martedì 31 maggio 2011

Giuliano ha liberato Milano

Una festa bellissima e arancione, ieri, ha riempito le strade e le piazze di Milano, dal pomeriggio fino alla notte. Appena si è cominciato a capire che Giuliano Pisapia avrebbe vinto, le persone hanno cominciato a uscire.
Girando per le strade, anche nelle periferie, era facile incontrare auto con bandiere delle pace o arancioni che sventolavano fuori dai finestrini. Direzione centro, per tutti quanti: teatro dell’Elfo in Corso Buenos Aires per la conferenza stampa del nuovo sindaco e poi tutti in piazza del Duomo per la festa.
Piazza Duomo era caldissima, assolata, con un piccolo palco montato e accanto uno schermo che trasmetteva le immagini dello speciale di La7 e poi la postazione di Radio Popolare con l’audio diffuso che raccontava ai presenti cosa stava accadendo per le strade milanesi.
È stata una festa bellissima, cercata, voluta, aspettata. Qualcuno ha detto che c’era un clima da “25 aprile”, da “Festa della Liberazione” ed era vero, come sottolineavano gli slogan “Giuliano libera Milano” cantati dalle persone accorse per festeggiare il nuovo sindaco: era liberazione della città dopo vent’anni di governo della destra, ma non solo perché anche gli altri comuni e le altre provincie delle Lombardia si erano liberate e poi l’Italia intera. Il vento di Pisapia che dal primo turno elettorale aveva fatto tremare il centrodestra si era diffuso sulla penisola e, inevitabilmente, aveva contagiato e travolto tutti.
E tutti volevano essere presenti alla festa di Milano: in piazza del Duomo c’erano cartelloni di persone provenienti dalla Val Sesia, da Rho (dove pure ha vinto un sindaco di centrosinistra) da Como… Erano tanti i ragazzi che, in uscita dal lavoro, fermavano qualcuno vestito di arancione per chiedere se era tutto vero e se era definitivo e che a quel punto, anziché dirigersi in stazione per prendere il loro treno, sceglievano di proseguire per piazza del Duomo per essere partecipi della festa della liberazione di Milano e attendere insieme ai milanesi il nuovo sindaco Giuliano Pisapia. Tutti sapevano, infatti, che il vero epicentro della scossa che stava travolgendo Berlusconi e il centrodestra era Milano e a Milano volevano fare la festa.
Una festa colorata con bandiere, palloncini, cartelloni (“Sucate è qui”, stava scritto a su un cartello a bordo palco), bottiglie di spumante (tante già dal pomeriggio) e musica, slogan cantati e urlati (più volte la piazza ha acclamato “Gigi D’Alessio”, in segno di ironia verso tutto quello è accaduto con la buca del suo concerto per Letizia Moratti) e balli e trenini improvvisati.
Sul palco, nel pomeriggio, ad animare la festa c’erano Paolo Limonta (l’omone dello staff di Pisapia), Claudio Bisio, Lella Costa e sono intervenuti per un saluto un felice Stefano Boeri (che si è fermato a cantare “Tutta mia la città”), Susanna Camusso, Gino Strada e poi Nichi Vendola (che forse, preso dall’euforia, si è lasciato andare a qualche parola di troppo). Il tutto è stato ripreso da giornalisti e fotografi e anche da Diego Bianchi (Zoro), a lato del palco con la sua telecamerina.
Del Partito Democratico si è intravisto il segretario metropolitano Roberto Cornelli tra la folla a bordo palco, i ragazzi dell’organizzazione sulla balconata dell’edificio dietro al palco (che hanno riempito di bandiere arancioni) e poi Filippo, biondino appena ventenne dell’organizzazione che lanciava magliette dal palco e che festeggiava il compleanno, a cui la piazza intera ha cantato “tanti auguri”.
Solo a metà serata è intervenuto sul palco Piero Fassino, neo-eletto sindaco a Torino, venuto anche lui a festeggiare insieme ai milanesi. Peccato che molti milanesi non siano riusciti né a vederlo né ad ascoltarlo perché il palco improvvisato, così come il megaschermo erano troppo bassi e la piazza era stracolma di persone (si parlava di 200.000), accalcate ovunque, e gli altoparlanti riuscivano a farsi sentire solo fino a metà della piazza.
Gli altri dirigenti locali e nazionali del Partito Democratico (che pure da qualche parte erano presenti) non li ha visti nessuno ed è un peccato perché se Pisapia ha vinto è soprattutto grazie ai tantissimi voti presi dal Pd (che al primo turno aveva raggiunto il 28% dei consensi e ora ha conquistato ben 20 posti in Consiglio Comunale), ai gazebo messi in piedi dai suoi iscritti (attorno ai quali c’era sempre un gran via vai di gente) e anche gli ultimi eventi di piazza erano stati ben supportati dall’organizzazione del partito (sempre dietro e mai visibile). Spiace sapere che il Pd lavora dietro per poi regalare la scena ad altri partiti (che pure ci hanno messo l’anima per ottenere questo risultato ma che non si può non notare che nelle urne non abbiano raccolto un granché, sebbene i giornali continuino a scrivere che abbia vinto la sinistra).
Ai cittadini in piazza di queste dinamiche interne importava ben poco, probabilmente nessuno ci ha fatto caso, perché tutti erano lì per festeggiare il sindaco Giuliano Pisapia e non per gli altri, però all’interno questi svarioni comunicativi contano e spiace vedere che si finisce per inciampare sempre in banalità che potrebbero essere benissimo evitate (soprattutto perché la vittoria di Milano era ampiamente attesa da due settimane da tutto il Partito Democratico, sia locale che nazionale).
In piazza, ieri sera, sono arrivati davvero tutti: famiglie con bambini, ragazzi in bicicletta, coppie di anziani, tantissimi giovani… C’era una folla sterminata sulla piazza del Duomo che, dopo gli interventi degli esponenti della cultura e dello spettacolo, si è trasformata in una sorta di discoteca a cielo aperto, in cui tutti ballavano (anziani compresi) e, alla fine, sono arrivati anche i fuochi d’artificio.
Una festa stupenda ha accolto il nuovo sindaco Giuliano Pisapia e una nuova Milano, finalmente liberata.

