proposte tenute nei cassetti da tempo o presentate quando tutta l’attenzione mediatica è concentrata su altro (si veda ad esempio la presentazione della proposta di riforma fiscale in coincidenza con l’esplosione dell’inchiesta sul caso Ruby).
E questo non è una questione da poco perché il rapporto con gli elettori passa da lì, passa da quello che comunichiamo e da come lo comunichiamo. Purtroppo, troppe volte, noi sembriamo asincroni rispetto agli accadimenti della società.
C’è bisogno di una maggiore reattività del partito di fronte agli accadimenti, una maggiore tempestività e anche una maggiore agilità decisionale nel partito.
Spesso si vedono i dirigenti nazionali ancora un po’ spaesati rispetto a questo clima pesante di antipolitica, dai tratti anche molto brutali e violenti verso la classe politica tutta indistintamente, per cui “tutti sono uguali”. L’impressione è che i nostri dirigenti nazionali siano rimasti prigionieri del “Palazzo” e non si siano bene resi conto di cosa stia accadendo nelle piazze, nonostante abbiano manifestazioni tutti i giorni fuori dalla porta del Palazzo in cui si trovano e questo li porta a dare risposte che, a volte, sembrano un po’ sfasate rispetto alla realtà e ciò aggrava la distanza che c’è tra i cittadini e i politici.
I politici, non la politica. Sembra, infatti, che i politici non riescano a capire perché tutto continui a sfociare nell’anti-politica e faticano a difendersi, anche quando magari hanno ragione. Le nostre idee, le nostre proposte diverse sono emerse poco.
Quello che la classe politica non comprende è che perché tutto non degeneri occorre che ci sia la politica, che la politica sia all’altezza delle situazioni che deve fronteggiare, che sia meno timida nell’affrontare i nodi (come ad esempio quello dei costi delle istituzioni, ma anche delle regole).
L’ultima tornata elettorale delle amministrative ha dimostrato chiaramente che le persone volevano dare una spallata al governo in carica (un’altra legnata l’hanno data con i referendum di giugno e un altro bel segnale hanno voluto mandarlo accorrendo in massa a firmare per il referendum per cambiare la legge elettorale, magari senza ben capire cosa firmavano). Ma l’ultima tornata elettorale ha anche dimostrato che c’è una grande voglia di cambiamento e di novità.
Noi dobbiamo farci interpreti di questa voglia di cambiamento e di novità che attraversa il Paese, perché altrimenti questo vento di rinnovamento finirà per travolgerci insieme al resto. Tutti i sondaggi ci danno in vantaggio probabilmente perché i cittadini hanno percepito che il Pd è l’unico partito grande e, quindi, in grado di poter mettere alla porta Berlusconi e, in qualche modo, garantire una certa stabilità di governo che gli altri non riescono a dare. Ma noi dobbiamo essere pronti a questo, non possiamo rischiare di deludere di nuovo gli elettori che vorranno darci fiducia e, soprattutto, dobbiamo saper far breccia in un elettorato nuovo rispetto ai soliti nostri affezionati perché dobbiamo garantirci un voto che non sia solo per l’oggi ma anche per il futuro.
E allora dobbiamo fare attenzione a come ci rapportiamo agli elettori e a quali messaggi mandiamo loro.
I dirigenti politici comunicano tutti i giorni con i loro elettori attraverso i giornali, le tv, la rete ma anche attraverso i loro atti in Parlamento. Il rapporto con i cittadini sta qui.
Io sento spesso i dirigenti del Pd parlare di “ricostruzione” e di scenari apocalittici che, purtroppo, certamente sono reali ma le parole sono importanti e noi dobbiamo fare attenzione a quelle che utilizziamo per comunicare.
Siamo sicuri che i cittadini italiani vogliano sentir parlare di “ricostruzione”? Siamo sicuri che vogliano “ricostruire” ciò che c’era?
A me pare che vogliano “cambiare”, “innovare”, “rinnovare”, seppure in un quadro di regole, etica, valori che il governo Berlusconi ha calpestato, ma non vogliono affatto a tornare a prima. Questo lo dico anche pensando alle generazioni più giovani, cresciute negli anni del berlusconismo e dei “disvalori” portati avanti da quel modello fatti di egoismo, furbizia, velinismo, ricchezza e successo come chiavi per aprire tutte le porte. Queste generazioni non sanno cosa c’era prima e non possono volerlo ma si può proporre loro qualcosa di diverso da questo.
Il nostro “ricostruire”, invece, a volte ci fa apparire un po’ “pesanti”: sembra che quello che offriamo per il futuro sia una sorta di “restaurazione” con qualche correzione.
Questo non va bene.
C’è voglia di novità e noi siamo percepiti come il “vecchio” anche nel linguaggio che utilizziamo.
Il Pd era nato per “innovare” e allora dobbiamo farci percepire come innovativi, che non vuol dire assolutamente buttare via tutto il patrimonio di regole e di valori (che anzi dobbiamo difendere con maggior forza e chiarezza di quanto non abbiamo fatto) e non vuol dire neanche spingersi verso destra o verso derive liberiste che sono quelle hanno causato la crisi in cui ci troviamo (senza contare che se siamo la copia sbiadita della destra gli elettori non ci votano, scelgono l’originale). Questo vuol dire, però, che dobbiamo essere in grado di metterci in sintonia con le richieste dei cittadini, ascoltare la domanda di cambiamento e presentare proposte in grado di soddisfarli ma che, allo stesso tempo, rimettano al centro delle nostre politiche i valori tipicamente del centrosinistra, quali la solidarietà, l’accoglienza, la tutela del bene pubblico in quanto bene comune, la tutela dei diritti, l’etica nell’amministrazione della cosa pubblica e anche nei comportamenti degli uomini pubblici (che dovrebbero essere i nostri rappresentanti nelle istituzioni e non “uomini di potere”), la libertà dei mezzi di informazione, la tutela dei ceti più deboli senza che a pagarne le spese sia solo il ceto medio, la cultura, l’istruzione…
Questo lo dobbiamo fare in fretta perché solo così gli elettori potranno percepirci in modo chiaro e scegliere se stare dalla nostra parte o no.

