martedì 16 febbraio 2016

Voci della Resistenza

Qualche tempo fa, Antonio Masi (storico esponente dell'ANPI di Niguarda, Milano) mi ha regalato il suo recente libro "Voci di testimoni. 1943-1945. Da Venafro a Niguarda" che raccoglie, appunto, i racconti e le testimonianze della Resistenza.
Si tratta di un libro importante, per cui Antonio Masi e Vincenzina Scarabeo Di Lullo che lo hanno curato vanno ringraziati per il contributo di riflessione e storia che ci consegnano.
Vanno ringraziati perché dalle pagine del libro e dalle testimonianze che vi sono raccolte emergono importati momenti della storia dei nostri quartieri (Niguarda in particolare ma non solo), delle persone che li hanno abitati e vissuti e ci fanno conoscere meglio luoghi e persone che abbiamo intorno e di cui spesso abbiamo solo una vaga idea di ciò che sono stati.
Per me questo libro è un regalo bellissimo.
Io, in questi quartieri, ci sono stata trapiantata da bambina, così come ci sono stati trapiantati i miei nonni, a cui il Comune di Milano assegnò una casa popolare dopo che fu stabilito che dovevano lasciare quella di Via Larga perché il centro della città doveva essere ricostruito e adibito ad altro.
Questi quartieri li abbiamo un po’ subiti (i miei nonni erano arrivati in queste case quando intorno c’erano solo campi e nebbia) e molto vissuti ma le nostre storie vengono da altrove e, come le nostre, anche molte di quelle persone che – come i miei nonni – furono trapiantati nelle stesse case popolari ma arrivavano da altre zone di Milano.
La loro guerra e la loro Resistenza è stata fatta e vissuta altrove: ha percorso altre vie della città, altre montagne (quella dell’Emilia, dove mia nonna è nata ed è dovuta tornare sfollata).
Leggendo il libro mi sono accorta di quanto poco conoscevamo di questi quartieri, delle storie che li hanno segnati e delle persone di cui commemoriamo ogni anni la scomparsa con lapidi e corone di fiori e anche di quelli che magari sono stati vicini a noi ma non ne abbiamo mai saputo fino in fondo la grandezza del significato dei loro gesti per quanto esternamente potessero sembrare piccoli e quotidiani.
Con questo libro è stato fatto un importante lavoro di ricerca e raccolta di testimonianze: andrebbe fatto leggere a tutti coloro che arrivano in questi luoghi perché sapere dove ci trova, quale passato ha caratterizzato le strade che percorriamo quotidianamente e le fabbriche che ora vediamo chiudere e trasformarsi in altro come reperti di archeologia industriale, è materia preziosa per metterci nella giusta prospettiva per poter elaborare il futuro.
Nel libro c'è anche uno spaccato interessante che sulla Resistenza nelle aree del Centro-Sud (Molise e Campania), ben descritto e un po' diverso da quanto si legge su libri di Storia.
Dalle pagine, dalle voci raccolte emerge la volontà di un Paese che si è mosso per arrivare a costruire in modo stabile e duraturo la pace e la democrazia per riemergere dal buio. Per anni ci è sembrato che tutto questo fosse un dato acquisito, normale, scontato e, invece, oggi se ci guardiamo intorno e ci accorgiamo che c’è una parte di mondo neanche tanto lontana da noi che questa bellissima conquista se l’è dimenticata. Almeno noi, grazie ai racconti di chi ha già attraversato la tempesta, dovremmo provare a non dimenticare e a valorizzare quanto di positivo è stato fatto nel cammino della democrazia, grazie all’apporto di tanti.

