giovedì 31 maggio 2012

A volte è necessario fermarsi

Sul web si legge di tutto in merito alle richieste di annullamento della parata militare per la Festa della Repubblica del 2 giugno. Richiesta legittima ma che spesso tracima nell'insulto e nell'inconsistenza delle accuse mosse a chi insiste per farla la parata. In particolare, si continua a leggere di annullare la parata per risparmiare soldi e devolverli alle popolazioni delle zone colpite dal sisma per agevolare la ricostruzione. Intento nobile ma errato, per il semplice fatto che la parata del 2 giugno, come tutti i grandi eventi, richiede una certa organizzazione e quindi il tutto è già stato progettato da tempo e i soldi sono già stati spesi o, quanto meno, impegnati. Quindi, anche ad annullarla, in realtà, non si avrebbe alcun risparmio e non ci sarebbe proprio nulla o quasi a destinare agli aiuti alle zone terremotate. Abbastanza inutile anche la "sobrietà" invocata da Napolitano per celebrare la ricorrenza: è chiaro che nella situazione in cui ci troviamo a nessuno interessa vedere una parata militare, con tutto il rispetto per le forze che vi sono impegnate.
Personalmente sarei favorevole all'annullamento della parata: la ricorrenza del 2 giugno può essere celebrata senza bisogno di parate e senza festeggiamenti dato che - tra crisi e terremoto - in Italia non c'è proprio nulla da festeggiare in questo momento. Ma questa non è una questione organizzativa-economica, perché appunto non ci sono soldi risparmiabili orami a due giorni dall'evento, ma è una questione di rispetto. 
Non si tratta nemmeno di offrire il braccio a sterile polemiche antimilitariste, oltretutto fuori luogo in un momento in cui le priorità dovrebbero essere altre che non le liti politiche. Non si tratta di chiedere l'annullamento della parata perché non si vogliono vedere le forze dell'ordine, l'esercito e le loro armi. Si tratta di ragionare sul senso di quella manifestazione. Una parata è in qualche modo una dimostrazione di forza, di orgoglio, si potenza e di tutta una serie di qualità che in giornate come queste sono lontane dai pensieri degli italiani ed è giusto che sia così.
A volte è necessario fermarsi. Non possiamo continuare ad andare avanti sempre e comunque e lasciare che tutto passi sopra alle nostre menti distratte come se niente fosse e non ci riguardasse.  Occorre più sensibilità verso la tragedia enorme che ha colpito una parte del nostro Paese, che ha travolto la vita di molte persone che oggi non hanno più una casa o una fabbrica dove lavorare, che si trovano di fronte lo scenario di interi comuni andati letteralmente in pezzi e che non sanno cosa sarà del loro domani. Fermarsi è giusto ma non è una scelta economica o anitimilitare, è una scelta di rispetto e di sensibilità.
Nessuno chiede di rinunciare a celebrare la giornata della Festa della Repubblica ma la celebrazione può anche essere trasformata in un momento di riflessione collettiva, senza bisogno di parate per dimostrare alcun che. Il Presidente Napolitano, da sempre attento e sollecito nell'intervenire nel dibattito pubblico e nel saper parlare agli italiani, saprà sicuramente quali siano le parole adatte per un simile momento e non c'è alcun bisogno che vengano accompagnate da sfilate militari (le forze dell'esercito possono anche essere presenti senza preestarsi a passerelle in una situazione del genere).
Non ha senso fare una parata celebrativa il 2 giugno e fermarsi a riflettere il 4: i morti, le fabbriche crollate, i  paesi distrutti c'erano già ieri. Non rimandiamo il momento di riflettere, fermiamoci anche adesso, per rispetto, non per polemica.

