martedì 23 novembre 2010

Milano, l'università e Bonanni

Mi piace rimettere il naso nelle università, quando ne ho l'occasione: si incontrano sempre tanti ragazzi, tanta vita, tanti sogni e tante idee per il presente e per il domani. Oggi, all'università cattolica ho visto appesi manifesti di Forza Nuova e ascoltato ragazze discutere di come rilanciare un'iniziativa sionista, ho visto una mostra d'arte di grande valore e un'aula che sembrava la stanza delle feste di un castello (cose che in statale non abbiamo mai né avuto né immaginato che in università esistessero), poi ho sentito sindacalisti parlare come industriali. All'ingresso un ragazzo mi ha messo in mano l'invito per un locale dove si balla: era dai tempi delle scuole superiori che non venivo fermata da un pr delle discoteche e, anche allora, non è che mi fermassero tanto (era bruttina)... Forse mi farebbe bene andare a ballare.
Quando sono uscita dal convegno la città era già buia ma avevo voglia di camminare e ho deciso di arrivare a piedi fino alla metropolitana del Duomo. L'università cattolica è accanto alla Basilica di Sant'Ambrogio e altre affascinanti edifici medievali: è una zona che conosco poco e in quelle vie tortuse, per quanto rimesse a nuovo, finsco sempre per perdermi. Percorrendo la via Carducci, in direzione del centro, ho visto palazzi bellissimi di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza: così belli da non sembrare nemmeno di essere a Milano... Questa mia Milano che tante volte ho maledetto in questi anni e che continuerò a maledire per l'eternità perché nella vita le oppotunità non sono mai pari, neanche se vivi a Milano.
Mentre camminavo mi sono sfrecciate accanto l'auto blu di Raffaele Bonanni e quella della polizia con la sua scorta, a sirene spiegate: avrei voluto fermarli e chiedere al Segretario Cisl dov'è che riceve tutti quegli attestati di stima per il suo lavoro sindacale che ha citato al convegno come "fatti dai cittadini che mi fermano per strada" se gira circondato da agenti (ce n'erano tantissimi in università al suo seguito, dentro e fuori dalla sala in cui parlava) e blindato sulle auto blu?! Ma si sa, è un personaggio con un ruolo difficile e di contestazioni pericolose ne ha già ricevute.
Dopo un bel po' di strada a piedi, con gli occhi sulle vetrine dei negozi, sono arrivata in piazza del Duomo e anche lì c'era pieno di auto blu, con tanto di autisti sopra. Normalmente mi sarei fermata per chiedere che evento si stava svolgendo, ma oggi non mi interessava, ho girato lo sguardo sul grande albero di Natale che stavano innalzando e che da giorni riempie le pagine della cronaca milanese dei quotidiani per la polemica tra chi ci deve mettere la firma (il Duomo, il Comune, la gioielleria Tiffany, le associazioni...) e poi sono scesa in metropolitana per tornare a casa.

lunedì 22 novembre 2010

Franceschini incontra Mestre

Grande partecipazione all'incontro organizzato dal Pd di Mestre, ieri mattina, con Dario Franceschini.

La conferenza è iniziata tardi rispetto al previsto ma è andata avanti veloce e a parlare si sono susseguiti una serie di dirigenti locali che hanno posto all’attenzione di Franceschini le problematiche della Regione Veneto. Il territorio è pieno di aziende piccole, medie e grandi che stanno chiudendo, sono coinvolti oltre 14.000 lavoratori e i giovani non riescono ad accedere al mondo del lavoro, in particolare, la situazione di Marghera è molto grave e gli esponenti del Pd Veneto hanno invocato una legge speciale che dia rilevanza nazionale alla questione. Gravi anche i tagli che saranno conseguenti alla finanziaria perché ricadranno sugli enti locali e quindi sui servizi e poi la questione dei paesi lagunari per cui occorrerebbe un’altra legge speciale, mentre i soldi sono stati trovati solo per finanziare il Mose, lasciando scoperto tutto il resto e dimenticando la salvaguardia del patrimonio di Venezia.
Sul Partito Democratico, dai dirigenti locali, unanime è arrivata la richiesta di unità e di mettere fine ai personalismi lesivi della coesione interna.
Tra i tanti, a prendere la parola c’è stato anche il nuovo coordinatore dei Giovani: un ragazzo molto preparato e dalla parlantina fluida (ascoltarlo suscitava entusiasmo perché era lontano anni luce dai toni compassati e dal politichese che troppo spesso in bocca ai giovani li fanno apparire come cloni dei loro big di riferimento).

Franceschini ha ascoltato tutti, scrivendo e mandando messaggi con il telefonino. A lui è toccato prendere la parola per ultimo e in un ampio discorso di chiusura ha fatto un po’ il quadro del panorama politico italiano che si sta delineando e delle possibilità del Pd. È stato un discorso molto bello (pressoché identico a quello che ha fatto qualche tempo fa a Cortona) e in questa cornice veneta, più snella dal punto di vista di forma e tempi, è riuscito ad essere molto efficace e a conquistare la sala piena di gente, che spesso lo ha interrotto con applausi.