martedì 20 settembre 2011

Diciannove sere di Festa Democratica

Diciannove sere di Festa Democratica. Diciannove sere di musica, incontri, chiacchierate dentro e fuori dagli stand, amici che ci sono venuti a trovare e persone incontrate per caso con cui abbiamo scambiato opinioni, impressioni e a cui abbiamo lasciato un po’ di materiale informativo.
Tanti gli ospiti importanti che hanno preso parte ai dibattiti, dagli esponenti del Pd come Enrico Letta, Patrizia Toia, Marina Sereni, Giuseppe Fioroni, Paolo Gentiloni, Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani, Piero Fassino (recuperato in un intervento durante l’assemblea degli amministratori), poi altri uomini della politica come Bruno Tabacci e Giuliano Pisapia e poi ancora Livia Pomodoro, Armando Spataro, Nando Dalla Chiesa, Susanna Camusso. Tante anche le serate andate a buca, come quella con Rosy Bindi (fuggita al congresso episcopale di Ancona dopo la chiusura della Festa Pd di Pesaro, disertando Milano), Walter Veltroni (ufficialmente negli Stati Uniti, ufficiosamente non si sa), Piero Fassino (recuperato il giorno seguente in tutt’altro contesto ma purtroppo la sua assenza non ha fermato la sfilata dei ragazzi dei centri sociali travestiti da No-Tav che hanno attraversato la festa e lanciato un paio di fumogeni nello spazio dibattiti) e Dario Franceschini (a cui comunque era stata riservata una collocazione davvero infelice, nel primo pomeriggio dell’ultimo giorno di festa, quando notoriamente si fanno gli scatoloni): buchi troppo importanti per passare inosservati dalle tante persone che erano arrivate appositamente alla Festa per ascoltarli e che non l’hanno presa bene perché è vero che gli impegni e gli imprevisti possono sempre capitare a persone che svolgono una funzione così importante ma è anche vero che così tante assenze di peso e tutte di seguito lasciano pensare male e spiace vedere che una città importante come Milano (che oltretutto, quest’anno, anche grazie all’impegno del Pd, ha vinto le elezioni comunali con Giuliano Pisapia) sia stata lasciata scoperta come se fosse una provincia di serie B e come se i volontari agli stand che hanno lavorato alla Festa e il pubblico presente non meritassero nemmeno una visita. Visite che, invece, il sindaco Pisapia ha fatto per due volte (trovando sempre un vastissimo pubblico ad accoglierlo e ascoltarlo), arrivando con la metropolitana e fermandosi poi, un po’ intimidito, a salutare i volontari agli stand. Pisapia è intervenuto alla Festa Democratica per parlare di Milano, ovviamente, ma è poi ritornato per partecipare anche ad un incontro dedicato al problema delle carceri, della giustizia e delle forze dell’ordine.
Alle forze dell’ordine è stata anche dedicata una serata, in cui hanno parlato Emanuele Fiano, Marco Minniti ma anche Gabriele Ghezzi (esponente del sindacato della polizia e anche consigliere comunale a Milano).
Alla Festa Democratica, infatti, hanno trovato ospitalità diversi incontri dedicati a problematiche specifiche e a settori ben definiti della città, come quello sulle case popolari con l’assessore Lucia Castellano, il consigliere regionale Franco Mirabelli, la capogruppo Pd al Comune Carmela Rozza e esponenti dei sindacati e degli inquilini; ma anche il dibattito sulla mobilità urbana e metropolitana che ha visto la partecipazione dell’assessore Pierfrancesco Maran, o ancora quello sul “land grabbing” (la “rapina delle terre”) con esponenti del mondo dell’associazionismo e delle ONG impegnate in missioni in Africa… Tutti incontri molto partecipati, anche se, per lo più da persone interessate direttamente da quelle problematiche e dai cosiddetti “addetti ai lavori”. Tantissimi anche gli incontri che hanno avuto come protagoniste e come oggetto di discussione le donne, con particolare interesse riscosso da Susanna Camusso per il suo acceso intervento in difesa dei diritti delle lavoratrici.
Di maggior richiamo per tutti, in ogni caso, sono stati ovviamente i dibattiti con protagonisti i principali personaggi della politica nazionale ma anche quelli dedicati al tema della mafia e della legalità, questi ultimi, in particolare, hanno avuto un pubblico più largo rispetto a quello degli elettori del Pd e, non era difficile, incontrare in sala molti simpatizzanti dell’Idv. Così come un pubblico ampio è stato raccolto nella serata in cui si è discusso dei costi della politica dove, tra gli ospiti, ad intervenire c’è stato anche Bruno Tabacci, sempre molto diretto e abile nello strappare applausi. E poi, nel corso delle serate, non era difficile incontrare elettori di Rifondazione o Sinistra Ecologia e Libertà, ma in questo caso più interessati agli aspetti della “festa” (quindi ristoranti e bancarelle) che non ai dibattiti in programma.
Tra gli interventi da ricordare ci sono stati quelli di Enrico Letta che ha raccontato di quando Alemanno ha varcato la soglia della sede del Pd per partecipare all’incontro aperto agli amministratori locali, chiedendo aiuto contro i tagli messi in pratica dalla manovra del governo; o di Patrizia Toia che ha denunciato lo stupore e lo sconcerto che il premier Berlusconi suscita in Europa per i suoi comportamenti; e poi Massimo D’Alema che ha affermato che “se la legge elettorale rimane quella vigente, il Pd avrà la necessità di far scegliere ai cittadini chi candidare al Parlamento con le primarie”; o ancora molto piacevole il dibattito sulla necessità del pluralismo dell’informazione (sebbene poco partecipato) con Gentiloni che, nonostante la serietà degli argomenti, ha visto una discussione molto serena e un po’ “da salotto”; così come di grande rilievo e interesse è stato l’incontro (purtroppo semideserto perché in concomitanza con D’Alema) sul tema delle intercettazioni e della proposta della cosiddetta “legge-bavaglio”.
