lunedì 25 giugno 2012

Incontro sulla città metropolitana alla Festa Pd di Cinisello

Sabato pomeriggio alla Festa Democratica di Cinisello Balsamo si è parlato di città metropolitana, tema molto sentito nei democratici dell’area milanese, come ha sottolineato Arianna Censi (responsabile enti locali del Pd provinciale), la quale ha ricordato il lavoro svolto e tutt’ora in corso del gruppo che si è costituito per progettare le politiche su questo argomento.
“Milano, pur essendo una grande città, è piccola se paragonata alle altre capitali europee e per questo bisogna insistere sul tema dell’area metropolitana, soprattutto per la gestione di settori come la mobilità e i trasporti”, ha ricordato Arianna Censi, sottolineando che oggi il capoluogo lombardo agisce secondo una mentalità accentratrice rispetto ai Comuni della Provincia e questo non va bene.
“Oggi – ha precisato Censi – non è più sufficiente cercare di coordinare le politiche dei singoli Comuni ma serve studiare le politiche su un’area metropolitana, anche perché le risorse sono poche e, oltre che cercare di spendere meno, bisogna spendere meglio per saper dare risposte adeguate ai cittadini”.
Daniela Gasparini, sindaco di Cinisello, ha evidenziato che tempo addietro si registrava comunque una maggior collaborazione anche tra amministratori locali mentre, ora, con la crisi, tutti sono stati presi dall’ansia di chiudere i bilanci e hanno lasciato da parte i rapporti con le altre realtà.
“Servono politiche nuove e strategie nuove – ha rilanciato Gasparini – ma serve anche capire come metterle in pratica nel concreto perché parlare non basta”.
Il sindaco di Cinisello ha poi polemizzato sull’assenza di Milano dall’Anci Regionale, lasciata in gestione a Gallera che però è un rappresentante della precedente amministrazione.
Andrea Checchi, neo-eletto sindaco di San Donato Milanese, si è mostrato soddisfatto del fatto che una discussione su queste tematiche sia parte anche del lavoro del Partito Democratico e non più solo lasciata gestire dagli amministratori ma, tuttavia, ha sottolineato la necessità di allargare il consenso alla base che, ad oggi, è ancora troppo distante.
Anche Augusto Schieppati è intervenuto per ricordare il ruolo del partito in questa discussione e per raccontare l’esperienza di lavoro all’interno del gruppo che si è costituito e in cui sono emerse molte competenze che hanno saputo portare dei contributi originali. Problemi centrali evidenziati durante i lavori sono stati, secondo Schieppati, i temi dei trasporti e anche della gestione dei rifiuti e di tutti quei servizi che oggi ogni Comune ha in gestione singolarmente ma che, per il futuro, occorrerebbe riorganizzare e mettere insieme.
Il Partito Democratico, sia milanese che nazionale, tuttavia, secondo Schieppati, non ha ancora saputo mettere al centro della discussione la tematica dell’area metropolitana, tanto che non vi è stata alcuna riunione della Direzione in proposito, mentre sarebbe bene che gli eletti nei vari organismi avessero ben chiaro qual è la posizione del Pd in merito.
L’incontro è stato chiuso da Matteo Mauri, responsabile delle infrastrutture nella segreteria nazionale del Partito Democratico, il quale ha segnalato come a Roma il tema dell’area metropolitana sia totalmente estraneo alla discussione perché visto come un vezzo degli amministratori locali, mentre, invece, a Milano è sentito come un modo da parte degli amministratori per riuscire a dare risposte concrete ai cittadini e questo consentirebbe anche di ridurre la distanza tra cittadini e politica e, quindi, di non dare spazio alle argomentazioni dell’antipolitica.
Anche la Regione, secondo Mauri, non ha alcun interesse a sollecitare il tema dell’area metropolitana, in quanto si vedrebbe sottrarre delle competenze.
Mauri, tuttavia, ha evidenziato alcuni passaggi non del tutto approvati all’interno della discussione sull’area metropolitana, in particolare ha contestato l’idea che il sindaco del capoluogo possa diventare il sindaco di tutta l’area ma anche l’idea di porre un commissario, secondo l’esponente Pd, è pericolosa in quanto si sta spingendo perché alcuni presidenti di Provincia si dimettano e, dato che per legge non possono essere indette nuove elezioni per il Consiglio Provinciale, verrebbero sostituiti dalla figura del commissario.
“In questa fase difficile per la politica, le elezioni amministrative hanno dimostrato come i cittadini abbiano voluto dare credito al Partito Democratico e adesso tocca a noi”, ha rilanciato Mauri in chiusura del suo intervento.
 