lunedì 15 febbraio 2016

La buona educazione su Facebook

Lo scrivo, pur sapendo che risulterò anticipatissima.
Non amo facebook e in generale non amo la troppa interazione con troppi soggetti, però riconosco al mezzo una grande potenzialità di diffusione di informazioni (che sarebbe opportuno fossero vere e non "bufale"), di promozione di se stessi e delle proprie attività e anche di contatto con persone e realtà che altrimenti sarebbe più complicato raggiungere.
Facebook, come altri social network e forum, per molti è anche un semplice luogo di svago e di sfogo e va benissimo che lo sia.
Detto questo, però, ci sarebbero anche delle regole elementari di buon comportamento che forse a molti sfuggono quando interagiscono con altri.
Lo traduco esplicitamente: ciascuno ha la propria bacheca per scriverci sopra quello che vuole, perché deve andare a rompere le scatole sulle bacheche altrui?
Questa è una cosa che proprio non tollero soprattutto quando viene fatta a sproposito: mi infastidisce quando viene fatta sulla mia bacheca e mi infastidisce quando viene fatta su altri con cui magari mi trovo a interagire e, anziché leggere il loro pensiero, mi ritrovo a dover leggere quello di altri di cui sinceramente non me ne frega niente.
A me pare semplice buon senso che se ho una questione da porre ad un soggetto, gli scrivo in privato e non gli lascio un post in bacheca dove leggono anche mille altri (a prescindere dal fatto che la questione che gli vado porre possa avere valenza pubblica o personale), così come mi pare di buon senso che se ho qualcosa da dire lo scrivo nel mio spazio e non vado a invadere gli spazi altrui (che non sono tenuti a far pubblicità ai miei pensieri, a prescindere dal fatto che siano importanti o meno). Mi pare semplice buon senso e buona educazione che, purtroppo, vedo che spesso in rete manca a tante persone.
Vi dico di più: per ragioni di lavoro, mi ritrovo spesso a guardare sulle bacheche (pubbliche o personali) di personaggi politici, di cui mi servono comunicati stampa, dichiarazioni o altro e non c'è cosa più fastidiosa che andare sulle loro pagine e trovarle piene zeppe di stupidaggini postate da altri che nulla hanno a che vedere con quel politico e con la sua attività.
A me, quella roba lì fa perdere un sacco di tempo perché devo scorrere tutta la pagina e districarmi tra un'inutilità e l'altra per recuperare ciò che mi serve. A normali cittadini, invece, quella roba lì crea solo un'inutile confusione che non giova né al politico che deve far sapere cosa sta facendo e come sta espletando il suo mandato né a loro che vogliono informazioni perché spesso in quel caos non le si trovano.
Imparate l'educazione e il buon senso quando usate facebook.

domenica 7 febbraio 2016

Le primarie e i cinesi

Prosegue in queste ore la polemica sui cittadini di nazionalità cinese e residenti a Milano che hanno votato alla primarie del PD.
Un polemica prevedibile visti i casi precedenti discutibili avvenuti in altre città italiane in altre occasioni ma che indubbiamente avvelena il clima di festa che, invece, si voleva creare per incentivare la partecipazione dei cittadini alla scelta del candidato sindaco per Milano.
Una polemica fatta in prevalenza da esponenti dei partiti e dei giornali della destra (Lega, Forza Italia, Il Giornale, Libero), oltre che dai perenni contestatori di tutto del Movimento 5 Stelle e Il Fatto Quotidiano ma che coinvolge anche esponenti della sinistra e in particolare di SEL (partito che pure fa parte della coalizione che concorre alle primarie).
Polemica strumentale, secondo alcuni, che serve a gettare un po’ di fango in casa di chi, con le primarie, si sforza di avvicinare i cittadini alla politica, mettendo in campo un collaudato strumento di partecipazione.
Eppure lo strumento delle primarie non è la prima volta che dà problemi, così come già se ne erano verificati per la partecipazione (in alcuni casi indotta) degli stranieri al voto.
Polemiche strumentali, soprattutto a Milano da parte di SEL che poco gradisce la partecipazione di Beppe Sala alla corsa per diventare candidato sindaco e continua a minacciare di uscire dalla coalizione nel caso fosse proprio lui il vincitore delle primarie e che ora potrebbe utilizzare la storia dei cinesi (che pare in prevalenza sostengano Mister Expo) per sganciarsi dalla partita a urne chiuse se il risultato non li soddisfacesse.

Se i partiti della destra e delle varie opposizioni fanno il loro gioco, su SEL, invece, vale la pena di qualcosa in più. SEL, infatti, che ora cerca vie di fuga, ha ampiamente partecipato ai tavoli per la preparazione e la gestione delle primarie, compresa la stesura delle regole e ha anche ampiamente rotto le scatole sull’individuazione della data utile al voto.
Le regole delle primarie, come sempre, prevedono che a votare possano essere i cittadini che abbiano compiuto i 16 anni di età e anche gli stranieri purché residenti a Milano, visto che in questo caso si tratta di votazioni per scegliere il candidato sindaco, e con permesso di soggiorno.
Regole note e collaudate da tempo, che SEL conosceva bene e su cui avrebbe potuto intervenire prima se avesse ritenuto che non erano adeguate al tipo di competizione in campo e all’attuale situazione.
È un po’ opportunistico intervenire a gamba tesa a partita in corso per dire che le regole non vanno più bene e che un pezzo di elettorato non dovrebbe votare semplicemente perché si suppone che voti un candidato che non è il proprio.

Al di là della satira molto divertente che si legge su twitter in merito alla partecipazione dei cinesi al voto per le primarie, non si capisce perché non si dica nulla su persone di altre nazionalità che pure partecipano al voto.
Perché se il problema è il voto agli stranieri, lo deve essere per tutti. Non si può sostenere che i cinesi non possono votare ma gli africani o i sudamericani sì.