Milano festeggia Pisapia - 30/mag/2011

martedì 24 maggio 2011

Milano capitale europea

Ieri pomeriggio Martin Schulz è tornato a Milano a sostenere Giuliano Pisapia e con lui sono arrivati anche Christian Ude (Sindaco di Monaco di Baviera) e Freddy Thielemans (Sindaco di Bruxelles) e il sindaco di Parigi è intervenuto con un videomessaggio. “Milano capitale europea” era il tema dell’affollata conferenza che si è tenuta al circolo della stampa dove, per l’occasione, è stata creata addirittura un’accoglienza musicale agli ospiti.
Ude ha salutato il pubblico dicendo che anche in Germania seguono con molto interesse le elezioni milanesi e si è detto dispiaciuto per non essere mai stato invitato prima nel capoluogo lombardo.
Ude ha segnalato la debolezza del centrodestra, dimostrata dal modo aggressivo in cui sta cercando di condurre la campagna elettorale.
«Monaco e Milano hanno in comune molte cose» - ha affermato Ude - «entrambe sono città del Nord, hanno circa 1 milione e 400 mila abitanti e sono grandi centri economici». «La destra dice che la sinistra non è in grado di governare ma a Monaco sono 60 anni che governano i socialdemocratici e hanno fatto della città uno dei principali centri economici», ha sottolineato Ude.
Freddy Thielemans, in apertura del suo intervento ha scherzato sull’uso della parola “compagni” e si è detto felice di essere venuto a sostenere il «compagno Pisapia», elencando i valori che accomunano la grande famiglia dei socialdemocratici come la solidarietà e la fraternità. «Il risultato del primo turno elettorale ha decretato una svolta per Milano e la fine di Berlusconi», ha affermato Thielemans.
Tra le problematiche che una grande città europea come Milano deve affrontare, Thielemans ha segnalato il lavoro e la precarietà che generano l’incapacità di progettare il futuro delle persone e poi la necessità di una maggior coesione a livello europeo, con regole simili anche tra città e questo tocca al centrosinistra perché la destra non è interessata. «Serve un’idea di governance per affrontare le grandi sfide globali», ha affermato Thielemans, definendo Pisapia «l’uomo dell’audacia».
Martin Schulz, come nel precedente incontro, si è soffermato a scherzare sulla varietà della composizione della famiglia dei socialisti e democratici, esordendo con un «Cari compagni, amici, colleghi, fratelli e sorelle» e ha poi segnalato che in città si avverte un clima di cambiamento. Alla domanda dei giornalisti che gli dicevano che Milano è sempre stata la capitale del berlusconismo, Schulz ha detto di aver risposto che appunto «è stata».
Schulz ha evidenziato la mediocrità del centrodestra per non aver mai invitato a Milano il sindaco di Monaco solo perché appartiene ad un altro schieramento politico e ha invitato invece a far partire una cooperazione tra le due città.
Schulz ha ribadito il suo amore per l’Italia, in quanto Pese fondatore dell’Unione Europea e rappresentata da Giorgio Napolitano e ha evidenziato che il cambiamento della politica a Milano può incidere enormemente anche sulla politica nazionale ed europea.
Patrizia Toia, nell’introdurre Giuliano Pisapia, ha sottolineato come il candidato sindaco del centrosinistra abbia fatto «un miracolo», non solo per il risultato ottenuto al primo turno elettorale ma anche per essere stato in grado di aggregare attorno a sé tantissime persone appartenenti a mondi diversi e che non sempre si interessano di politica.
Pisapia ha aperto il suo discorso dicendo di sentire su di sé la responsabilità di cambiare Milano e «Milano l’abbiamo già cambiata», ha detto riferendosi all’esito del primo turno elettorale e aggiungendo che adesso «bisogna cambiare il Paese».
Tra i primi provvedimenti concreti che Pisapia intenderà adottare in caso di elezione a sindaco, il candidato del centrosinistra ha segnalato la sottoscrizione del patto dei sindaci che impegna a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra del 20% in accordo con le disposizioni europee.
«Siamo già in maggioranza in tutte le nove zone e adesso dobbiamo esserlo anche al comune», ha affermato Pisapia, ricordando che Milano era un punto di riferimento in Europa per il lavoro, l’economia, l’abitare mentre oggi non è più così e deve tornare ad esserlo: «Milano deve tornare la capitale morale, economica e solidale dell’Italia e diventare un punto di riferimento per i giovani, come lo sono Londra o Barcellona o Berlino e per questo deve mettersi in relazione con le altre capitali europee», ha detto Pisapia.
Tra le altre scelte amministrative, Pisapia ha annunciato che per favorire la partecipazione dei cittadini alle decisioni della città e dar loro reali poteri decisionali, intende trasformare i Consigli di Zona in municipalità.
Altri due impegni che il candidato del centrosinistra ha preso sono quello di far rientrare a Milano persone e imprese che sono fuggite per costi troppo alti e difficile vivibilità e poi quello di valorizzare Malpensa perché non resti un’occasione sprecata ma sia davvero una porta verso il mondo.

lunedì 23 maggio 2011

Moratti, promesse contrarie alle sue azioni da sindaco

A proposito delle ultime battute della campagna elettorale vi segnalo un articolo da La Stampa e uno da Il Messaggero di oggi.

Dalla Moratti a Cetto La Qualunque - Luigi La Spina per La Stampa

E’ un vero peccato che la campagna elettorale per il ballottaggio a sindaco di Milano si sia conclusa con una settimana d’anticipo e con un risultato a sorpresa: Letizia Moratti ha perso, ma non è stata sconfitta dal suo competitore Giuliano Pisapia, ma da se stessa. Perché potrà anche riuscire a compiere l’impresa disperata di superare il candidato del centrosinistra, lunedì prossimo, ma a un prezzo che non bisognerebbe mai accettare di pagare, quello di rinnegare il proprio passato politico, le scelte programmatiche fatte e tante volte rivendicate, i valori in cui si è creduto o si è detto di credere e, soprattutto, tradendo la fiducia di coloro che per quei valori l’hanno eletta a loro rappresentante.
I segnali di fastidio e di distacco con i quali i moderati milanesi avevano risposto, col risultato del primo turno, ai toni estremistici e spregiudicati usati dalla candidata di Berlusconi e Bossi alla rielezione a sindaco di Milano, evidentemente, non sono bastati.
Così la Moratti, in questi giorni, ha inanellato una serie di promesse demagogiche che non solo contraddicono le decisioni più significative del suo precedente mandato, ma assumono caratteristiche che, nei cittadini più anziani, ricordano le scarpe spaiate offerte da Achille Lauro ai napoletani degli Anni 50 e, in quelli più giovani, i mirabolanti impegni elettorali dell’Antonio Albanese di «Qualunquemente».
L’Ecopass, la Ztl, le strisce blu e gialle sulle strade di Milano sono il segno più visibile e concreto della passata amministrazione milanese. Decisioni discutibili, certo, ma che sono nate dalla consapevolezza dei problemi d’inquinamento ambientale e di mobilità urbana nel centro storico. Ora, con una contraddizione clamorosa rispetto alle intenzioni dichiarate dalla Moratti, quelle di «raccontare ai cittadini le tante cose buone fatte a Milano», il sindaco uscente le rinnega. Con la sconcertante promessa di condonare le multe dei milanesi che hanno violato le disposizioni da lei stessa impartite.

Quale opinione la Moratti pensa possano avere di questi atteggiamenti proprio quegli elettori moderati che, fedeli al principio del rispetto della «legge e dell’ordine», hanno osservato le regole? A quale Milano si rivolge? Non crede di offendere, così, l’onestà e il civismo dei suoi concittadini? Soprattutto non ritiene di offendere se stessa, il suo passato di impegno pubblico, dalla presidenza Rai al ministero dell’Istruzione? Compiti svolti con risultati controversi, ma sempre con dignità e mai segnati da cotanto cinismo politico.

La deriva finale della Moratti sulla via dell’estremismo verbale e della demagogia elettorale più incontrollata può sorprendere chi credeva di conoscerla, ma corrisponde, purtroppo, agli atteggiamenti della coppia Berlusconi-Bossi di questi tempi. Il primo sembra non aver capito che le mosse a sorpresa, sul calare dell’ultimo gong nella campagna elettorale, possono essere efficaci le prime volte. Non più quando vengono ripetute dopo che gli elettori hanno constatato i risultati di quelle promesse. L’esempio più calzante è quello dell’abolizione totale dell’Ici. Una decisione che ha messo in difficoltà tutti i Comuni, costretti o a tagliare i servizi o a ricevere dallo Stato, attraverso le tasse, rimborsi che si sono tradotti in una sostanziale «partita di giro». Risultati ancora peggiori, proprio nell’opinione dei moderati italiani, hanno altre promesse berlusconiane, come quelle di lasciare mano libera all’abusivismo edilizio in Campania.