domenica 24 giugno 2012

Dibattito sulle politiche dell'abitare alla Festa Pd di Cinisello

Venerdì sera alla Festa Democratica di Cinisello Balsamo (Milano) si è parlato di housing sociale, case popolari e politiche dell’abitare: temi di grande interesse che hanno visto la partecipazione di un pubblico numeroso e gli interventi del consigliere regionale della Lombardia Franco Mirabelli, del sindaco di Cinisello Daniela Gasparini, di Gabriele Rabaiotti (esperto del settore) e di alcuni rappresentanti della cooperativa Uniabita, coordinati dalla consigliera comunale di Cinisello Lia Strani.
“Negli ultimi anni sono cambiate le esigenze abitative – ha esordito Daniela Gasparini, sindaco di Cinisello – Oggi, c’è un nuovo bisogno di alloggi sociali e, per questo, è più che mai necessaria una collaborazione tra il pubblico e il privato”.
“La crisi – ha ricordato il sindaco - ha accentuato il bisogno di case in affitto perché le persone, non soltanto quelle economicamente più fragili, oggi faticano ad avere risorse per sostenere un mutuo”.
Eppure rispondere alla domanda di casa non è semplice, perché, ha sottolineato la Gasparini “Non ci sono soggetti che aiutano gli enti locali a fare una programmazione e, per quanto riguarda la delicata questione delle case popolari, un grande problema è costituito da chi entra e poi non esce più (mentre una soluzione di questo tipo dovrebbe essere solo temporanea), togliendo posto ad altri che magari ne hanno maggior necessità”.
Due le priorità da affrontare subito, secondo il sindaco di Cinisello: avviare uno sportello casa e riformare l’Aler (ente gestore di alloggi popolari).
I rappresentanti della cooperativa Uniabita hanno colto l’occasione per ricordare come oggi vi sia una distanza troppo elevata tra la domanda di case e l’offerta e, per far fronte alla mutata situazione economica, a loro avviso, può essere utile mettere sul mercato una diversa tipologia di case, ad esempio con meno servizi interni al proprio appartamento e più spazi comuni.
“Oggi è necessaria una rigenerazione sociale: il modello di casa, spesso, coincide con un modello dell’abitare. – hanno concluso gli esponenti di Uniabita - La cooperativa può mettere dentro servizi ma poi gli enti locali devono spingere e attivarsi per una rigenerazione urbanistica”.
Punto di vista un po’ particolare, invece, quello di Gabriele Rabaiotti, esperto di housing sociale, il quale ha attaccato duramente il concetto di proprietà privata imperante in Italia. “Oggi c’è il sogno della casa - ha esordito Rabaiotti in apertura di discorso – ma la casa è un servizio. La casa non è nostra: è a nostra disposizione, fino a quando ne abbiamo bisogno e fino a quando non c’è qualcun altro che ne ha più bisogno di noi”.
Secondo l’esperto, oggi, l’Italia sta male perché ha troppa proprietà privata: “Oggi, l’affitto costa più del mutuo, perché per anni si è sostenuta la proprietà con denaro pubblico. Ma la verità è che mentre si paga il muto, la casa è della banca, non è tua!”.
Il problema da affrontare, secondo Rabaiotti, è che oggi “Ci sono case senza abitanti e abitanti senza case. C’è, quindi, un problema di redistribuzione dei beni e per questo vi sono le agenzie immobiliari, che hanno il compito di incrociare domanda e offerta. In alcune città ci sono anche delle agenzie immobiliari sociali”.
Più politico l’intervento del consigliere regionale del Pd, Franco Mirabelli (video del suo intervento), il quale ha ricordato che già da prima dello scoppio della crisi, dal punto di vista dell’abitazione, si viveva una fase di grande difficoltà, in cui gran parte dei lavoratori dipendenti (circa 70% dei cittadini che in provincia di Milano guadagnano meno di 1.500 euro al mese) non aveva accesso alla casa, né sul mercato della vendita, né sul mercato dell’affitto.
Il tema dell’accesso alla casa, quindi, secondo Mirabelli, è un tema più ampio e che coinvolge molte più persone di quelle che – per redditi molto bassi – hanno diritto alla casa popolare, perché ci sono altre fasce di reddito intermedie che non hanno alcuna possibilità.
La crisi ha, indubbiamente, aggravato il problema secondo il consigliere regionale, in quanto si è creata una vera e propria emergenza abitativa, perché anche chi era riuscito a comprare la casa, oggi, fa molta fatica a continuare a pagare il mutuo, così come chi vive in affitto fa fatica a pagarlo.
“Non c’è più la rete di protezione che in parte era garantita dal Fondo Sostegno Affitti perché non ci sono più soldi pubblici e tutto questo sta portando ad una crisi che riguarda chi cerca casa ma anche le imprese che costruiscono casa”, ha sottolineato Mirabelli, evidenziando che “Il mercato edilizio è il 19% del Pil della Lombardia. Oggi è tutto fermo, non vengono nemmeno ritirati i permessi a costruire perché poi le case non si vendono”.
Le ricette che ha usato il settore pubblico anni fa per affrontare questo tema non sono più valide oggi, per Mirabelli, il quale ha ricordato anche che al momento non ci sono risorse pubbliche: “Il bilancio triennale dell’edilizia sociale pubblica in Lombardia quest’anno potrà contare su 150 milioni di euro, quello precedente contava su 600 milioni di euro e quello ancora prima su un miliardo e mezzo di euro. Le risorse pubbliche, quindi, sono venute a mancare. La conseguenza di questo è che i quartieri popolari non saranno più come li abbiamo conosciuti e c’è il rischio che si trasformino in ghetti e che siano soggetti ad un degrado rapido”.
Anche per questo motivo, secondo il consigliere regionale Pd, oggi, la priorità diventa il tema dell’housing sociale, in cui si mettono insieme pubblico e privato e, in questo contesto, la cooperazione diventa una grande risorsa.
“A Milano e provincia e in una parte del Piemonte la cooperazione è stata l’unica risposta a chi voleva una casa in affitto a canoni accessibili”, ha ricordato Mirabelli.
Venendo al compito della Regione, Franco Mirabelli ha segnalato alcuni provvedimenti riguardanti la casa: “Il pubblico non ha soldi e ci mette le aree standard per costruire progetti di housing sociale. Le leggi garantiscono anche gli operatori che assegnano case in affitto a canoni contenuti garantendo alcuni criteri di efficienza energetica. Ci sono poi incentivi per il riuso di edifici di terziario vuoti, affinché vengano trasformati, cambiandone anche la destinazione d’uso, in modo da evitare un ulteriore consumo di suolo”.
Sul tema delle case popolari, Mirabelli ha affermato che devono essere un’opportunità per persone che vivono serie difficoltà economiche e, quando queste vengono superate, si deve aiutare queste persone a passare ad un’altra casa. “Il problema è che queste persone non trovano casa sul mercato e il 92% di chi vive in case popolari in Milano e provincia è ancora dentro i parametri per cui ha ottenuto questo alloggio e, spesso, si tratta di anziani soli”, ha ricordato Mirabelli.
“Non penso che una casa popolare possa essere tramandata di padre in figlio, però, è impensabile che chi ha un reddito di 24 mila euro debba abbandonare la casa popolare”, ha affermato Mirabelli, rivendicando la battaglia fatta per innalzare la soglia al limite di 34 mila euro, con la possibilità ai gestori di non applicarlo e di applicare a queste persone canoni più alti (che, oltretutto, consentirebbero anche maggiori entrate nelle casse di Aler, da sempre a corto di risorse). Per Mirabelli, questo è un punto importante in quanto “Chi ha redditi così finirebbe in mezzo alla strada perché non ha altre possibilità né di affitto né di vendita, inoltre, mandando via persone con un reddito meno basso rispetto agli altri inquilini si provocherebbe un aggravarsi della situazione delle case popolari perché verrebbero condannate ad essere ancora di più luoghi di emarginazione”.
Sempre nel tentativo di limitare il degrado e di non lasciare alloggi vuoti, il consigliere Pd ha sottolineato che, grazie ad una delibera, oggi è possibile scalare le graduatorie per assegnare alloggi troppo piccoli per famiglie, ad altre persone anziane e giovani soli.
Un problema, invece, che, secondo Mirabelli, è un ulteriore effetto della crisi economica che ha prodotto l’aumento della morosità delle case popolari, diventata del 40% “perché anche se non è alto l’affitto poi sono alte le spese e, sulle pensioni minime, incidono moltissimo”: “Al di là di una quota di illegalità – ha precisato il consigliere regionale - c’è, infatti, anche una quota di persone che non ce la fanno economicamente”.
Critico su Aler anche Mirabelli, che ha definito l’ente gestore troppo lento nel suo apparato burocratico e che sarebbe da riformare in modo consistente, anche orientandolo verso l’housing sociale, anche perché – ha ribadito il consigliere – “I ritardi delle politiche pubbliche sommati alla crisi stanno provocando un disastro”.
Infine, Mirabelli ha evidenziato che oggi “C’è bisogno di un cambio culturale, non solo perché sono cambiate le domande ma perché sono impossibili le risposte di prima. Dalla crisi non si esce come ci si è entrati. Non ci saranno gli stessi modelli di consumo. Bisogna ripensare complessivamente anche le politiche dell’abitare”. “Oggi, pensare che l’obiettivo per un lavoratore precario possa essere l’acquisto della casa è sbagliato ed è sbagliato che questo diventi un sogno”, ha ribadito il consigliere Pd, chiarendo che “Si deve ragionare come si ragiona in tutta Europa, pensando ad un Paese in cui le case di proprietà non sono l’80% ma il 30-40%, pensando anche ad una mobilità lavorativa da una città all’altra”.
Secondo Mirabelli, quindi, “Bisogna sapere che la priorità è l’affitto, bisogna dare case in affitto e su questo bisogna riconvertire tutte le politiche”.
 