Le accuse che girano intorno al voto della comunità cinese sono anche piuttosto pesanti, vanno dal “cammellaggio” al “voto di scambio” che sarebbe documentato dai selfie che tutti si fanno in prossimità dei luoghi di voto o accanto ai manifesti elettorali da parte di soggetti che neanche sanno parlare in italiano.
Sono parole un po’ grosse che bisognerebbe utilizzare con maggiore attenzione.
Premesso che i selfie nei luoghi di voto li abbiamo fatti tutti e anche postati in rete e oggi i selfie si fanno in ogni occasione e prevalentemente per mostrare se stessi e cosa si sta facendo, per inseguire la moda dei social network o per ansia personale di esibizionismo, quindi da qui a parlare di “voto di scambio” ce ne corre.
Inoltre, sul “cammellaggio” la situazione è un po’ più sottile.
Innanzitutto, va subito sgombrato il campo dai paragoni con ciò che è avvenuto in altre città in occasione delle primarie con il voto agli stranieri: a Roma, nel napoletano e in Liguria erano stati denunciati casi di soggetti pagati per andare a votare dei candidati, mentre a Milano gli stranieri (cinesi e non) che si sono presentati ai seggi lo hanno fatto liberamente e non dietro a compenso.
Per quanto riguarda la comunità cinese, Beppe Sala nei giorni scorsi ne aveva pubblicamente incontrato il rappresentante – al pari di come altri candidati hanno incontrato rappresentanti di altre comunità straniere di Milano – e da qui deriva l’appoggio prevalente. Fermo restando che la comunità cinese aveva organizzato un proprio gazebo per sensibilizzare i cittadini sulle primarie e in cui erano presenti volantini di tutti i candidati e tra loro ci sono comunque anche sostenitori di altri candidati che lo hanno pubblicamente mostrato.
Non è un segreto nemmeno che la comunità dei Latinos appoggia in prevalenza Majorino.
Così come altri dati sugli appoggi degli stranieri erano stati pubblicati sui giornali nei giorni scorsi.
Insomma, nulla di strano: i candidati hanno puntato su soggetti con cui avevano dei rapporti (per vicende lavorative, professionali o personali) e ne hanno attivato le reti per raccogliere voti.
Il discorso non si applica solo agli elettori stranieri ma anche ai mondi italiani: i membri della Comunità di Sant'Egidio, ad esempio, in prevalenza sostengono Majorino perché ci hanno lavorato in questi anni in cui lui è stato assessore, probabilmente si è costruito un rapporto e hanno anche lavorato bene e ambiscono a proseguire questa esperienza per il futuro, non è un segreto.
E’ un reato? E’ pericoloso? E’ lobby? E’ clientelismo? E’ voto di scambio?
E’ semplicemente che ciascun candidato ha attivato le proprie reti e chiesto loro appoggio e questi lo hanno concesso. Non c'è molta differenza rispetto all'America in questo. Il meccanismo delle preferenze comporta anche questo rischio, soprattutto quando ci si muove in un terreno aperto ma non troppo come è quello delle primarie. Le preferenze o si prendono perché si è molto famosi e facendo campagna a tappeto ovunque (ma questo ha un senso per competizioni elettorali vere, in cui tutti votano, mentre sulle primarie dove notoriamente viene a votare solo una parte di elettorato è più complicato e probabilmente anche inutilmente dispendioso) o si prendono attivando le reti che normalmente si frequenta. In questa tornata, si è scelta in prevalenza questa seconda strada ed è ciò che anche la polemica di queste ore mette in luce. Quando poi arriveranno i risultati finali e si potrà andare a vedere davvero da cosa era composta la platea elettorale, allora si potranno anche fare valutazioni diverse.
In ogni caso, nulla di strano.

