domenica 31 ottobre 2010

Maschilismo istituzionale

Della vicenda di Ruby e Berlusconi sono tanti i punti che farebbero rabbrividire se fossimo un Paese normale.
In un Paese normale, non credo sia così accettabile che un Presidente del Consiglio, un capo del Governo, si possa permettere la libertà di rivendicare il diritto ad andare con le prostitute, per di più minorenni. In Italia si può fare.
In Italia, e probabilmente anche altrove, la maggior parte degli uomini di potere (politico, economico, industriale) va a prostitute perché lo ritiene uno status symbol oltre che per “divertimento” (parola da usare nell’accezione puramente maschile).
Solo che altrove, se si scopre che un rappresentante delle istituzioni va a prostitute, per di più minorenni, se gli va bene fa scoppiare uno scandalo, ma di solito arriva a dimettersi.
In Italia è normale che i politici vadano a prostitute (le chiamano “escort” perché “fa più figo”) e, se si scopre, pretendono pure di archiviare il tutto come vicenda privata, incuranti di tutte le leggi che hanno cercato di emanare per arginare il fenomeno della prostituzione, delle sanzioni ai clienti e di tutti gli anatemi che lanciano dal pulpito dei comizi durante le campagne elettorali quando si tocca un tema del genere.
In un Paese normale non credo sia accettabile che nelle residenze del capo del Governo si svolgano feste e festini a luci rosse o quasi. In Italia, invece, è diventato normale che ciò accada.
Berlusconi si definisce «eletto dal “popolo”» e quindi rappresentante di esso. Chissà se il “popolo” è contento di avere un simile rappresentante istituzionale? Magari quello dei suoi elettori, sì (eppure dovrebbero capire che l’unica vera libertà fino ad ora invocata da Berlusconi è la sua - attraverso lodi, leggi ad personam, bugie varie - e non quella del suo “popolo” che pure vorrebbe esser liberato da tanti ingombri e magari vorrebbe anche essere invitato a quegli allegri festini con donnine tanto disponibili).
Tuttavia, Berlusconi dovrebbe ricordarsi che, da Presidente del Consiglio, rappresenta anche quegli italiani che non lo hanno votato e che, magari, da un uomo delle istituzioni si aspettano qualcosa di diverso che “donne, viagra e lap dance”.
Ma tutto questo avrebbe senso se l’Italia fosse un Paese normale, invece è semplicemente l’Italia.
E allora è inutile sforzarsi di capire a che punto di bassezza istituzionale e non solo siamo arrivati, però c’è una frase, in quest’ultima assurda vicenda, che mi ha colpita particolarmente ed è una dichiarazione in cui Berlusconi si giustifica grossolanamente per l’accaduto: «Amo la vita e le donne. Faccio una vita terribile, ho orari disumani. Io sono una persona giocosa, se ogni tanto sento il bisogno di una serata distensiva come terapia mentale per pulire il cervello da tutte le preoccupazioni, nessuno alla mia età mi farà cambiare stile di vita del quale vado orgoglioso».
Personalmente, trovo che questa frase sia ancora più grave di tutto il quadro in cui si inscrive la vicenda di Ruby.
Con questa frase, Berlusconi ha lasciato emergere tutto il peggio del pensiero maschile e maschilista secondo cui le donne sono da considerarsi come oggetti per “serate distensive”.
Pensiero questo che, purtroppo, è ancora nella mente di tanti uomini ma che è tanto più grave se è detto con tanta nonchalance dal Presidente del Consiglio, rappresentante istituzionale di donne e di uomini.
Che garanzia è per le donne un rappresentante istituzionale che pensa di loro una simile cosa?
Personalmente, rabbrividisco.


mercoledì 27 ottobre 2010

Da Cortona una nuova AreaDem


Una nuova partenza per AreaDem a Cortona il 22-23-24 ottobre, dopo la fuoriuscita dei 75 firmatari del documento di Veltroni-Fioroni-Gentiloni e dopo la riunione riorganizzativa che si è tenuta a Roma lo scorso settembre.
Una nuova partenza per un gruppo che ha scelto una strada di responsabilità verso la gestione bersaniana del Partito Democratico ma che al tempo stesso non ha rinunciato ad esprimere un proprio punto di vista sulle questioni politiche che maggiormente interessano al Paese.
E allora di nuovo a Cortona, dunque, per «scegliere la strada: la strada per noi, la strada per il Partito Democratico e la strada per il Paese, sapendo che ci aspettano mesi difficili», come ha detto bene Dario Franceschini nella sua ampia relazione di introduzione all’incontro.

Una relazione molto importante quella di Franceschini, in cui sono stati illustrati un po’ tutti i temi a cui mettere mano nelle tre giornate di discussione, riprendendo il messaggio di sfidare la destra sul piano dei valori per proporre un modello di società alternativo e rivisitando in chiave ancora più moderna e innovativa le idee lanciate nel corso della sua campagna congressuale come legalità, regole, merito, attenzione alle donne, mobilità territoriale, diversità come opportunità, welfare universale...
Se avete voglia, leggete il mio commento sull'incontro di Cortona: i contenuti affrontati, gli umori della sala e i nuovi assetti di AreaDem.
AreaDem a Cortona - ottobre 2010

sabato 16 ottobre 2010

AreaDem di nuovo a Cortona

Dal 22 al 24 ottobre prossimi, a Cortona, si tiene un nuovo appuntamento nazionale di AreaDem, l'area del Pd guidata da Dario Franceschini.
I lavori inizieranno alle ore 15.00 di venerdì 22 con la relazione di Franceschini e si chiuderanno alle ore 13.00 di domenica 24 con l'intervento di Piero Fassino.
Sono previsti, tra gli altri, gli interventi del prof. Aldo Schiavone sulla crisi del berlusconismo (venerdì), dell'economista Franco Barucci che affronterà il tema della ripresa e lo sviluppo (sabato), di Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) su nuovi esclusi e nuovi diritti (sabato) e del sociologo Mauro Magatti, preside di sociologia alla Cattolica di Milano, su diseguaglianze e modelli di sviluppo (domenica).
L'incontro si terrà presso il Centro Convegni S. Agostino, via Guelfa 40 a Cortona (Ar).