«C’è bisogno di un Pd presente e unito per affrontare le settimane e i mesi difficili che abbiamo davanti», è stato l’esordio di Dario Franceschini.
Franceschini ha segnalato che siamo di fronte al tramonto del berlusconismo e tutto ciò che è avvenuto ultimamente non erano altro che scosse di avvertimento rispetto al crollo politico di questo sistema.
Innanzitutto, è fallita l’azione di questo governo, secondo Franceschini: la legislatura era cominciata con una larga maggioranza, con due soli partiti in coalizione e un capo assoluto, ma non è stata fatta alcuna riforma strutturale per il Paese, solo annunci e interventi tampone, collocabili nell’ordinaria amministrazione.
L’unica cosa importante che è rimasta al Paese di questi ultimi anni, per Franceschini, è l’entrata nell’euro ad opera del governo Prodi.
Anche sul fronte della crisi, ha denunciato il capogruppo Pd alla Camera, non è stato fatto nulla, solo si è cercato di nasconderla con il controllo dei mezzi di comunicazione, ma «i dati ci dicono che il 2011 sarà un anno drammatico e in Italia la crescita è più lenta che negli altri Paesi». «Le piccole e medie imprese che - non hanno la cassa di risonanza che può avere una grande azienda sul piano mediatico - rischiano di fallire e quando saltano fanno un male terribile perché lasciano imprenditori pieni di debiti che hanno cercato di fare qualsiasi cosa pur di salvare la loro azienda e lavoratori che restano senza ammortizzatori sociali», ha detto Franceschini, rilanciando la proposta di un welfare universale che garantisca a tutti, indipendentemente dai contratti, indennizzi di disoccupazione e diritti.

Franceschini si è soffermato un po’ sul controllo della comunicazione, strappando applausi quando ha ricordato che Berlusconi è andato a L’Aquila e a Napoli ad annunciare miracoli con un seguito di telecamere compiacenti, ma poi ha spento i riflettori sulle manifestazioni di protesta dei terremotati che si sono tenute sabato nel capoluogo abruzzese e sui rifiuti ha cercato di far passare un provvedimento che metteva nel ruolo di commissari i presidenti delle Province che sono i soggetti da commissariare perché hanno causato il problema e, oltretutto, sono parlamentari.
In questo, Franceschini ha rivendicato il ruolo del Pd che, come opposizione, oltre a mettere in campo le proprie proposte deve anche dar voce a chi non ha voce.

Franceschini ha puntato il dito poi sul fallimento del progetto politico del Pdl, costruito attorno all’anomalia della destra italiana e ha ricordato che Fini e Casini sono usciti nel tentativo di condurre il centrodestra alla normalità ma Berlusconi è inconciliabile con ciò e per questo il loro campo non si può ricomporre.
«Berlusconi ha un concetto proprietario delle istituzioni, dello Stato e figuriamoci del suo partito», ha detto Franceschini, evidenziando il fatto che il Pd, in Parlamento, in questi mesi ha lavorato per far leva sulle contraddizioni del centrodestra e farle esplodere: «Se avessimo spinto per chiedere le dimissioni di Fini prima e di Berlusconi poi, li avremmo ricompattati. Abbiamo presentato la mozione di sfiducia quando abbiamo ritenuto che ci fosse la reale possibilità di far cadere il governo», ha commentato il leader Pd.

Franceschini ha ricordato anche il fatto che l’Italia sta vivendo una situazione di emergenza democratica, proprio per via dell’anomalia di Berlusconi e del fatto che difficilmente uscirebbe di scena senza problemi e, per questo, pone l’esigenza di fare fronte comune con le altre forze di opposizione, innanzitutto per cambiare la legge elettorale vigente e gestire le emergenze del Paese.
«Questa legge elettorale consegna il 55% dei seggi anche a chi vince le elezioni con il 35% dei consensi» - ha spiegato Franceschini - «Non si può governare il Paese con il 30% dei voti e se vincesse solo uno dei poli così, sarà in grado di affrontare la crisi? Serve una forza numerica e politica che comprenda che c’è un’emergenza del Paese, serve avere dentro Confindustria e i sindacati per fare riforme strutturali e chiedere sacrifici».

Sul bipolarismo, Franceschini ha detto che è cambiato il sistema politico: «il terzo polo è nato con persone provenienti in prevalenza dal centrodestra, ma adesso esiste e il sistema è tripolare». Un terzo polo che - ha sottolineato Franceschini - oggi è un po’ una novità e, come tutte le cose nuove, ha capacità attrattiva, per questo è indispensabile dialogarci, anche perché «una parte del nostro campo non è utilizzabile come forza di governo».