Molto interessanti, a dire il vero, erano anche gli incontri con personalità meno conosciute ma indubbiamente molto preparate, come quello dedicato alle amministrazioni del Pd del Nord, in cui hanno preso la parola, tra gli altri, Roberto Reggi (sindaco di Piacenza) e Roberto Cornelli (nella veste di sindaco di Cormano); oppure l’incontro di commemorazione dell’11 settembre che si è poi incentrato sulle tematiche della sicurezza e della politica estera con interventi di Stefano Menichini e Furio Colombo e il “giovane” Andrea Orlando.
E proprio su questi “giovani” del Pd, che in realtà non sono giovani in senso stretto ma lo sono sicuramente molto di più della generazione di Bersani e D’Alema, c’è da riflettere perché spesso si fanno portatori di discorsi fumosi, complessi, controversi che, indipendentemente dall’essere d’accordo o meno con quanto dicono, quello che emerge è la loro paura di mostrarsi a confronto con i dirigenti di altre generazioni e l’impressione che si impegnino a fare uno sfoggio eccessivo di un linguaggio complesso per il semplice motivo che sentono la necessità di mostrarsi all’altezza della situazione e di far sapere che sono adeguatamente preparati. Il risultato, purtroppo, è spesso controproducente perché, pur facendo vedere che davvero si sono impegnati e preparati, in realtà le persone che ascoltano non riescono a comprendere il senso dei concetti che esprimono e quale sia la tesi che alla fine vogliono dimostrare ed è un peccato perché in questo modo finiscono per marginalizzarsi anziché emergere, come invece ci sarebbe bisogno.
Il pubblico della Festa, oltretutto, quest’anno è stato particolarmente critico e surriscaldato: l’atmosfera è stata indubbiamente diversa dagli anni passati, la crisi economica ha pesato e si è avvertita nei portafogli delle persone (sempre meno disposte a spendere) ma anche negli umori (più cupi e che portavano spesso a reazioni più incattivite e più critiche nei confronti di ogni cosa, anche le più banali).
Altro dato da notare di quest’anno è che le persone non sono più interessate a leggere: gli scorsi anni i giornali Europa e L’Unità, distribuiti gratuitamente in ogni spazio della Festa, andavano a ruba perché, indipendentemente dall’orientamento che esprimevano, c’era almeno la curiosità di sfogliarli; mentre ora, per lo più, restavano lì senza che nessuno mostrasse il minimo interesse a prenderli. L’impressione è che dopo gli eccessi dell’informazione falsata e addomesticata (operata per lo più dalla televisione), le persone siano diventate diffidenti e, in qualche caso anche indifferenti a ciò che scrivono i giornali e questo è un problema perché è vero che oggi esistono altre fonti per informarsi, come ad esempio la rete, ma è indice anche del fatto che viene meno il ruolo di mediazione che è proprio della professione giornalistica e che dovrebbe garantire che a diffondersi siano solo informazioni attendibili. Con le notizie che scavalcano i giornalisti e, soprattutto con una parte di giornalisti che si sottomettono ai poteri forti di turno facendo perdere credibilità all’intera categoria (in cui operano anche professionisti seri), in realtà non si ottiene la libertà dell’informazione ma solo il rischio che a trionfare siano quelle notizie (vere o false che siano) confezionate meglio da mani esperte dei mezzi di comunicazione e diffuse in modo più ampio sui media disponibili, lasciando il cittadino in balia di propagande contrapposte.
Se i giornali non venivano guardati, grandissime richieste, invece, c’erano per il firmare per il referendum per cambiare la legge elettorale: il banchetto è stato letteralmente preso d’assalto ogni sera e i moduli sono sempre finiti molto rapidamente. Segno che le persone, più che mostrare attenzione al fatto che stavano firmando in favore del sistema elettorale maggioritario ma con il ripristino della legge elettorale Mattarellum che prevede i collegi uninominali, si sono semplicemente limitate a recepire che si firmava “contro il Porcellum che prevede liste bloccate e parlamentari nominati dai capi e fedeli ad essi anziché ai cittadini” e hanno percepito anche questo nuovo referendum come un modo per dare un altro segnale al governo in carica dopo la “legnata” che avevano già voluto dare con le elezioni amministrative e con i referendum di giugno. Una sera, a raccogliere le firme, è stato presente al banchetto anche Arturo Parisi.
Complessivamente sono state diciannove serate intense, di gente, musica, piadine e patatine fritte, pioggia che rovinava i week end, giovani che la notte animavano lo Stand Up, bagni rotti, dopofesta al pianobar, ospiti attesi e mai arrivati e ospiti non voluti e invece presentissimi, illusioni di stare a dieta al ristorante tibetano, bandiere che non si attaccavano alle pareti dello stand e ganci troppo alti per riuscire a chiuderli, materiali da distribuire, programmi (completamente sfasati) da recuperare, persone da incontrare e altre da evitare accuratamente… Difficile dire come le persone che sono venute alla Festa ci abbiano percepiti ma noi ci siamo divertiti.
p.s.: Il mio ricordo più bello della festa è, senza dubbio, l’incontro con il sindaco Giuliano Pisapia. Dopo una campagna elettorale straordinaria, rivederlo da sindaco e scoprire che è sempre la stessa persona normale, un po’ timido e discreto, è come vedere un sogno che si materializza.