Un programma così composto si preannuncia interessante anche perché indubbiamente lascia intendere che – al di là del presumibile dibattito assembleare – verranno messi sul tavolo anche contenuti importanti su cui probabilmente si dovranno snodare le proposte politiche di AreaDem (e anche dello stesso Pd).
A voler fare uno sforzo interpretativo di queste poche righe, infatti, si denotano già alcuni contenuti-chiave:
- crisi del berlusconismo: apre le porte alla discussione che si è innescata negli ultimi mesi in merito alla democrazia e alle regole e permette di rendere un po’ più chiaro lo scenario di «emergenza democratica» che spesso ha presentato Franceschini.
- ripresa e sviluppo: può essere l’occasione per offrire possibili proposte per uscire dalla crisi (creando così anche un’importante occasione per AreaDem e per lo stesso Pd di emergere con un contenuto di stretta attualità che coinvolge la vita dei cittadini e le difficoltà che si trovano ad affrontare tutti i giorni).
- immigrazione: l’approccio che si sceglie di dare, attraverso la scelta di Laura Boldrini come relatrice, è in linea con quanto detto da Dario Franceschini durante l’Assemblea Nazionale di Varese (in cui ha sottolineato che sarà sempre contro chi spara ai barconi e, in merito ai rom, ha detto di pensarla come il Cardinale di Milano Tettamanzi) in evidente contrapposizione alla visione veltroniana dell’ingresso a punti presentato in un controverso documento alla stessa Assemblea. Il tema non è da sottovalutare perché la Lega ci ha giocato intere campagne elettorali sulla paura dell’invasione straniera, ma il tipo di approccio scelto è altrettanto importante. Se il documento presentato dal Movimento Democratico e uscito dall’Assemblea Nazionale sull’immigrazione sembra andare verso modelli scelti anche dal centrodestra, Franceschini ha sempre dichiarato la volontà di sfidare la destra sui valori, proponendo propri modelli culturali, diventando dunque l’alternativa al centrodestra e non una fotocopia uscita male. Proposta giusta su molti fronti ma che, andando a scegliere proprio la materia dell’immigrazione per distinguersi, rischia molto.
- diseguaglianze e modelli di sviluppo: altro tema su cui il centrosinistra può giocare le proprie carte e presentare una visione della società ben diversa da quella che si è imposta in 15 anni di berlusconismo.
A leggere le poche righe del comunicato stampa, però, c’è anche un’altra cosa che salta all’occhio e non è da poco: «I lavori inizieranno alle ore 15.00 di venerdì 22 con la relazione di Franceschini e si chiuderanno alle ore 13.00 di domenica 24 con l'intervento di Piero Fassino».
Apre Franceschini e chiude Fassino… Eccola qui la nuova AreaDem: Franceschini – Fassino (esattamente come è stata la campagna congressuale).
Una coppia che, tutto sommato, funziona; anche perché i due gruppi del loro seguito sono riusciti per davvero a “mescolarsi” e lavorare insieme senza troppo guardare alle provenienze.
Quelli che hanno avuto meno difficoltà sono stati i fassiniani perché Franceschini, politicamente, si è comportato spesso come un diessino… Molti problemi in più li hanno avuti i popolari, tanto che in parecchi sono fuggiti al seguito di Fioroni e degli altri –Oni.
Franceschini – Fassino dunque.
Franceschini che, a Roma, all’incontro nazionale di AreaDem indetto in fretta il 30 settembre, in seguito alla rottura con i 75 del documento di Veltroni-Fioroni-Gentiloni, aveva detto di volersi far carico della sua componente, in nome del fatto che era stato lui il candidato alle primarie e i voti erano stati espressi per lui e non per altri.
Franceschini che, però, nello stesso incontro, aveva anche parlato della necessità di «mescolarsi», perché troppo spesso la vecchia Area Democratica era sembrata una sorta di «federazione con gli amici di Tizio e gli amici di Caio».
E Franceschini che, sempre a Roma, aveva espresso la necessità di mettere da parte personalismi inutili e si era appellato alla «generosità personale», ma sembrava una frase rivolta all’uscita di Veltroni che cercava una nuova affermazione per la sua leadership.
Poi Fassino che, a maggio, a Cortona, in un lunghissimo discorso (quasi di chiusura), parlando del tanto inneggiato ricambio generazionale e di eventuali papa stranieri, aveva detto che «i cardinali non possono essere sempre gli stessi».
Lo stesso Fassino che, però, a Roma il 30 settembre, doveva averci ripensato perché il suo discorso (in cui lasciava intendere delle chiare direttive in merito alla necessità di strutturare AreaDem) sembrava tutto tranne che quello di uno che ha voglia di farsi da parte.