Il ruolo del Pd deve comunque essere quello di parlare all’Italia, per Franceschini, spiegare ai cittadini dove si vuole portare il Paese, proponendo una visione alternativa a quella del centrodestra e mettendo in campo battaglie che facciano distinguere da essi.
Franceschini non ha risparmiato accuse alla Lega: «ha usato delle paure reali e le ha enfatizzate per dividere, mettendo tutti contro tutti all’insegna del “si salvi chi può”, ma in tutto il mondo, il messaggio che la politica deve dare è che dobbiamo salvarci tutti insieme».
Franceschini poi ha segnalato che «dobbiamo riappropriarci di parole come regole, merito perché non possiamo rinunciare a fare andare avanti chi è più bravo, altrimenti i giovani vanno in altri Paesi, mentre la creatività è una nostra risorsa che può renderci competitivi nel mondo e, per questo, occorre investire in scuola, formazione, università, ricerca».
Collegandosi alle problematiche del territorio, Franceschini ha rilanciato anche la sfida della green economy: «dobbiamo investire sull’ambiente, sarà ciò che è stata l’informatica negli anni ‘80».

Franceschini ha chiuso con una considerazione sul Partito Democratico, ricordando che si deve difendere l’idea di un partito che è nato per cambiare tutto e, per questo, «non dobbiamo dilaniarci al nostro interno: le sfide che abbiamo davanti riguardano il destino del Paese e non consentono divisioni».
Video del discorso di Franceschini a Mestre di Stefano Saoncella:
prima parte, seconda parte, terza parte.

Pd Mestre

Un grazie speciale a Stefano, Mario e a tutte le persone conosciute a Mestre: siete stati gentilissimi, è stato davvero un piacere scambiare qualche parola e qualche impressione con voi e spero che non mancheranno altre belle occasioni per incontrarci. Grazie a tutti!

lunedì 15 novembre 2010

Pisapia, le primarie e il Pd

A Milano si è appena conclusa una domenica di primarie. Il centrosinistra ha scelto il suo candidato sindaco per le elezioni comunali: Giuliano Pisapia.
In corsa, questa volta, c’erano dei validissimi candidati e la sfida è stata vera.
Giuliano Pisapia aveva il sostegno ufficiale di Sinistra Ecologia e Libertà, ma è stato largamente apprezzato anche dalla base del Pd (come poi ha dimostrato l’esito del voto). Stefano Boeri aveva l’appoggio del Pd (tutto a livello ufficiale e con qualche distinzione rimasta però per lo più in ombra). La candidatura di Valerio Onida è nata con l’appoggio di un comitato esterno anche se vicino al Pd (e forse proprio questa candidatura ha giocato in sfavore di Boeri). L’ecologista Michele Sacerdoti era il candidato più in ombra e autonomo.
La giornata di pioggia non ha certamente incentivato le persone ad andare a votare, anche se guardando le tante code ai seggi, il calo di affluenza che è poi risultato dai conteggi non era affatto percepibile.
Quello che invece si percepiva benissimo era il tipo di elettorato che partecipava: a sfilare davanti ai seggi delle primarie erano in prevalenza persone anziane (anche molto anziane), tutti ex qualcosa (ex-pci, ex-ds, ex-socialisti, ex-sinistra). Sono loro la base che sempre si mobilita per questi appuntamenti elettorali in prevalenza e, se da un lato è ammirevole l’impegno e la dedizione per degli ideali da parte di queste persone che spesso, pur acciaccate, escono di casa e si mettono pazientemente in fila, dall’altro lato non si può non notare che puntualmente esprimono scelte di voto più vicine al passato che non al futuro. Alle primarie per l’elezione del segretario del Pd vinse Bersani e qui ha vinto un candidato di chiara espressione di sinistra: insomma, se non è ancora chiaro, la base che il Partito Democratico riesce a mobilitare è sempre la stessa ed è di sinistra e non smette di chiedere al suo partito di fare scelte di sinistra.