domenica 17 giugno 2012

Patrizia Toia alla Festa Pd di Cinisello

C’era tantissima gente sabato alla Festa del Partito Democratico di Cinisello Balsamo (Milano). Complice la giornata di sole, ad affollare stand, area giochi e ristorante sono arrivati in parecchi già dal pomeriggio, dove, tra le varie iniziative, era in corso un dibattito a cui hanno partecipato Patrizia Toia (parlamentare europea del Partito Democratico), Luciano Fasano (assessore al Comune di Cinisello e docente universitario) e Carmine Pacente (presidente di Ideura), con il coordinamento di Giuseppe Sacco (Capogruppo Pd al Comune di Cinisello). Molti gli argomenti discussi nel corso dell’incontro, con una particolare attenzione alle problematiche europee e alle ricadute che queste hanno sui singoli Stati, a partire dalla gestione della crisi economica, a come è stato affrontato il problema della Grecia, fino agli assetti politici e decisionali dell'Unione Europea.
Luciano Fasano, nel suo intervento di apertura ha ricordato come l’Europa sia una costruzione originale, nata da grandi personalità che fanno parte del patrimonio politico e culturale del centrosinistra e che ha preso corpo dal dopoguerra. “Oggi l’Europa è necessaria se vogliamo rispondere ai Paesi emergenti del Brics, perché i singoli Stati da soli non sono sufficienti”, ha ricordato Fasano.
Fasano ha poi analizzato il quadro attuale in cui sono emerse idee fortemente antieuropee che insistono nel voler far vedere quanto costa l’euro, ma ha segnalato che nel nostro continente vi sono anche dei nazionalismi non antieuropeisti.
In merito alla vicenda greca, Fasano (ma anche gli altri relatori), ha commentato che non è pensabile lasciare che un Paese esca dall’Unione perché l’Europa non si salva dividendosi.
Un intervento più politico e meno di analisi è stato, invece, quello di Carmine Pacente, il quale, in apertura, ha segnalato come le decisioni prese in Europa appaiono troppo spesso lontane da noi mentre, in realtà, incidono fortemente sulla nostra quotidianità. Gli enti locali, secondo Pacente, sono l’organismo che può dimostrare ai cittadini la vicinanza dell’Europa, attingendo ai fondi dei programmi comunitari e quindi allineando le loro scelte politiche alle indicazioni proposte dell’UE.
Secondo Pacente, attualmente ci troviamo ad un bivio in cui “l’Europa si rilancia o si disgrega”: “Dopo gli slanci delle Commissioni Delors e Prodi, con Barroso si è prodotta una fase di stallo, si è verificato un certo immobilismo delle istituzioni comunitarie e, contemporaneamente, sono riemersi forti nazionalismi”, ha commentato il presidente di Ideura. L’elezione diretta del Presidente dell’Unione Europea e l’attribuzione ad esso di più poteri, secondo Pacente, potrebbero essere un modo per rilanciare l’Europa e farla sentire più vicina ai cittadini, così come il rafforzamento dei poteri del Parlamento Europeo (che oggi è l’unico organismo votato direttamente dai cittadini).
Patrizia Toia (video dell'intervento) ha portato il punto di vista di chi opera dentro le istituzioni europee e ne ha spiegato il funzionamento, ricordando anche come l’Unione inizialmente sia stata anche un modello da imitare per altre realtà di altri continenti che guardando a noi hanno incominciato a realizzare a loro volta una serie di aggregazioni.
“Queste - ha segnalato Toia - sono settimane molto dure, c’è sempre un’ansia e un’attesa che si avverte molto”. In Europa si sono spesso fatti un po’ di passi avanti e un po’ di marce indietro ma questa volta, secondo l’europarlamentare del Pd, il bivio è molto serio perché è aggravato dalla crisi e la voce del Parlamento Europeo è ancora troppo debole: “I Paesi indebitati che non riescono a far fronte al loro debito vengono messi sotto attacco ma l’Europa non è stata in grado di dare risposte sufficienti a risolvere le situazioni. Ci sono state risposte parziali e tardive sulle difficoltà dei Paesi, senza contare che la Spagna è stata trattata con molti più favori rispetto alla Grecia. Le risposte europee parziali e tardive dell’Europa hanno aggravato la situazione della Grecia”, ha ammonito Toia, evidenziando che “L’Europa ha lasciato solo Papandreu che, invece, avrebbe potuto fare una figura egregia”.
Tutto questo, secondo la deputata europea avviene per un’incapacità politica ma anche un progetto incompiuto dell’Europa che ne limita le azioni: “I leader europei sono inadeguati, sembra che abbiano paura di fare l’Europa”, ha ricordato Toia. L’Europa, inoltre, ha fatto presente Patrizia Toia, la fanno anche i governi nazionali che devono prendere le decisioni nel Consiglio. Venendo all’Italia, Toia ha sottolineato che Mario Monti è una delle poche figure accreditate in Europa e che quando parla viene anche ascoltato (magari poi non seguono le sue indicazioni però almeno lo ascoltano, mentre prima si mancava totalmente di credibilità e vi era addirittura della derisione). “Gli incontri Merkel-Sarkozy, invece, tradivano completamente lo spirito unitario perché pretendevano di far procedere tutto con accordi intergovernativi a due (mentre gli Stati membri dell’Unione sono 27)”, ha insistito l’esponente Pd, puntualizzando sul fatto che “Serve un’Europa che si assuma più responsabilità e che, con una scelta coerente, non permetta a nessuno Stato di fallire”.
Sulle misure messe in capo dall’Europa per venire incontro alle esigenze degli Stati, Toia ha ricordato il ruolo del Fondo Salva Stati, che avrebbe dovuto essere un meccanismo transitorio e, invece, è diventato permanente.
È giusto, secondo Toia, vincolarsi per dare delle garanzie ma i parametri di Maastricht avrebbero dovuto servire proprio a questo e non li ha rispettati nessuno. Oggi, il Fiscal Compact ha parametri molto più stringenti, ma c’è anche un problema di chi è legittimato a controllare e dare indicazioni (il Parlamento Europeo, che viene tagliato fuori da questi meccanismi, in realtà è stato votato dai cittadini, gli altri organismi no). Tuttavia, “Le forze politiche in campo non hanno tutti la stessa risposta alla crisi”, ha ricordato Toia in conclusione e del suo intervento e oggi “L’Europa deve andare fino in fondo a compiere il suo progetto”.