E allora cos’è questa coppia Franceschini-Fassino? È un nuovo equilibrismo a due punte?
Fassino è un politico di valore, un “uomo di partito”, uno che lavora e non si è mai fatto prendere da egocentrismo personalistico (insomma, non è un Veltroni) ma dopo quanto è appena accaduto con i 75 del documento, questa nuova “federazione” un po’ preoccupa.
Siamo sicuri che la nuova visibilità guadagnata da Fassino sia solo un modo per aiutare le componenti a «mescolarsi» meglio e che non si riprodurrà nuovamente la «federazione degli amici di Tizio e gli amici di Caio»?
Lo scopriremo a Cortona.
Viene da chiedersi, tuttavia, se questa «generosità personale» di Franceschini non sia un po’ eccessiva…
Insomma, Dario Franceschini politicamente è emerso grazie al ruolo di segretario a tempo determinato del Pd, in seguito alle dimissioni di Veltroni. Non è stato semplice per lui imporsi sulla scena: è un abile comunicatore, conosce perfettamente i meccanismi dei media, ma non gli è bastato per ottenere il consenso che gli serviva.
Oggi, però, è passato molto tempo da allora e Franceschini è a tutti gli effetti uno dei leader del Pd, un uomo politico che conta e sa mettersi in risalto con il suo lavoro in Parlamento.
E dopo tutta la fatica che ha fatto per emergere e per far sapere che forse vale qualcosa, ora che fa? Si nasconde dietro a Fassino?
Piacerebbe dire che c’è una squadra e si è tutti insieme a giocare per portare a casa il risultato, ma la verità che nel Pd in particolare ma anche nella politica in genere, più che in una squadra si è in un branco di squali e vige la regola che “mors tua vita mea” e, allora, anche questi equilibrismi non sono cose di poco conto.
E poi tutti quei bei discorsi che si fanno sempre sulla necessità del ricambio generazionale? Lo si mette in pratica riesumando uno che – per dirla brutalmente come Matteo Renzi – è «da rottamare»?
A parte la brutalità di Renzi e il valore indiscutibile di Piero Fassino, la questione non è da poco, soprattutto alla luce della società di oggi che – fomentata dall’antipolitica – vorrebbe far molto peggio che «rottamare».
Dario Franceschini è più giovane rispetto a Fassino, non solo come fatto anagrafico: anche politicamente è emerso dopo (pur avendo una lunghissima esperienza che, in politica, è cosa utile e non da buttar via) e può rappresentare una buona prospettiva per il futuro del Pd e dell’Italia.
E allora perché “lancia il sasso e nasconde la mano”? Perché rivendica l’Area come sua e poi nasconde la gestione dietro altri?
Oltretutto, oramai, AreaDem ha dichiarato di non voler essere una corrente di opposizione interna ma di voler portare il proprio contributo in collaborazione con Bersani, per cui Franceschini non rischia nemmeno troppo per il suo ruolo di Capogruppo alla Camera…
È davvero solo una questione di «generosità personale» e della necessità di fare squadra o è anche opportunismo di non scoprirsi troppo onde evitare di bruciarsi prima del tempo?
Probabilmente entrambe le cose.
Tuttavia non è una casualità ma una scelta precisa, strategica o meno che sia.
Certo è che tutte queste formalità di convenienza, non aiutano a fare chiarezza e, dopo quello che è appena accaduto con i 75 firmatari del neonato Movimento Democratico, qualche inquietudine la lascia questa scelta.
Lavorare insieme per ottenere lo stesso risultato è una cosa che si impara giorno per giorno e la politica è una pessima palestra per praticare il gioco di squadra.
A Cortona, comunque, ci si proverà e si spera di raggiungere buoni risultati.

A Dario Franceschini
Sono una rompiscatole, una che non si accontenta mai, che pretende sempre moltissimo, a volte anche troppo.
Sono una che si fa un mare di problemi, che “si fascia la testa prima di cadere” - come si usa dire – e, forse questa volta, dovrei aspettare di vedere cosa accade prima di parlare ma, in fondo, sono convinta che le cose sia meglio metterle in chiaro prima, quando non è tutto già definito e c’è ancora spazio per cambiamenti. Prima, insomma, che sia troppo tardi e che il parlarne diventi un’inutile lamentela.
E allora, Dario, te lo dico prima.
Te lo dico da una posizione di sostanziale ignoranza perché gli elementi che ho per valutare la situazione sono pochissimi.
E te lo dico sulla base delle sensazioni che ho percepito man mano che le cose si manifestavano e i posizionamenti che si delineavano.
Insomma, a me questa situazione continua a non piacere. Non sono contenta per niente perché vedo equilibrismi che non mi convincono affatto.
Personalmente sono una che fa tanti distinguo: non metto la faccia su tutto e per tutto, ma quando la metto è perché ci credo e mi impegno fino in fondo e pretendo il massimo anche dagli altri, a maggior ragione lo pretendo dalle persone per cui mi sono impegnata.
Il “per chi” mi impegno non è secondario al “per cosa” mi impegno: le idee corrono insieme alle persone che le portano avanti.
E allora scusa ma, ancora una volta, devo chiederti di più.
Io voglio di più, Dario, voglio che ti prenda le tue responsabilità e che tu ci metta la faccia.
Devi farlo tu perché è per te che ce l’hanno messa in tanti e devi farlo tu se l’Area è la tua.
Questo non implica una compromissione del lavoro di squadra, ma implica che quando si fa una scelta ci si assume anche le responsabilità di questa scelta e ci si espone.
Adesso non ci sono motivi per restarne ai margini, dato che è stato ampiamente dichiarato che non si sta lavorando contro Bersani.
Non è lavoro di squadra mandare avanti un altro. È un risultato incompiuto, è un fermarsi davanti alla porta vuota e, anziché tirare per fare goal, farsi soffiare la palla da sotto i piedi; è come ritirarsi a un passo dal traguardo, proprio quando invece c'è da spingere sull'acceleratore.
Questo lo dico senza voler attaccare Fassino, di cui ho una grandissima stima e, per il quale, probabilmente, mi sarei comunque impegnata, magari anche mettendoci la faccia. Il problema non è Fassino che chiude ma il messaggio che si dà facendo chiudere a Fassino.
Te lo dico perché credo che, a volte, sia necessario fare un po’ di chiarezza: è per te che ci siamo impegnati al congresso, è per te che abbiamo chiesto i voti, è per te e per le idee (erano le tue o di qualcun altro?) che tu hai portato avanti dentro al Pd quando lo gestivi e in AreaDem dopo le primarie che abbiamo continuato ad impegnarci ed è per te e per la linea politica che tu hai espresso che abbiamo scelto di continuare a stare qui invece di schierarci con i 75; e, oltretutto, stiamo anche rispolverando molto della tua piattaforma congressuale, con l’idea di sfidare la destra sui valori e allora ce la vuoi mettere la faccia o devi aspettare che ti arrivi sulla testa un altro documento di delegittimazione per farlo?
Questo cedere improvvisamente è un limite che ho visto spesso per tutto il congresso: forse è un’impressione mia ma molti passaggi li ho percepiti come errori, invece le tue erano scelte strategiche. Stesse scene per la prima Area Democratica, ma allora forse ti era più difficile esporti perché gli equilibri interni erano più fragili e il tuo ruolo di Capogruppo alla Camera ti imponeva di non eccedere con le critiche a Bersani, ma oggi tutto questo non esiste più dato che la linea politica scelta è di collaborazione con il segretario.
E allora dov’è il problema? Non lo capisco.
Per te è una questione di convenienze e pure formalità, per me no: a me non viene in tasca niente e lo voglio sapere per chi sto mettendo la faccia (oltre che per cosa la sto mettendo).
Io voglio di più, Dario. Scusa se non mi accontento.
Sono sicura che a Cortona andrà tutto benissimo, che sarà bellissimo come sempre, ma non vorrei che finisse per diventare di nuovo uno stupido gioco di equilibri.
Forse pretendo troppo, forse ho solo poca pazienza, ma ti ho scelto e continuo a sceglierti per la politica, Dario, non per fare l’equilibrista.