Il Pd ci prova in tutti i modi a scommettere su progetti diversi e su candidati meno legati a quel passato ma, non c’è nulla da fare, il nuovo non si mobilità, non viene a votare e trionfa l’ideologia: “gli elettori hanno preferito un candidato di bandiera”, ha scritto qualcuno su facebook ed è così.
È evidente che se la situazione è questa, il Pd dovrà anche cominciare a studiare altre forme di partecipazione (oltretutto in questo caso le primarie sono state anche poco partecipate) e soprattutto prestare più attenzione alle candidature che sceglie di mettere in campo.
La scarsa affluenza ai seggi delle primarie di per sé dovrebbe far aprire una discussione interna: davvero è solo la pioggia che ha tenuto gli elettori a casa?
Probabilmente no.
Probabilmente la bellissima campagna elettorale organizzata non ha saputo raggiungere adeguatamente tutti i cittadini (del resto bastava partecipare a qualche appuntamento per comprendere che le facce presenti erano più o meno sempre le stesse di persone dei circoli o legate alle amicizie dei circoli e pochissimi gli estranei). In questo senso il “porta a porta” è sicuramente una scelta utile, da intendersi come “fare una comunicazione capillare in grado di raggiungere tutti” e non tanto di suonare ai vari campanelli e quindi c’è senza dubbio la necessità di organizzazione.
Ma questo da sola non basta, occorrono anche scelte politiche credibili.
Qualche considerazione sulle scelte fallimentari del Pd milanese e lombardo, infatti, va fatta perché la sconfitta del candidato che aveva scelto di appoggiare alle primarie è solo l’ultima di una lunga serie.
In queste primarie, molti hanno contestato che il Partito Democratico sostenesse ufficialmente un candidato, ma la realtà è che il Pd ha diritto di schierarsi, scegliere chi gli pare e sostenerlo; esattamente come Sel ha appoggiato Pisapia.
Solo che, forse, il Pd ha scelto il candidato sbagliato a cui si è aggiunta la successiva candidatura di Onida (arrivata poco dopo che il Partito Democratico aveva espresso il suo sostegno a Boeri) e che inevitabilmente ha sottratto voti.
L’architetto Boeri era quello di minor spessore dal punto di vista politico tra i candidati in campo (per non dire per nulla politico). Il Pd ha sostenuto Boeri perché lo ha ritenuto in grado di raccogliere un consenso vasto sulla città di Milano, così da poter battere il centrodestra (perché l’obiettivo vero che deve essere chiaro a tutti è che non basta vincere le primarie, ma conquistare il comune).
Per Boeri è stata fatta una splendida campagna elettorale, moderna, aperta, partecipata ma, probabilmente, il problema vero era proprio Boeri stesso e la sua non appartenenza politica per la base dell’elettorato che ha votato alle primarie (senza contare le implicazioni nella vicenda expo dell’architetto e l’amicizia con il tanto contestato palazzinaro Ligresti).
Insomma, Boeri è stato bravissimo, simpatico, ha mostrato grandi competenze e capacità e magari sarebbe stato anche un ottimo sindaco ma politicamente è inconsistente e l'elettorato arrivato a votare oggi era fortemente connotato politicamente.
“Le indicazioni del partito da una parte, gli elettori dall'altra”, ha commentato qualcuno sulla rete. E non è una novità, per questo, il Pd milanese qualche responsabilità è il caso che se la assuma.
Ovviamente è difficile che ciò accada perché il sostegno alla candidatura di Boeri è stato espresso ufficialmente da tutti, anche da coloro che non erano d’accordo (innanzitutto perché non ci sono state molte occasioni per discuterne e poi perché le defezioni sono rimaste piuttosto “silenziose” e hanno agito senza disturbare troppo il lavoro ufficiale, per giusto senso di responsabilità verso il partito) e la candidatura unitaria implica una responsabilità generale e quindi è come dire che non è colpa di nessuno.