mercoledì 30 maggio 2012

Prove di dialogo nel centrosinistra milanese

Frammenti di un discorso amoroso. Note per una nuova politica”, era questo il titolo di un incontro organizzato alla Fonderia Napoleonica dal circolo La Fabbrichetta lo scorso 29 maggio. [qui il video dell'incontro]
Il titolo – come ha spiegato nella sua introduzione Pier Vito Antoniazzi, nella veste del “padrone di casa” – era una citazione di un saggio del semiologo francese Roland Barthes e che, come era scritto nella lettera di invito all’incontro, stava ad indicare come «dal voto di maggio è emerso un panorama di frammenti politici disconnessi. Solo a fatica si scorgono punti di possibile coesione e ricomposizione. Identità disperse ma vive, parziali ma preziose. Le troviamo nell’originale esperienza arancione milanese, nelle amministrazioni civiche del profondo Nord bianco-verde, nel ritrovato protagonismo delle donne, nelle proposte di un Partito Democratico che, pur dibattendosi tra limiti e profonde contraddizioni, è spazio aperto per una nuova politica. Le troviamo anche in un forte spirito antipartitico».
Scopo della serata, dunque, era quello di provare ad avviare un dialogo tra le diverse forze che oggi si collocano nel panorama del centrosinistra e che gravitano attorno al Partito Democratico, anche per sondare la possibilità di avviare un progetto condiviso, nelle forme e nella sostanza.
Proprio sulle forme, sul ruolo dei partiti - e in particolare del Pd - ha ruotato gran parte della discussione, condotta dal consigliere regionale del Pd Fabio Pizzul e a cui hanno partecipato Franco D'Alfonso (assessore del Comune di Milano e coordinatore della Lista Milano Civica per Pisapia), Giorgio Del Zanna della Comunità di Sant’Egidio, Marina Terragni (giornalista e che recentemente ha pubblicato un libro sulla questione femminile), Giorgio Gori (imprenditore e ideologo di Matteo Renzi), Lorenzo Guerini (sindaco di Lodi) e i consiglieri regionali del Pd Franco Mirabelli e Arianna Cavicchioli.
A dispetto del titolo, tuttavia, più che di un “discorso amoroso” si è trattato di un confronto tra persone portatrici di opinioni diverse, con particolari criticità espresse da esponenti dei movimenti che sembrava quasi volessero sopraffare il Partito Democratico più che dialogarci.
Marina Terragni, nei suoi accesi interventi, ha contestato al Partito Democratico una chiusura soprattutto verso i giovani e le donne e un’inamovibilità della sua classe dirigente per puri egoismi personali. Critiche queste a cui ha replicato Franco Mirabelli (video del suo intervento), che ha sottolineato come, oggi, la volontà che prevale all’interno del Partito Democratico sia quella di aprirsi e che, comunque, «nel nostro Paese la maggior parte dei partiti si è costruita intorno ad un leader, mentre il Pd è nato sulla partecipazione, ha fatto scegliere il suo segretario agli elettori con le Primarie». Resta che – ha spiegato Mirabelli - dagli esiti delle amministrative risulta che il Partito Democratico ha ancora una forte credibilità e il punto è che per superare la crisi che della politica e della democrazia che stiamo vivendo in questa fase e che rischia di mettere in discussione le istituzioni, «la politica ha bisogno di ricominciare a parlare del futuro, di un progetto per dare al Paese una speranza».
Sulla questione femminile, Mirabelli ha poi ricordato che il Pd è stato il primo partito a porre il problema della rappresentanza di genere e a costruire liste in cui vige la regola dell’alternanza uomo-donna.
Anche Arianna Cavicchioli - che ha rivendicato la sua attività politica perché animata dalla passione - ha affermato che dal voto delle amministrative, vinte in molte realtà, gli elettori hanno espresso una preferenza per il Pd individuandolo come “rinnovamento”.
Su un altro piano si è mosso, invece, Giorgio Del Zanna, il quale ha affermato di credere molto nella politica e che Sant’Egidio è un interlocutore della politica. Per Del Zanna la crisi di oggi è soprattutto una crisi culturale. «Abbiamo subito una deriva culturale forte senza neanche rendercene conto. È stata indebolita l’idea di uguaglianza: siamo passati dalla difesa dei poveri alla difesa dai poveri!», ha affermato il responsabile della Comunità di Sant’Egidio, segnalando che oggi c’è anche un problema di rapporto tra generazioni, in quanto in un Paese che invecchia come il nostro «non c’è tanto il problema di lasciare spazio ai giovani, quanto il fatto che serve assolutamente un’alleanza tra giovani e anziani e non è una questione sociale ma è il futuro del nostro Paese che si gioca su questo».
Lorenzo Guerini ha portato, invece, l’esempio della sua esperienza di sindaco a Lodi e di come la sua vittoria sia stata possibile grazie alle liste civiche, anche supportate con grande generosità da parte del Pd. Per Guerini, tuttavia, il rinnovamento è comunque un fattore necessario e, da sindaco, ha sottolineato la necessità che «l’innovazione parta dal concreto, dalle risposte che si danno ai problemi dei cittadini». Rinnovamento che, comunque, è necessario anche nelle «facce» perché, ha affermato Guerini «non è possibile avere ancora la classe dirigente del governo Prodi del 1996: è necessario porre un limite ai mandati».
Discorso analogo fatto anche da Giorgio Gori, il quale ha ribadito che «le idee vanno insieme alle facce: non è possibile far credere di essere nuovi se le facce sono sempre le stesse» ed è necessario far confrontare delle persone che sono portatrici di idee differenti e poi affidare la leadership al vincitore, riaprendo così la questione delle Primarie, anche per il candidato premier del Pd.
Molto più tranchant è stato, invece, l’intervento di Franco D’Alfonso, il quale ha affermato seccamente che «alla gente del rinnovamento dei partiti non interessa nulla», perché i partiti sono già inutili mentre «esiste un movimento a sinistra che ha in sé dei valori e degli ideali e avrebbe bisogno di qualcuno che lo interpreti».
A replicare a D’Alfonso sono stati i consiglieri regionali del Pd Franco Mirabelli (video del suo intervento), il quale ha puntualizzato che «C’è bisogno di una grande alleanza politica e civica anche per vincere in Regione Lombardia, ma la proposta di cambiamento non la si fa contro il Pd o oltre il Pd: deve essere fatta insieme al Pd. Occorre ragionare su un progetto in modo aperto, costruendolo insieme, ma il Pd fa il Pd», e Arianna Cavicchioli, la quale - concludendo la serata - ha ribadito che «Dobbiamo comunque camminare insieme è quindi è meglio se cerchiamo di riconoscerci invece che di sopraffarci. Essere guardinghi l’uno verso l’altro non ci aiuta».


 