domenica 10 ottobre 2010

L'assemblea, il Nord, la Lega, il Pd

Assemblea Nazionale Pd VareseIl Pd è specializzato per la scelta di location irraggiungibili, ma così irraggiungibili come Malpensafiere non era mai capitato.
I delegati, per fortuna, nella maggior parte dei casi non se ne sono accorti, perché il partito, questa volta, ha organizzato tutto per loro.
I lombardi appiedati, invece, se ne sono accorti eccome della difficoltà di raggiungere il centro congressi, disperso nelle campagne intorno all’aeroporto di Malpensa.
Le navette Pd, infatti, recuperavano le persone nel viaggio di andata del giorno 8 da tutte le stazioni, ma il ritorno era previsto solo a partire dalle ore 23.00 con destinazione hotel. Chi non necessitava di hotel, doveva arrangiarsi. La mattina del giorno 9, le navette recuperavano le persone dagli hotel, quindi gli altri dovevano arrangiarsi.
Nulla di male, è giusto che il partito pensi ai suoi delegati, ma dato che si era annunciata questa assemblea a Varese come luogo simbolo per parlare al Nord, magari sarebbe stato il caso di incentivarlo un po’ il Nord a venire a vederla questa assemblea.
Malpensafiere è raggiungibile solo in macchina: non esistono mezzi pubblici che portano lì; le stazioni ferroviarie di Busto Arsizio distano circa 4 Km e l’aeroporto ne dista 15. Se vuoi spendere meno in taxi, devi andare a Busto Arsizio ma, se vuoi trovarlo il taxi, devi andare all’aeroporto…
Mi spiace perdere le due giornate più importanti del mio partito, dove hanno anche detto di volersi occuparsi del Nord, così telefono a mezzo mondo, mando e-mail ma non c’è niente da fare: di questa assemblea non frega niente a nessuno.
Maurizio Martina, qualche settimana fa, aveva inviato un’e-mail ai circoli per dire di far partecipare le persone, poi però non aveva fatto sapere più nulla. La verità è che Martina si è sbagliato, ha confuso l’assemblea (luogo di lavoro dei delegati e di equilibrismi pericolosi dei big del partito e con accesso riservato a delegati, invitati e giornalisti accreditati) con una manifestazione e quando si è accorto della stupidaggine che aveva scritto ha smesso di inviare comunicazioni.
Ma tanto è uguale, pure se avesse mandato gli inviti per tutti, non sarebbe andato nessuno: la maggioranza degli iscritti del Pd è di età molto adulta, di assemblee ne ha viste tante, anche con esponenti politici migliori di quelli attuali, sai cosa gliene importa di andare a sorbirsi due giorni di discussioni vuote nel deserto della campagna varesotta?!
Così al primo giorno rinuncio anch’io: non mi fido ad andare in un luogo del genere sapendo di dover tornare a casa da sola la sera senza aver chiaro con quale mezzo (anche le 21.00 di sera, là in mezzo al niente non sono un bello scenario).
Ci vado sabato, prendo il treno delle 9 fino a Busto Arsizio e spero di trovare un taxi (ovviamente mi porto dietro anche i numeri di Malpensafiere, che non si sa mai).