Più facile sarà cercare di scaricare la colpa sulle primarie, che certamente qualche problema lo creano se vengono gestite male, ma anche su Valerio Onida (che sicuramente ha portato via dei voti utili a Boeri e che ha fatto una campagna elettorale piuttosto brutta e tutta giocata contro il Pd per guadagnare qualche titolo sui giornali).
La realtà, però, è che Onida è una persona di alto spessore politico e noto sia nel mondo cattolico che tra i giustizialisti di sinistra che lo hanno ascoltato tante volte nei convegni in cui si parlava della difesa della costituzione e, forse, se fosse stato sponsorizzato al posto di Boeri (nonostante l’età non proprio giovane in tempi di “rottamazione”) avrebbe potuto spuntarla, ma ormai il Pd aveva scelto l’architetto ed era difficile tornare indietro.
La domanda che sorge spontanea è: ma possibile che nel Pd non si sapesse che Onida stava per accettare la candidatura? E se lo si sapeva, perché non si è scelto un candidato dal così alto spessore politico ma certamente non un estremista per preferire un candidato “civico” fratello di un economista famoso (perché ovviamente quello noto era Tito, non l’architetto Stefano)? Ha senso puntare su un candidato “civico” dopo la gestione disastrosa della Moratti (che politica non è) quando si ha a disposizione un così valido esponente politico non legato ai partiti?
Domande da riunioni interne al Pd. Domande che forse adesso sono inutili e che comunque difficilmente avranno risposta perché adesso sono già tutti pronti a concentrarsi sulla nuova campagna elettorale che dovrà portare Pisapia a Palazzo Marino. Cosa giustissima, anche se la politica fatta all’esterno non deve essere un alibi per nascondere il problema interno.
Il vero problema di oggi è: Pisapia, potrà battere la Moratti?
Quanti elettori non di sinistra lo voterebbero?
L’affluenza alle primarie al di sotto delle aspettative, come scrive Civati (in una cautissima analisi), indica che in questo momento il centrosinistra non sta bene.
E soprattutto ha senso una candidatura legittimata da una parte ristretta di elettorato? È chiaro che non è colpa di quelli che hanno votato se una parte, magari in disaccordo con il loro voto, non si è presentata alle urne ed è chiaro anche che una legittimazione di 68mila persone è sempre molto più ampia di quella di pochi dirigenti chiusi in una stanza, ma il problema esiste.
La città di Milano è grande e tendenzialmente vota a destra... Basteranno i disastri fatti dalla Moratti per convincere i cittadini a non rivotarla?
Oltretutto Pisapia è il candidato di Sel, che è un partito che conta poco o nulla ma che adesso alzerà inevitabilmente la posta in gioco e pretenderà di avere un bel peso.
Adesso sono tutti bravi a dire che daranno il loro sostegno a Pisapia e non c’è dubbio che lo facciano davvero: la base del Pd non avrà difficoltà a appoggiarlo e il voto di oggi lo ha dimostrato ma il problema è capire se il resto della città vorrà votare un candidato così marcatamente di sinistra. Probabile un ritorno sulla scena di Berlusconi che gridi il pericolo del ritorno dei comunisti o una campagna martellante della Lega su immigrazione e insicurezza.
Ovviamente gli elettori di Pisapia non si sono mai posti questi problemi, per loro è il miglior candidato che ci sia (e sicuramente è validissimo). Qualcuno, su facebook, afferma che ha vinto Vendola (per il grosso apporto che il leader di Sel ha dato alla campagna elettorale), qualcun altro ironizza “Per il futuro della sinistra rivolgersi a Fini”.
Altro punto su cui discutere, infatti, è l’assenza dei big nazionali Pd per Milano. Lo scenario si era già visto ai ballottaggi per le elezioni provinciali che portarono alla sconfitta di Filippo Penati (giugno 2009), alle elezioni regionali (con qualche iniziale eccezione) che portarono sempre alla sconfitta di Penati e adesso (mentre per Pisapia è arrivato Nichi Vendola).
La domanda che viene da farsi è: i leader nazionali hanno così paura a metterci la faccia sulle questioni lombarde perché sanno di andare incontro a sconfitte certe? Nel caso dei ballottaggi alle provinciali, Penati disse di non volere l’appoggio di nessuno perché in Lombardia ce la saremmo cavati da soli. Difficile dire se era la verità, una scelta tattica perché anche allora il Pd nazionale non stava benissimo (inoltre era guidato da Franceschini e non è che con Penati andasse proprio d’accordo) o se fu una scelta per dimostrare che il Nord sa compiere le sue scelte senza bisogno che arrivino imbeccate da Roma. Sta di fatto che il Pd ha sempre perso e l’attenzione che sanno suscitare esponenti di spicco della scena politica nazionale, difficilmente riesce ad averla un candidato locale e, anche solo dal punto di vista della “capillarità della comunicazione” e dell’attenzione dei media, avere qualche politico di peso da spendere sul campo sarebbe stato utile (il centrodestra stesso mette in campo Berlusconi in prima persona).
La realtà comunque è che Pisapia non è Vendola e adesso ha bisogno di campagna elettorale forte e che sia in grado di parlare davvero a tutti e non solo ad una parte politica.