sabato 16 giugno 2012

L’innovazione nella gestione ambientale come business

Platea di industriali quella che ha partecipato al convegno organizzato venerdì mattina a Milano da Certiquality sul tema “L’innovazione nella gestione ambientale come business”. I lavori, moderati da Dario De Andrea del Sole 24 Ore, si sono aperti con il saluto di Antonio Colombo Direttore Generale di Assolombarda (sede che ha ospitato l’incontro), in quale ha ricordato le condizioni in cui si trova l’Italia, Paese importatore di materie prime (comprese le materie energetiche) e di come sia dimostrato che, dati alla mano, l’innovazione porta benefici consistenti alle imprese. Per questo, secondo Colombo, è necessario che vi siano investimenti per promuovere la ricerca, a tutti i livelli, senza la quale non è possibile alcuna innovazione e anche garantire l’assistenza a progetti di valenza internazionale, oltre che incentivare una cultura diffusa della sostenibilità.
In merito a questo, Colombo ha ricordato l’adesione da parte di Assolombarda ai principi della Carta di Sostenibilità di Confindustria, oltre che la formazione di un “green economy network” tra imprese di settori diversi. “Dal risparmio energetico generato dall’innovazione si possono avere enormi benefici, grazie ai quali eviteremmo anche drastiche manovre di governo come quelle che ci siamo ritrovati a subire”, ha concluso Colombo.
Ernesto Oppici, Presidente di Certiquality, ha invece tracciato un quadro generale delle tematiche che sarebbero state poi approfondite dai vari relatori presenti, inquadrando così l’oggetto della discussione della mattinata.
Di sostenibilità economica, sociale e ambientale, secondo il modello di sviluppo affermatosi di recente e che trova la sua rappresentazione nella ISO 26000, ha parlato invece Umberto Chiminazzo, Direttore Generale di Certiquality. Chiminazzo ha ricordato lo scenario mondiale attuale, secondo cui, crescendo la classe media nei diversi continenti sono cambiati i modelli di consumo ed è aumentata “l’impronta” che l’uomo lascia sul Pianeta. “Se tutto dovesse continuare ad andare avanti in questo modo, avremmo bisogno di altri Pianeti come la Terra perché questo da solo non ci basterebbe”, ha affermato Chiminazzo, segnalando, quindi, la necessità di trovare altri modelli di sviluppo per ridurre “l’impronta” lasciata dall’uomo sull’ambiente. La strada da percorrere, secondo il Direttore Generale di Certiquality è quella di andare verso una società del “riciclo e del riuso” e, in questo senso, c’è ancora molto da fare dato che, ad oggi, il 40% dei rifiuti prodotti – dicono le statistiche – finisce ancora in discarica.
“Le aziende che iniziano ad innovare, tuttavia, innescano un percorso virtuoso di solito e non si fermano alla prima innovazione ma proseguono su quella strada”, ha chiarito Chiminazzo, segnalando che oggi, molti punti di riferimento normativi e ideali arrivano dalle direttive europee.
“Uno studio dell’Università Bocconi afferma che vi è un legame positivo tra rating ambientale e rendimento azionario delle imprese, in parte dovuto ai risultati che esse ottengono e in parte anche per il loro comunicare attenzione alla sostenibilità”, ha affermato Chiminazzo in chiusura del suo intervento.
Patrizia Toia, deputata europea e vicepresidente della Commissione ITRE Industria Ricerca Energia al Parlamento Europeo, ha ricordato il ruolo rilevante delle istituzioni europee in materia di legislazione attenta alla sostenibilità. Deficit dell’Unione, secondo l’europarlamentare, è quello della lentezza decisionale: “Le decisioni in Europa vengono prese in codecisione da Parlamento, Commissione e Consiglio. Ogni volta che si prende una decisione, occorre attendere l’approvazione di tutti gli Stati membri e si rischia, così, di perdere tempo prezioso che nei fatti vanifica l’intento della scelta stabilita”, ha precisato Toia.
“Da tempo l’Europa si trova in una fase di stasi”, ha evidenziato Patrizia Toia, segnalando che nel tentativo di superare questo momento difficile sono state elaborate diverse strategie, prima fra tutte quella di Lisbona che aveva l’intento di promuovere un’Europa della conoscenza e, quindi, puntava molto sulla formazione per ottenere poi una competitività basata sulla qualità. La strategia, pur essendo giusta, purtroppo – ha ricordato Toia – non è stata dotata degli strumenti perché potesse essere operativa: “Difficile puntare su conoscenza e innovazione se poi si tagliano le università”, ha ricordato la parlamentare europea.
Poi Toia ha ricordato la Strategia Europa 2020, che impone di andare verso uno sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo. In merito alla questione della conoscenza, si inserisce in questa Strategia, il programma quadro Horizon 2020 per la ricerca e l’innovazione, per cui il bilancio europeo ha previsto 80 miliardi di investimenti. Un altro programma europeo è COSME dedicato alle PMI, di cui Patrizia Toia è relatrice.
Oggi, tuttavia, il problema è l’eccessivo costo delle materie prime (oltre che la loro reperibilità) e dell’energia che comportano un aggravio per molte industrie; per questo, secondo Toia, occorre cominciare a pensare ad un altro modello di sviluppo rispetto a quello attuale, che vada verso un uso più attento e oculato delle risorse (e anche più diversificato per quanto riguarda le fonti energetiche ma anche la scelta di elementi meno dannosi rispetto ad altri) e che punti di più sul riciclo e il riutilizzo. Una parte importante la giocherà la riconversione delle fonti energetiche, secondo l’europarlamentare, la quale ha ricordato che attualmente la Germania è molto avanti in termini di green economy ma non è sufficiente che un solo Paese lo sia, occorre una visione complessiva europea.
In materia di energia, attualmente, al Parlamento Europeo è in discussione la direttiva sull’efficienza energetica ma, dato che pone obiettivi vincolanti, sgraditi a molti Stati, per arrivare ad una più rapida approvazione anche da parte del Consiglio, probabilmente – ha precisato Toia – si andrà verso modifiche di compromesso.
“L’Europa è molto più accessibile di quanto si creda, è l’Italia che troppo spesso non è in grado di riprendersi le poche risorse che dà perché non si mette in linea con i programmi europei”, ha concluso Patrizia Toia.
Un interessante intervento è stato poi quello di Angelo Paris, Director of Design, Construction and Operations EXPO 2015, il quale, attraverso tabelle e slide ha mostrato tutti i progetti in via di realizzazione a Milano per la costruzione dell’Expo. Mostrando i dati, Paris ha ricordato che Expo prevede 1,3 miliardi di investimenti pubblici per il sito espositivo e 400 milioni di contributi provenienti da aziende private, senza contare che ogni Paese aderente compie degli investimenti per la gestione del proprio spazio e si tratta di soldi che entrano a Milano, come quelli che dovrebbero arrivare dal turismo legato all’evento.
Ad oggi sono 87 i Paesi che hanno già presentato la loro adesione ufficiale (ne sono previsti 140) e 35 di questi hanno già nominato un Commissario che si occuperà di gestire la loro presenza qui.
Il settore privato, ha ricordato Paris, contribuisce anche per la parte infrastrutturale e servono ancora investimenti nei servizi che dovrebbero venire compensati da partnership, merchandising e altro materiale turistico o per visitatori.
Sono già state acquisite partnership che consentono di non dover acquisire servizi aggiuntivi: Paris ha fatto gli esempi di Telecom, Enel, Cisco e Accenture che forniranno reti e servizi. “In questo caso, si tratta di partner con forte accezione tecnologica perché ci consentono di costruire la piattaforma di base, ma poi serviranno anche partnership legate alla mobilità sostenibile, alle soluzioni bancarie e, ovviamente, quelle più tematiche legate ai temi dell’Expo, ha ribadito Paris.
Per il sito espositivo i lavori – affidati alla CNC di Ravenna - sono cominciati nell’ottobre 2011 e dovrebbero proseguire fino a novembre 2013, mentre da luglio-agosto 2012 fino metà 2013 verranno aperti bandi di gara per i manufatti. Questi dovranno tutti rispettare i canoni della sostenibilità.
Ad oggi, ha spiegato Paris, si sta portando avanti il progetto per le vie d’acqua (che è complementare al sito espositivo in quanto consente di far arrivare l’acqua lì dentro ed è un sistema di riconnessione ambientale del Nord-Ovest milanese) che si collega al progetto di ristrutturazione e rivitalizzazione della Darsena che il Comune aveva avviato dal 2003, e che vedrà la realizzazione di un percorso ciclopedonale per la ricostruzione di una mobilità dolce.
Occorrerà poi la progettazione di edifici sostenibili che tengano conto dei processi di riuso dei rifiuti e dei criteri di sostenibilità per quanto riguarda le architetture a tempo.
Toni un po’ diversi, invece, quelli utilizzato dall’avvocato Paola Ficco, docente all’Università La Sapienza di Roma, la quale ha espresso perplessità su molte norme che regolano la disciplina del diritto ambientale, contestando anche la difficoltà delle imprese di avere un referente legislativo in materia perché troppo spesso la legislazione regionale si sovrappone a quella nazionale e oggi c’è l’assenza della sovranità da parte delle istituzione pubbliche su questo terreno. L’ambiente, secondo l’avvocato Fitto, è qualcosa di complesso e indeterminato e non può essere “regolato dal diritto ma con il diritto” e oggi, comunque, le imprese sono più attente agli effetti della loro produzione.
La mattinata è poi proseguita con altri interventi, focalizzati sui diversi aspetti della questione ambientale legata all’innovazione.
 