La giornata è grigissima e anche piuttosto fredda. Sul treno ci sono solo stranieri.
Alla stazione di Legnano c’è un bambino seduto in braccio ai nonni che guarda i treni passare e saluta con la mano.
In mezz’ora sono a Busto Arsizio, come il treno apre la porta mi trovo davanti un muro giallo con la scritta «ti amo principessa». Sorrido.
Cerco il sottopassaggio, scendo le scale e poi non so se andare a destra o a sinistra: non ci sono cartelli, solo scritte di ragazzi sui muri e cattivi odori.
Vado a destra e sbaglio: esco su una strada in cui non c’è niente.
Torno indietro, verso sinistra e finalmente esco sulla stazione: piccola, buia e deserta.
Fuori sulla piazza c’è un signore che fuma, ha una giacca blu, sembra un uomo delle FS, gli chiedo informazioni sui taxi o sui bus.
È un delegato Pd di Milano, il taxi glielo hanno fregato due donne, ma il taxista ha giurato di tornare in un quarto d’ora. Tuttavia, l’amico delegato non è troppo convinto del taxista: «ieri sera per tornare a casa è stato un inferno: avevano chiamato due taxi dalla fiera e non ne arrivava neanche uno, poi ne è arrivato un terzo prenotato da un’altra persona che doveva andare in aeroporto e sono salito anch’io», mi racconta.
Cerco tra i miei numeri di telefono, provo il radiotaxi di Busto ma resto allibita quando sento che a suonare è la colonnina dietro le mie spalle sul piazzale… A cosa serve un radiotaxi del genere?
Chiamo Malpensafiere, mi risponde Giovanni e si offre di aiutarci: cerca un altro taxi ma non c’è, alla fine intercetta una navetta Pd, «sta andando all’aeroporto a caricare delle persone, se volete poi la dirotto da voi, però ci impiegherà mezzora».
Stiamo per accettare, quando appare il nostro taxi, in un tempismo perfetto. Ringraziamo Giovanni e ci mettiamo in macchina verso il centro congressi.
Il taxista è un leghista, ci detesta perché sappiamo solo fare opposizione e odia Di Pietro perché insulta e offende. Vani sono i tentativi di spiegargli che anche Bossi insulta e offende («no, è diverso, è rozzo ma sono solo battute così», risponde) e che il ruolo dell’opposizione è opporsi e il centrodestra faceva lo stesso quando al governo c’era il centrosinistra («quello di Prodi non era un governo e poi i politici fanno così», sentenzia).
Il taxista ci crede al federalismo di Bossi, è convinto che, con quella legge, la Lombardia diventerà come il Trentino Alto Adige.
Mentre il taxista leghista e il delegato Pd discutono, capisco che qui al Nord c’è davvero tanto lavoro da fare e il Pd ha fatto bene a venire, solo che doveva farlo con un’altra forma: non servono i politici se stanno blindati in un’assemblea chiusa e sperduta nel nulla; serve che si facciano vedere, che parlino in piazza, che discutano con le persone, che spieghino loro le bugie della Lega (ma non su un volantino, come dice Bersani, che va bene ma non basta: ci vuole di più, ci vogliono le parole di persone che hanno credibilità, non solo dei comuni iscritti).
Per fortuna il tragitto è breve (8€ che paga l’amico delegato).
Arrivati in fiera scopriamo che c’è già Fassino sul palco a parlare e la sala è stracolma di gente e non ci sono sedie libere.
Abbandono la giacca al guardaroba, faccio un giro di perlustrazione, studio tatticamente i luoghi migliori per piazzarmi poi vado anche in bagno (che non si sa mai che dopo non abbia più tempo).
Bersani mi porta sfortuna, ogni volta che lo incontro mi capita qualcosa e stavolta non sto bene! Non ho preso pastiglie perché me ne sono accorta troppo tardi e non sono sicura di riuscire a stare in piedi tutto quel tempo.
Decido immediatamente di rimuovere il pensiero, quindi cerco di distrarmi come posso: scatto foto e giro un po’ per il padiglione alla ricerca dei conoscenti milanesi e non e ne trovo tanti (Ettore, Piera, Matteo, Diana, Teresa, Roberto, Carlo, Emanuele, Debora, Luca, Sara…).
Wanda mi trova lei: dice che mi ha vista sullo schermo…
Molti mi salutano, mi conoscono ma io ci impiego un po’ a riconoscere loro: la sala è buia e, nonostante gli occhiali, ho difficoltà a distinguere bene le persone (soprattutto quelle viste poche volte).
La platea, che viene salutata con un «Cari dirigenti del Pd» da Bersani (suscitando svariate ilarità), è piuttosto appassionata, segue, commenta e applaude i suoi leader di riferimento.
I massimi esponenti del Pd sono tutti nelle prime file.
I big del partito seduti al tavolo della presidenza hanno facce serissime: ascoltano chi interviene, leggono documenti, scrivono, giocano con i telefoni, giocano con il computer (Scalfarotto twitta tutto, ma anche Sarubbi a bordo palco).
Il computer è il vero protagonista di questa assemblea: chi è collegato ad internet può leggere tutti i cinguettii dei vari delegati in tempo reale.
Franceschini sbircia spesso il monitor di Scalfarotto e Scalfarotto riesce anche a strappare una risata a Franceschini (cosa rara nelle riunioni di partito, ci riuscirà poi anche Bersani con una delle sue frasi incomprensibili).
Sassoli scrive e ogni tanto si alza e fugge, forse a salutare qualcuno o forse a fumare.
Scalfarotto digita sempre.
In sala, i giornalisti vanno e vengono a seconda di chi prende la parola sul palco: Fioroni e Franceschini fanno il pieno (oltre ovviamente a Bersani).
Incontro spesso Balzoni del Tg1 (la cosa mi sorprende perché credevo che avessero inviato un'altra persona) e Chiara Geloni che fa avanti e indietro dalle prime file; cerco l’amica Elisabetta del Tg3 ma non la vedo.
L’assemblea è tranquilla, nella giornata di venerdì, i vari gruppi sembravano essersi venuti reciprocamente incontro con diverse aperture (Letta, Veltroni, Finocchiaro) e, in generale, sembra che l’unità del Pd sia stata ritrovata, nonostante l’intervento di Fioroni molto critico (ma il suo discorso sembra essere rivolto volutamente contro Franceschini e quindi perde consistenza) e Ignazio Marino che – come sempre – ne ha per tutti (memorabile quando ha chiesto a Bersani di spiegare il Nuovo Ulivo perché nessuno ha capito cosa sia)!