lunedì 8 novembre 2010

Firenze e Roma

Firenze e Roma
I “rottamatori” e il “partito”.
“Prossima Fermata Italia” e “Assemblea Nazionale dei Circoli”.
Due eventi importanti per gli appartenenti al Partito Democratico, entrambi perfettamente riusciti (ciascuno secondo il suo punto di vista) ma entrambi nati con l’intento di essere l’uno contrapposto all’altro.
I “rottamatori” - come sono stati ribattezzati dalla stampa quelli che si sono riuniti a Firenze, sulla scia di una battutaccia fatta da Matteo Renzi in un’intervista sulla necessità di «rottamare» la vecchia classe dirigente del Pd, insieme alle idee di cui sono portatori - però di strada ne hanno percorsa da quell’annuncio potente di rivoluzione in nome del rinnovamento all’assemblea in corso in questi giorni.
I richiami fatti a Renzi da tutto l’establishment del Pd in queste settimane (dalla richiesta di «rispetto» al non «picconare la ditta» in un momento politicamente delicato) probabilmente hanno funzionato e il risultato è che hanno prodotto l'effetto di correggere profondamente il tiro dell’assemblea fiorentina e, abbandonato il vocabolario della rottamazione (se non per qualche battuta leggera) ne sta uscendo una buona discussione, per lo più centrata su contenuti di interesse per il Paese e non sul partito.
Lo stesso Matteo Renzi, che in televisione appare come un tipo antipatico e arrogante, è riuscito a trasformarsi in un tranquillo e simpatico conduttore, la cui ironia serve a far divertire e ad alleggerire la tensione del momento e a rendere godibile la lunga assemblea.
Idem per Pippo Civati, abile blogger, ma sempre piuttosto spocchioso che, invece, in questa occasione, sembra più tranquillo e normale.
A seguire dal web le due assemblee si notavano le enormi differenze, sia dal punto di vista della forma che dei contenuti.
Da Firenze la diretta web (su più siti) va e viene, forse per i troppi contatti, però quello che appare è un incontro sereno che avviene in un clima molto friendly, piacevole da seguire, in una forma molto innovativa, con Renzi e Civati che giocano a fare un po' i personaggi con il loro modo di condurre ma che creano vivacità (che nelle assemblee è utile per non addormentarsi).
Il vero rinnovamento di Firenze sembra proprio qui: nella formula scelta per l’assemblea, più che nell’età dei suoi protagonisti (i giovani di età non sono poi tantissimi) e dei contenuti (le proposte moderne e innovative si alternano ad altri spunti di riflessione non proprio contemporanei).
Insomma la rivoluzione a Firenze non sembra esserci, però, quell’assemblea aggiustata in corsa ha permesso di far rientrare in modo utile i termini della contestazione al gruppo dirigente ed ha prodotto una discussione vivace e interessante per il Paese oltre che per il Pd (o almeno per quel pezzo di Pd che fatica a riconoscersi nella linea espressa da Bersani).
Roma, invece, è un’altra storia.
L’Assemblea dei circoli è stata indetta in questa giornata con il chiaro intento di portare via persone da Firenze (sebbene il gruppo dirigente lo abbia sempre negato). E, in un clima politicamente surriscaldato (sia all’esterno che all’interno del Pd), è naturale che la maggior parte degli appartenenti al partito scelga di compattarsi attorno al segretario.
È naturale tanto più alla luce di come si era posta l’assemblea dei cosiddetti “rottamatori” (che appunto minacciavano di voler «rottamare» tutto e tutti) e delle ambizioni sempre troppo evidenti di Renzi (visto da molti come il Berlusconi del Pd).
Da quell’impostazione iniziale delle cose, da Roma non è stato fatto alcun passo avanti, come se tutte le aperture e gli ammorbidimenti di Renzi avvenuti in questi giorni non avessero cambiato il clima di una virgola e lo show che andato in scena all’auditorium di via della Conciliazione, più che un’assemblea dei circoli, è sembrata una resa dei conti dei bersaniani contro tutto il resto.
La scenografia utilizzata era la stessa dell’assemblea nazionale di Varese, il palco era bellissimo ma anche profondamente impegnativo (era quello di un teatro vero), così come un certo timore poteva incuterla la grande sala affollata dalle luci abbassate.
Un’impostazione molto diversa da quella di Franceschini alla Fiera di Roma dello scorso anno, con lo spazio per parlare al centro e tutta la gente intorno.
A guardarla via web, l’assemblea romana è sembrata vecchia, così come vecchi sembravano molti di quelli che hanno preso la parola, compresi i giovani che parevano zombie mentre lanciavano volutamente strali contro «la politica hollywoodiana» (ricordando tanto la lettera dei giovani turchi).
La discussione è proseguita con un susseguirsi di formule antiche per lo più e volutamente dette contro qualcuno (più contro Veltroni che contro Renzi a dire il vero): in generale, ad essere contestata è tutta l’impostazione che il Partito Democratico si era dato alla sua nascita e poi portata avanti da Franceschini e che, in parte, è ritornata anche nelle richieste di Firenze.
Insomma, a Firenze, rispetto all'annunciata rottamazione, si è corretto il tiro e il clima si è molto ammorbidito e ne sta uscendo una buona assemblea (indipendentemente dalla validità o meno dei contenuti proposti).
A Roma, invece, doveva esserci un'assemblea dei circoli per parlare delle istanze locali e portarle al segretario, invece è rimasta per lo più un'assemblea “contro”, in cui molti intervenuti sembravano una pura espressione dell’apparato e hanno usato quel palco per parlare contro altri (spesso con argomenti anche di una politica vecchio stile, legittima - soprattutto perché i circoli nella fase veltroniana hanno subito molti sbandamenti e si sono ritrovati privi di un reale ruolo politico - ma qui è stata usata volutamente contro qualcuno).
La sintesi di tutto avrebbe dovuta trarla il segretario Bersani, cercando di mediare metodi e temi, ma ciò non è avvenuto. In quel «non sono uno permaloso, si può discutere», Bersani ha espresso chiaramente qual è il suo punto di vista: fregarsene e tirare dritto per la sua strada, non ascoltando nessuno. Questo è il dramma del Pd: è giusto che un segretario decida, Bersani ha vinto il congresso e ha diritto di scegliere la linea politica del partito (che poi ha espresso nel corso del suo discorso: niente partito personalistico, niente nome nel simbolo, radicamento sul territorio, porta a porta, aderenza alle proposte presentate nei giorni scorsi, manifestazione contro il governo l’11 dicembre), ma ha anche il dovere di prendere atto che c’è una parte del suo partito che in quella linea fa fatica a riconoscersi e chiede conto di alcune questioni. 