Video “Quanto ci costa davvero la politica” con interventi di Franco Mirabelli, Marina Sereni, Bruno Tabacci, Erminio Quartiani 
Video “30 anni dalla riforma della polizia” con interventi di Emanuele Fiano, Gabriele Ghezzi, Marco Minniti 
Video dell'incontro dedicato agli anni di piombo con interventi di Luigi Zanda e Armando Spataro 

 
Alcune foto della Festa Democratica di Milano
Festa Democratica di Milano - settembre 2011

domenica 28 agosto 2011

La base Pd a Milano tra sgomento e paura

C’è sgomento tra la base del Pd a Milano per l’evolversi della vicenda di Penati.
C’è sgomento nel leggere gli articoli dei giornali che descrivono uno scenario ormai pesante.
C’è anche molta amarezza e incredulità, in particolare, per gli aderenti più anziani del Pd e per quelli che a Penati ci hanno sempre creduto e lo hanno sempre apprezzato e considerato un valido punto di riferimento. Sì, perché, al di là degli ultimi risultati elettorali, Penati era uno che il consenso e la simpatia della gente ce l’aveva e adesso quella gente si perde tra le pagine dei giornali e, disorientata, attende con ansia di sapere quale conclusione avrà questa storia, così lontana dal loro modo di concepire la politica (fatta di passione e rigore etico dei rappresentanti della classe dirigente).
A riassumere bene il pensiero dei milanesi in merito è Emanuele Fiano che ha commentato: «Le vicende che riguardano il caso Penati sono gravi a prescindere dagli esiti processuali che la vicenda giudiziaria avrà. Ci sono questioni che riguardano il comportamento dei politici che vengono prima delle sentenze dei giudici e che richiamano l’etica delle responsabilità di ciascuno di noi».
Penati si è autosospeso dal Partito Democratico e ha lasciato l’incarico di vicepresidente del Consiglio Regionale della Lombardia.
Qualcuno è soddisfatto, altri chiedono di più (le dimissioni da consigliere regionale e la rinuncia alla prescrizione, ammesso che sia realmente possibile, perché detta così sembra più una sparata demagogica). I passi indietro di Penati, tuttavia, sono un segnale importante, in questo tempo in cui molti esponenti politici, invece, fanno di tutto per restare attaccati alle loro poltrone.
Da fuori Milano, la base del Pd vede la vicenda semplicemente con rabbia.
Nettissime in questo senso sono state le parole di Enrico Rossi, Presidente della Toscana, che ha commentato: «Fa rabbia e pena leggere di Penati. Farebbe meglio a stare zitto e a rispondere solo nei tribunali».
Come Rossi la pensano anche molti iscritti al Pd che, in questi giorni, guardano a Milano con rabbia e indignazione perché vedono questa vicenda come una macchia terribile che non ci voleva.
Il Pd, comunque, è compatto sul fatto che questo caso debba essere risolto: Penati ha fatto bene a compiere passi indietro e adesso deve anche chiarire assolutamente la sua posizione davanti agli inquirenti.
Solo che a volte vengono utilizzate parole diverse per esprimere questo concetto, a seconda degli interessi che si vogliono perseguire.
Già perché è ben evidente che questa vicenda rischia di avere ripercussioni notevoli all’interno del Partito Democratico milanese e dei suoi fragilissimi equilibri, perché qualcuno potrebbe avere interessi a utilizzarla per “rottamare” un pezzo di classe dirigente legata ai partiti precedenti al Pd per far largo al “nuovo” che fino adesso ha arrancato in modo molto faticoso e con risultati davvero poco esaltanti. Ma interessi altrettanto forti ci sono da parte della componente Margherita che tutto è tranne che “nuova” - fino ad ora rimasta in silenzio ma che, probabilmente, attende il momento migliore per azzannare la sua vittima - e che ha sempre il terrore di vedersi schiacciata dalla presenza ex-diessina.
Ecco allora che c’è un altro sentimento che si agita nella base del Pd milanese ed è la paura.
La paura che stia per succedere un terremoto.
La paura che anche solo una minima parte di quanto riportato dai giornali di questi giorni possa essere vero e possa essere utilizzato da una parte contro l’altra per rimettersi a litigare e distruggere tutto quanto costruito faticosamente fino ad ora.
E poi una paura profonda per quei soldi che gli accusatori di Penati dicono di avergli dato. Per chi? Per lui? Per il Partito? Dove sono i soldi? Chi li ha avuti?
Il gruppo dirigente legato a quel periodo ha da tempo messo le mani avanti e si è affrettato a dire che di finanziamenti illeciti il Pd attuale e i Ds di allora non ne hanno mai ricevuti e che i bilanci sono tutti trasparenti e certificati.
Ma il terrore profondo per quel rischiare di essere macchiati di sporco si agita fortemente nei pensieri inquieti della base. Un pensiero antico, che richiama alla mente le vicende di tangentopoli che travolsero tutti tranne la sinistra, che forse per questo si illuse di essere “diversa”. E adesso, invece, cos’è quel “sistema” di cui parlano i giornali? Quel “sistema” che i “nuovi” accusano di essere il modo di fare politica del “passato” e che va “rottamato” insieme ai suoi rappresentanti.
L’ombra, insomma, che un “sistema” esista o sia esistito fa tremare i militanti che, nel partito, ci hanno messo la passione, l’anima, l’impegno e non vogliono che un’accusa così grave si tramuti in realtà perché loro con quel “sistema” non c’entrano e quella macchia non se la meritano e non la vogliono.
I giornali della destra hanno provato ad alzare la posta e mirare al Segretario, ma è evidente a tutti che Bersani con tutto questo non ha nulla a che fare.
Il popolo del Pd, invece, si domanda semplicemente se la vicenda di Penati sia solo un caso isolato o possa riguardare anche altri? Chi finirà coinvolto in questo caso? Solo Penati e i suoi stretti collaboratori o anche altri rischiano di finirne travolti? È questo il dubbio che si agita nella mente di una base Pd delusa, amareggiata, sgomenta ma disincantata. Ed è questo che si agita come uno spettro dentro le componenti che ora si guardano silenziosamente con sospetto.
Così, mentre il gruppo dirigente si prepara ad una possibile resa dei conti, la base attende attonita e spera che tutto o almeno gran parte dell’impianto accusatorio verso Penati venga dimostrato falso.
 

lunedì 18 luglio 2011

Incattiviti dai privilegi della casta

Michele Brambilla - La Stampa (pdf)