Franceschini è chiaro, forte e deciso. Il suo intervento è sulla stessa linea di quello che ormai va raccontando in ogni intervista e in ogni festa democratica: presenta un doppio scenario in cui, nel caso che il governo Berlusconi reggesse ci si deve concentrare sul progetto del Pd, mentre in caso la situazione precipitasse si dovrebbe fronteggiare la possibile emergenza democratica con una risposta di emergenza. A tutto questo, unisce la proposta sul welfare universale, l’importanza di reintrodurre il merito, l’attenzione a come viene trattato il tema dell’immigrazione e un finale importante in cui dice: «Non vorrei che diventassimo un partito che sospende lo scontro il giorno dell'assemblea nazionale e che poi lo riprende il giorno dopo sui giornali», fino poi ad appellarsi direttamente a Bersani per ricordare che alle primarie ha promesso che chi avesse perso avrebbe sostenuto il segretario eletto.
Gli applausi sottolineano più punti del discorso di Franceschini.
Un grande discorso, un grande Franceschini (come sempre e come sempre sono più convinta che mai di averlo sostenuto e di continuare a stare dalla sua parte).
Tuttavia questo finale con questi richiami diretti a Bersani mi turbano non poco: sono correttissimi e sono le stesse identiche cose che Franceschini ha detto anche nelle riunioni di Area Dem (e che comunque condivido), ma questo è un altro contesto e, al di là del clima generale disteso e delle aperture di tutti, un po’ mi inquieta… non vorrei che finissero per aprire spazi ad altre brillanti iniziative di qualche -one di turno…
Personalmente finisco sempre per uscire turbata dalle assemblee politiche, il più delle volte per ragioni di natura non politica. Questa volta il mio turbamento è sia personale che politico, ma ogni dubbio mi viene spazzato via poco dopo quando, nello spazio di un saluto, capisco che chissenefrega, a me va bene così, va bene lo stesso e se sorgeranno problemi li si affronteranno volta per volta: io ho scelto da che parte stare e ne sono fierissima, comunque sia.
Il discorso di Bersani, invece, parte moscio e sconclusionato. Nessuno capisce le battute in bersanese del segretario. Dopo un paio di frasi, ci guardiamo tutti in faccia e ci chiediamo reciprocamente che sta dicendo: bho, non si sa.
Sullo schermo appare inquadrata una signora che sbadiglia, stiracchiandosi le braccia. Lei si accorge, avvampa e si ricompone. La platea scoppia in una fragorosa risata: quello sbadiglio rappresenta tutti noi, è l’emblema del discorso di Bersani. La delegata che sbadiglia è l’immagine simbolo dell’assemblea.
Pian piano il discorso si risolleva e anche il bersanese sembra diventare meglio comprensibile (almeno per una parte della platea). Franceschini diventa il traduttore simultaneo per Scalfarotto, in particolare sull’espressione «sgrugnare» (che fa ridere tutta la sala).
Io sto sempre in piedi e comincio a non poterne più.
Appena Bersani finisce (meglio di come aveva cominciato), tutti si alzano: i dirigenti scendono dal palco, i delegati girano per la sala e cominciamo a salutarsi.
L’assemblea prosegue con i voti sui documenti elaborati nella notte, qualcuno va a mangiare, altri si preparano per ripartire subito.
Anch’io faccio gli ultimi giri della sala, saluto un po’ di gente, mangio qualcosa e mi dirigo verso le navette.
Mi va bene: riesco a prendere quella diretta verso la stazione centrale di Milano. L’autista ci dice che in tre quarti d’ora arriviamo.
Mi siedo, appiccico la faccia al finestrino per un ultimo sguardo al centro congressi, alla gente che continua ad uscire, alle auto blu parcheggiate… Mi dispiace che sia già finita e sia già ora di tornare a casa.
Sono stanca e comincio davvero a non stare bene, nonostante l’aspirina presa in pausa pranzo, ma cerco di non pensarci.
La radio passa le canzoni di Alessandra Amoroso e dei Modà: mi piacciono queste musiche da ragazzini.
Devo avere un’espressione da ebete mentre tengo lo sguardo fisso nel finestrino e i pensieri altrove, mi chiedo cosa penserà la mia vicina di posto. Mi giro, la guardo: non pensa niente, si è addormentata, è stanca anche lei.
Sul pullman ci sono anche Patrizia Toia e Vincenzo Vita: si incontrano per la prima volta, si presentano, parlano tra loro per tutto il viaggio.
A Milano arriviamo in fretta, tra canzoni e commenti politici. In stazione, i delegati raccolgono le loro valigie e si salutano, si ritroveranno a Napoli; io, invece, cerco l’autobus che mi riporta a casa.