domenica 27 maggio 2012

L'ansia del nuovo

Dai commenti seguiti all'analisi del voto delle amministrative, oramai tutti si sono lasciati travolgere dell'ansia del rinnovamento. Un rinnovamento che è stato richiesto chiaramente dagli elettori, che nelle ultime amministrative si sono astenuti in massa oppure hanno cominciato a guardare al Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo in segno di protesta verso tutta la classe politica esistente (che qualche colpa l'ha collezionata nel corso degli anni, qualcuno di più, altri meno, ma purtroppo nessuno si è mostrato esente da errori anche abbastanza gravi).
Un'ansia da rinnovamento che mandato in tilt il centrodestra, ormai nella confusione più totale dopo la scomparsa dei voti di Pdl e Lega e la quasi inconsistenza dell'ex Terzo Polo, ma che non ha lasciato indenne nemmeno il Pd, che pure ha resistito bene alle amministrative e ha vinto in moltissimi comuni (compresi quelli dove non avrebbe mai pensato di arrivare).
Un'ansia da rinnovamento che è giusta e che forse i dirigenti del Partito Democratico avrebbero dovuto porsi anche prima di arrivare a questo scenario perché le avvisaglie c'erano tutte già da tempo e anche le lamentele interne erano da parecchio molto insistenti. E, invece, il tutto è esploso adesso, quando al Pd basterebbe guardarsi dentro per scoprire la ricchezza di innovazione che ha al suo interno e che continua a tenere ben nascosta per lasciare che a presentarsi sia "il vecchio".
Beppe Grillo è stato poco simpatico come sempre nel dare a Bersani dello Zombies ma la percezione generale è un po' quella, pur non essendo colpa di Bersani. Il punto, infatti, è che da dopo la caduta del governo Berlusconi e l'avvento di Monti e della sua squadra di tecnici (per quanto antipatici, spocchiosi) tutta la classe politica precedente appare come qualcosa di vecchio e superato, anche quelli che in una situazione normale non lo sarebbero affatto.
A pesare sono stati certamente anche i troppi scandali che hanno coinvolto molti esponenti politici che ricoprono incarichi istituzionali, soprattutto del centrodestra (che dopo i disastri prodotti al governo, le case prese a Scajola a sua insaputa, le inchieste su Papa e Milanese, gli scandali del Bunga Bunga e le vicende della famiglia Bossi con i soldi dei rimborsi elettorali destinati alla Lega, infatti, è lo schieramento uscito praticamente morto da quest'ultima tornata elettorale) ma non è che il centrosinistra stia molto meglio perché gli elettori si aspettavano qualcosa in più di ciò che è avvenuto (si pensi ai casi Lusi e Penati ma anche a come sono state gestite male le vicende sulla riforma dei rimborsi elettorali, a cui si è arrivati dopo che lo scandalo è scoppiato e aggiustando il tiro dopo una serie di uscite fuori luogo di esponenti di peso del Pd).
Insomma, tutti sapevano che dopo Monti nulla sarebbe stato più come prima, ma forse non pensavano che la situazione potesse precipitare fino al punto in cui è arrivata, con il rischio che alle prossime elezioni tutta la classe politica attuale venga letteralmente spazzata via. Da qui l'ansia disperata di cercare il nuovo o di far vedere che non si è troppo vecchi.
Casini ci sta provando con l'idea di un nuovo partito, forse per agganciare Montezemolo (possibile cavallo vincente alla prossima disperata tornata elettorale); Berlusconi si dice che abbia ipotizzato un listone civico di giovani (come se la gente fosse cieca da non accorgersi che lui è sempre lì); Maroni ha annunciato l'ipotesi di uscita dal Parlamento per la Lega; mentre Grillo, dopo la vittoria di Parma (la sua "Stalingrado") ha già minacciato la "conquista di Berlino".
In tutto questo rivolgimento, i giornalisti e i commentatori se la prendono con il Pd, che arranca, si stizzisce, non capisce.
Personalmente non sapevo se sorridere o no per i video o le figurine fatte girare su facebook e su YouDem con le "facce nuove e giovani" dei democratici, come a dire che ci sono. Certo che ci sono, peccato che in televisione a parlare agli elettori Pd ci siano sempre quelli che nuovi non sono. Le televisioni, ovviamente, invitano persone note perché sono garanzie di ascolto, ma forse starebbe anche alle segreterie o agli stessi noti provare a segnalare qualche "nuovo" da mandare al posto loro in rappresentanza del Pd.
Personalmente, sono d'accordo per mandare persone "nuove" sia in tv sia nelle istituzioni, però forse è il caso di chiarirsi le idee su che cosa è "nuovo".
Il sospetto è che l'unica cosa che venga presentata come nuova (nel Pd e non) siano i "rompicoglioni". Si vedano ad esempio come sono emersi Serracchiani, Renzi e Civati.
Debora Serracchiani è stata candidata alle europee e diventata famosa dall'Assemblea dei circoli in cui attaccò il segretario di allora Franceschini. Senza quel passaggio, forse, oggi non ci sarebbe la nuova stella del Pd e non sarebbe così ricercata da giornali e tv come "volto nuovo del Pd".
Pippo Civati è diventato famoso per i continui distinguo sulla linea dalla segreteria (ma anche delle altre componenti) pubblicati sul suo blog e grazie a questo riceve l'attenzione di giornali e tv.
Matteo Renzi è diventato famoso con l'idea della rottamazione.
E' chiaro che i giornali sono attratti da questo tipo di notizie e, quindi, danno ben spazio a questi personaggi, ma in questo modo, sembra che il nuovo sia solo chi urla contro e tutto il resto non esiste. Un "nuovo" posto in questo modo non è tanto diverso dal "nuovo" dei grillini.
Il rischio è che se uno fa bene il suo lavoro senza alzare troppo la voce e senza rompere le scatole a nessuno sembra che sia vecchio o che non esista e nessuno si preoccupa di farlo esistere. Così facendo, c'è la possibilità reale che tutta questa ansia di nuovo faccia buttare via persone che vecchie non sono, che lavorano nelle istituzioni magari da tempo e lo fanno bene e con competenza (conosciute o meno che siano). Oltretutto, la percezione del "vecchio" e del "nuovo" cambiano da Regione a Regione, da città a città: ci sono esponenti locali che sul territorio sono conosciutissimi perché magari hanno fatto un ampio percorso politico (utilissimo per la loro formazione e per l'acquisizione di competenze), che non sono "vecchi" anagraficamente, che in altri territori sono dei perfetti sconosciuti ma che nella loro realtà rischiano di venir considerati già "da rottamare". Così come il discorso del limite dei mandati in Parlamento non risolve molto la questione delle percezioni perchè ci sono esponenti politici mai visti che non sono "nuovi" e esponenti visti fin troppo "nuovi" o "vecchi" che siano.
Oltretutto, non è che tutto il "vecchio" sia da buttare: molto sicuramente sì, però, ci sono persone che hanno fatto un percorso politico importante, che hanno acquisito competenze e che è anche giusto che le mettano a frutto. Sarebbe più utile fare dei distinguo, verificare chi lavora e chi no, invece di buttare via tutto in nome del fatto che "tanto alcuni non schiodano e quindi per farne fuori un po' bisogna spazzarli via tutti" e poi "tutti sono uguali". Senza contare che non è accettabile che vengano considerati come "nuovi" solo i giovani che urlano.
Tuttavia, la domanda di rinnovamento è reale, forte e va colta in fretta (e sarebbe ora che anche Bersani e il suo poco simpatico entourage la recepisse, invece, di giocare con le figurine che poi tiene appiccate in un album ben chiuso nel cassetto) ma non facciamo travolgere tutto: è giusto chiedere che molti di quelli che appartengono alla classe politica che ci hanno guidato fin qui facciano un passo indietro, è giusto chiedere di far vedere di più figure diverse dalle solite (nuove o no che siano, anche in prima serata) ma evitando di buttare via "il bambino con l'acqua sporca" (per dirla con una brutta metafora bersaniana) e tagliando fuori persone che non sono né "nuove" né "vecchie" ma che semplicemente fanno bene il loro lavoro anche senza urlare contro qualcuno in continuazione.
 