Due fatti curiosi hanno dominato - in mancanza di meglio - il dibattito politico domenicale.
Il primo è, anzi sono, le rivelazioni che un anonimo ex dipendente di Montecitorio ha pubblicato su Facebook. Per vendicarsi del licenziamento dopo quindici anni di contratti da precario, ha messo in piazza, ossia in rete, le furbate, gli imbroglietti, i trucchi meschini con cui i parlamentari si arrotondano lo stipendio, aggirano le code, gratificano gli amici e le amiche e così via.
Il secondo è l’eco dell’intervista che il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha concesso al Tg3 sabato sera, quando ha parlato di sacrifici e di necessità - da parte della politica - di dare «un segnale forte». Parole sacrosante, ma rese un po’ meno sacrosante dall’essere state pronunciate in diretta da Porto Cervo, dove l’abbronzatissimo governatore si mostrava agli italiani (freschi della legnata della manovra) attorniato da una piccola flotta di yacht. Vedendolo così, la giornalista che l’intervistava non ha potuto trattenersi dal salutarlo con un «buone vacanze».
Chiariamo subito che la demagogia non ci piace. Un politico ha il diritto di andare in vacanza. Quanto alle rivelazioni su Facebook, si potrebbe dire che la parola di un anonimo vale quello che vale, cioè zero (e infatti c’è già chi ipotizza che si tratti di una bufala); e che in quei piccoli espedienti - dall’uso della raccomandazione ad altre furbizie siamo maestri noi tutti, e non solo i politici.
Ma la vera notizia non sta né nelle vacanze di Formigoni né nello scempio denunciato dal precario licenziato. La vera notizia sta nella reazione che i due episodi hanno scatenato. L’anonimo di Facebook ha raggiunto in poche ore più di centomila «fan»; e, sempre sulla rete, s’è scaricato subito un diluvio di critiche, quando non di insulti, nei confronti del governatore che da Porto Cervo chiede sobrietà ai politici.
E’ il segno di un’insofferenza, quando non di un rancore, crescente. Gli italiani percepiscono sempre più i politici come - per usare la solita logora parola - una «casta» che si fa gli affari suoi, e che se li fa con impunità e senza vergogna. Ci sono certamente esagerazioni, in tanta rabbia che monta; così come ce ne sono sempre quando si generalizza. Tuttavia è impressionante vedere come i politici non sappiano comunicare altra immagine di sé. La discussione di questi giorni sull’autorizzazione all’arresto di Papa ne è un esempio, con Bossi che fiuta l’aria e dice sì all’arresto, salvo poi innescare la solita retromarcia. E ancora: il mancato taglio ai propri compensi e privilegi durante la manovra - denunciato anche dai giornali filogovernativi - è un altro pessimo segnale di distacco da quel che cova nel Paese.
Sono storie vecchie, già lette e sentite da anni. Non a caso, ogni volta che dobbiamo citare qualche esempio di politico specchiato e gentiluomo, ci tocca aprire i libri di storia: Einaudi, Nenni, De Gasperi. Il più vicino ai nostri giorni è Pertini, che era nato non uno ma due secoli fa.
Però questa volta fa specie un particolare. Questa classe politica che oggi la gente percepisce come una «casta» da mandare a casa al più presto, non è altro che l’espressione di quella «antipolitica» che al tempo di Mani Pulite aveva spazzato via un’altra casta: quella dei partiti. Si disse che finalmente nel Palazzo sarebbero entrati uomini e donne che venivano non da intrallazzi di corrente, ma da aziende, uffici, insomma dal mondo del lavoro. Gente concreta, che conosceva i problemi di tutti i giorni. Di uomini e donne di questo tipo era formata la prima leva di partiti come Forza Italia e la Lega, vale a dire l’ossatura dell’attuale governo.
Ora ci tocca rivedere contro questa nuova classe politica la stessa furia che abbatté la vecchia. Rispetto ad allora, non volano più le monetine solo perché nel frattempo hanno inventato il web. Ma c’è poco da stare tranquilli perché, sempre rispetto ad allora, c’è anche una crisi economica che ha aumentato, e non di poco, la disparità tra i vertici e la base. Siamo a un nuovo redde rationem? Chissà. Certo è che sono passati vent’anni da quando i politici di oggi sostituirono, quasi per acclamazione, quelli della Prima Repubblica. E vent’anni sono più o meno il periodo che di solito occorre agli italiani per cambiare idea e passare da piazza Venezia a piazzale Loreto.

domenica 17 luglio 2011

Incontri Riformisti 2011

Sono state tre giornate intense quelle trascorse in Val Masino. Dense di riflessioni politiche che hanno toccato i temi più importanti dell’attualità come la questione dell’abolizione delle province, la riforma della legge elettorale, il ruolo dei cattolici in politica, il federalismo fiscale, il welfare, le riforme costituzionali, ma anche momenti di analisi come quelle relativi all’esito dell’ultima tornata elettorale e del ciclo politico del berlusconismo, fino ad alzare lo sguardo alla politica estera e ai Paesi emergenti nello scenario mondiale.
Tre giornate che hanno visto alternarsi al tavolo dei relatori illustri esponenti della politica, ma anche dell’università, dei sindacati e dell’associazionismo e che, con i loro interventi, hanno contribuito a tenere alto il livello delle discussioni e ad arricchire in modo approfondito riflessioni inerenti tematiche che spesso si vedono accennate sui quotidiani.
 