Assemblea Nazionale Pd - Varese

venerdì 1 ottobre 2010

Area Democratica cambia passo

Area Democratica Roma - Foto Salvatore ContinoArea Democratica è tornata ed più viva e più decisa che mai a rimettersi in pista con idee e anche strutturandosi nel territorio.
Tantissime erano le persone arrivate da tutta Italia, ieri a Roma, per partecipare all’incontro nazionale indetto da Dario Franceschini solo pochi giorni prima: 400 secondo l’AGI, in ogni caso molto al di sopra delle aspettative, tanto che la Sala Conferenze di Palazzo Marini (dove hanno sede gli uffici della Camera dei Deputati) non bastava a contenerle tutte e hanno dovuto mettere a disposizione un altro spazio attrezzato con la diffusione della diretta video.
La composizione del “pubblico” era la più varia: si andava dai dirigenti di partito ai deputati e senatori (che però hanno dovuto fare avanti e indietro al Senato dove si stava votando la fiducia a Berlusconi), dagli amministratori locali ai semplici iscritti del Pd e, tra loro, anche tanti giovani.
Oltre ai tantissimi romani, molti sono arrivati in gruppo da Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Campania.
L’introduzione di Dario Franceschini (Video) ha messo sul tavolo tutte le questioni principali: la situazione del Paese, la probabile imminente crisi di governo, le possibili alleanze in un clima come quello attuale, la ricerca di convergenze con le altre forze dell’opposizione su possibili battaglie comuni (dentro e fuori dal Parlamento), fino alle discussioni più strettamente interne riguardanti il ruolo di Area Democratica dentro al Pd, la necessità di una maggior strutturazione, la questione del documento dei 75 e l’analisi di tre punti su cui puntare.
Come emerge anche dai tanti resoconti fatti dalle agenzie di stampa e dall’ottima sintesi di Rudy Francesco Calvo su Europa, il senso fondamentale di questo incontro è stato quello di fare il punto della situazione sia per ciò che concerne il governo italiano che Area Democratica e, da qui, decidere come ripartire, con quali forme, strutture e da quali contenuti.
Sulla necessità di strutturarsi sul territorio, Fassino ci ha giocato quasi l’intero intervento e Franceschini stesso ne ha fatto un accenno in apertura, dicendo che da ora in poi sarà necessario avere strutture snelle e referenti.
Un «cambio di passo» (per dirla alla Fassino che, nel suo intervento ha citato Bersani) dunque in Area Democratica che, al momento della sua nascita, Franceschini aveva preferito lasciare senza strutture - facendone solo un luogo di elaborazione di idee - per non dare troppo l’idea di “corrente” (per il terrore che suscita quella parola dentro al partito). Ma, a questo punto, le strutture (snelle, senza tessere o altro che possa sembrare una sostituzione del partito) diventano necessarie per contare di più, portare avanti le proprie idee (perché come ben spiegava Fassino, in molte zone si stanno per fare i congressi provinciali e se si vuole avere un peso nel momento delle decisioni del partito occorre anche mettersi in gioco ed essere presenti negli organismi dirigenti), ma anche per contarsi e per evitare che altre strutture arrivino a portare via la rete faticosamente tenuta insieme in questo anno di Area Democratica (cosa che nessuno ha detto ma che, dopo ciò che è accaduto con “la conta” dei 75, si intendeva perfettamente).
C’è tanto da costruire, insomma, e le costruzioni implicano sempre molte cose oltre alle idee.
Le idee da mettere in campo comunque non sono mancate e l’obiettivo a cui mirare, secondo Franceschini, è «distinguerci dalla destra», attraverso punti che possono accomunare le battaglie delle opposizioni (anche in Parlamento) e ne ha avanzate tre da affrontare e da portare avanti:
1) Scuola, università, ricerca, formazione
2) Welfare universale
3) Battaglia per la legalità
Il tema della formazione, per Franceschini, è quello che maggiormente può differenziare il Pd dalla destra e non soltanto per la questione dei tagli messi in atto dal governo, ma come battaglia culturale da portare avanti per ragioni individuali ed economiche.
Secondo Franceschini, infatti, oggi non c’è più l’ascensore sociale, chi è bravo rischia di non emergere, i figli spesso finiscono per seguire le carriere dei padri e questo mortifica i destini individuali.
Inoltre, nel mondo globale, secondo Franceschini, occorre investire sulla creatività, sui cervelli per essere competitivi.
Sul welfare, Franceschini è stato altrettanto chiaro: «il mercato del lavoro del futuro non sarà più quello di prima, con il posto fisso» e un grande partito deve stare dalla parte dei più deboli ma questi non possono essere individuati con le categorie del secolo scorso.
La battaglia per la legalità, contro la criminalità organizzata, per riconquistare pezzi di territorio allo Stato (anche al Nord) per Franceschini è un altro importante «elemento di distinzione da chi dice che Mangano era un eroe».
Idee queste da portare tutte avanti nel partito, attraverso la gestione collegiale e qui Franceschini ha ricordato il ruolo di Area Democratica: aiutare il Pd a rimanere il più vicino possibile all’idea originaria ma «risolviamo i problemi in un clima di collaborazione; senza rinunciare a nessuna delle nostre idee, ma mettendole a disposizione del partito».
Idem per Piero Fassino che ha ribadito che il «compito della minoranza non è mettersi a bordo capo e fischiare i falli alla maggioranza, ma stare in campo e aiutare la squadra a vincere».
Tesi queste sostenute da Dario Franceschini anche in nome del patto fatto con i suoi elettori delle primarie, a cui aveva promesso che chiunque sarebbe stato eletto segretario, lo avrebbe sostenuto.
E qui è arrivata un’altra novità perché quella che ha preso corpo a Roma è un’Area Democratica di cui Franceschini è sembrato volersi far carico completamente, ricordando che quella componente è nata in seguito alla sua mozione congressuale e sottolineando i voti presi da lui alle primarie, espressi da un milione di elettori al quale lui si sente vincolato.
Anche questo è un «cambio di passo» rispetto alla precedente gestione di Area Dem che Franceschini ha definito una sorta di federazione in cui, agli incontri, si vedevano «gli amici Tizio, gli amici di Caio ecc.» (ed era verissimo, chi ha partecipato ai seminari di Cortona non può non aver notato gli equilibrismi della scaletta degli interventi e le frecciate che le varie componenti si tiravano tra di loro), mentre ora la rivendicava per sé ma chiedendo anche ai partecipanti di fare un passo in più e «di mescolarsi definitivamente».
Tanti gli interventi che si sono susseguiti, nonostante il tempo ristretto del giovedì pomeriggio. La maggior parte delle personalità che ha preso la parola, oltre ad esporre il proprio argomento (per chi lo aveva), ha espresso la propria criticità verso il documento dei 75: parole piuttosto ovvie e condivisibili per i presenti in sala che, però, dette da Franceschini avevano un senso perché a lui toccava fare chiarezza sulla vicenda, mentre sulla bocca degli altri, forse potevano anche essere tralasciate, innanzitutto per la presenza dei giornalisti in sala che, però, fortunatamente, hanno intuito che il fulcro della giornata era altro e non hanno alimentato possibili polemiche, ma poi anche perché oramai è chiaro che le strade sono separate.
Sulla separazione delle strade, proprio Franceschini ha fatto sapere di avere ricevuto nella mattinata una lettera dai 75, in cui si definisce - a detta sua, «con toni costruttivi» - la cosiddetta “separazione consensuale” del gruppo.
Lettera che è stata ripresa in parte dai giornali e che, a leggerla bene, suona un po’ contraddittoria e sembra una presa in giro dato quel che è accaduto in questi giorni: dopo che in una riunione notturna i 75 avevano definito Area Dem come morta e superata e avevano presentato il loro documento, a cui era però seguita la rivendicazione dell’Area di cui contestavano l’appropriazione (secondo loro indebita) da parte di Franceschini appena lui ne aveva convocato una nuova riunione senza di loro; e adesso scrivono per dire «ce ne andiamo per la nostra strada»…
Tuttavia Franceschini non ha commentato nulla e non ha voluto riaprire polemiche inutili su quella vicenda.
Un commento a parte lo merita, invece, il discorso di David Sassoli che ha suscitato grande stupore (per dire un eufemismo) in molti.
Sassoli ha praticamente demolito Veltroni, la sua lettera al Corriere (dicendo che era illusoria, vendeva un sogno che non esiste) e il documento dei 75 (criticato «per forma, per spirito e anche per la sostanza»).
Sassoli è stato durissimo nell’evidenziare tutti i limiti e le contraddizioni delle proposte veltroniane, contestando innanzitutto l’uso spregiativo del termine «difendere» e ricordando la validità delle battaglie sostenute dal Partito Democratico per la difesa della libertà di stampa, della legalità, della Costituzione (riagganciandosi anche allo scenario di emergenza democratica presentato da Franceschini in apertura di discorso). Cose queste che sicuramente Veltroni non aveva messo in discussione ma che rischiano di venire accantonate in nome di un’idea dell’innovare non troppo definita e completamente avulsa dalla realtà concreta.
Sassoli ha poi ricordato che non bisogna inseguire la destra copiandone i modelli ma averne dei propri (anche Franceschini ha sostenuto, con altre parole, che occorre distinguersi dalla destra) e anche per questo ha rivendicato con forza anche le storie di provenienza di ciascuno, dicendo che è sbagliato vagheggiare l’oblio perché il passato conta, ma occorre guardare al futuro e lavorare su quello.
Il punto è che fa uno strano effetto sentire quelle parole lì - che sembrano di un dalemiano (erano loro a sostenere che il modello veltroniano era la fotocopia del berlusconismo) - in bocca ad uno che tutti pensavano veltroniano (tanto che figura anche tra i collaboratori della rivista Pane e Acqua di Veltroni).
La verità, però, è che Sassoli ha detto esattamente ciò che diceva nella sua campagna elettorale per le elezioni europee (anche se lì non c’è mai stato alcun riferimento a Veltroni e qui ha usato toni molto più duri).
Sfidare la destra sui valori, proponendo i nostri (che da qualche parte occorre andarli a prendere e dove si li cercano se si cancella il passato? Questo non vuol dire riproporre le stesse cose di secoli fa, ma avere un fondamento delle proprie idee, sì), dare modelli culturali alternativi a quelli introdotti dal berlusconismo e non inseguirlo… Erano queste le parole del Partito Democratico di Dario Franceschini (senza tuttavia l’uso polemico verso qualcuno) ed erano queste le parole dette anche nel percorso delle primarie.
Eppure il fatto che Sassoli abbia usato tali parole come frecciate pesanti a Veltroni ha fatto un certo effetto.