Impegni ridotti a farsa - Giovanni Sabbatucci - Il Messaggero (pdf)>>>

venerdì 20 maggio 2011

Le mosse di una destra in affanno

C’è confusione nel centrodestra e si vede. Dopo il momento di shock per l’esito decretato dal primo turno delle elezioni a Milano e dopo il reciproco scambio di accuse tra i vari esponenti di Pdl e Lega (per altro ancora in corso), Letizia Moratti ha deciso di rimettersi in pista da sola (o quasi: ha recuperato parti del vecchio staff elettorale e ha arruolato Red Ronnie, con immensa delusione dei fans del Roxy Bar che lo hanno visto passare dal rock a galoppino di corte) e di buttarsi a capofitto nelle promesse miracolose che le consentano di raggranellare qualche voto in più del candidato del centrosinistra (al primo turno il sindaco uscente ha perso ben 80.000 voti rispetto al 2006).
Letizia Moratti, che la notte della sua sconfitta annunciava alla stampa che avrebbe cambiato i toni della campagna elettorale (un po’ tardi, poteva pensarci prima), tuttavia, non ha affatto cambiato modalità: anche per questa tornata sta utilizzando lo stesso metodo del capo Berlusconi. Se nella prima tornata, infatti, la Moratti aveva approfittato dell’ultimo secondo disponibile in televisione per gettare accuse false all’avversario, non concedendogli tempo di replica, questa volta l’asso nella manica sono le promesse miracolose ai suoi elettori.
Ieri sera Letizia Moratti ha così annunciato di voler togliere l'ecopass ai residenti a Milano, ticket d'ingresso che aveva introdotto lei per disincentivare l'uso dell'automobile per entrare in centro nel tentativo di ridurre l'inquinamento e il traffico.
Mossa interessante ma non scritta nel suo programma elettorale (copiato da quello del 2006).
Inoltre Letizia Moratti dimentica alcune cose fondamentali:
1) L’Ecopass l’aveva introdotto lei stessa, quindi o c'è qualcosa che non va in ciò che ha fatto in questi anni in cui è stata sindaco di Milano o c'è qualcosa che non va nella promessa attuale.
2) L’Ecopass, stando alla promessa dell’ultima ora, dovrebbe esser tolto solo ai residenti a Milano, cioè gli aventi diritto al voto del 29-30 maggio, quindi persone da cui la Moratti spera di avere il consenso ma anche persone che si presume vivano in città e quindi, tutto sommato, qualche mezzo pubblico per muoversi e raggiungere il centro dovrebbero trovarlo, mentre per i pendolari che spesso necessitano di più mezzi di trasporto per raggiungere Milano non cambia nulla e possono serenamente continuare ad arrangiarsi con i loro disagi.
3) Milano, attualmente, è piena di cantieri per la costruzione delle metropolitane, con la conseguenza di avere un traffico fortemente congestionato in molti quartieri, soprattutto nelle ore di punta e, soprattutto, in entrata. La prima domanda che viene da farsi è: a cosa serve tutta queste reti di metropolitana che si sta costruendo se il messaggio che si manda ai milanesi è quello che possono utilizzare la propria auto per arrivare fino in centro? Con una simile situazione di traffico, sarebbe molto più ragionevole cercare di disincentivare l’uso dell’automobile, potenziando i mezzi pubblici, costruendo i parcheggi di interscambio alle stazioni della metropolitana.
4) L’inquinamento. Come fa notare una nota di Giuliano Pisapia: “Letizia Moratti, cinque anni fa, scriveva a chiare lettere nel suo Piano Generale di Sviluppo che intendeva «istituire un pedaggio (pollution charge) per l’accesso e la circolazione in città» per ridurre il numero di veicoli che entrano in città ogni giorno per migliorare la qualità ambientale. Dopo cinque anni di sperimentazione orgogliosamente rivendicati anche nell’opuscolo I cento progetti realizzati gentilmente recapitato nelle case di tutti i milanesi, a soli dieci giorni dal voto, decide che quell’esperienza è finita perché «l’inquinamento, il traffico e gli incidenti sono diminuiti». Letizia Moratti è pronta a sacrificare la salute dei cittadini che nei primi mesi del 2011 hanno sperimentato, proprio nell’area dell’Ecopass, i peggiori livelli di inquinamento da quattro anni da questa. E a dirlo è l’Arpa, l’Agenzia Regionale dell’Ambiente”.
Ma non bastava la sparata di Letizia Moratti, che ai più è apparsa come una mossa disperata e poco credibile; nella giornata di ieri infatti sono arrivate anche le parole di Umberto Bossi (sempre soft e garbato nei toni che lo contraddistinguono!) in cui ha definito Giuliano Pisapia «un matto» che farà di Milano una «zingaropoli» e che la riempirà di «moschee».
A parte il fatto che nel programma di Giuliano Pisapia non sta scritto nulla del genere, forse Bossi non sa che è stata Letizia Moratti ad aver fatto di Milano una «zingaropoli» in questi 5 anni di assoluto non governo del territorio e i suoi tentativi di smantellare i campi rom che, di fatto, semplicemente si spostavano da un punto all’altro della città senza mai che fosse trovata una soluzione definitiva (per i nomadi e per i residenti dei quartieri che di volta in volta si trovavano a fare i conti con questo problema).
In merito alla questione della moschea, la Lega dovrebbe sapere bene quali problemi dà il centro islamico di viale Jenner (che esiste da parecchi anni e l’hanno costruito i musulmani, non certo la sinistra). La Lega ha spesso innescato proteste per i disagi al traffico e le preghiere sul marciapiede che ostruivano la circolazione dei passanti causati dal centro di Viale Jenner e, allora, forse, anziché dire semplicemente che lì quelle persone non ci devono stare, farebbero meglio ad indicare una soluzione per trovar loro uno spazio consono, che contemporaneamente risolva i disagi dei milanesi.
Senza contare ch la Lega non perde occasione per alzare la voce contro tutti quei Paesi nel mondo in cui manca la libertà di culto e i cristiani vengono perseguitati e allora forse dovrebbe anche rendersi conto che pure i musulmani a Milano hanno diritto ad un loro luogo di culto (esattamente come esistono le sinagoghe, le chiese metodiste ecc.), come c’è in tutte le grandi capitali europee: non è pensabile pretendere diritti per sé negli altri luoghi del mondo e negare gli stessi diritti agli altri quanto vengono nel nostro Paese.
Questo non vuol dire riempire Milano di moschee, ma vuol dire garantire che – al posto delle preghiere sul marciapiede in Viale Jenner – anche i musulmani abbiano un loro luogo di culto, in un luogo consono alle esigenze di tutti.
La realtà è che il centrodestra (tutto, anche la Lega che agita le paure, come spiega Don Rigoldi in un’intervista a Repubblica, ma non offre soluzioni) in tutti questi anni in cui ha avuto in mano Milano ha fallito su tutti i fronti: il sindaco non ha fatto il suo mestiere (non è nemmeno stata presente durante le sedute del Consiglio Comunale), non ha governato la città, non ha saputo far fronte alle problematiche dell’immigrazione, ha detto tante parole sulla sicurezza ma non è stata in grado di garantirla, offrendo come unica soluzione il coprifuoco dei quartieri.
Il risultato è che i problemi sono ancora tutti presenti e sono sotto gli occhi di tutti i milanesi che, forse, questa volta, hanno scelto davvero di voltare pagina.
 