mercoledì 13 giugno 2012

Expo 2015: la partita si complica

Mio articolo pubblicato su Il Nord.com
La sfida di mettere in piedi Expo 2015 a Milano non è mai stata semplice, ma negli ultimi mesi la situazione è sembrata davvero precipitare. Dopo una fase, legata alla giunta Moratti, di liti, immobilismo, discussioni sui terreni, ricerca di finanziamenti mai arrivati, le cose sembravano essersi rimesse in carreggiata almeno in parte e molti lavori erano partiti, seppur con grande ritardo.
L’annuncio di lunedì di dimissioni da Commissario all’Expo da parte di Giuliano Pisapia all’Assemblea di Assolombarda, però, hanno creato non poco scompiglio.
Decisione inattesa quella del sindaco di Milano, presa a sua detta in polemica con il governo Monti che non aveva mostrato la dovuta considerazione all’evento e non era venuto incontro alle richieste del Comune di una deroga al patto di stabilità oltre che di aiuti per le risorse necessarie a finanziare la manifestazione.
Decisione che aveva scatenato diverse reazioni nelle parti politiche, prima fra tutti quella del Presidente della Regione Lombardia, altro Commissario all’Expo, che inizialmente si era mostrato solidale verso il sindaco di Milano ma subito dopo ne aveva preso le distanze e aveva criticato la sua decisione di lasciare l’incarico.
Anche la risposta di Mario Monti non si è fatta attendere, il quale ha invitato Pisapia a ripensarci, con il suo consueto stile asettico.
Tuttavia, in questa vicenda, oltre ad esserci in gioco Expo e la credibilità internazionale dell’Italia, si sta giocando anche una partita politica tutta interna.
Non a caso, infatti, gli esponenti del Partito Democratico, appena arrivata la notizia delle dimissioni di Pisapia da Commissario all’Expo, non hanno perso occasione per invitare Formigoni a fare altrettanto. Il tema, oltretutto, era già stato sollevato qualche giorno prima con la richiesta da parte di Matteo Salvini, della Lega, a Formigoni di lasciare l’incarico in Expo per occuparsi della Lombardia.
La Lega, come si evince, è sempre più insofferente all’alleanza con il Presidente della Regione Lombardia, ma che non ha altre possibili alternative da giocarsi dati gli esiti delle ultime amministrative e, quindi, non potendo liberarsi di Formigoni al Pirellone prova almeno a smarcarsene su Expo.
In questo dissidio, il Partito Democratico ha pensato di infilarsi per vedere di capitalizzare un risultato politico: “Salvini non si preoccupi: presenteremo noi una mozione per impegnare il Presidente ad abbandonare il suo ruolo in Expo visto che non è in grado di svolgerlo. Sappiamo, così, di poter contare sul voto dei leghisti”, aveva dichiarato il consigliere regionale del Pd Franco Mirabelli.
Detto fatto, la mozione per sollecitare un’uscita di scena di Formigoni da Expo è stata presentata, a prima firma proprio del consigliere Mirabelli.
“EXPO 2015 può essere uno strumento per una strategia di crescita che il Governo, la Regione, l’Amministrazione di Milano hanno il dovere di condurre a termine con successo per contrastare un declino altrimenti inevitabile che ci porterebbe a soccombere rispetto ad aree ed economie ben più dinamiche delle nostre. L’esposizione universale insieme alla possibilità di lanciare i temi di nuova cultura ossia la sicurezza alimentare, il diritto al cibo, l’agricoltura di prossimità e lo sviluppo sostenibile e rappresenta inoltre per la Lombardia l’opportunità dare un impulso per completamento di un sistema di infrastrutture per l’accessibilità ai siti dell’esposizione ma anche per una mobilità sostenibile nell’intera area regionale. Cogliere le opportunità di EXPO 2015 deve significare concorrere a costruire una Regione Smart che ambisce a coniugare crescita e sostenibilità come opportunità per tornare autorevolmente a giocare un ruolo di player internazionale”, si legge nel testo della mozione, in cui, tuttavia, si sottolinea anche che “il 4 di agosto mancheranno 1.000 giorni all’inaugurazione dell’evento e in quadro infrastrutturale presenta ancora numerose incognite; il grado di preparazione delle comunità regionali nella programmazione di eventi da collegare alle attività espositive risulta frammentata”.
E, poi ancora, “Preso atto che da ripetute dichiarazioni rilasciate alla stampa il Presidente della Regione ha perso la fiducia dei suoi alleati come Commissario generale di Expo, che auspicandone le dimissioni indeboliscono l’autorevolezza della sua funzione rispetto agli interlocutori esterni”, con un chiaro riferimento alla Lega e alle parole di Salvini. Fino a “In questi mesi il Commissario generale dell’EXPO è stato sempre più impegnato nell’attività di autodifesa dai rilievi mossi dalla stampa circa il suo operato e sempre più distratto dalle sue funzioni di Commissario generale” e per questo si “Invita il Presidente Formigoni a rassegnare le dimissioni da Commissario generale dell’EXPO Milano 2015 e che il Governo, come sua espressione diretta, individui una figura autorevole capace di dedicare il suo tempo e le competenze per la risuscita dell’Esposizione”.
Ma questa del Pd non è l’unica mozione che invita Formigoni a lasciare l’incarico in Expo, anche la Lega, infatti, ne ha annunciata una sua (per evitare di convogliare i suoi voti sulla mozione dell’opposizione).
Tuttavia, l’iniziativa non deve essere caduta nel vuoto se, nel pomeriggio di martedì, dopo vari rivolgimenti, lo stesso Formigoni ad un certo punto ha paventato l’idea, poi subito archiviata, di seguire l’esempio di sindaco di Milano e lasciare la poltrona di Commissario all’Expo. "Il compito di Commissario all’Expo mi è stato assegnato dal governo nazionale e non dal consiglio regionale: con il consiglio intendo confrontarmi e ascoltarne le ragioni, ma questa è la situazione", ha chiuso, infine, Formigoni.
Di fatto, al momento la vicenda resta aperta perché anche Giuliano Pisapia, che prima si era detto irremovibile sulla sua decisione, poi ha ammorbidito i toni e ha dichiarato di voler attendere un incontro con Monti prima di prendere una decisione definitiva.
In tutto questo pasticcio politico nazionale e lombardo, l’unico dato certo è che con Expo si è drammaticamente in ritardo, i fondi scarseggiano e quindi le opere necessarie rallentano e la data dell’evento si avvicina.
 

