domenica 23 gennaio 2011

Il ritorno di Veltroni

A leggere i giornali oggi, sembra che Walter Veltroni, dal palco del Lingotto di Torino, abbia palesato la voglia riprendersi la guida del Pd.
In realtà, l’impressione è che ieri Veltroni si sia candidato a premier più che a segretario (ruolo d’ombra per il quale può andare benissimo anche Bersani) e il gruppo dirigente presente al completo (in nome dell'unità del partito, che non può permettersi di essere rappresentato diviso in un momento politico tanto delicato) di fatto ne abbia preso atto senza protestare.
L’iniziativa di ieri a Torino, dal punto di vista della forma, è senza dubbio riuscitissima; del resto Walter Veltroni è sempre stato un maestro nel realizzare perfettamente eventi mediatici e, forse, in questo l’organizzazione del Partito Democratico, indipendentemente da chi ne sia la guida, dovrebbe cominciare ad imparare. Molto light nella gestione della scaletta con tempi certi e contingentati per ogni intervento, conduzione snella e agile di Touadì, che rendeva piacevole l’ascolto e creava dinamismo sul palco (cosa che solitamente non accade ai convegni di partito e, per questo, richiamava molto la riunione fiorentina “Prossima Fermata Italia” dei “rottamatori”).
Molto appariscente il “Lingotto 2”, inoltre, già dalla scelta della location: altro che i luoghi ameni e remoti dei normali raduni delle correnti, Veltroni si è piazzato nel cuore di una grande città, proprio nel momento in cui era tornata alla ribalta per le questioni industriali, in una struttura moderna, dall’esterno a vetri e con i totem e i manifesti sull’incontro ben piazzati.
Un’organizzazione da grandi eventi, insomma, con tanto di pullman di militanti organizzati dalle province più scomode per poter arrivare ad ascoltare.
Troppo perché questo sia esclusivamente frutto della passione per “l’apparenza” tipicamente veltroniana: quell’evento voleva essere una prova di forza dei MoDem per dimostrare (come Fioroni e Gentiloni hanno dichiarato in più interviste) di non essere affatto «quattro gatti», come qualcuno voleva far credere e di essere pronti a riprendersi la leadership.
In sostanza, dal punto di vista puramente della forma, l’evento si può dire ottimo e perfettamente riuscito e condivisibile da tutti.
Ma, certamente, se l’impatto esterno è positivo e può aiutare a riportare in modo forte sulla scena mediatica un Pd che spesso appare sbiadito, dal punto di vista dei posizionamenti interni, tutto questo, qualche problema lo crea: non si è mai vista un’organizzazione simile per un evento di corrente e i dirigenti, accorsi tutti ai piedi di Veltroni in nome dell’unità del Pd, dopo avere cercato più volte di isolarlo (e certamente a ridimensionarlo nei contenuti espressi ci sono riusciti) facevano un po’ la figura dei fessi a star lì a fargli da claque.

Dal punto di vista dei contenuti, invece, qualche cosa andrebbe affrontata in modo più approfondito.
Alcuni discorsi fatti dal palco erano sicuramente condivisibili da tutti, come ad esempio quello del magistrato Raffaele Cantone, che ha parlato di antimafia e legalità.
Ci sono state sicuramente delle convergenze tra la linea politica espressa dal Lingotto e quella uscita dalla Direzione Nazionale del Pd (ad esempio sulla questione alleanze, ieri, Veltroni ha detto cose che Bersani e Franceschini dicono da mesi) ma ci sono state anche delle differenze profonde (come sulla questione lavoro con l’intervento di un imprenditore che si chiedeva se il Pd sposa la Flexsecurity di Ichino o se pensa di «tenersi i diritti dei lavoratori come dice Cesare Damiano» che, al di là del concetto che questa persona voleva esprimere è aberrante per le parole che ha usato, come se i diritti dei lavoratori fossero una cosa brutta da spazzar via; o il “caso Fiat” con addirittura la presunta operaia della catena di montaggio marchionnista convinta).
Fuori dal ‘900. Giusta, aperta, forte. Viva l’Italia” era il titolo dell’iniziativa del Lingotto, ma forse è il caso di chiarire che cosa voglia dire quel titolo nel dettaglio, che cosa intenda per modernità il MoDem prima di esprimere convergenze, perché, ad esempio sulla questione lavoro se, come hanno detto in tanti dal palco, non si può pensare che il sindacato oggi faccia da cinghia di trasmissione della politica o viceversa, non è che la modernità debba identificarsi con un appiattimento sulle posizioni imprenditoriali: ci deve essere autonomia da entrambi i campi.