giovedì 19 maggio 2011

Analisi del voto

I giornali di questi giorni sono pieni di pagine di analisi elettorali, più o meno tutte simili tra loro perché ciò che è accaduto con la tornata di elezioni amministrative appena trascorsa è ben evidente agli occhi di tutti.
Semplificando, come ha detto il segretario Pd Pier Luigi Bersani, il centrosinistra ha vinto e il centrodestra ha perso: il dato è abbastanza omogeneo su tutta l’Italia e ha valenza politica nazionale per come è stata condotta la campagna elettorale ma anche perché a metà legislatura del governo è ovvio che gli italiani abbiamo cominciato a fare un bilancio dell’azione della maggioranza in carica.
Quel che emerge chiarissimamente da tutti i risultati è che il centrodestra ha perso consensi: gli elettori delusi o hanno votato altrove o non hanno votato affatto.
Tutti gli analisti, infatti, si sono affrettati a segnalare che questa volta, a differenza del passato, non c'è stato scambio di voti tra Lega e Pdl. «Ci sono state, invece, perdite nette dell'uno e dell'altro. - scrive Roberto D’Alimonte su Il Sole 24 Ore - Contrariamente alle aspettative i delusi di Berlusconi non hanno votato Bossi. E così tutto il centrodestra arretra. Il problema non si presenta solo a Milano. Se così fosse la spiegazione potrebbe essere cercata in fattori locali. Rispetto alle ultime regionali Pdl e Lega perdono sistematicamente in tutto il Nord sia nei comuni che nelle province».
Milano è, tuttavia, il caso più eclatante di quanto avvenuto oltre che una città simbolo del potere del centrodestra che, questa volta, sembra essere giunto al termine.
Innanzitutto, tutte le nove zone della città sono passate al centrosinistra (prima soltanto la Zona 9 era governata dal centrosinistra, mentre le altre otto erano del centrodestra).
Andando ad analizzare i dati elettorali, inoltre, emerge un fatto importante: le preferenze, di solito abbastanza complicate da raccogliere, sono state utilizzate dagli elettori del centrosinistra molto più che da quelli del centrodestra. I partiti maggiori e i candidati più noti, ovviamente, sono quelli che ne hanno raccolte di più. Per il centrosinistra, 49.153 preferenze sono state espresse per i candidati del Partito Democratico (con un trionfo di Stefano Boeri) e 10.956 da Sinistra Ecologia e Libertà, poche quelle per gli altri partiti (per lo più attribuite al candidato di punta della lista). Spicca la scarsità di preferenze raccolte dall’Italia dei Valori: nessun numero eclatante sulla lista e questo è un dato curioso perché notoriamente gli elettori di quel partito sono persone molto attente e tendono ad informarsi bene sui candidati.
Complessivamente, l’Italia dei Valori ha perso molto in queste elezioni in tutta Italia a vantaggio delle liste del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo (ad eccezione di Napoli, dove la popolarità di Luigi De Magistris hanno concesso al partito di Di Pietro di arrivare al ballottaggio) e viene da pensare che il tutto sia ricollocabile in chiave di politica nazionale: la compravendita dei deputati da parte di Berlusconi che ha visto come protagonisti principali proprio tre dipietristi deve aver lasciato il segno.
Le liste del centrodestra a Milano hanno raccolto ben poche preferenze: il partito che ne ha ottenute di più è il Pdl (grazie a nomi noti messi in lista), scarsissime quelle della Lega con l’eccezione di Matteo Salvini e questo è un dato che dovrebbe far riflettere sul presunto radicamento nel territorio dei candidati leghisti, perché la preferenza è un segno chiaro che gli elettori hanno scelto consapevolmente quel candidato.
Perplessità emergono poi sul cosiddetto Terzo Polo: su scala nazionale si è mostrato irrilevante, segno che la politica dei “mille forni” di Casini non paga. Del resto è un po’ difficile sparare contro Berlusconi in una città e presentarsi suo alleato in un'altra...
Inoltre, a questo si aggiunge l’idea del voto utile, ben spiegata da Massimo D’Alema, in un’intervista a La Stampa: «Queste elezioni dimostrano che se la richiesta di cambiamento è così diffusa, allora i cittadini utilizzano il voto che ritengono utile per ottenere il cambiamento. Voglio dire che se a Milano si pensa che occorra chiudere con la Moratti, allora i cittadini - con tutto il rispetto per il Terzo polo - votano per Pisapia, che è il candidato che può batterla. L’idea bipolare è ormai radicata nella testa degli elettori, e a volte la “terzietà”, se è fine a se stessa, si paga. Ripeto: ho grande rispetto per la discussione in corso nel Terzo polo, ma chiedo loro in che prospettiva strategica si pongono. Se si vuole superare il berlusconismo, bisogna assumersi delle responsabilità. E non mi riferisco certo a questi ballottaggi».
Le cose, infatti, cambiano notevolmente adesso con i ballottaggi perché il Terzo Polo potrebbe diventare un pericoloso ago della bilancia.
Nel caso specifico di Milano, è stato anche merito di Casini (oltre che delle intemperanze di Berlusconi, Lassini e Santanché) se la Moratti ha perso 80.000 voti: il venerdì di chiusura della campagna elettorale è stato lui ad andare su tutte le televisioni a dichiarare che gli estremisti stavano nel centrodestra. Monito importante per quello che potrebbe essere il suo bacino elettorale che, indipendentemente dal fatto che possa aver votato per Manfredi Palmeri o no, sicuramente, dopo quelle affermazioni, non ha votato per il sindaco uscente.
Anche questo dei toni utilizzati nella campagna elettorale è stato un tratto che – come tutti hanno rilevato – ha inciso enormemente nella scelta da fare alle urne.
La comparsata televisiva ad Anno Zero di Daniela Santanché ha regalato una marea di voti di indecisi a Pisapia: non ci voleva molto a capirlo, bastava andare per strada il giorno dopo per sentire cosa dicevano le persone.
Michele Brambilla, su La Stampa, commenta: «Milano è troppo sobria per quella gente là, abbiamo sentito dire da una signora, che per “quella gente là” intendeva i pasdaran della politica urlata, i titolisti dal pugno nello stomaco, i professionisti del dossieraggio: gente che non è neanche di Milano e non sa che quello stile lì a Milano può funzionare sul breve ma non alla distanza. Perché “il troppo stroppia” è un altro proverbio che fa parte del patrimonio di saggezza di questa città. Perché che Pisapia sia un estremista, o il capo di un’eventuale giunta di estremisti, a Milano non la beve nessuno».
E ancora «Occupata com’era a dimostrare (o a far dimostrare) con ogni argomento – tutti sistematicamente sbugiardati – che Giuliano Pisapia non è una “forza gentile” espressione della buona borghesia milanese ancorché di sinistra, ma più o meno un mascherato fiancheggiatore di terroristi di varia natura, non si è accorta che i milanesi in effetti si sono presi paura. Non già di Pisapia, ma dell’estremismo che lei, eccessiva nel Dna, incarna», scrive di Daniela Santanché, Fabrizia Bagozzi su Europa.
Ed è tutto vero perché Giuliano Pisapia non è quello che la destra ha cercato di far credere e le persone, che in questi mesi lo hanno cercato, incontrato, ascoltato, lo sanno benissimo.

Lo stupore per il risultato elettorale (tanto per l’arrivo al ballottaggio, quanto per le percentuali con cui si è arrivati) che ha colto tanti commentatori e anche tanti dirigenti di partito, in realtà lascia intendere come questi siano stati molto distratti nei mesi di campagna elettorale perché bastava girare un po’ per le iniziative a cui era prevista la partecipazione di Giuliano Pisapia per accorgersi che qualcosa si stava muovendo, che c’era tanta attenzione attorno a lui (anche da parte di persone che normalmente non si vedono alle iniziative politiche) e tanta voglia di conoscerlo, di sentire cosa aveva da raccontare e, al di là del commento sulle doti comunicative del candidato sindaco del centrosinistra, quello che colpiva di lui era proprio la sua naturalezza, il suo essere in mezzo agli altri, il suo parlare di cose normali (che interessano a tutti i cittadini, come l’abitare, le case, il verde, il traffico, l’inquinamento, l’acqua pubblica, l’occupazione, la trasparenza nella politica) come una persona normale. Qualità rare queste in un tempo di politici urlanti e venditori di sogni impossibili.
Lasciando Milano per guardare alle tendenze nazionali, emergono complessivamente due dati:
1) Il centrosinistra ovunque vince se è unito. In questa tornata elettorale, a parte Napoli, fondamentalmente la coalizione di centrosinistra si è mostrata unita, mentre il centrodestra ha perso pezzi da tutte le parti (il Terzo Polo è andato da solo, la Lega in alcuni comuni ha scelto di andare da sola e anche dove era insieme al Pdl ha mostrato forti segni di insofferenza). E qui, inevitabilmente, si apre la questione delle alleanze e tutte le problematiche che queste comportano. Alla luce dei risultati elettorali, da una parte Romano Prodi è intervenuto gioioso per dire che l’Ulivo era rinato, e dall’altra parte Dario Franceschini ha riproposto la teoria dell’alleanza larga comprendente il Terzo Polo. Tutte ipotesi percorribili e tutte corrette perché, se la matematica non è un’opinione, i numeri usciti da questa tornata elettorale parlano chiaro: divisi non si va da nessuna parte. Ma allora, assoldato il fatto che le alleanze sono indispensabili, occorre necessariamente valutare con attenzione con chi allearsi e quale ruolo ritagliarsi all’interno dell’alleanza e questo è il punto che il Partito Democratico deve chiarire (soprattutto con se stesso perché, anche in questo caso i numeri parlano chiaro, molti problemi sono di natura interna e non si ripercuotono sulle scelte degli elettori).
Franceschini, in una recente intervista a Repubblica Tv, ha affermato che il ruolo del Pd – in quanto partito più grande – deve essere quello che tiene insieme la coalizione e che, quindi, sta in mezzo tra la sinistra (rappresentata da Vendola in prevalenza) e il Terzo Polo. Posizione questa che, per quanto abbastanza naturale, è un po’ riduttiva dal punto di vista politico: forse Franceschini si è espresso male ma, al maggior partito della coalizione dovrebbero spettare proposte (che per altro ci sono) e, con queste, la guida nella linea politica. Se il Pd deve essere solo un collante tra due forze (una di sinistra e una di centro), serve a poco.
2) Al di là della tendenza complessiva, secondo cui gli italiani con il voto volevano esprimere la loro sfiducia al governo in carica, vincono meglio i candidati noti, forti e dal profilo politico riconoscibile, gli altri fanno più fatica. Lo dimostrano l’enorme successo avuto da Piero Fassino (il sindaco più votato) nonostante le candidature fossero 37, lo dimostra De Megistris (a scapito di Morcone, il quale oltre a non essere conosciuto si trovava a dover scontare i pasticci del Partito Democratico di Napoli sulle primarie e la propaganda pressante sul dramma dei rifiuti che continua ad attanagliare la città), lo dimostra anche Giuliano Pisapia (persona molto conosciuta e dal profilo politico chiarissimo e netto) e lo dimostra anche la difficoltà di Virginio Merola a Bologna, in bilico fino all'ultimo (pagava l’affaire Del Bono che ha portato all'exploit i grillini, alcuni svarioni che ha preso durante la campagna elettorale ma anche il fatto di essere sostanzialmente un personaggio non noto).
Un dato che tutti i giornali hanno voluto mettere in risalto (erroneamente) il giorno successivo alle elezioni è stato quello del cosiddetto trionfo della «sinistra estrema» (scritto proprio così), in quanto Pisapia (Milano), Zedda (Cagliari) e De Magristris (Napoli) sarebbero esponenti di quelle tendenze.
A parte il fatto che, caso mai si tratta di “sinistra più radicale” o semplicemente “sinistra”, questo dato però è vero solo parzialmente: è vero che la candidatura di Pisapia è nata nell’ambito di Rifondazione/Sinistra Ecologia e Libertà, così come a Sel appartiene Zedda e De Magistris sicuramente non è annoverabile tra i soggetti moderati, ma questi partiti, in realtà, alle elezioni hanno preso pochi voti. A Milano è stato un trionfo del Pd che, arrivando al 28%, ha raggiunto il Pdl e nelle altre città la tendenza è la stessa.
Gli elettori, pur scegliendo persone di partiti piccoli per la guida del loro comune o della loro provincia, non hanno poi dato il voto di lista a quei partiti ma si sono concentrati sui partiti maggiori, forse in quanto più conosciuti i loro esponenti e forse anche perché ritenuti una miglior garanzia di governabilità in caso di vittoria elettorale.
Il Partito Democratico, dunque, per quanto perennemente impelagato nelle discussioni interne di alcuni suoi esponenti a livello nazionale e per quanto presentasse situazioni politicamente problematiche a livello locale, da questa tornata elettorale ne è uscito benissimo. Segno, questo, che ai cittadini-elettori non interessa minimamente tutta la discussione interna sugli equilibri delle componenti e la problematica sulla consistenza o meno dei dirigenti locali: questi sono tutti fattori che all’esterno non si guardano, non interessano e anche quando si vedono si comprendono poco. Ecco allora che l’unità e la compattezza del partito diventano importanti agli occhi dell’esterno e quando si va a parlare fuori occorre che i dirigenti si assumano completamente questa responsabilità. Ciò non significa negare i problemi o non discutere, ma vuol dire farlo all’interno, negli organismi, per poi uscire uniti e più forti insieme, perché ciò che è un problema per gli equilibri interni al partito non necessariamente lo è per i comuni cittadini, anzi, il più delle volte non lo è affatto e quindi è meglio se questi fattori non vengono accentuati quando si parla fuori.
Venendo agli equilibri interni, tuttavia, guardando ai dati elettorali milanesi, qualche riflessione va fatta. Affari Italiani, per quanto riguarda il Pd, segnala che «Dalle urne è uscita una leadership riconosciuta: quella di Stefano Boeri. Nessuno a sinistra ha ottenuto mai tanti voti quanto lui. Altro "vincitore" è stato Pierfrancesco Maran, che è riuscito a costruire una rete di apparentamenti molto efficaci con i consigli di zona e che si propone come uomo di innovazione nell'ambito della politica democratica. Risultato da rimarcare anche per Carmela Rozza, che è stata non solo la donna del Pd più votata, ma la più votata in generale tra tutte le candidature femminili. Tra quelli che possono gioire ci sono anche i cattolici, che hanno fatto lavoro di squadra e che conquistano il sesto, il settimo e l'ottavo posto in consiglio con Granelli, Pantaleo e Fanzago».
Nomi e reti queste che agli elettori possono non voler dire niente ma che all’interno del partito dicono moltissimo. Anche in piccolo, come per le tendenze nazionali, chi ottiene di più è chi è più conosciuto ma anche chi ha una buona rete di sostegno perché, pure in questo caso, da soli si va poco lontano mentre con buone reti si vince. E, allora, per il futuro, è bene che le componenti riflettano sui successi o meno dei loro candidati e, soprattutto, sul funzionamento della rete che doveva servire a portare loro voti, per consolidare o rinnovare dove serve.
 