sabato 26 maggio 2012

Il Presidente del Bunga Bunga

A guardare la conferenza stampa di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano in cui veniva presentata la richiesta per una riforma orientata al presidenzialismo c'era da rimanere un po' sbalorditi e un po' annoiati. Sbalorditi per il modo surreale in cui i due si sono presentati alla stampa per avanzare la richiesta: rigido e serissimo (come sempre) Alfano e sorridente fino al limite della finzione Berlusconi. Sembravano due caricature di loro stessi, compresi i lapsus, i giochetti e tutte quelle parole dette a vuoto come se non si fossero accorti di cos'è accaduto alle elezioni amministrative. Se fossi stata una giornalista presente, probabilmente avrei sbuffato e avrei pensato: "Ma guarda questi due se devono chiamarci qui a farci perdere del tempo con le loro manfrine con tutte le cose importanti che stanno accadendo nel Paese e in Europa in questo momento". Perché la sensazione è proprio quella della presa in giro: ci sono o ci fanno Berlusconi e Alfano?
E' chiaro a tutti da tempo che Berlusconi ha sempre ambito ad arrivare al Quirinale ma, se gli era rimasto qualche dubbio sulle possibilità dell'impresa dopo gli scandali che lo hanno riguardato, il risultato dell'ultima tornata delle amministrative in cui il Pdl è stato letteralmente fatto scomparire dalla scena, avrebbe dovuto quanto meno palesare all'ex premier il fatto che questo suo sogno ormai è destinato a rimanere tale. Il Pdl è morto e Berlusconi pure: politicamente non esistono più, è finita e inutili sono queste pagliacciate ridicole con cui si vorrebbe cercare di riaffermare una leadership che chiaramente non conta più nulla (perché pure se contasse all'interno del partito, è ovvio che presentandosi alle urne replicherebbe il vuoto ottenuto a queste amministrative).
Il risultato elettorale delle ultime amministrative dice chiaramente che i cittadini non vogliono più vedere Berlusconi e il Pdl, poco importa se come candidati al governo o alla Presidenza della Repubblica. Berlusconi, per i cittadini, ormai può essere solo il Presidente del Bunga Bunga, su tutte le altre questioni non esiste più e prima si fa da parte, meglio è anche per il centrodestra.
 