L’appuntamento in Val Masino è ormai una consuetudine estiva che, quest’anno, ha visto un’enorme partecipazione da parte di persone arrivate da ogni parte d’Italia (sebbene la prevalenza sia sempre dei lombardi), con famiglie giunte addirittura dalla Puglia e dalla Svizzera. Il target di queste giornate vede una prevalenza di persone di età medio-alta, ma quest’anno erano molti anche i partecipanti più giovani, qualcuno con bambini al seguito. E, a proposito di bambini, non se n’è potuto non notare uno piccolissimo che, nella serata dedicata ai canti, ci ha intonato l’Inno di Mameli e, il giorno seguente, mentre la mamma insisteva per portarlo in camera a riposare ha risposto: «no, voglio andare a sentire il convegno».
I pranzi e le cene sono da sempre i momenti migliori per fare il punto su quanto ascoltato nella sala delle conferenze e scambiarsi le opinioni sui vari relatori o confrontarsi sulle proprie posizioni politiche.
Molti dei presenti erano gli stessi delle precedenti edizioni ma il clima, quest’anno, era profondamente cambiato rispetto a prima. La vittoria elettorale del centrosinistra e il buon risultato portato a casa dal Partito Democratico, infatti, non sono stati sufficienti a tenere calmi gli animi e tra le persone meno coinvolte nelle dinamiche di partito si percepiva in modo forte e netta la richiesta di un cambiamento e anche una profonda spinta verso le critiche per le mosse sbagliate. Segno che l’antipolitica è penetrata anche tra le persone più interessate alle discussioni di alto livello e anche tra gli anziani, di solito più portati a “chiudere un occhio” sui comportamenti politici proprio in virtù della loro lunga esperienza.
In linea generale, le critiche più dure e meno proposte di soluzione nei confronti del Partito Democratico sono giunte anche dai professori invitati a intervenire. Non a caso, il più apprezzato dal pubblico è stato l’intervento di Padre Sorge, il quale, al di là delle sue indiscutibili capacità oratorie e della passione che ha messo nella sua esposizione, pur non risparmiando critiche, ha saputo volgere il tutto in modo molto positivo e propositivo, offendo anche soluzioni e strade da percorrere al fine di migliorare.
Tra i partecipanti non sono mancati i momenti di relax, nel parco dell’hotel che ospitava il convegno o nella piscina termale (per quelli che si sono azzardati a portare il costume), e anche momenti di ilarità come la serata dedicata ai canti a cui hanno partecipato persone comuni ma anche importanti esponenti della politica nazionale e locale.
Altra ilarità l’ha suscitata qualche buffa disavventura come quella capitata all’autista di Enrico Letta - arrivato nella notte - e rimasto senza posto in hotel e rimandato al paesino sotto ai Bagni, dove però non era atteso e ha dovuto aspettare non poco che i proprietari dell’hotel (non abituati a tanto movimento notturno) si svegliassero per aprirgli la porta.
Gli Incontri Riformisti, infatti, hanno la capacità di coinvolgere un po’ tutta la zona intorno ai Bagni di Val Masino, normalmente affollata di turisti interessati alle passeggiate in montagna o al relax termale e di mobilitare un po’ tutti gli alberghi del luogo dato l’alto affollamento di partecipanti che non riesce ad essere contenuto nella sola struttura che ospita il convegno. Quest’anno poi, dato l’elevato numero di ospiti noti, le conferenze in programma hanno suscitato non poco interesse anche tra persone non necessariamente legate alla politica. Più difficile, invece, è risultato il coinvolgimento dei giornalisti e dei mezzi di comunicazione data la scarsità di collegamenti disponibili nella zona: nell’area del convegno internet funziona solo in alcuni punti, non vanno i cellulari e, anche la raggiungibilità fisica del luogo non è semplicissima, così che per chi ha necessità di trasmettere i pezzi in redazione in modo rapido non è certamente ottimale.
Nel complesso si è trattato comunque tre giornate molto dense di spunti di riflessione, importanti occasioni di confronto con ospiti eccellenti e ottimi momenti di dialogo anche tra persone comuni e di provenienza diversa che gravitano attorno alla stessa area politica.
 
Incontri Riformisti - Val Masino 2011

domenica 26 giugno 2011

Il Pci, Milano e l'Europa

Tanta gente ieri pomeriggio a visitare la mostra “Avanti popolo. Il PCI nella storia d’Italia”, dedicata al Partito Comunista, nella nuovissima Triennale Bovisa di Milano. Un allestimento moderno e particolare, tutto giocato sui monitor da cui è possibile vedere scorrere le fotografie o i filmati della storia del partito di Berlinguer, ma anche tessere, volantini, vignette…
“Il PCI, Milano e l’Europa” era il tema affrontato dal convegno che si è tenuto all’interno della mostra nel corso del pomeriggio e che ha visto la partecipazione di Bruno Marasà, Gianni Cervetti, Patrizia Toia ed Antonio Panzeri.
Marasà ha aperto la discussione facendo una sorta di excursus storico sul Partito Comunista in Italia, concentrandosi, in particolare, sulla sua fase di apertura verso l’Europa e verso il mondo, a partire dalla metà dagli anni 1975/1976 con Berlinguer ma anche con l’arrivo (da indipendente) di Altiero Spinelli.