Il discorso di Bersani di oggi all’Assemblea dei Circoli - in cui ha mischiato argomenti interni di partito a linea politica a messaggi per l’esterno - tutto sommato è stato anche ben articolato dal punto di vista comunicativo, condivisibile in molti punti, ma completamente privo di aperture verso quella parte che gli ha espresso un disagio e a cui si è limitato a dire che sono stati inseriti molti giovani nelle segreterie (come se il rinnovamento fosse solo un problema anagrafico: lo si è visto anche dai discorsi fatti in assemblea che c’è un problema di discordanza di vedute) e che comunque occorre «rispetto per la ditta e per gli appartenenti all’associazione». 

Probabilmente la colpa è anche dei “rottamatori” che inizialmente sembravano avergli mosso una dichiarazione di guerra, ma la realtà è che pure se avessero usato altre parole, sarebbero stati ignorati ed è un peccato perché il Pd è più vario e articolato della maggioranza del suo gruppo dirigente. Inoltre, come ben segnalava David Sassoli nell’ultimo incontro di AreaDem a Cortona, è vero che il momento politico è delicato e nel Pd c’è bisogno di unità, ma è anche vero che questa unità non può essere solo praticata dalla minoranza: spetta anche e soprattutto alla maggioranza che ha vinto il congresso cercarla e, nell’assemblea dei circoli di oggi, un po’ più di equilibrio non avrebbe guastato.

Personalmente, sono rimasta colpita da questa gestione assurda delle vicende.
Non amo Renzi e nemmeno Civati. Fino a qualche settimana fa non li ho nemmeno presi in considerazione, poi molti amici di AreaDem (giovani e meno giovani) mi hanno chiesto se sarei andata a Firenze e allora ho cominciato a guardare cosa stava accadendo.
Vorrei segnalare ai tanti che guardano con malcelato schifo l’Assemblea della Stazione Leopolda che in quella sala c’è gente del Pd, gente a cui sta a cuore il Pd e che non si riconosce nella linea espressa dalla segreteria e cerca uno spazio per esprimere il suo pensiero e magari trovare qualcuno che lo raccoglie e non qualcuno che dice «discutete pure, tanto poi faccio come mi pare».
A molti di quelli presenti in quella stazione non importa niente delle mire ambiziose di Renzi, ma sono curiosi di capire quali idee verranno messe in campo.
Molte di quelle persone che sono lì erano e sono anche in AreaDem e chiedono lì le stesse cose che hanno cercato da noi e che forse ora faticano a trovarle: «Noi non ci fermiamo» - mi aveva detto un ragazzo a Cortona - «Noi andremo ovunque portando le nostre idee e se vorranno ascoltarle ci farà piacere, lottiamo per questo, non per altro». E quel ragazzo merita rispetto per l’impegno che mette e per quanto ci crede.
Renzi non è Veltroni, il metodo della «rottamazione» non è il «documento dei 75»: sono sbagliati entrambi, solo che Renzi lo ha capito che non conveniva giocare in salita contro il mondo e ha cambiato registro e dalla riunione fiorentina sta uscendo una discussione vivace e interessante; i 75 formalmente non si sono mossi di una virgola, poi nella pratica hanno fatto marcia indietro ma ciò che è rotto non si ricompone.
Personalmente provo un disagio enorme di fronte a questa situazione: vogliamo tutti un cambiamento ma ci siamo frammentati sempre di più e così facendo avremo sempre meno possibilità di ottenerlo.
Personalmente non condivido il linguaggio di Renzi e l’ergersi sempre un piano sopra gli altri di Civati e non condivido nemmeno molte delle istanze che sono state portate in quell’assemblea e per questo non ho voluto andare a Firenze: i tempi, i modi, le forme e anche i contenuti contano.
Ma quando vedo i miei amici di AreaDem a Firenze, non posso fare a meno di chiedermi perché quelle cose sono dovuti andarle a dire lì? Perché non le hanno più trovate da noi? E non credo sia sempre colpa degli altri: qualche sbaglio lo abbiamo fatto anche noi se perdiamo pezzi.
Di Firenze, poi, salverei la formula: quell’approccio friendly (conduzione vivace, interventi a tempi certi, intermezzi di filmati) è utilissimo nelle assemblee e tutto il Pd dovrebbe farne tesoro.
Se avessi dovuto scegliere, probabilmente, oggi sarei andata a Roma perché l’Assemblea dei circoli era un incontro ufficiale del Pd e alle ricorrenze ufficiali mi piace essere presente. Eppure sono certa che se fossi stata a Roma avrei provato un enorme disagio per i discorsi che sono stati fatti sul palco: non sono una veltroniana, ma quell’accanirsi contro la politica hollywoodiana e quei richiami continui all’organizzazione erano un attacco pesante a tutto il Pd precedente ed erano un profondo modo di guardare indietro anziché avanti.
I circoli hanno vissuto male l’inizio del Pd perché si sono visti spodestati del loro ruolo politico in nome di una modernità presunta e si sono trovati a fare solo da distributori di volantini. Tuttavia non è eliminando la cosiddetta “politica hollywoodiana” che torneranno a fare politica e il radicamento sul territorio non esclude una caratterizzazione più marcata delle leadership e dei programmi e questo qualcuno lo doveva spiegare! Lo si deve spiegare ai circoli che stanno a dare volantini sul territorio tutti i giorni durante le campagne elettorali che, se non prendono un voto e il Pd non viene nemmeno percepito, non è colpa loro ma il problema sta nei mass media che fanno opinione e lì il Pd ne esce un disastro perché comunica malissimo a livello centrale!
Domani si volta pagina, domani ci si concentrerà sul “porta a porta” e poi sui preparativi della manifestazione dell’11 dicembre. Tutto giustissimo, ma non nascondiamo in continuazione la polvere sotto al tappeto, certe cose è meglio dirsele e magari risolvere una volta per tutte per poi ripartire tutti insieme più serenamente e più convinti con ciò che si deve portare avanti.