mercoledì 23 maggio 2012

Grillo e i media

Negli ultimi mesi, giornali e televisioni non hanno fatto altro che parlare di Beppe Grillo e del suo movimento (il quale, però, viene presentato appunto come “di Grillo” o “i grillini”). Grande è l’aspettativa che i media hanno creato intorno al personaggio che mancava dalle scene televisive da anni e vi è rientrato prepotentemente e assiduamente grazie a pochi comizi in piazza. Dopo la vittoria alle comunali di Parma, Comacchio e Mira (tutti comuni che prima erano governati dal centrodestra pur essendo nella rossissima Emilia), Grillo viene accreditato da tutti come il vincitore delle elezioni, cosa che non è (dato che numericamente sono molti di più i comuni vinti da una coalizione di centrosinistra e l’unico partito che ha resistito e anche bene è il PD).
Ma la notizia di questo fenomeno “nuovo” è troppo ghiotta perché i media la accantonino e, allora, come è tipico del loro linguaggio, la enfatizzano, la esaltano (a volte la distorcono pure) fino a darle una rilevanza che non ha o almeno non nel modo in cui vogliono farla intendere.
Oltretutto si prende la città di Parma come esempio del “grillismo”, l’ex comico stesso l’ha definita la sua “Stalingrado” che aprirà la strada per conquistare “Berlino”, ma la città emiliana non può essere esempio di niente perché la situazione disastrosa in cui versava è un’anomalia assoluta in tutta Italia: ci sono esponenti della precedente giunta indagati, altri in carcere, altri accusati di ruberie e corruzione… Insomma, un terreno più che fertile per un voto di protesta tout court, dove ci sono cittadini giustamente arrabbiatissimi e in cui è molto più facile che a vincere sia chi urla contro tutti i politici dicendo che fanno tutti schifo allo stesso modo. Oltretutto si tratta di voti prevalentemente del centrodestra (quindi di elettori ancora più arrabbiati e delusi per le vicende di Pdl e Lega e che hanno idee politiche ben diverse da quelle del centrosinistra per cui sarebbe difficile anche un loro voto all’altra coalizione).
Tuttavia, la conquista di “Berlino” è possibilissima: i sondaggi Ipsos quotano il Movimento 5 Stelle al 18% in caso di elezioni nazionali e a questo dato ci si arriva non solo per la forte ondata di antipolitica che ingloba voti di protesta di gente arrabbiata che non vede l’ora di spazzare via tutti i partiti esistenti (e soprattutto le persone che li rappresentano) ma ci arriva in prevalenza grazie all’enfatizzazione mediatica del fenomeno di Grillo ad opera di giornali e tv.
Sistema di potere che oltretutto Grillo ha sempre mostrato di amare poco, tanto che ha cercato anche di vietare agli esponenti del “suo” movimento di andare in tv e rilasciare interviste. Tuttavia, Grillo, pur non rilasciando dichiarazioni, in tv e sui giornali c’è ripetutamente tutti i giorni e ne è ben consapevole. I media indirizzano le opinioni e le percezioni delle persone: lo sanno quelli che li gestiscono, lo sapeva Berlusconi (che, infatti, ci metteva i suoi uomini al comando) e adesso lo sa Grillo che, di fatto, è mediaticamente aiutato gratis.
Il rischio è che si crei un effetto simile a quello della Polverini, passata dal salotto di Ballarò alla poltrona di Presidente della Regione Lazio, i cui meriti (della candidatura e della vittoria) le derivavano solo dalle apparizioni televisive. insomma, "stanno creando un mostro". La tv amplifica e potenzia un fenomeno che di per sé è già sicuramente molto interessante, ma forse è presentato in modo non troppo corretto.
Tutti, infatti, continuano ad essere interessati a Grillo e ai suoi comizi in cui se la prende con tutto e con tutti, ma pochi hanno scoperto il Movimento 5 Stelle. Il ruolo dei giornalisti, invece, dovrebbe essere quello di cercare la notizia scavando dentro i fatti per coglierne l'essenza, fare emergere la realtà. Qui tutti rincorrono l'apparenza. In realtà Grillo potrebbe valere meno di come lo presentano o comunque è un fenomeno diverso da come viene divulgato.
Da questo punto di vista è interessante l’intervista rilasciata al Messaggero dal nuovo sindaco di Parma, che è del Movimento 5 Stelle ma ha preso subito le distanze dal suo guru.
Forse adesso inizierà la “caccia ai grillini” da parte dei media ma questo potrebbe essere utile perché si scoprirebbe anche che cosa pensano (al di là della protesta e dei comizi a battutacce di Grillo, che la gente va sentire solo per il gusto di vedere uno spettacolo gratis o il fenomeno del momento, ma che poi alla fine potrebbe non contare molto). L’impressione, infatti, è che “i grillini” non siano affatto un’estensione di Grillo e, oltretutto, loro hanno preso i voti e magari potrebbe essere interessante capire chi sono (non solo per curriculum ma politicamente). Sarebbe utile che i giornalisti cominciassero ad andare a vedere anche i programmi con cui i candidati del Movimento 5 Stelle hanno vinto e sarebbe curioso sentire cosa pensano le persone che hanno votato quei candidati (anche per pura protesta) cosa pensano dei loro programmi. Forse il fenomeno si depotenzierebbe, forse tutto questo presunto elettorato potrebbe non esser più tale; a meno che la rabbia verso gli altri partiti sia talmente forte da far decidere che piuttosto che votarli si sia disposti anche a votare per un programma che non si condivide affatto (cosa che può succedere se gli esponenti degli attuali partiti non si mettono presto in sintonia con le richieste del Paese e non aprono una grande fase di rinnovamento).
 