martedì 12 giugno 2012

C'è molta agitazione a sinistra del Pd

C’è un gran movimento nei partiti e nelle aggregazioni civiche alla sinistra del Pd.
Qualcosa è cominciato con le elezioni amministrative dello scorso anno, che hanno portato all’affermazione dei sindaci Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli. Da lì è partito il “popolo arancione” (che a guardarci bene dentro, in realtà, era più rosso camuffato di arancione che non altro) e in quest’ultima tornata elettorale di qualche settimana fa, ha ripreso slancio.
A dare la spinta forte alla formazione di liste civiche è stata la diffusione dell’idea nell’opinione pubblica che i partiti sono morti, superati, inutili se non addirittura dannosi e, quindi, da avversare. Da qui la necessità di creare forme nuove di aggregazione che hanno trovato terreno fertile nella cosiddetta “società civile” (che poi in realtà sarebbe l’elitè della società, i gruppi di potere o legati a mondi associativi e professionali) ma anche nelle spinte movimentiste più inclini ad una certa sinistra.
Ben vengano, dunque, questi soggetti se hanno saputo rimettere in moto un fermento in quella parte di società più vicina al centrosinistra che da tempo sembrava sopita.
Tuttavia, negli ultimi tempi, non possiamo non notare che le spinte provenienti da questa parte “arancione” o pseudo tale sembrano essere diventate davvero molto irrequiete e lo sono soprattutto a scapito del Pd che, continuano a chiamare in causa ma più per denigrarlo che non per altro.
Il ragionamento di fondo è semplice: questa parte della sinistra, molto gasata per gli esiti elettorali di alcuni suoi illustri candidati e molto avvantaggiata dal clima surriscaldato di antipolitica, ricerca del nuovo, ostilità verso forme partitiche obsolete viste come l’incarnazione di tutti i mali dell’Italia pensano di avere gioco facile e cercano tutte le strade per portare acqua al loro mulino.
Tuttavia, guardando i dati elettorali nel dettaglio, si capisce bene che tutte queste forze, in realtà, sono debolissime e senza il Partito Democratico non possono arrivare da nessuna parte, da qui i continui tentativi di forzare la mano e tirare per la giacca il Pd per spingerlo a vincolarsi in un’alleanza che, in una situazione fluida come quella attuale, è la cosa più sbagliata che il partito di Bersani possa fare.
Unico dato certo, se la legge elettorale resta questa o comunque simile a questa, è che anche il Pd da solo va poco lontano. Giusto, quindi, aprire un dialogo tra le varie forze politiche, giusto provare a costruire un percorso condiviso e una piattaforma comune. Ecco allora spiegato il senso di tutti quegli incontri e dibattiti che vediamo fiorire e che hanno come protagoniste le varie forze politiche o movimentiste del centrosinistra.
Peccato che tutti questi incontri, sempre più spesso, diventano un’occasione per queste forze rosso-arancioni di cercare di sopraffare il Pd. David Sassoli lo scrive chiaramente a Nichi Vendola dalle pagine de L’Unità: “Sul Pd c’è un’OPA ostile lanciata da quanti non vogliono il cambiamento […] Tirarci per la giacchetta non serve. Non serve annunciare partiti unici che non ci saranno; non serve rappresentare gli altri come noi vorremmo che fossero: non serve attribuire ad altri vocazioni a propria immagine e somiglianza”.
L’impressione, infatti, è proprio questa: di una sinistra vivacemente aizzata contro il Pd, che lo cerca per un’alleanza necessaria ma che al tempo stesso lo detesta e cerca in ogni modo di intervenire nella sua rotta, un po’ per sottrargli consenso elettorale e un po’ perché proprio lo vorrebbe diverso da quello che è.
Uno scenario di questo tipo, oltre ad essere vigente sul piano nazionale, in Lombardia e a Milano lo è all’ennesima potenza proprio perché il popolo “rosso-arancione” si sente ancora profondamente galvanizzato dalla conquista del capoluogo lombardo ad opera di Pisapia e si ritiene detentore della formula magica per liberarsi una volta per tutte anche di Formigoni, che ormai è profondamente logorato dai suoi 17 anni di potere assoluto al vertice della Regione e dalle continue inchieste che coinvolgono persone a lui vicine.
Ed è proprio qui, infatti, che l’incontro-scontro tra i “rossi-arancioni” e il Pd si fa più acceso.
Se gli “arancioni” giudicano il Pd come un morto che cammina e che sarebbe meglio estinguere al più presto o scalarlo per inglobarlo al proprio interno e renderlo un loro semplice comitato elettorale; per Sel il Pd è qualcosa che non fa abbastanza o fa male (come si intuisce dai tweet irridenti di Giulio Cavalli, consigliere regionale e attore, noto per le sue battaglie contro la mafia; ma come rende palese anche la sua collega Chiara Cremonesi in una lettera aperta agli altri consiglieri).
La logica in cui entrambe queste forze si muovono, però, è quella secondo cui per vincere le elezioni in Regione Lombardia e in Italia è sufficiente esportare il “modello-Milano”, ovvero una coalizione di sinistra, in cui il partito meno “di sinistra” è il Pd.
Il Pd, invece, si muove con un’altra logica: da tempo ormai si è messo in testa di inseguire o aspettare il centro (sia esso l’Udc o quel che resta del Terzo Polo a livello partitico e le forze moderate, in genere, per quanto riguarda la società civile). Idea questa che, fino ad ora, non ha ottenuto alcun risultato concreto a livello nazionale: Casini, infatti, si è felicemente ricollocato a destra e, probabilmente, spera di recuperare qualcosa dei voti perduti dal Pdl oppure di poter agganciare l’arrivo di nuovi soggetti (ad esempio un eventuale partito di Montezemolo) per pescare consensi neutri. A livello locale, invece, il terzo polo o i partiti che lo compongono hanno quasi sempre preferito presentarsi da soli piuttosto che inserirsi in uno schieramento di centrodestra o centrosinistra, quasi a rimarcare la loro avversione per il bipolarismo. Un ragionamento diverso, invece, va fatto per le forze moderate che compongono la società civile e che scelgono chi appoggiare sulla base di altre valutazioni (a Milano, ad esempio, hanno scelto senza esitazioni Pisapia; in altre realtà più piccole e di provincia le cose non sono andate proprio così).
Il Pd, dunque, ritiene che per vincere in Regione Lombardia e anche in Italia non è possibile senza il voto dell’elettorato moderato, di qui le mosse e le attese per avvicinare quelle forze politiche e civiche che dovrebbero essere i detentori di quei voti. Di fatto, fino ad oggi, le tendenze elettorali dimostravano che spesso nelle gradi città le forze di sinistra andavano bene ma, nelle provincie a prevalere era il centrodestra. Oggi, le cose sono un po’ più complicate e l’elettorato tende comunque ad essere molto più bipolare.
In ogni caso, la direzione nazionale del Pd ha dato una chiara indicazione in questo senso, come ricorda ancora Sassoli nell’articolo sull’Unità: “Il Pd lavora per un’alleanza fra progressisti e moderati perché il compito di ricostruzione è talmente impegnativo da non consentire autosufficienze”.
Vero o falso che sia, la strada scelta è questa (almeno per ora, perché appunto lo scenario politico è molto fluido ed è difficile fissarsi su schemi rigidi).
Una strada complicata perché è ben difficile far andare d’accordo le forze politiche che dovrebbero essere espressione dei moderati con quelle di sinistra, in quanto sono portatrici di idee lontanissime tra loro.
Una strada, comunque, legittima ma che di fatto fino ad ora ha prodotto un certo immobilismo nelle scelte del Partito Democratico (che già è abbastanza immobile di suo, imbrigliato in posizioni troppo divergenti al proprio interno che non consentono l’emergere di posizioni chiare perché un minuto dopo che sono state espresse c’è subito qualcuno dentro al partito che interviene a gran voce per contestarle).
Il risultato è che con questo immobilismo o con questa incertezza, il Pd diventa un facile bersaglio per forze politiche che hanno da sempre posizioni più omogenee e non esitano a cogliere l’occasione per rimarcare le difficoltà del Pd.
Troppe volte il Pd si impantana da solo su delle banalità e questo crea terreno fertile a potenziali alleati o presunti tali per le loro scorribande in campo democratico. Lo si vede sul piano nazionale (dove si scivola sulle nomine dell’Authority, sui continui rinvii alle questioni del taglio dei parlamentari e dei rimborsi elettorali… questioni più complesse di come appaiono ma che l’opinione pubblica osserva con inaudita ferocia e che continuano a dare l’impressione, a volte errata e volte no, di tentennamenti) e lo si vede sul piano regionale (dove il Pd, per costruire anche giustamente un rapporto politico con le cosiddette forze moderate, di fatto non riesce più a parlare all’opinione pubblica e far comprendere in modo chiaro cosa intende fare). Delle tante iniziative messe in campo a livello regionale, infatti, ai cittadini comuni (quelli che si informano leggendo i giornali, guardando la tv, ma anche cercando informazioni su internet) non ne arriva quasi nessuna all’esterno: sembra quasi che siano tutte cose (anche valide e interessanti) messe in piedi per parlare a determinate elitè della città (la cosiddetta società civile, le professioni, le categorie) che vanno benissimo per costruire una rete di rapporti su cui poi poggiare l’alleanza e costruire insieme un progetto ma che al di fuori, ai cittadini comuni per ora non parlano. Probabilmente, occorrerebbe che le forze politiche in campo, invece, si muovessero su entrambi i binari, senza che uno escluda l’altro. Vero è anche, però, che è bene andare a parlare ai cittadini quando si ha un progetto chiaro da presentare piuttosto che raccontare una serie di frammenti ancora troppo incerti e vaghi, solo che le persone hanno anche bisogno di segnali e questi, purtroppo, fino ad ora sono stati insufficienti oppure si sono create delle attese vane con delle mosse politiche giuste ma che si sapeva non avrebbero prodotto risultati. Il tutto infarcito da qualche scivolone e incidente di percorso. Con il risultato che, ancora una volta, per quanto il Pd abbia ben lavorato e costruito, i suoi potenziali alleati di sinistra trovano nuovo spazio per infierire, per premere più forte sull’acceleratore e accusare il Pd di voler correre con il freno a mano tirato.
Lo fanno apposta: è chiaro che lo scopo dei presunti alleati di sinistra del Pd, si sono resi conto che il maggior numero di voti è ancora in mano ai democratici e l’unica possibilità di sottrargliene un po’ è quella di cercare di mettere il Pd in cattiva luce, di farlo apparire come immobile, come troppo blando sulle mosse da intraprendere e pensano anche di avere gioco facile per via del clima acceso e intollerante che c’è nel Paese.
Ecco allora spiegata la loro irrequietezza: cercano uno spazio, una collocazione più chiara, più marcata e più visibile di quanto abbiano avuto fino ad ora.
Lo stesso Pisapia, i primi tempi dopo aver vinto le elezioni era molto equilibrista ed equilibrato, mentre ultimamente ha senza dubbio spostato le sue esternazioni pubbliche più a sinistra. Anche le dimissioni da Commissario all’Expo, pur motivate dalla richiesta di più attenzione da parte del governo che fino ad oggi è mancata, di fatto sono un avvicinamento a quelle parti di sinistra dello schieramento che lo ha eletto che non perdono occasione ancora oggi per ribadire che Expo non lo vogliono. Oltretutto, un’uscita di questo genere, non concordata con il Consiglio Comunale, non espressa in una sede istituzionale, è anche incauta perché spiana la strada a Formigoni che continua a restare un uomo solo al comando, anche di Expo e che, per quanto il centrosinistra invochi anche per lui un passo indietro, è ovvio che il Presidente della Regione Lombardia è ben intenzionato a tenerselo quel ruolo perché può farne occasione di lustro e rilancio personale (sempre che nel frattempo non incappi in qualche altro sgradevole scandalo).
Insomma, la sensazione è quella di un cane che si morde la coda, di una sinistra che mostra le unghie e cerca con forza una nuova affermazione ma nel farlo finisce per tirarsi la zappa sui piedi e riaprire la porta ad un avversario che sarebbe già morto e quasi sepolto. Forse, basterebbe che i potenziali futuri alleati del Pd nel cercare di riemergere evitassero di voler per forza tentare anche di azzoppare i democratici e iniziassero a cercare un dialogo più costruttivo e rispettoso.
 

