mercoledì 29 luglio 2015

Azzollini e i dirigenti paraculi del PD

Sulla vicenda del voto in Senato sul caso di Azzollini, a me, più che l'esito dl voto fa incazzare il gruppo dirigente del PD.
Premesso che conosco poco la vicenda di Azzollini nel merito (a prescindere dalla frase che avrebbe detto alle suore, perché il problema non è la frase ma il resto delle accuse).
Premesso che sono contraria a questa modalità di procedere perché auspico che i parlamentari vengano equiparati a tutti gli altri cittadini sottoposti a indagine e non debbano discutere tra loro se procedere o meno ad una richiesta della magistratura (inoltre trovo che discussioni del genere siano controproducenti anche per gli accusati perché, colpevoli o innocenti che siano, si prolunga la loro gogna mediatica).
Premesso anche che leggere derive forcaiole è sempre sgradevole perché nella maggior parte dei casi di questo tipo si tratta di mandare in galera delle persone (in questo caso no, si trattava solo di mandarlo agli arresti domiciliari) e motivarle come "scelte politiche" (io direi più propriamente "opportunismo elettorale" o "marketing") fa un po' schifo, a prescindere dai capi di accusa.
Vorrei, però, sottolineare alcune questioni di metodo, perché le polemiche di oggi stanno su quello.
I problemi sulla linea del PD sul caso Azzollini si sono palesati ieri sera quando è stato diffuso il comunicato di Luigi Zanda, capogruppo del PD al Senato, in cui invitava a leggere le carte e votare secondo coscienza.
Già qui si doveva capire come sarebbe finita, ne era un chiarissimo preludio.
Difficile dire con certezza se il problema era che realmente c'erano dei dubbi sulla vicenda di Azzollini o se era un problema di numeri per la maggioranza del Governo. Sta di fatto che il problema si è palesato con quell'invito al voto di coscienza e, siccome quel comunicato lo avranno visto anche gli altri dirigenti nazionali del PD (e magari qualcuno era anche stato chiamato al telefono per discutere che linea tenere), forse se c'era qualche dubbio su quella linea nelle ore intercorse tra la diffusione del comunicato stampa e il voto di stamattina qualche telefonata in più per correggere il tiro si poteva fare. Se non si è fatto nulla, o erano tutti in altre faccende affaccendati e nessuno si è accorto di niente oppure, cosa più probabile, a tutti stava bene così, ben consapevoli anche del possibile esito (elettoralmente non favorevole).
A questo punto, però, non capisco perché a linea dubbia tracciata e decisione presa con più o meno tutti concordi (o sicuramente tutti silenti), ora che è scoppiato il casino, alcuni simpatici dirigenti si arrabattano in salti mortali con dichiarazioni paraculissime di presa di distanza da ciò che è avvenuto.
A mio avviso, quando si è scelto di avere una linea, poi la si difende e si va a spiegare perché la si è scelta e non si scarica in modo becero tutto quanto sugli sfigati di turno che ci si sono trovati in mezzo.
Questo non è un comportamento da gruppo dirigente serio. Questo non è il modo di stare in un partito. Questo è lo stesso identico modo che nel 2013 portò a impallinare possibili Presidenti della Repubblica perché lo chiedevano i followers su twitter!
Usare il cervello invece del web, no? 
Pensarci prima alle conseguenze delle azioni che si sceglie di fare invece di buttare tutto in vacca dopo, no? 
Questa cosa la trovo intollerabile, molto più dell'esito del voto di oggi su cui i giornali ricamano molto ma di cui oggettivamente da casa sappiamo poco (a parte la frase brutta detta alle suore) e, in fondo, neanche tocca a noi giudicare (e non toccherebbe neanche ai politici).

giovedì 16 luglio 2015

Il giornalismo e il marketing

Mi pare che urga una riflessione seria sul giornalismo e su cosa vuol dire fare informazione.
Oggi, troppo spesso, non si fa informazione ma propaganda (perché anche seguire il senso comune quando non è veritiero o pompare un argomento inutile o sbagliato è fare propaganda e non informare).
Non si segue la deontologia e neanche il buon senso (o il buon gusto) ma solo il marketing e, di conseguenza, il metro di giudizio diventa il quantitativo delle vendite o dei likes ottenuti e non importa più con quale contenuto e se quel contenuto è vero o è giusto.
Raccontare i fatti diventa secondario, prevale il fare lo scoop anche quando questo non c'è.
Il web e i social media, con la possibilità di condividere, amplificano il problema e, spesso, più che l'informazione, aiutano la disinformazione, la propaganda e molte volte anche la diffamazione.
Uno dei problemi è che chi scrive - giornalista o meno - non segue più alcuna regola ma solo il sensazionalismo o i toni aggressivi che una volta venivano confinati nei peggiori bar e oggi sono sulla bocca di tutti.
L'Ordine dei Giornalisti, per legge, è obbligato a fare corsi di formazione per i suoi aderenti, peccato che il più delle volte si tratti di conferenze generiche sui temi più vari e che di formativo non hanno nulla o quasi. Se si usassero quei momenti (che sono obbligatori per tutti) per insegnare almeno le regole base a chi evidentemente o le ha dimenticate o non le conosce proprio, forse sarebbe già un passo avanti.
Da appassionata di giornalismo, vedere un simile scenario è desolante e, a volte, anche irritante. 
Se si va avanti così, il giornalismo muore e muore anche l'informazione. Soprattutto quella sul web che non è più il luogo della libertà e della democrazia ma il luogo della cialtronaggine diffusa, dello sfogo e dell'insulto collettivo che si fa forte della distanza del virtuale per dire qualunque cosa, anche la più becera, confidando nell'impunità o addirittura nel fatto che più lo si fa più si diventata "famosi".
Negli anni passati a scrivere e a bussare a ogni giornale per arrivare a ottenere il tesserino non era questo il giornalismo che sognavo, che seguivo e a cui volevo arrivare.
Chi fa informazione oggi ha il dovere di seguire i fatti e la verità, anche stando dentro a i meccanismi del marketing, altrimenti apra un'edicola o si metta a vendere quel che gli pare ma non scriva perché non è il suo mestiere e fa del male al giornalismo, all'informazione e alla libertà di informazione.