sabato 14 maggio 2011

Pisapia e Vecchioni in una piazza Duomo da sogno

Un sogno era questo piazza Duomo a Milano ieri sera, in cui una folla immensa di persone è rimasta incantata dalla musica e dalle parole di Roberto Vecchioni (metà cantante e metà professore) e dalle speranze di una campagna elettorale che si è conclusa con l’augurio di Giuliano Pisapia di riuscire a “liberare Milano per poi liberare anche l’Italia”.
Un sogno che, personalmente, aspettavo da tempo: erano anni che desideravo andare ad un concerto di Vecchioni ma puntualmente, quando se ne presentava l’occasione, capitava sempre qualcosa che mi costringeva a rinunciare. Ci volevano la festa della campagna elettorale e Giuliano Pisapia per realizzarlo!
Sono arrivata in piazza Duomo intorno alle 20.30, in ritardo e di corsa come sempre di questi giorni. Come sono uscita dalla metropolitana sono stata investita dai colori di una piazza bellissima e piena di bandiere e palloncini e accolta dai militanti dei Verdi e dei Radicali che cercavano di dare gli ultimi volantini. Sul lato sinistro uscendo dalle scale della metropolitana c’era il gazebo dei radicali e subito accanto quello di Sinistra Ecologia e Libertà (tutto rosso di bandiere e striscioni), mentre sul lato destro c’era il gazebo dei Verdi e più spostato verso il palco quello tutto arancione di Pisapia. Accanto al palco dall’altra parte c’era un altro gazebo arancione di Milly Moratti (che puntualmente si presenta alle elezioni con una sua lista civica a sostegno di Pisapia). Più spostati gli altri partiti.
Come sono uscita dalla metropolitana mi sono diretta verso il palco, ancora abbastanza avvicinabile, per cercare di trovare qualcuno che conoscevo ma c’erano solo facce nuove. Dopo un po’ che mi guardavo in giro ho cominciato a chiedermi, in mezzo a tutti quei gazebo, dov’era il Pd e come mai non si vedeva. Ho fatto il giro della piazza ma non l’ho visto e allora ho alzato gli occhi al cielo per cercare tra le bandiere: il Pd stava imboscato dietro le scale della metropolitana, dietro il gazebo di Pisapia, dietro i Verdi, oscurati dai radicali (sempre tra i piedi e sempre alla ricerca di telecamere) e persino dietro a un lampione… Quando li ho raggiunti, li avrei fulminati e a un ragazzo dell’organizzazione l’ho detto che potevano mettersi ancora più nascosti già che c’erano. Dentro al gazebo (una struttura bianca con sopra una bandiera Pd che sventolava e nient’altro) c’erano i ragazzi dell’organizzazione che regalavano le ultime bandiere e invitavano chi le prendeva ad andare in piazza. Accanto al gazebo c’era anche Barbara Pollastrini, bellissima come sempre.
Non ho capito perché alla signora Milly Moratti (da sempre vicina al Pd) si consente di fare una lista per i fatti suoi e di piazzarsi con gazebo, bandiere e palloncini in un punto strategico della piazza e il Pd (che è il partito più grande della coalizione) debba starsene nascosto ma, quando l’ho chiesto, la risposta è stata: “Quando siamo arrivati, il gazebo della Moratti era già montato, è arrivata prima”…
Spiace che il Pd sia così poco sveglio dal punto di vista comunicativo e sprechi importanti occasioni di visibilità.
Ho abbandonato in fretta la postazione irrilevante del Pd per tornare verso il palco, ma ormai la piazza del Duomo era già ampiamente riempita ed ho atteso l’inizio della manifestazione.
Ad aprire la festa sono stati i clown di PIC che hanno cercato di far ridere una piazza Duomo ormai strapiena di persone in ogni angolo, fino alla Galleria e poi arrampicate sulle statue e sulle ringhiere delle scale della metro.
Benedetta Tobagi ha poi raccontando alcuni aneddoti della campagna elettorale e ha ricordato alcuni buoni motivi per votare Giuliano Pisapia.
Vecchioni ha introdotto il candidato sindaco (definendolo “l’uomo dei sogni”) sulle note di “Sogna ragazzo sogna” e accolto dagli applausi e dai palloncini della piazza. [video dell'apertura di Roberto Vecchioni>>>]
Pisapia, nel suo discorso, ha toccato un po’ tutti i temi affrontati nel corso della sua lunga campagna elettorale e ha rilanciato la speranza di farcela. Una speranza a cui quella piena di gente vuole credere davvero.
Su Giuliano Pisapia si è detto molto, qualcuno lo voleva diverso (alcuni gli chiedevano più moderazione, più attenzione a discutere di certi temi, altri – al contrario – lo volevano più aggressivo e più incisivo), gli avversari gli hanno attribuito giudizi a dir poco ingenerosi, ma la verità è che ciascuno deve essere se stesso per essere credibile e convincente. Tanti hanno chiesto a Pisapia, in questi mesi, di essere un po’ più uguale a quello che poteva essere il loro candidato ideale ed è una follia perché nessun uomo è uguale a un altro, neanche dentro lo stesso partito la pensiamo uguale e allora perché mai si deve chiedere a qualcun altro di essere uguale a ciò che noi stessi non siamo? Giuliano Pisapia è quello che è: una persona per bene, che si è speso totalmente in questa campagna elettorale, che ha girato la città in ogni angolo, che ha ascoltato le periferie, che si è fermato a parlare con i cittadini comuni senza filtri né barriere e che ha anche un bel progetto per Milano (per una politica condivisa, partecipata, che tenga conto dei bisogni di tutti, attento ai deboli, ai giovani, che restituisca alla cultura e all’istruzione pubblica il suo valore) ed è per questo che deve piacere e deve essere votato. Giuliano Pisapia forse non avrà una grande verve comunicativa, ma nessuno ce l’ha (a parte Berlusconi e Vendola) neanche la Moratti è una gran comunicatrice: lei ha solo molti più soldi da spendere in comunicazione (vale a dire in fotografie che ha fatto mettere in quel libretto di sogni mai realizzati che ha spedito nelle case degli italiani e in improbabili manifesti da pin up).
Giuliano Pisapia, però, ha un grande merito – al di là di come andranno a finire queste elezioni – che è quello di aver fatto sognare: ha ridato la speranza ad una sinistra che non aveva più trovato degni rappresentanti e si affidava al caso di volta in volta oppure non voleva più andare a votare. Giuliano Pisapia, come ha detto Benedetta Tobagi dal palco di Piazza Duomo ieri sera, è riuscito a riunire la sinistra. L’unico problema reale può esser quello di aver trascinato con sé anche partiti molto piccoli che qualche problema nella gestione della politica possono darlo e allora la speranza è che gli elettori concentrino i loro voti sui partiti più grandi della coalizione in modo da dar loro la forza di governare, lasciando ai margini il resto, con la certezza che Pisapia sarà comunque una garanzia per tutti.
Al termine del discorso di Pisapia, è cominciato il bellissimo concerto di Roberto Vecchioni e la magia ha avuto inizio.
Il concerto di Vecchioni è proseguito con “Canzoni e cicogne”, “Le mie ragazze” e “Mi porterò”… Sentire uno dei tuoi cantanti preferiti che apre il concerto con le tue canzoni preferite è una gioia infinita! [Video dell'inizio del concerto>>]
Non so cosa possano aver pensato i miei vicini ma ho cominciato a piangere subito e ho pianto per quasi tutto il concerto: è stata un’emozione immensa e bellissima, un sogno, una magia per la musica e le parole sempre azzeccate e appassionate del professore!
Sì perché Vecchioni non ha solo cantato ma anche letto, recitato e parlato, prima con il Discorso di Pericle agli ateniesi, poi con i versi di Neruda e poi con un messaggio appassionato in favore della cultura. [Video della lettura di Vecchioni del discorso di Pericle>>]
Piazza Duomo – sempre più piena – ballava sulle note di “Milady” e di “Bandolero stanco” e si commuoveva per “La casa delle farfalle”, “Celia De La Cerna” (dedicata alla mamma di Che Guevara) e “Figlia”.
L’immagine più bella è quella di una piazza Duomo piena di gente che gioca con i palloncini arancioni di Pisapia sulle note di “Viola d’inverno” di Vecchioni. Sembrava di stare dentro a un sogno.