Interventi più pacati e importanti sono arrivati da Franco Marini, Debora Serracchiani, Pier Paolo Baretta, Cesare Damiano, Enzo Bianco.
Prossimo incontro nazionale con Area Democratica è dal 22 al 24 ottobre a Cortona e, memore dell’esperienza del dicembre 2009, Franceschini ha promesso che, questa volta, la sala sarà riscaldata.


Area Dem
P.s.: Personalmente sono rimasta con un dubbio: l’impressione è che siamo sempre al punto di partenza. Probabilmente, in questo caso, è anche vero: Area Dem si è ritrovata dopo il terremoto prodotto dal documento dei 75 e la riunione di Roma doveva servire anche a rilanciare un po’ l’Area e a tracciare la direzione da intraprendere per il futuro.
Inizialmente, invece, il difficile equilibrismo tra le diverse anime che componevano Area Dem aveva un po’ “imbrigliato” le potenzialità che venivano espresse nei vari incontri e, forse, nel tentativo di non sbilanciarsi troppo da una parte o dall’altra (la «federazione», «gli amici di Tizio e gli amici di Caio») si rimaneva sempre un po’ “al palo”, pur riuscendo anche a discutere di contenuti validissimi.
In molti ieri eravamo contenti del fatto che al nostro interno si fosse fatta un po’ di chiarezza e che, anche se dispiace aver perso per strada molti amici con cui abbiamo condiviso tanto e con cui crediamo di poter ancora portare avanti molte cose che abbiamo in comune (e molti di loro ci mancheranno ai prossimi incontri), forse questa volta, con maggior convergenza di vedute al nostro interno sia davvero possibile portare avanti qualcosa di più concreto.
Personalmente, questa volta vorrei che si partisse davvero: non vorrei che tornassimo a Cortona a ripeterci le stesse cose di un anno fa, che poi diventano lettera morta appena usciamo dalla sala.
Dico di più: queste assemblee in cui ci incontriamo sempre tutti e ci diciamo più o meno tutti le stesse cose, sono momenti piacevoli, interessanti anche per alcune tematiche affrontate, di incontro, di ascolto di alcune realtà, tuttavia mi piacerebbe che, oltre a tutto questo, ogni tanto si uscisse anche con delle iniziative mirate su contenuti specifici (magari prendendo spunto proprio da quello che emerge in queste assemblee) da portare sui territori con titoli precisi e relatori appositi.
Penso, ad esempio, al convegno sull’economia proposto da Piero Fassino in febbraio o ai corsi di Democratica prima che arrivasse il documento dei 75.
Insomma, senza produrre conte, documenti divisori o stranezze di varia interpretabilità, credo che se abbiamo delle idee non basta che ce le raccontiamo tra di noi, bisogna che le confrontiamo con il resto del partito e che poi - verificata la possibilità di renderle un vero contributo utile - le proponiamo al di fuori in modo che possano attrarre tutti gli interessati.