Difficile capire che cosa sia arrivato ai cittadini di tutto questo e come abbiano accolto l’evento veltroniano, ma chi sta all’interno del partito qualche domanda se la pone perché adesso non è più chiaro quale sia la linea del Pd. È quella espressa dal segretario Bersani in direzione la scorsa settimana o è quella uscita ieri dal Lingotto ieri, a cui comunque il segretario ha mostrato aperture? La prossima settimana c'è l'Assemblea Nazionale a Napoli, uscirà un'altra linea politica ancora o uscirà una sintesi di tutto questo?  Secondo Fioroni (che pure ha fatto un bel discorso di chiusura ieri) la linea del Pd c’è ed è quella espressa al Lingotto, cosa rimarcata più volte anche da altri MoDem che hanno preso la parola. Non è stato certamente un passaggio elegante nei confronti di Bersani o degli altri dirigenti questo, anche perché se la linea del Pd è uscita dal Lingotto, da un evento della corrente di minoranza, viene da chiedersi cosa si sia riunita a fare a la Direzione Nazionale la settimana prima e cosa decida la maggioranza.
La sintesi spetta al segretario e forse, in questo, un po’ di chiarezza dovrebbe farla perché, è vero che tutti i contributi sono utili e importanti e tutte le voci devono essere ascoltate (sarebbe piaciuto che avesse ascoltato in precedenza anche AreaDem invece di ignorarla) ma sarebbe meglio che queste voci gli arrivassero alle orecchie prima che la Direzione si chiuda e abbia tracciato una linea perché altrimenti il rischio è di lasciare intendere che il Partito Democratico una linea chiara non ce l’ha e cambia quotidianamente a seconda di chi alza la voce di più.

I giornali di oggi salutano tutti o quasi con grande favore il ritorno in scena di Veltroni, il quale sui media ha sempre dimostrato di saperci stare perfettamente. Nonostante i drammatici errori mostrati da Veltroni nei momenti in cui ha guidato il Partito Democratico (la forza dell’evocazione di un sogno ma la scarsa capacità di dire come tradurlo in realtà, tanto che poi non ci è riuscito) non sono mai stati un problema per i giornalisti, che invece hanno sempre trattato con circospezione Franceschini, sottolineandone fino all’inverosimile i presunti errori durante la sua segreteria (non c’era cosa che facesse che ai giornali andasse bene, neanche le mosse più mediatiche) e non hanno mai mostrato alcuna simpatia verso Bersani nonostante ne avessero auspicato l’approdo alla segreteria.
L'articolo di Eugenio Scalfari palesa tutto questo già dal titolo: “Ritorna in scena il Partito Democratico”, come se fino ad ora il Pd fosse sparito… Lo andasse a spiegare a tutte le persone che quotidianamente si impegnano a tenere aperti i circoli, a volantinare nelle strade e a mettere in piedi i gazebi!
Certo molti problemi di immagine e di forza di imporsi sulla scena il Pd bersaniano ce li ha, ma forse, Scalfari avrebbe fatto meglio a titolare “Ritorna in scena Veltroni”, perché di questo si tratta.
Nel suo editoriale, inoltre, Scalfari fa una bella analisi del discorso di ieri di Veltroni e soprattutto dello stile con cui il primo segretario del Pd riesce a comunicare ma, forse un po’ pregiudizialmente, sbaglia il giudizio sull’intervento di Bersani definito dal «modo di parlare paesano e colloquiale. Dopo il discorso di Veltroni così teso e intenso, faceva uno strano effetto, di quelli che spesso Crozza provoca quando lo imita a Ballarò». Normalmente i toni di Bersani sono proprio quelli descritti da Scalfari, ma ieri, al Lingotto, invece, ha fatto un buon intervento anche lui ed è ingeneroso muovergli una simile critica.

Faceva invece una certa impressione quel continuo risuonare della parola “Walter”, richiamato in ogni intervento dal palco come un mantra da dirigenti tutti pronti a tessergli elogi: una sviolinata eccessiva, soprattutto perché uscita dalla bocca di persone che non sempre hanno espresso idee propriamente veltroniane.