In merito al fatto che alcuni siano arrivati a votare in gruppo è anche abbastanza normale.
Capita di arrivare “in gruppo”: di solito le famiglie all’uscita dalla Messa arrivano insieme, oppure marito e moglie, oppure un figlio che accompagna il genitore anziano, o coppie di fidanzati, o ragazzi che arrivano con gli amici… Non si capisce perché se lo fanno gli italiani va bene e se lo fanno i cinesi no.
Oltretutto per molti di loro era la prima volta che potevano votare in Italia e magari avevano anche un po’ di insicurezza.
Più sgradevole il fatto che alcuni neanche sapevano l’italiano e si sono presentati con un foglietto in mano con il nome del candidato da votare.
Non è così strano: anche in anni passati capitavano stranieri che volevano votare e si esprimevano in un italiano pessimo ma cercavano di esprimere il loro desiderio di poter partecipare e chiedevano impegno ai partiti presenti affinché a breve potessero votare anche alle elezioni vere.
Del resto, nei partiti come nei sindacati, vengono tesserati anche cittadini stranieri per cui è normale che poi siano incentivati a partecipare o far partecipare anche loro connazionali.
Nello specifico caso dei cinesi, purtroppo la maggior parte di loro non parla italiano neanche all’interno dei loro negozi radicatissimi nei nostri quartieri e frequentatissimi anche dagli italiani. Questo, però, non significa che siano del tutto inconsapevoli o che non seguano ciò che accade loro intorno, anzi, spesso lo sanno molto bene.
Sul fatto che arrivassero con il nome del candidato da votare scritto su un foglietto, lo fanno da sempre anche gli elettori di nazionalità italiana, soprattutto quelli più anziani.
Francamente, si fatica a capire perché se l’elettore cinese arriva con il foglietto con scritto il nome del candidato che gli hanno indicato di votare susciti sdegno e, invece, se arriva allo stesso modo la vecchietta che cammina a stento e che ragiona ancora meno sia considerato segno di attenzione e ammirazione.
Personalmente, mi suscita molto più sdegno vedere chi va a “cammellare” soggetti deboli, non sempre capaci di intendere e volere o anziani quasi in punto di morte che non i giovani stranieri che sono in grado di pensare con la propria testa e valutare da soli se vale la pena di partecipare o no e votare il candidato che qualcuno ha loro consigliato.

Pretestuosità a parte, resta il senso generale di una situazione pasticciata e il fatto che era prevedibile che accadesse e si poteva evitare.
I motivi per evitare il pasticcio erano molti: innanzitutto, dopo tante primarie uscite zoppe nelle ultime tornate in varie Regioni, vi era la necessità di restituire lustro e dignità allo strumento; secondariamente gli occhi di tutti erano puntati su Milano data l’importanza della competizione e anche dei candidati in campo e uno scivolone così – seppure caricato – si poteva evitare.
I dati elettorali finali, molto probabilmente, ridimensioneranno il fenomeno e mostreranno come gli stranieri partecipanti al voto siano poi un’esigua minoranza e magari neanche influente ma il pasticcio d’immagine sui media è già fatto ed è difficile che si smonti.

Il nodo della questione riguarda le regole delle primarie.
Ha senso che a scegliere il candidato sindaco siano cittadini che poi alle elezioni vere non possono votare?
Le primarie del PD sono nate con la regola del voto ai 16enni e agli stranieri ma spesso si è trattato di primarie congressuali, in cui si andava a scegliere il Segretario/leader del Partito Democratico e ai partiti ci si può iscrivere anche a 16 anni e se si è cittadini stranieri, altra cosa dovrebbero essere le primarie per cariche elettive monocratiche.
Sicuramente è meritevole il tentativo di inclusione delle comunità straniere attraverso la sensibilizzazione volta al coinvolgimento e alla partecipazione al voto ma resta da capire quanto poi sia realmente efficace al fine di una migliore integrazione. Probabilmente questa risposta dovrebbero darla le stesse comunità straniere e in parte lo hanno fatto in positivo con il comunicato di Francesco Wu. Probabilmente, risultati del coinvolgimento, della partecipazione e dell’integrazione anche attraverso questi strumenti si vedranno nel tempo se il percorso troverà un seguito, perché si tratta di processi lenti e che richiedono costanza nell’applicazione e non basta un voto a spot in una sola occasione per attivarli.
Tuttavia, personalmente, resto molto dubbiosa della strada scelta: in questa fase di forte antipolitica, di partiti che mostrano un’immagine di sé tutt’altro che limpida e di primarie importanti su cui vi erano tutti i riflettori puntati, forse sarebbe stato più opportuno fare scelte più oculate, che non esponessero i partiti promotori (e in particolare il PD) a polemiche di cui in questa fase già difficile non vi era bisogno e consentire la partecipazione al voto solo dei soggetti che realmente votano alle elezioni, cercando invece altre strade per coinvolgere e promuovere la partecipazione delle comunità straniere alla vita civica.
Così come sarebbe stato più intelligente da parte dei candidati e dei loro staff andare a fare campagna elettorale tra i soggetti che, oltre alle primarie, possono votare poi alle elezioni vere, onde evitare di strumentalizzare comunità importanti e presenti sui nostri territori che rischiano con queste polemiche di subire un becero linciaggio, invece, che dell’incoraggiamento a proseguire sulla via della partecipazione.
Molto più corretto e concreto da parte dei partiti sarebbe impegnarsi al fine di ottenere il voto anche dei cittadini stranieri residenti in Italia almeno alle elezioni amministrative.