Vecchioni ha poi mandato il suo saluto a Napoli, facendo cantare alla piazza “O surdato nnammurato e ha coinvolto tutti con “Samarcanda”, l’attesissima “Chiamami ancora amore” (dove si sono scatenati gli applausi sul passaggio “per quel bastardo che sta sempre al sole”) e il gran finale con “Luci a San Siro” chiusa da Pisapia, che ha detto che “Le luci su Milano le riaccenderemo noi”.
Alla fine del concerto, la festa è continuata con la corsa a bordo palco di tutti quelli che prima non erano riusciti ad avvicinarsi e gli ultimi balli sulle note della musica diffusa dalle casse, mentre i militanti dei partiti distribuivano gli ultimi volantini.


Video del concerto di Vecchioni:
Prima parte - seconda parte - terza parte - quarta parte - quinta parte - sesta parte - settima parte - ottava parteMilano chiama Napoli - finale

venerdì 13 maggio 2011

Un pomeriggio con Bersani

Mercoledì pomeriggio, il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani - in visita a Milano per supportare la campagna elettorale a sostegno di Giuliano Pisapia - è passato nella mia zona, nel mio circolo! Tempo fa era stata in Zona Rosy Bindi (ma non nel mio quartiere) e prima ancora c'era stato Fassino (anche in questo caso, in un altro quartiere), ma un segretario non lo avevano ancora portato proprio qui!
Un bellissimo e affollato incontro è stato quello con Bersani, avvenuto nel cortile della Casa di Alex (il locale accanto al nostro circolo Pd). Bersani ha sottolineato l'importanza della cooperazione, molto presente nel nostro territorio. Ad accogliere il segretario c'è stato Franco Tripodi, presidente della cooperativa Prato Centenaro – Sassetti, e i candidati del Pd per il Consiglio comunale e il Consiglio della Zona 9.
Bersani ha sottolineato l’importanza della battaglia politica che si sta combattendo a Milano e ha ricordato ai presenti quanto siano importanti proprio questi ultimi giorni, in cui ciascuno si deve far carico di avvicinare gli indecisi e parlare con loro, spiegando che c'è una incalcolabile differenza fra la Moratti (il centrodestra) e Pisapia (il centrosinistra).

Guardate le fotografie>>>
Bersani alla Casa di Alex - 11 maggio 2011


La giornata di Bersani si è poi conclusa in piazza Mercanti con un comizio finale.
Guardate il video del comizio di Bersani in Piazza Mercanti da YouDem>>>

Tutte le fotografie>>>



Bersani alla Loggia dei Mercanti - 11 maggio 2011

giovedì 12 maggio 2011

La passione di Nichi

Domenica scorsa all'Arco della Pace di Milano, in sostegno di Giuliano Pisapia, è intervenuto Nichi Vendola. Quello di Vendola è stato un lunghissimo e appassionato comizio, in cui ha toccato tutti i temi importanti della politica italiana, oltre che milanese, dalle battute di Berlusconi e dei suoi uomini sull'estetica femminile, alle problematiche del lavoro e del precariato, alla necessità dell'accoglienza, fino a quello che accade nel Mediterraneo, il nucleare, l'ecologismo come valore perché il Pianeta va custodito... Un discorso molto bello quello di Vendola che, al di là delle appartenenze politiche, merita di essere ascoltato.

Video del discorso di Nichi Vendola - prima parte>>>
Video del discorso di Nichi Vendola - seconda parte>>>
Video del discorso di Nichi Vendola - terza parte>>>
Video del discorso di Nichi Vendola - quarta parte>>>
Video del discorso di Nichi Vendola - quinta parte>>>
Nichi Vendola e Giuliano Pisapia a Milano