domenica 7 novembre 2010

Nichi affascina Milano

Folla per Nichi Vendola al Teatro Dal Verme di MilanoTanta gente, anzi tantissima quella arrivata al Teatro Dal Verme di Milano questa sera per ascoltare Nichi Vendola.
L’appuntamento era per le 20.30 ma alle 20.45 le persone rimaste fuori dal teatro di 1500 posti, perché già troppo pieno, erano moltissime e tutte assiepate intorno ad uno schermo che trasmetteva ciò che accadeva all’interno.
Ufficialmente si trattava di un incontro per la campagna per le primarie di Giuliano Pisapia (sostenuto da Sinistra Ecologia e Liberà) ma le persone che hanno continuato ad arrivare nel corso della serata e che hanno occupato anche tutta l’area intorno al teatro non erano solo i suoi sostenitori ma anche appartenenti ad altre formazioni politiche che semplicemente volevano ascoltare Vendola.
Sì Nichi Vendola, l’uomo che ha ridato speranza alla sinistra con la sua “narrazione”, la passione e l’enfasi che mette nei discorsi; che ha saputo davvero creare una visione alternativa di società al modello imposto dal centrodestra. Una visione certamente molto identitaria, di sinistra ma allo stesso tempo moderna, diversa da quella degli altri gruppi extra-parlamentari di quel campo e forse in grado di tradursi anche in forza di governo partendo dall’esperienza maturata nella Regione Puglia.
La curiosità di vedere e di ascoltare quest’uomo dei miracoli che, presentandosi sempre per ciò che è (gay, comunista e cattolico), ha sovvertito tutte le logiche illogiche dei partiti, vincendo per due volte le elezioni regionali e suscitando emozioni, squarciando il grigiore piatto che da troppo tempo accompagna le parole della politica nel campo del centrosinistra, era davvero tanta anche nei milanesi.
Impossibile avvicinarsi a Nichi (così lo chiamavano tutti) appena arrivato al teatro: troppa folla, troppa ressa di giornalisti, fotografi, addetti alla sicurezza, ragazzi appassionati che cercavano di eludere le forze dell’ordine (piuttosto irascibili e maleducate) presentando tessere di qualsiasi cosa pur di riuscire a farsi trovare un posto all’interno.
Niente da fare: i posti a sedere sono spariti subito, molti occupati come sempre dall’establishment dei partiti, dagli invitati illustri e dai raccomandati di turno e quelli restanti presi al volo da chi si è presentato al teatro con largo anticipo.
Per tutti gli altri non è rimasto altro che il piazzale antistante, lo schermo messo troppo in basso per poter essere visto e le casse per ascoltare almeno le parole.
E sulle parole, Nichi Vendola ha fatto un po’ impressione quando ha parlato di Milano, lui che è stato a Milano da oggi pomeriggio al seguito di Pisapia e che prima lo si era visto solo il 25 aprile. Gli argomenti negativi ovviamente erano tirati fuori solo in chiave elettorale, al fine di far comprendere come Letizia Moratti ha ridotto la città, ma faceva impressione ugualmente ascoltare un non milanese che Milano la conosce davvero poco, parlare in un quel modo della città.
Tuttavia, un grande applauso, Nichi lo ha strappato subito dicendo che, se il pasticcio che ha combinato Letizia Moratti con l’Expo fosse accaduto in una città del Sud, sarebbero piovuti immediatamente giudizi pesanti e accusatori nei confronti del Meridione, mentre essendosi trattato di Milano, nessuno ha aperto bocca.
La serata - moderata da Gad Lerner - è poi proseguita con i temi della campagna elettorale, accenni alla situazione nazionale e le persone che hanno continuato ad arrivare sempre più numerose intorno al teatro.

P.s.: Purtroppo anch’io sono tra quelli rimasti fuori e ad un certo punto mi sono arresa, perché anche l’ascolto si faceva difficile, e sono venuta via. Mi spiace perché ero davvero curiosa di ascoltare Vendola ma, purtroppo, ogni volta che torna a Milano è impossibile incontrarlo. Ci riproverò la prossima volta.