domenica 10 giugno 2012

Debora Serracchiani a Cinisello

Ieri pomeriggio alla Festa del PD di Cinisello Balsamo (Milano) si è parlato di Europa con Debora Serracchiani, la quale ha tracciato un quadro dei principali avvenimenti che stiamo vivendo in questo periodo di “continua evoluzione”, come lo ha definito la stessa europarlamentare.
Un’Europa che si muove a rilento ha sottolineato la Serracchiani in apertura del suo intervento, ricordando che “Al Consiglio Europeo, che si è riunito numerose volte negli ultimi mesi, si sarebbero dovute prendere molte decisioni per dare risposte contro la crisi che, invece, non sono mai state prese”.
La domanda da porci, secondo la parlamentare europea del Pd è se crediamo ancora nell’Europa, perché se così fosse “Bisogna fare subito le cose non fatte fino ad ora”, ha affermato Debora Serracchiani, precisando che “Negli ultimi 30 anni avremmo dovuto fare l’Europa e non l’abbiamo fatto, così ci tocca farla adesso e in fretta. Non abbiamo costruito il percorso che l’entrata in vigore della moneta unica richiedeva. Non c’è un’unione politica dell’Europa. Non c’è neanche un’unione fiscale perché ogni Stato ha una tassazione diversa. Non ci sono politiche economiche comunitarie, in quanto ogni Stato ha la sua e non sempre coordinata con quelle degli altri Paesi”.
Questo scenario frammentato dell’Unione Europea, secondo la Serracchiani, ha penalizzato il funzionamento e la messa in pratica delle decisioni assunte.
Parlando delle tematiche più dibattute al Parlamento Europeo negli ultimi tempi, Debora Serracchiani ha ricordato la tassa sulle transazioni finanziarie che, a suo avviso, “ha un valore etico. L’Europa deve cominciare ad introdurla poi convincere anche il resto del mondo a seguirla su questa strada” e poi la questione degli Eurobond. “Gli Eurobond da soli non bastano, occorre che dietro abbiano un sistema su cui reggersi”, ha evidenziato la parlamentare europea, spiegando che “Con gli Eurobond, il debito dei singoli Stati non esisterà più perché si trasformerebbe in un unico debito europeo, ma questo implica che tutti si comportino bene. La collettivizzazione del debito, inoltre, equivale all’andare verso gli Stati Uniti d’Europa e questo comporta cedere pezzi di sovranità nazionale ma anche una stabilizzazione del sistema ed è un passeggio culturale importante che bisogna essere preparati per affrontarlo”.
In merito alle resistenze tedesche sulla questione, Serracchiani ha chiarito che occorre spiegare alla Germania che anche a lei conviene l’Europa, ricordando che oltretutto il principale mercato per l’esportazione dell’industria tedesca è proprio quello europeo, ma è ovvio che bisogna dare anche delle garanzie.
L’alternativa alla costruzione dell’Europa, secondo la parlamentare europea del Pd è la disgregazione dell’Unione Europea e questa metterebbe a rischio la pace sociale, come dimostra il riemergere dei nazionalismi molto forti e delle destre estreme e xenofobe in molti Stati europei. “Nel Parlamento Europeo sono stati eletti 119 deputati di estrema destra, per ora sono divisi tra loro”, ha segnalato Debora Serracchiani.
In merito al ruolo dell’Italia, Debora Serracchiani ha segnalato che negli ultimi mesi, con Monti, il nostro Paese ha recuperato molto in credibilità rispetto a quando c’era Berlusconi e oggi l’Italia torna ad essere un interlocutore importante.
Un’Italia in cui, ha ricordato la Serracchiani, è cambiato il governo ma il Parlamento su cui si regge è ancora quello di prima e ci sono veti incrociati tra le forze politiche che rendono difficile l’approvazione delle norme.
“In Italia le riforme vere non state fatte negli ultimi 20 anni, non solo negli ultimi 5. Adesso, però, è a rischio la tenuta sociale del Paese. Non si possono chiedere alle persone sacrifici oggi senza spiegare a cosa serviranno domani. Occorre dare una prospettiva”, ha sottolineato Debora Serracchiani.
Parlando delle ultime elezioni amministrative, poi, la parlamentare europea ha chiarito che “In politica non esistono spazi vuoti perhé c’è sempre qualcuno che li riempie. Grillo esiste da tempo e non è antipolitica: chi si impegna dentro la cosa pubblica fa politica, il terreno di confronto è politico. Oltretutto, adesso, Grillo adesso sta fermo, stiamo facendo tutto noi”. L’allusione era sulla vicenda delle nomine per l’Authority che, poi Serracchiani ha commentato dicendo che “Bisogna smettere di pensare che alcune cose fatte in passato si possano continuare a fare: erano sbagliate già prima e non andavano fatte neanche allora e non si possono più fare adesso”.
 
Alla richiesta di un commento sulle decisioni assunte nella Direzione Nazionale, svoltasi il giorno prima, Debora Serracchiani ha risposto che “Ci troviamo in una situazione davvero molto problematica, ci troveremo presto a discutere del caso Grecia e del rischio che esca dall’euro, c’è stato il terremoto in Emilia che ha provocato un grave danno anche economico, c’è la crisi che non si riesce a superare e il Pd, invece di aprirci, rischia di chiudersi a parlare di se stesso quando al Paese di noi non importa nulla”.
L’invito della Serracchiani è quello di “Non rinchiudersi in schemi non più attuali perché è necessario cambiare il modo di fare politica. Il rinnovamento delle idee passa anche per il rinnovamento delle persone. Da noi, non c’è stato il passaggio tra chi c’era prima e i nuovi, non si è fatta la formazione: sono stati scelti sempre i mediocri perché davano meno fastidio. Il PSE in Europa guarda al Pd con interesse per il modo in cui è riuscito a mescolare le culture e dobbiamo continuare su questa strada”.
 