Un passaggio dell'intervento di Giuliano Pisapia>>>



martedì 10 maggio 2011

"Daccapo": una bufera di emozioni

Su “Daccapo”, il nuovo romanzo di Dario Franceschini (edito dalla Bompiani), i giornali hanno scritto molto, o meglio hanno sprecato molte parole a parlare di qualcosa che, in realtà, nel libro non c’è!
Forse un po’ forviati da una nota iniziale della casa editrice, forse perché in fondo sono tutti attratti dai presunti argomenti scandalosi che contrastano con le apparenze per bene che si addicono meglio al quieto vivere, sta di fatto che i giornalisti si sono prodigati in infiniti commenti sulla scelta dell’autore di far precipitare il serissimo protagonista del racconto a confronto con 52 prostitute (in realtà solo nominate) e un ambiente di ladri, umili lavoratori e malfattori.
In realtà, però, la storia racchiusa nel romanzo di Franceschini è un’altra: è una storia intensa dal punto di vista emotivo, piena di sentimento, di turbamenti, di svolte interiori.
Il linguaggio utilizzato da Franceschini riflette tutto questo ed è delicato e forte insieme, con delle parolacce sparate qua e là che ricalcano il pensiero del protagonista ma anche quello del lettore.
Daccapo” è un romanzo emozionante, geniale per alcuni aspetti e leggendolo si ride, si piange, si sorride, ci si deve fermare a riflettere. C’è un mondo di emozioni e di sentimenti, di pensieri e di vite vissute o immaginate tra quelle righe che accomunano tutti, non solo i personaggi.
Franceschini coglie alla perfezione i tratti della psicologia umana, pur racchiudendoli in personaggi un po’ stereotipati, molto simili a quelli de “La follia improvvisa di Ignazio Rando”, nel senso che sono molto schematici e si sa benissimo dove andranno a cadere: è facile intuire che il giovane e timorossimo notaio, sempre irrigidito e serissimo, perderà la testa al primo istante, così si intuisce subito che l’integerrimo notaio morente qualche cosa di poco integerrima e ben nascosta deve avercela (un po’ come il principale di Ignazio Rando che dietro la sua aria seria, autoritaria e rispettabile, stava in ufficio a immaginarsi le donne nude e provava fastidio nel venire interrotto dai suoi sottoposti).
Le prostitute - in realtà se ne vede una sola, Mila, e non la si vede mai fare quel mestiere, ma solo ridere, piangere, saltare addosso all’impacciato notaio, lasciandosi coinvolgere dalle sue vicende più come un’amica o un’amante innamorata che non come una puttana - così come i ladri, il popolo “basso” fanno semplicemente parte del contesto in cui molti fatti si svolgono e sembrano essere una scelta di fantasia narrativa.
Su questi personaggi, pur lasciandoli tutti privi di carattere, e sulle scene (proprio come quelle dei film) che si svolgono nell’ambientazione ferrarese si mostrano tutte le abilità descrittive di Franceschini, sempre precisissimo anche nei particolari, mostrandosi in questo caso molto più vicino a “Nelle vene quell’acqua d’argento”, pur essendo un libro completamente diverso per temi, per linguaggio e per ritmo.
Daccapo”, infatti, è un romanzo che ha un suo ritmo, piuttosto forte (se non altro per l’intensità di ciò che racconta pur rinchiudendolo in contesti molto particolari) ma anche per le continue citazioni di scene cantate nelle canzoni dei cantautori (De André, Dalla, De Gregori, Fossati, i Beatles) che l’autore prende in prestito per completare i quadri del suo racconto.
Una forma letteraria nuova, questa, che assomiglia molto all’utilizzo che tutti facciamo della rete e in particolare di facebook; sul quale siamo un po’ tutti ragazzini e affidiamo i nostri stati d’animo alle parole delle canzoni o alle scene dei film linkate da youtube. E in effetti, per chi non ha trovato le citazioni racchiuse nel libro, basta sfogliare la bacheca facebook di Franceschini degli ultimi mesi per ritrovarsele tutte.
Una forma letteraria originale questa, anche se di fatto l’autore non si è inventato molto di suo perché prende il già raccontato da altri per estrapolarlo dal contesto originario e posizionarlo dove gli serve farlo emergere, per ricontestualizzarlo nella sua nuova storia.
Nei giochi di citazioni, Franceschini finisce per citare più volte anche i suoi precedenti romanzi: due citazioni per “La follia improvvisa di Ignazio Rando” (inizialmente è un personaggio che si trova in treno e legge quel libro e poi è addirittura il giovane notaio a Ferrara ad incontrare il povero Rando, ormai completamente perso nella sua follia, in giro per le strade con un grosso sasso in mano) e una citazione molto bella c’è anche per “Nelle vene quell’acqua d’argento”. In “Daccapo” compare l’ottava figlia della famiglia Bottardi, quella che effettivamente, andando a rileggere il romanzo d’esordio di Franceschini, mancava nel conteggio e che, a questo punto risulta essere figlia di una prostituta e del notaio anziano e fa sapere che ad averglielo rivelato è stato proprio il fratello che dopo essere partito per un viaggio non è più tornato.
Sono citazioni, queste, che in qualche modo lasciano con il sorriso i lettori dei precedenti romanzi di Franceschini perché ritrovare un personaggio o una storia fa sempre piacere, così come spiace sempre, una volta terminato il libro, dover abbandonare quelle vite di carta.
Un tratto caratteristico della scrittura di Franceschini è che spesso l’autore affida il messaggio a lettere e sogni. I personaggi dei romanzi di Franceschini, infatti, scrivono o leggono e sognano: Primo Bottardi di “Nelle vene quell’acqua d’argento” mandava una lettera alla moglie per cercare di spiegarle cosa stava facendo e anche il sogno che aveva fatto, Ignazio Rando aveva lasciato scatole piene di foglietti con annotati i suoi sogni (tra l’altro molto più “hot” che non le prostitute mai viste di “Daccapo”). Anche in “Daccapo” si scrive e si sogna: il padre notaio lascia le tracce per rintracciare i suoi figli scritti in un quaderno, le madri prostitute lasciano lettere ad una strampalata anagrafe che servono per il riconoscimento, il notaio morente lascia una lettera al figlio per spiegargli ciò che non farà in tempo a dirgli, il giovane notaio scrive alla moglie perché non riesce a parlarle e, dove le lettere non bastano, arrivano i videomessaggi (film - che a volte sembrano visioni o sogni - della moglie a cui il protagonista deve rispondere). E poi i sogni: il sogno di una donna che sta per scendere dal treno, terminato da un’altra donna che le sta di fronte e il sogno del giovane notaio.
A differenza dei precedenti romanzi di Franceschini, però, la storia raccontata in “Daccapo” è “colorata”: è l’autore stesso a far sapere che il personaggio si perde in “colori sgargianti”, che sono poi metafora della vita, della gioia ritrovata, del tornare in sintonia con il mondo che lo circonda e con le persone di cui è popolato. Colori che vengono anche associati alla bellissima Mila (di cui, appunto, si sa solo che è “bellissima” e dai capelli neri ma questo basta a darle una fisicità pur non descrivendola mai) e quindi in qualche modo all’innamoramento del protagonista non tanto verso la ragazza (probabilmente anche) ma verso ciò che lei rappresenta: il sorriso (mentre di lui si fa notare che non sorrideva mai), la libertà, la capacità di poter fare ciò che le pare senza troppa attenzione alle apparenze in cui tutti i giorni la maggior parte delle persone ingessa la propria vita e i propri pensieri; un innamoramento che non è mai citato nel testo perché non è importante in quanto tale ma lo è per la funzione di svolta che ha sul protagonista e sul suo modo di vivere.
Un innamoramento che diventa evidente nel momento in cui il protagonista si rende conto di non poter pronunciare il nome di lei perché non reggerebbe, sarebbe troppo forte la scossa e lui sarebbe perso e poi, una volta che lo ha pronunciato, non riesce più trattenerlo quel nome e lo ripete fino a svenire.
E Franceschini si rivela anche un autore romantico nel raccontare i momenti vissuti insieme dal protagonista (improvvisamente capace di pensieri e gesti delicati o appassionanti) e la bellissima Mila.
È Mila a generare la follia, a far emergere un mondo sommerso nelle vie di Ferrara, mentre si porta in giro il notaio alla ricerca della verità sui suoi presunti fratelli o semplicemente a passeggio con lei, ma anche a buttare all’aria il mondo ordinato che c’è dentro il protagonista per liberare i colori, la serenità, il disordine, il sorriso… la vita.
Un mondo quello di Mila e di Ferrara che ad un certo punto della storia, però, si tronca: è come se all’improvviso il protagonista - che ha attraversato la “bufera” (dei sentimenti e delle emozioni) causata dalla rivelazione del padre ma anche dell’incontro con la giovane prostituta - abbandonasse tutto quel che ha fatto emergere, compresa la ricerca dei suoi presunti 52 fratellastri (completata di fatto solo sulla carta ma mai concretizzata nel corso del romanzo: soltanto una è, infatti, la sorella che il protagonista incontra e sfiora per caso senza che i due lo sappiano) per concentrarsi sul problema del rapporto che ha con la moglie (donna dall’apparenza fredda, presente nell’elenco dei fratelli/sorelle e qui, oltre al vezzo di fantasia narrativa, non ci vuole un genio a comprendere la metafora di come spesso vanno a finire per tutti i rapporti tra coniugi con il tempo).
È come se il romanzo, in qualche modo, si dividesse in due: una prima parte dedicata ai turbamenti del protagonista, lo sconvolgimento per la rivelazione di suo padre, la scoperta di un mondo sconosciuto (che avviene forse anche troppo velocemente) nei vicoli di Ferrara popolati da personaggi particolarissimi che letti nel romanzo sembrano reali ma osservati a distanza potrebbero sembrare dei folli; e una seconda parte in cui tutto si concentra sulla scoperta della moglie e di ciò che si agita dentro di lei e tutto il resto diventa in qualche modo funzionale a questo, compresa Mila (che da amante si trasforma improvvisamente in amica e complice per aiutare il suo notaio a “liberare” la moglie da ciò che la opprime).
Franceschini, spesso, racconta che quando scrive non è lui a decidere la storia ma sono i suoi personaggi a portarlo dove vogliono e qui è ben evidente che ad un certo punto tutta l’urgenza della storia da raccontare si focalizza sul giovane notaio e la moglie, accantonando il resto: dalle premesse poteva nascerne una vicenda complicatissima e, invece no, l’autore sorprende tutti, fa concludere le ricerche dei fratelli del protagonista - che comunque non sono suoi - sulla carta perché ciò che conta è che forse il protagonista a quel punto ha trovato se stesso ed è più importante del resto e da cercare e da salvare c’è qualcos’altro.
E allora ecco che “Daccapo” è un romanzo bello, intriso di emozioni, sorprendente, appassionante, divertente e serissimo, che fa ridere e piangere insieme a seconda della scena che si sta leggendo (e bastano poche righe per passare da uno stato d’animo all’altro), dove si mischiano la realtà e la fantasia, con una forza intrinseca nel linguaggio con cui le vicende vengono raccontate (perché qui storia, sentimenti e parole sono fuse insieme) e soprattutto in cui dentro c’è la vita, quella di tutti.
 