La storia del Partito Comunista Italiano è stata oggetto anche dell’intervento di Gianni Cervetti, il quale, però, ha precisato che l’europeismo e l’interesse all’internazionalismo sono state scoperte tardive perché il PCI inizialmente era interessato alla nazione e la svolta – a suo avviso – avvenne tra il 1964-1968. Cervetti ha cercato di ripercorrere la storia del PCI in relazione all’Europa, arricchendo la discussione con aneddoti, racconti di incontri con uomini politici dell’epoca e del suo lavoro all’interno del partito.
Antonio Panzeri è partito da tre concetti: 1) Per arrivare alla fase dell’Europa in cui ci troviamo è perché ci si è creduto e si è compiuto un percorso che ha portato a questo e che, sostanzialmente, implica da parte degli Stati la cessione di un po’ della loro sovranità nazionale in favore di una visione comunitaria; 2) Gli effetti della globalizzazione hanno reso evidente la necessità di avere organismi di discussione più grandi che non i singoli Stati e su questo è venuta utile l’Europa; 3) Occorre costruire l’identità dell’Europa anche dal punto di vista politico e del saper formare cittadini europei.
Secondo Panzeri, il processo di avvicinamento all’Europa da parte del PCI è avvenuto in diverse fasi ma, con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e il passaggio da PCI a PDS, alla sinistra italiana è mancato il confronto vero con la sinistra europea e i partiti socialdemocratici. Oggi, ha detto Panzeri, «siamo in una posizione molto più felice rispetto a loro ma c’è l’esigenza di fare un salto di qualità da parte delle forze progressiste europee per far fronte comune ai grandi cambiamenti che la realtà attuale ci impone di affrontare».
Panzeri ha ricordato la lentezza del Partito Comunista ad aprirsi alle questioni europee, precisando però che in gran parte era dovuta anche al fatto che l’Europa, allora, era divisa in due blocchi e c’era la “guerra fredda”, mentre oggi si può dire che «la scelta europeista è irreversibile».
Panzeri, in chiusura, ha anche segnalato che «è vero che i comunisti sono stati molto critici verso l’Europa ma quando si sono trovati a ricoprire cariche all’interno delle istituzioni europee sono stati quelli che hanno lavorato con maggior spirito europeistico».
Patrizia Toia, invece, ha sottolineato che nell’Europa c’è tutto il nostro passato e oggi può diventare un nuovo scenario, per questo occorrono nuove risposte e il Partito Democratico si colloca in questa esigenza.
Patrizia Toia ha concentrato il suo intervento per ricordare la scelta europeista di De Gasperi (il quale ha creduto personalmente e con convinzione a questa ide, non soltanto perché in quell’ottica era orientata la cultura politica della DC). «De Gasperi aveva una visione di adesione internazionalista e regionalista all’Europa; per lui non si trattativa soltanto di aderire alla Nato per ragioni di difesa ma perché lì si è creato il primo nucleo per realizzare poi anche un’entità politica», ha affermato Patrizia Toia.
«L’Europa è anche una comunità di valori e chi vi aderisce deve aderire anche ai suoi valori di fondo», ha evidenziato la deputata europea, ricordando anche il ruolo avuto dal nostro Paese proprio nella costruzione dell’Unione Europea e rammaricandosi per il comportamento attuale così poco europeista da parte di alcuni esponenti italiani.
Patrizia Toia ha poi raccontato del ruolo del Pd in Europa e della collocazione del partito all’interno dell’alleanza progressista dei Socialisti e Democratici: «Noi come Pd abbiamo fatto un grosso passaggio con l’intento di essere utili al Paese ma siamo anche aperti alle nuove sfide europee e mondiali», ha detto l’europarlamentare, affermando che anche il segretario Bersani è intenzionato a rimettere l’Europa al centro delle tematiche politiche nazionali.
In merito alla collocazione del Pd, Patrizia Toia ha affermato che sicuramente è possibile fare di più dentro le istituzioni europee, si lavora bene nelle commissioni ma occorre che il Partito Democratico faccia più politica all’interno del proprio gruppo. La discussione in merito al partito unico europeo, secondo Patrizia Toia, è difficile e prematura, in quanto i partiti europei sono sempre un po’ la somma di quelli nazionali dentro ad organismi internazionali e il Partito Democratico ha saputo far aprire una fase nuova anche a quello che una volta era il PSE e, di conseguenza, a tutto il Parlamento Europeo.
La discussione portata dal Pd ai partiti socialdemocratici, ha ricordato Toia, che non è sempre stata compresa da subito, mentre «adesso che cominciano ad arrivare le vittorie elettorali nostre e continuano a ricevere sconfitte i partiti socialdemocratici, cominciano a capirci un po’ di più».
«Oggi – ha concluso Patrizia Toia - si può fare un partito europeo discutendo dei temi che ci accomunano e che sono quelli che rappresentano la nostra idea di Europa, basata cioè su pace e prosperità, difesa dello sviluppo “egualitario” o “inclusivo”, i diritti, la sostenibilità, education, crescita…».