martedì 15 maggio 2012

Disciplina di bilancio e fiscal compact

Ieri pomeriggio si è svolto un interessante incontro – sebbene assolutamente deserto - presso la sede della Rappresentanza della Commissione Europea a Milano, sul tema del “nuovo Trattato sulla disciplina di bilancio: luci e ombre del Fiscal Compact”. La discussione è stata aperta da Franco Praussello (Università di Genova), il quale ha affermato che solo in particolari circostanze (che non sono quelle attuali) l’austerità aiuta la crescita. Per tempi come i nostri, di “recessione pesante” - qualcuno si sbilancia e parla anche di “depressione” - l’austerità genera un circolo vizioso, in quanto provoca la caduta del reddito delle persone e, di conseguenza, cade anche il gettito fiscale e, quindi, diventa difficile reperire risorse per ripagare il debito.
Praussello ha ricordato che è stata la Germania a chiedere il Fiscal Compact. In Germania, la parola “debito” significa anche “colpa”, ma non è possibile, secondo Praussello, che a risanare il debito sia solo chi ha sbagliato perché da soli non hanno le capacità. Per questo, per Praussello, l’Unione fiscale attuale è squilibrata e si basa solo sull’austerità, mentre serve rilanciare la crescita e, per farlo, non sono sufficienti le riforme strutturali ma servirebbero un po’ di politiche keynesiane.
Sulla stessa lunghezza d’onda è stato Paolo Petracca (Presidente ACLI Milano), che ha illustrato un’indagine realizzata dalle ACLI su 170 mila persone (monitorate per 4 anni), per vedere come la crisi ha inciso sull’impoverimento dei ceti medi delle provincie di Milano e Monza e Brianza (territorio di loro competenza).
Dall’indagine svolta dalle ACLI, ha spiegato Petracca, risulta che c’è chi ha perso il lavoro e non ha più reddito, pochi hanno avuto ammortizzatori sociali, altri hanno solo dovuto difendersi dal costo della vita (i pensionati sono quelli che hanno avuto un impoverimento più leggero, dovuto al fatto che le loro pensioni non sono aumentate mentre è salito il costo della vita).
Le famiglie monoreddito hanno perso mediamente il 4,8%, per motivi di cassa integrazione, cambio di contratti di lavoro al ribasso e salari reali bassi rispetto all’aumento del carico fiscale; per cui non hanno retto.
Le famiglie con due redditi hanno avuto il -2,8% di perdita del loro reddito reale.
Sono in una situazione molto grave i padri e le madri separate.
Venendo alle tematiche europee, Petracca ha affermato che “Sentiamo ancora il sogno dell’Europa”, anche ha perso presa nell’opinione pubblica dal fallimento della Costituzione in poi. Oggi, secondo i dati IPSOS (l’istituto guidato da Pagnoncelli), sono meno del 50% gli italiani che hanno fiducia nell’Europa e questo non era mai accaduto prima: l’Italia era il Paese più europeista in assoluto.
Il tema dell’austerità ha sicuramente ragioni fondate, secondo Petracca, che ha ricordato che in Italia c’è una percentuale altissima lavoro nero, troppa evasione fiscale, troppi capitali esportati all’estero e mai rientrati neanche con lo scudo fiscale, ma che comunque è indispensabile che vengano attuate misure per la crescita e, soprattutto, occorre una maggior attenzione al tema dell’occupazione.
Per questo, secondo Petracca, possono essere utili gli Eurobond per trovare risorse da investire. Da questo punto di vista, Petracca ha ribadito che le Acli sono favorevoli all’intervento pubblico in economia, anche perché “si sono investiti miliardi di soldi pubblici per salvare la finanza senza mettervi neanche delle regole; ancora oggi non c’è un controllo e girano prodotti spazzatura”.
In merito al Fiscal Compact, Petracca ha segnato che questo ha già segnato negativamente Grecia, Portogallo, Spagna e Slovenia, mentre serve invertire la tendenza, perché manca la prospettiva di un futuro per i cittadini; meglio sarebbe – secondo il Presidente delle ACLI di Milano – “un modello di sviluppo fondato sulla redistribuzione piuttosto che su una crescita impari, come è quello attuale”.
Antonio Longo (Direttore del circolo culturale Altiero Spinelli di Milano) ha precisato che “Siamo cresciuti immaginando l’Europa come fattore di progresso e negli ultimi anni non è stato più così”, definendo poi “inquietanti” le dichiarazioni della Merkel in merito alla possibilità che l’Unione possa andare avanti senza la Grecia, perché si tratta di “un messaggio politico sbagliato, perché poi la stessa sorte potrebbe toccare ad altri”.
Opinione un po’ diversa in materia di debiti e rigore quella della parlamentare europea Francesca Balzani (PD-S&D), la quale ha esordito dicendo di essere rimasta segnata dall’esperienza di assessore al bilancio al Comune di Genova e dalla presa di coscienza dei debiti di tutti i Comuni (in quanto, in precedenza, si è fatto di tutto con il debito, senza alcun controllo o paletto). Secondo Francesca Balzani è sbagliato dire di “usare il debito per la crescita”, in quanto “è delicato e pericoloso maneggiare le risorse pubbliche”. Il debito è sempre un problema, secondo la Balzani, perché un nuovo premier che arriva, se non trova i soldi, non può fare niente al di là della normale amministrazione. Forse “austerità” non è il termine corretto ma, per la deputata europea occorre almeno parlare di “responsabilità” nell’amministrare le risorse pubbliche e il Fiscal Compact va in questa direzione, anche se certamente non contiene misure per la crescita.
Queste, secondo l’europarlamentare, possono arrivare dagli Eurobond (verso i quali anche Barroso si è mostrato favorevole) e dalla tassa sulle transazioni finanziarie, che possono generare risorse da investire.
Con la tassa sulle transazioni finanziarie (che voleva essere un po’ il “secondo tempo” del rigore, per la crescita), si era partiti in anticipo ma il consenso dentro al Parlamento Europeo è altalenante: prima ci sono state forti spinte in avanti e poi si sono fatte delle marce indietro e comunque non tutte le forze presenti sono favorevoli a questo provvedimento, per questo è difficile prevedere la tempistica con cui questa tassa potrà entrare in vigore. Tuttavia, secondo la deputata europea, la tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe essere una risposta politica forte a questa situazione, per creare un mercato più trasparente e sano.
Francesca Balzani ha anche ricordato che è difficile chiedere agli Stati di fare politiche per la crescita, mentre è più facile chiedere di coordinare meglio le loro politiche (ad esempio in tema di energia, infrastrutture) per dare una direzione agli investimenti, in modo che sia l’UE a fare gli investimenti che gli Stati da soli non possono fare perché non hanno risorse sufficienti (infrastrutture energetiche, trasporti). Così come sarebbe necessario coordinare meglio le politiche nazionali a quelle europee per avere accesso ai fondi europei.
Antonio Padoa Schioppa (Università di Milano) si è d’accordo con Francesca Balzani sul fatto che vanno prese sul serio le politiche tedesche per il risanamento e, citando Tommaso Padoa Schioppa, ha affermati che “Il risanamento è compito degli Stati, la crescita è compito dell’Europa”. Per questo, a suo avviso, il Parlamento Europeo deve chiedere con forza un certo tipo di politiche, anche “minacciando” Consiglio Europeo e Commissione, in quanto il Parlamento Europeo è un organo politico e rappresenta i cittadini europei. Un ruolo chiave, in questo senso, secondo Padoa Schioppa deve giocarlo Schulz, presidente del Parlamento Europeo, che – a suo parere, in Germania non aveva fatto una gran politica ma qui può giocare le sue carte per fare una politica più ambiziosa, in quanto per fare dei grandi investimenti di soldi pubblici è necessario un aggancio democratico e questo è rappresentato dal Parlamento Europeo. Strumento da utilizzare per fare pressione su Consiglio e Commssione, secondo Padoa Schioppa, è il Bilancio europeo.
A questo ha risposto Francesca Balzani dicendo che è vero che, in teoria, il Parlamento Europeo può bocciare il bilancio ma questo farebbe molto contenti i Paesi antieuropeisti perché risparmierebbero il 2,5% dell’inflazione. Inoltre, bocciare il bilancio significherebbe bloccare subito i fondi strutturali e politiche di coesione (quindi, si andrebbero a penalizzare i Paesi più poveri). Meglio, secondo la Balzani, fare negoziati su altre cose, anche che ruotano intorno al bilancio e che rientrano tra gli interessi del Consiglio (ad esempio il progetto nucleare). I Paesi antieuropeisti nel Consiglio, inoltre, godono di grande prestigio (come ad esempio la Gran Bretagna) mentre quelli europeisti contano poco o sono stati poco presenti (come è stata l’Italia fino a poco tempo fa). Oggi, secondo Francesca Balzani, c’è la speranza che cambino gli assetti dentro Consiglio e Commissione (che sono a maggioranza di destra). Il Parlamento Europeo lavora in equilibrio con questi due organi e il suo compito non è facile.