sabato 7 maggio 2011

Follia ferrarese nella presentazione di Daccapo a Milano

Lo sciopero non ha fermato i milanesi che sono arrivati in tanti, ieri, alla Fnac per la presentazione di “Daccapo” il nuovo romanzo di Dario Franceschini, edito dalla Bompiani che, per l’occasione era presente al completo, a partire da Elisabetta Sgarbi. Tra il pubblico, molto variegato per provenienza ed età, c’era anche Anna Paola Concia del Pd.
A parlare del romanzo, oltre a Franceschini, c’erano Daria Bignardi e Roberto Vecchioni a cui si è aggiunto qualche commento di Daria Colombo (moglie di Vecchioni e che ha da poco pubblicato il romanzo “Meglio Dirselo”).
Splendido il racconto di “Daccapo” che ha fatto Roberto Vecchioni, appassionato e appassionante, in cui ha saputo intrecciare la vicenda del romanzo e i suoi personaggi con la vita reale. Vecchioni ha fatto notare come la vita grigia e spenta del protagonista assomigli alle vite di tutti noi, sempre ingabbiati nella realtà monotona di tutti i giorni e nei gesti convenzionali di cui ci accompagnamo.
Tante anche le citazioni musicali e cinematografiche messe in risalto per dar vita all’umanità di cui si popola il libro di Franceschini. Inevitabile che il discorso sia poi finito sulle prostitute, citate nel romanzo e su cui i giornali negli ultimi giorni hanno scritto tanto con riferimenti alle vicende della cronaca, da cui l’autore ha cercato di prendere con forza le distanze, rivendicando invece De André come fonte di ispirazione.
Daria Bignardi, invece, ha più volte e vanamente cercato di collegare autore e personaggi e di estorcere a Franceschini analogie tra il mondo raccontato e i suoi pensieri. Franceschini, forse spiazzato da certe allusioni, ha chiarito subito che, anche se è vero che ciascuno tende a lasciare frammenti di sé o dei suoi pensieri in ciò che scrive, non significa che debba essere tutto riferito a lui, ma anzi ha precisato che, per il suo modo di scrivere, sono i personaggi a impossessarsi della storia e a decidere come portarla avanti, perché quando inizia a scrivere non ha un disegno preciso in mente. Una forma di scrittura questa che Daria Bignardi ha definito psicanalitica.
Dario Franceschini ha poi raccontato come alcuni episodi divertenti che si possono leggere tra le pagine del libro siano, in realtà, dei frammenti di vita vera della città di Ferrara. Una Ferrara magica, o comunque molto strana, quella che è emersa, caratterizzata da personaggi singolari, a volte dai tratti buffi. Tutte qualità riassumibili, secondo Franceschini, nella definizione di “follia” ferrarese.
A chiudere la presentazione una lettura tratta dal romanzo e la consueta fila di pubblico per salutare l’autore.

 

venerdì 6 maggio 2011

Per una Milano più europea con Martin Schulz

Un bellissimo pomeriggio quello trascorso con Martin Schulz a Milano. Il capogruppo S&D al Parlamento Europeo è giunto in Italia a sostegno della campagna elettorale del centrosinistra e, dopo la tappa torinese di mercoledì che lo ha visto accanto a Piero Fassino, ieri è stato il turno di Milano con Giuliano Pisapia.
Molti giornalisti e i fotografi presenti alla conferenza al Circolo della Stampa, a cui hanno partecipato anche il segretario metropolitano Pd Roberto Cornelli, il segretario regionale Maurizio Martina e i parlamentari europei Patrizia Toia e Antonio Panzeri.
A Giuliano Pisapia, hanno domandato commenti in merito alle vicende di Lassini ma anche sull’Expo o sulla questione dei luoghi di culto e il candidato sindaco del centrosinistra è stato lapidario nel rispondere che Letizia Moratti prima di lanciargli accuse farebbe meglio a leggere i contenuti del programma della coalizione con cui lui è candidato.
Durante la conferenza stampa, invece, Pisapia ha ringraziato Schulz per la sua presenza a Milano, segnalando come la città debba ritornare ad essere un punto di riferimento in Europa, un po’ come per i giovani sono Berlino, Madrid e Parigi (città guidate da sindaci riformisti).
Da Milano e dalle altre città guidate dal centrosinistra come Torino, per Pisapia potrà rinascere una coalizione riformista in Italia verso l’Europa e, anche in quest’ottica, intende rilanciare l’aeroporto di Malpensa, porta per l’internazionalità del capoluogo lombardo, senza per questo sminuire Linate.
Martin Schulz ha ricordato come nel centrosinistra si sia ormai un movimento comune, facente parte di un’unica famiglia dei socialisti e democratici, con valori condivisi e questi devono concretizzarsi nei governi delle città perché è da qui che parte lo sviluppo economico e sociale. Schulz ha ricordato l’importanza di Milano e la necessità che venga amministrata e guidata bene per il futuro della città ma anche perché da qui potrà partire la forza del futuro. Da Milano, secondo Schulz, è possibile cambiare il governo della città e con questo anche dare una svolta al Paese che, attualmente è mal governato e anche in Europa se ne risente.
Schulz ha ricordato, secondo i valori del gruppo S&D, che la forza economica deve sempre coniugarsi alla giustizia sociale.
Il capogruppo S&D si è poi mostrato incantato dalla bellezza della nuova sede del Circolo della Stampa milanese, definendola un castello, e ha poi scherzato sul fatto che in Germania le conferenze stampa si tengono in stanze simili a quelle degli ospedali militari.
Rispondendo alla domanda di un giornalista che chiedeva a Schulz se era consapevole di essere famoso in Italia per la battuta impropria che gli aveva rivolto Berlusconi, il capogruppo S&D ha risposto di saperlo ma anche di non essere l’unica vittima del Presidente del Consiglio italiano: «La prima vittima di Berlusconi è l’Italia», ha concluso Schulz.
Dopo una corsa in una Tv locale, il pomeriggio milanese di Martin Schulz è proseguito con un incontro pubblico alla Camera del Lavoro, questa volta con Stefano Boeri (candidato capolista Pd al Consiglio Comunale), gli europarlamentari Toia e Panzeri e Onorio Rosati padrone di casa.
Grande successo ha avuto proprio Martin Schulz, che ha parlato in un chiarissimo francese, applaudito con calore dalla sala gremita.
Schulz, nel suo discorso, ha mostrato anche grande simpatia, lasciandosi andare spesso a battute. Ha esordito dicendo che una volta sarebbe stato facile aprire un discorso mentre ora quando si inizia occorre dire «Cari amici, colleghi, compagni, fratelli, sorelle!», ricordando che il centrosinistra è una famiglia variegata ma però unita da valori profondi e Milano deve orientarsi verso un futuro giusto ed equo, basato sulla Costituzione e non sulla filosofia di Berlusconi.
«Milano, in Europa, è simbolo del berlusconismo, perché lui è partito da qui» - ha affermato Schulz - «e adesso occorre farla diventare il simbolo della fine di Berlusconi. Per questo la battaglia milanese interessa all’Europa».
Nel suo discorso Martin Schulz ha contrapposto i valori del centrosinistra della giustizia sociale, della solidarietà a quelli del berlusconismo, dell’egoismo, della legge del più furbo.
Martin Schulz ha poi scherzato nuovamente sulla bellezza del Circolo della Stampa ma anche affermato di amare l’Italia perché è un Paese bellissimo: «il mio cuore è con l’Italia anche se non è con Berlusconi», ha affermato il capogruppo S&D, «la mia Italia è quella di Giorgio Napolitano».
«Je suis milanes», ha detto Schulz chiudendo il suo discorso e preannunciando un suo ritorno in caso di ballottaggio per festeggiare perché «Milano è un simbolo, se si cambia a Milano è l’apertura per cambiare il Paese».
 
Per una Milano più europea