martedì 21 giugno 2011

Le politiche dell’Unione Europea sull’immigrazione

Un interessante convegno dedicato alle politiche dell’Unione Europea sull’immigrazione si è svolto ieri pomeriggio alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano, a cui hanno partecipato i rappresentanti della politica e delle istituzioni.
Matteo Fornara, direttore della Rappresentanza a Milano della Commissione Europea, ha aperto l'incontro, tracciando un quadro generale delle politiche europee in materia di immigrazione, contestualizzandole nello scenario in cui l’Unione si muove, ovvero la crisi economica e la conseguente scarsità di risorse ma anche il ritorno in scena di forze politiche demagogiche e dai tratti xenofobi anche nei confronti di Paesi che fanno parte dell’Europa. Un contesto, dunque, non facile quello in cui l’Unione si trova ad agire e per questo, secondo Fornara, è anche complicato avviare delle politiche nuove.
«Molti Paesi ragionano pensando a cosa possono ottenere dall’Unione Europea e non pensano a cosa possono dare», ha commentato Fornara, evidenziando la scarsa disponibilità delle nazioni a cedere un po’ della loro sovranità in vista di un’ottica comune e di politiche comunitarie.
Fornara ha sottolineato il valore del Trattato di Lisbona, nato prima della crisi ed entrato in vigore durante, e ad esso spetta il compito di fare da base per una politica nuova ambiziosa.
Del Trattato di Lisbona, Fornara ha citato gli articoli 79, secondo cui l’Unione Europea si deve impegnare a sviluppare una politica comune in materia di immigrazione, e 80, che prevede la solidarietà tra i Paesi dell’Unione nell’applicazione delle norme sull’immigrazione, ma ha anche segnalato che di recente è avvenuta la rivolta dei Paesi del Mediterraneo e si è creata un’emergenza immigrazione che non è percepita allo stesso modo da tutti i Paesi (ad esempio la Polonia ha espresso più volte di avere altre priorità).
Fornara ha precisato che quelle che stanno avvenendo nel Mediterraneo sono migrazioni inferiori a quelle avvenute in altri periodi o a quelle che avvengono via terra, ad esempio tra la Grecia e la Turchia.
«L’Unione Europea, attualmente, è impegnata nell’intervento per la gestione della crisi in Libia e poi ha stanziato 100 milioni per la Tunisia e l’Egitto», ha spiegato Fornara.
In merito alla gestione delle frontiere, l’agenzia Frontex (che ha risorse limitate e che devono essere ampliate) lancerà a breve delle operazioni, inoltre, il 24 maggio è stato approvato un documento contenente 31 misure legislative che dovrebbero entrare in vigore alla fine del 2011 e che andranno a costituire la base della politica dell’Unione Europea in materia di immigrazione.
Nello specifico, il documento – ha spiegato Fornara – si basa su quattro punti: 1) Schengen, 2) Sistema europeo di asilo improntato alla solidarietà tra i Paesi membri (il 1° giugno sono state presentate delle proposte per delle procedure omogenee che attualmente mancano tra gli Stati europei e a Malta è operativo un nuovo ufficio dell’Unione per la gestione delle richieste d’asilo), 3) controllo alle frontiere esterne per facilitare l’immigrazione regolare (ne serve molta ma deve corrispondere alle esigenze del mercato del lavoro) e contrastare quella irregolare (quindi rafforzando Frontex, dotandola di maggiori risorse e nuove competenze), 4) politica dei visti atta a favorire le possibilità di chi si deve spostare (a cui però continueranno ad affiancarsi gli accordi bilaterali). In sostanza questi punti mirano ad una gestione maggiormente comunitaria dei problemi legati all’immigrazione, lasciando meno spazio alla discrezionalità dei singoli Stati.
Fornara ha fatto notare l’introduzione di principi importanti per contrastare l’immigrazione illegale ma che per essere attuati necessitano di fondo e le trattative per le disponibilità economiche dell’Unione iniziano adesso.
Fornara ha fatto sapere anche di una lettera di Barroso al Consiglio Europeo che dovrà riunirsi a breve, in cui ha sottolineato due priorità: 1) l’immigrazione, 2) il Sud, il Mediterraneo e il vicinato, per cui serve un rappresentante speciale e una task force specifica (oltre che un buon budget per gestire la transizione democratica in quei Paesi e un programma di mobilità sul lavoro), e questa questione non è ritenuta importante da tutti gli Stati (Gran Bretagna e Germania sono più interessati all’Est).
Se il discorso di Fornara è stato molto positivo e, pur ammettendo che le politiche comuni che si sono concretizzate in precedenza sono state poche, si è mostrato molto fiducioso riguardo al futuro. Di tutt’altra piega è stato il pensiero espresso da Alessandra Lang e Antonio Panzeri.
Alessandra Lang, dell’Università degli Studi di Milano, ha rilevato che molte proposte ambiziose da parte dell’Unione Europea erano state presentate anche in precedenza ma poi non erano state accolte dai singoli Stati che ne avevano preferito ricavare degli atti molto più blandi.
Molto cupo sulle possibilità di un’azione efficace da parte dell’attuale Europa è stato Antonio Panzeri, presidente delegazione per le relazioni con i Paesi del Maghreb e l’Unione del Maghreb arabo del Parlamento Europeo, il quale ha segnalato che nell’Unione Europea pesano molte decisioni che non sono state assunte in precedenza e, attualmente, il dibattito interno è molto difficile.
In merito all’area del Mediterraneo, Panzeri ha ricordato che l’Europa in passato ha tacitamente appoggiato i regimi contro cui adesso il popolo si rivolta, perché facessero da argine ai fondamentalismi. La crisi ha scatenato le rivolte e adesso l’Europa si sta riposizionando.
Il tema dell’immigrazione, inoltre, secondo Panzeri, in Europa è spesso soltanto preso in considerazione dalle forze xenofobe in vista delle campagne elettorali perché negli europei prevale il sentimento della paura che porta automaticamente ad una chiusura.
Panzeri ha ricordato anche come i Paesi del Mediterraneo non sono una priorità per tutti gli Stati europei e quindi è difficile produrre una politica comune.
Per l’Italia ciò che avviene a Sud del Mediterraneo è importante anche per ragioni geografiche, per altri Stati non è così automatico.
Secondo Panzeri, questo è dovuto anche ad un deficit della classe dirigente che non è in grado di vedere oltre la quotidianità per mostrare delle prospettive. «Ci sono molti surfisti che viaggiano sull’onda e pochi che pescano in profondità», ha affermato Panzeri.
In merito alle istituzioni europee, Panzeri ha evidenziato la necessità di una maggior sintesi tra Parlamento, Commissioni e Consiglio e servono anche governi dei singoli Stati che operino tenendo presente un’ottica comune perché gli accordi bilaterali da soli non bastano e non vanno bene se contrastano con le norme comunitarie.
Panzeri ha ricordato il caso di Italia-Libia, in cui il governo italiano pensava di relegare il problema dell’immigrazione ai libici ma poi con lo scoppio della rivolta, tutto è finito in niente. Per questo, secondo l’europarlamentare, è necessario che gli Stati cedano un po’ della loro sovranità in favore di un’ottica comune per dare risposte che siano europee e non solo nazionali e tutte le sfide vanno affrontate in questo modo.
Una sfida importante per l’Europa, ha ricordato Panzeri, sarà quella demografica: «i Paesi del Sud del Mediterraneo hanno una popolazione di età media di 27 anni, gli elettori di Milano alle ultime elezioni hanno un’età media di 55 anni», ha sottolineato il deputato europeo, evidenziando che la tendenza è quella di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e i tassi di natalità sono prossimi allo zero.
Così come è un’altra sfida importante quella climatico-ambientale che, ha segnalato Panzeri, muove i processi migratori; oppure i problemi derivati dalla globalizzazione economica, le guerre civili, l’assenza di diritti in alcuni Stati… sono tutti fenomeni che generano fughe e migrazioni.
Panzeri ha sostenuto che servirà una politica economica generosa nei confronti dei Paesi del Mediterraneo e ha citato il caso della Tunisia, che prima cresceva e adesso è in una fase di stagnazione, il turismo è scomparso e molte aziende sono state messe in piedi da stranieri perché la manodopera costava poco ma fanno in fretta a chiudere e a spostarsi altrove.
Per Panzeri, inoltre, serve fare crescere aree di libero scambio tra i Paesi dell’Unione Europea e quelli del Mediterraneo ma anche all’interno dei Paesi del Mediterraneo perché si superino le divergenze in atto come quelle tra Marocco e Algeria.
In sintesi, secondo Panzeri, serve un’idea lungimirante sulla politica dell’immigrazione, perché altrimenti viene vista solo dal lato securitario.
Più cauto Panzeri si è mostrato sulla discussione riguardante Schengen, soprattutto data la composizione fortemente xenofoba delle politiche di alcuni Stati Europei: «Schengen è una conquista dell’Unione Europea fatta per facilitare i trasporti ma è normale che oltre alle merci viaggino anche le persone e l’immigrazione può essere una grande possibilità economica, oltre che culturale», ha concluso Panzeri.