 

venerdì 11 maggio 2012

Serata al Circolo di Affori

Franco Mirabelli - Mariangela RusticoBella serata politica quella trascorsa mercoledì 9 maggio al Circolo Pd di Affori, dove - con Mariangela Rustico (coordinatrice Pd della Zona 9) e Franco Mirabelli (Consigliere Regionale) - si è discusso di Regione Lombardia e si è fatta una prima analisi dei risultati elettorali dei comuni della provincia di Milano.
Ad aprire la discussione è Mariangela Rustico che ha presentato un po’ il nuovo scenario a cui hanno dato luogo le elezioni amministrative, con 6 comuni già conquistati dal centrosinistra in provincia di Milano e molti altri che andranno al ballottaggio in forte vantaggio rispetto al centrodestra. “Il Partito Democratico ha tenuto bene”, ha commentato la coordinatrice del Pd della zona, ricordando che “rischiavamo un risultato molto più critico” data la forte ondata di antipolitica che tende ad equiparare tutti e a prendersela indistintamente con tutti. Diversa è la situazione del Pdl che si è frantumato, secondo Mariangela Rustico anche perché “non è un partito, non ha un’anima e gli elettori si sono sentiti tutti liberi”.
“C’è una crisi grandissima del centrodestra: non c’è più, non ha una leadership e un progetto credibile”, è stato il commento di Franco Mirabelli agli esiti elettorali. “Il fallimento del Pdl e della Lega non sono dovuti esclusivamente all’ondata di antipolitica e agli scandali di questi mesi”, ha sottolineato Mirabelli, segnalando che “c’è stato soprattutto un loro fallimento politico”. Un fallimento evidente in Lombardia, dove Pdl e Lega sono nati e hanno avuto maggior forza perché hanno cercato di farsi interpreti delle domande del Nord, di chi voleva liberarsi dall’apparato statale, dall’eccesso di burocrazia e anche dalle tasse. Un fallimento delle ricette proposte da Pdl e Lega per rispondere alle esigenze del Nord e senza le quali ora resta un vuoto e tocca al Pd riempirlo.
“Non è più il tempo di ipotizzare un partito del Nord o di rincorrere altri”, ha affermato Mirabelli, segnalando che “adesso dobbiamo mettere in campo un progetto nazionale in grado di rispondere alle domande del Nord”.
In merito alle vicende della Lega, il consigliere regionale, ha detto che quella in atto è una “faida profonda interna che non si ricomporrà” e, conseguentemente, tutto il campo del centrodestra dovrà ricomporsi e sarà diverso da quello attuale.
Guardando i dati elettorali, secondo Mirabelli, è preoccupante che vi sia un astensionismo così alto per delle elezioni in cui si vota per i sindaci: “il dato dell’astensionismo indica che c’è una distanza sempre più ampia tra i cittadini e le istituzioni”, ha commentato il consigliere. La crisi della politica ha coinciso ed è stata alimentata dalla crisi sociale e questo, per Mirabelli, si è tradotto in un non voto o nel voto al Movimento Cinque Stelle. Movimento quello dei grillini che Mirabelli ha ricordato che non va sottovalutato perché la loro vicenda ricorda molto gli inizi della Lega. “Noi dobbiamo togliere l’acqua di cui sia alimenta il movimento di Grillo”, ha chiarito Mirabelli, affermando che “provvedimenti come quelli sulla riduzioni dei rimborsi elettorali che si è votato in Parlamento o quello sulla trasparenza dei bilanci e sullo statuto dei partiti – che si spera vengano presto calendarizzati e approvati – vanno in questa direzione”.
Secondo Mirabelli c’è stato anche il tentativo di far passare l’idea che tutti sono uguali per voler rimuovere i fallimenti del governo Berlusconi ma, con questo voto, i cittadini hanno dimostrato chiaramente di sapere chi ha delle responsabilità per la situazione in cui siamo arrivati.
“Il centrosinistra ha conquistato comuni come Cernusco o Pieve Emanuele ed è arrivato al ballottaggio in luoghi dove fino a poco tempo fa era impensabile, come Legnano e Magenta”, ha commentato Mirabelli, segnalando che l’analisi dei risultati andrebbe fatta tenendo presente che a questa tornata elettorale si sono presentate numerose liste civiche legate al Pd per dare maggiore forza ai candidati e che, comunque, in questo scenario, in cui “ci sono macerie ovunque, c’è un partito che tiene ed è il Pd e questo dobbiamo rivendicarlo ed esserne orgogliosi”.
“La crisi sociale ha provocato la crisi del sistema politico. – ha evidenziato Franco Mirabelli - Il risultato ottenuto dal Partito Democratico non va minimizzato: siamo in un sistema politico terremotato e dentro ad una crisi sociale che ha prodotto questo terremoto in tutta Europa. Nessun commentatore aveva previsto che il Pd avrebbe tenuto in questo scenario”. “Abbiamo retto, nonostante gli scandali Lusi e Penati, perché siamo un partito, perché non abbiamo cercato la risposta in un leader ma abbiamo cercato la partecipazione con le primarie e discutiamo (a volte anche troppo sui giornali) e questo ci fa essere un partito popolare, radicato sul territorio e da lì riusciamo a costruire un rapporto con i cittadini”, ha affermato il consigliere, rivendicando che “Dobbiamo scommettere sul Pd, il Paese deve scommettere sul Pd. L’alternativa a questo è il populismo, si chiami Grillo o Montezemolo”.
In un quadro in cui la politica fatica a trovare risposte nazionali e ad essere incisiva perché ci sono centri decisionali sovranazionali che scavalcano gli Stati, secondo Mirabelli, è facile che trovi spazio chi cavalchi le proteste e, nei prossimi mesi, cercheranno di colpire chi è rimasto in piedi e quindi il Pd deve essere preparato a questo. “Se non ci fosse stata la crisi, il disagio sociale e famiglie che sono passate dall’essere ceto medio al non avere più niente, non sarebbe stato così facile attecchire per l’antipolitica”, ha sottolineato Mirabelli.
In questo scenario, secondo il consigliere Pd, quattro sono le tematiche su cui puntare: innanzitutto occorre recuperare il tema della credibilità perché “non dobbiamo lasciare passare l’idea che siamo tutti uguali” e questo è possibile mandando segnali concreti come quello sul taglio dei rimborsi elettorali; poi un altro tema è quello della necessità di mettere mano al patto di stabilità per permettere ai comuni che hanno i soldi di usarli per finanziare progetti concreti e utili; una proposta da portare avanti è poi quella di utilizzare i soldi recuperati dalla lotta all’evasione fiscale per sostenere chi non ha reddito; e infine una riforma elettorale che vada verso il doppio turno alla francese (come previsto dal documento approvato dall’Assemblea Nazionale). Per fare tutto questo, secondo Mirabelli, ci vorrà del tempo ed è impossibile andare alle urne ad ottobre.
Venendo alle vicende della Regione Lombardia, Franco Mirabelli ha sottolineato che ormai si è esaurita la spinta propulsiva di Formigoni e il governatore resta chiuso nel palazzo e pensa solo a difendersi degli scandali che lo hanno travolto. La crisi di Formigoni coincide con la crisi del centrodestra ed è sicuramente una crisi morale, in quanto ci sono 8 assessori di giunte attuali o precedenti, scelti personalmente da Formigoni, che sono inquisiti e alcuni sono anche stati condannati o si trovano in carcere e, a questo, “non si può rimediare semplicemente con un rimpasto di giunta”, ha denunciato il consigliere Pd. Rimpasti che – ha segnalato Mirabelli - oltretutto, non sono stati fatti nel tentativo di rilanciare l’azione politica per la Lombardia, ma solo per sostituire delle persone arrestate o perché mancavano le donne (come ha stabilito il tribunale) e queste sostituzioni sono state fatte secondo logiche interne alle fratture della Lega e al congresso del Pdl.
La crisi morale si lega anche ad una crisi politica di quello che è stato un modello, un sistema di potere che è stato costruito in questi anni, secondo Mirabelli che ha segnalato come questo si veda anche in Consiglio Regionale dove tutto si regge su rapporti di scambio all’interno della maggioranza composta da Pdl e Lega (per cui vengono approvate legge incostituzionali come quella sul dare la precedenza agli insegnanti lombardi nelle scuole o la legge Harlem contro i negozi di kebab, ma vengono anche spartiti posti in Asl, ospedali e società). “Oggi c’è una maggioranza che non è in grado di dare niente alla Regione” ha commentato Mirabelli, ricordando che, invece, “la Lombardia, con le sue potenzialità dovrebbe essere la locomotiva per aiutare ad uscire dalla crisi”. Mirabelli, però, ha segnalato anche che, con questi risultati elettorali, è chiaro che il centrodestra resterà arroccato ancora di più in Consiglio Regionale perché Pdl e Lega non sono in grado di andare da nessun altra parte e, in caso di elezioni, potrebbero perdere tutto.
Mirabelli ha denunciato un sistema centralista di gestione e delle nomine che ha portato alla costruzione di un sistema opaco in cui scarseggia la trasparenza. Anche per questo, secondo Mirabelli, sarebbe necessario un limite ai mandati perché altrimenti il rischio di concentrare troppo potere su una sola persona per troppo tempo provoca delle degenerazioni.
“Oggi, l’unico posto in cui il centrodestra ha la maggioranza in Lombardia è il Consiglio Regionale e il fatto che, dopo questi risultati elettorali, Formigoni si sia affrettato a dire che la sua maggioranza è salda, non fa altro che contribuire all’aumento della distanza che c’è tra i cittadini e la politica”, ha commentato Mirabelli, segnalando che in questo modo, si rischia di dimostrare che “la politica sta da un’altra parte rispetto a quanto hanno chiesto i cittadini con il voto”.
Mirabelli ha precisato che il Partito Democratico, a breve, chiederà che Formigoni si dimetta da Commissario all’Expo e presenterà un’altra mozione di sfiducia al governatore ma, considerati i numeri in Consiglio Regionale, è difficile che passi. Merito del Partito Democratico in Regione, però, è quello di esser riuscito a tenere unite tutte le opposizioni e su questo occorre continuare a lavorare: “Dobbiamo essere bravi a costruire una proposta politica con un’alleanza tra le forze politiche e le forze della società civile che vogliono un cambiamento in Lombardia”. Mirabelli ha anche ricordato che la Regione è un’istituzione molto importante, dove si giocano le politiche per la casa, la sanità e altri settori chiave e su questo occorre fare iniziativa politica, mentre troppo spesso ci si è concentrati esclusivamente su Comune e Provincia. “Serve dare l’idea di una Regione diversa, non centralista e trasparente. Dobbiamo cominciare a dire cosa vogliamo fare e che il candidato presidente sarà scelto con le primarie. Serve anche avviare un percorso per cominciare a mettere insieme le competenze e far relazionare i vari mondi, per costruire una credibilità sui progetti che si vogliono portare avanti”, ha concluso Mirabelli.
 

domenica 6 maggio 2012

L'Italia non è la Francia

Sono molto contenta per la Francia e spero che la vittoria di Hollande possa essere l'avvio di un cambiamento per tutta la politica europea.
Non sono così ottimista, però, sul riflesso che questa vittoria possa avere in Italia: la situazione con cui l'Italia andrà alle urne è molto differnte da quella con cui ci è andata la Francia.
La Francia aveva un governo politico di destra uscito dalle urne e non un governo tecnico supportato da una maggioranza composita, aveva una situazione economica molto differente da quella in cui versiamo noi.
Il rischio è che da noi si riproducano ben altri esiti. La speranza è che la svolta francese consenta cambiamenti nella politica europea e, solo con questi, si può auspicare ad un risultato analogo in Italia.