giovedì 7 giugno 2012

Continuiamo a farci del male

Per favore, diteci che è uno scherzo!
No, non può essere vero. Non può essere che gli esponenti del Partito Democratico siano così miopi da non comprendere cos’è accaduto ieri.
Il caso Gaffuri impera ancora su tutti i giornali, anche nazionali (si vedano, in proposito, l’ironia di Repubblica e di Gramellini). La vacanza del capogruppo Pd nel giorno in cui in Consiglio Regionale si votava la mozione di sfiducia a Formigoni ha lasciato tutti sconcertati, anche gli opinionisti, ma quel che sconcerta ancora di più è leggere le difese d’ufficio del loro capogruppo che fanno alcuni colleghi di Gaffuri, a cominciare da Fabio Pizzul, noto conduttore radiofonico e campione di preferenze alle regionali del 2010.
Nello specifico, Pizzul scrive: “Il capogruppo del Pd oggi non è in aula per una vacanza con la moglie programmata da tempo dopo tre mesi abbondanti di impegno H24, come si direbbe in gergo emergenziale, per la campagna elettorale delle amministrative a Como e non solo. Non mi pare il caso di entrare in dettagli personali, mi limito a dire che la politica non può passare come un rullo compressore sulla vita delle persone. Mi direte che questo deve valere anche per Formigoni, ma mi pare che le vicende siano abissalmente diverse tra loro. Il fatto che da parte della maggioranza si continui a usare strumentalmente l’assenza di Gaffuri mi pare un evidente segnale di debolezza. É ovvio che sarebbe stato meglio avere Gaffuri in aula, ma é anche bene ribadire che i singoli consiglieri devono fare le scelte che ritengono più giuste e opportune. Mi pare che sia in atto una sorta di linciaggio personale del capogruppo del PD per sviare l’attenzione dagli imbarazzi di Formigoni e dei suoi. Chiedo rispetto per Gaffuri che, fino a prova contraria, si è sempre segnalato come un grande lavoratore e come un generoso (anche al di là del dovuto) consigliere regionale. Di fronte a certe scelte, vi assicuro sofferte, talvolta sarebbe utile scegliere il silenzio e il rispetto. Per evitare che l’arroganza della politica travolga le relazioni più intime”.
Vane anche le giustificazioni che ricordano che la discussione della mozione era prevista in altra data e che lo spostamento secondo le logiche della maggioranza ha causato il pasticcio (come ha scritto lo stesso Pizzul su twitter). Vorrei capire, secondo Pizzul, i lavori dell’aula andrebbero calendarizzati secondo le vacanze scelte dai consiglieri?
Se anche in aula non si fosse discussa la sfiducia, ci sarebbero stati sicuramente altri ordini del giorno, magari avrebbero avuto meno rilevanza mediatica e, quindi, l’assenza di Gaffuri non avrebbe creato un incidente comunicativo di questo tipo, ma c’è comunque qualcosa che non va.
Dopo che per mesi si è letto sui giornali (anche in modo non del tutto corretto) che in Regione Lombardia non si lavora, che il Consiglio si riunisce troppo poco, che i consiglieri fanno sempre vacanze troppo lunghe (oltretutto anche la Regione chiude per Natale, Pasqua e vacanze estive), che bisogno ha un consigliere di mettersi in ferie in un periodo del genere? Spiace per le vicenze private di Gaffuri ma ci sono dei ruoli istituzionali per i quali è stato eletto. Non regge nemmeno la scusa che in questa stagione le vacanze costano meno perché i cittadini sanno bene che i consiglieri regionali hanno stipendi molto alti (adesso ridotti ma comunque sempre alti sono) e fa ridere leggere che Gaffuri è andato via ora per risparmiare (al di là del fatto che probabilmente è vero e che ciascuno con i soldi che guadagna fa ciò che vuole e non ci sono miliardari).
Insomma, comprensibilissime le difese anche d’ufficio di un componente del gruppo e, a maggior ragione del capogruppo, ma qui Pizzul mette una toppa che è peggio del buco e aggiunge figuraccia a figuraccia, facendo del Pd lo zimbello dei media.
Pizzul, da uomo di comunicazione quale è, non può non accorgersi dell’errore grave del capogruppo e meglio farebbe a stare zitto invece che a difendere l’indifendibile.
Gaffuri, infatti, non è un consigliere regionale qualsiasi (di cui nessuno avrebbe notato l’assenza anche nel giorno della sfiducia a Formigoni) ma è il capogruppo del Partito Democratico, oltre che primo firmatario della mozione, insomma colui che il gruppo dovrebbe guidarlo e dare l’esempio.
Un bell’esempio quello dato ieri, davvero: una figura peggiore non poteva farla fare ai suoi colleghi, che pure hanno fatto interventi molto belli e importanti in aula (si veda ad esempio quello di Maurizio Martina, Segretario Regionale del Pd della Lombardia) ma di cui i giornali oggi scrivono pochissimo (e non per colpa dei giornali ma perché è ovvio che la notizia stia altrove).
Questa mattina, BlogDem mandava in diretta un commento di Martina (video) alla giornata di ieri in Consiglio ed erano giustissime tutte le argomentazioni politiche che presentava ma, purtroppo, stridevano enormemente con gli articoli di giornale che avevamo ancora tutti sotto agli occhi. Le belle parole di Martina di questa mattina, a chi aveva appena letto i giornali, infatti, suonavano come una presa in giro, chiacchiere vuote, discorsi a vanvera fatti da un politico qualsiasi tanto per dire qualcosa perché poi i fatti dimostravano altro e spiace perché è ovvio che il segretario regionale con la vicenda di Gaffuri non c’entra nulla e che le sue argomentazioni non facevano una piega ed erano tutte assolutamente corrette e meritevoli di esser ascoltate.
Il punto è che, purtroppo, Gaffuri, con quella sua vacanza fuori luogo, ha “buttato in vacca” tutto il lavoro del Pd dentro e fuori dall’aula del Consiglio Regionale e difenderlo aggrava la situazione e soprattutto produce un aumento di quel pesante scollamento che c’è tra partiti ed elettori perché fa apparire anche il Partito Democratico “uguale a tutti gli altri”.
La scelta di Gaffuri è assolutamente indifendibile e bene farebbero gli altri esponenti Pd a cercare di evitare di rispondere su quella questione, piuttosto che tentare un ridicola difesa del capogruppo, perché difendere lui equivale a screditare tutto il Partito Democratico, più di quanto non lo sia già.
Oltretutto, il caso Gaffuri esplode nella giornata in cui si sono “spartite” le nomine per l’authority (o almeno questa è stata la percezione generale su quella vicenda, si veda l’articolo di Curzio Maltese su Repubblica) e in Senato si è salvato dall’arresto De Gregorio. Il tutto in quadro piuttosto fosco, in cui il Pd, pur dicendo molte cose giuste e riuscendo a stare in piedi meglio di altri partiti, troppo spesso inciampa in incidenti che ne offuscano la credibilità e che, se si continuano a collezionare con così tanta frequenza, rischiano davvero di compromettere un buon lavoro e di conseguenza anche il raggiungimento di risultati e lo si pagherebbe caro in termini di voto.
Qui non si tratta di inseguire Grillo o di fare demagogia, ma si tratta di prestare un po’ più di attenzione a cose banali che, se reiterate in continuazione, rischiano davvero di compromettere tutto quanto, senza contare che un po’ di correttezza in più nel comportamento degli esponenti politici che dovrebbero rappresentare i cittadini (invece che se stessi) è quanto mai auspicabile.
Sono anche incidenti di percorso come questo che alla lunga hanno aperto la strada a Grillo e ora rischiano di spianargli un’autostrada.
Sono anche incidenti come questo che provocano un aumento della disaffezione delle persone nei confronti della politica
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gaffuri

mercoledì 6 giugno 2012

La vacanza del capogruppo Pd in Regione

In Lombardia oggi è una giornata importante, l’attenzione dei media è tutta sul Consiglio Regionale dove si discute la mozione di sfiducia al Presidente della Regione Formigoni.
Una mozione che, nonostante le quasi nulle possibilità di passare, ha assunto una grande rilevanza.
Una mozione che ha come primo firmatario Luca Gaffuri, capogruppo del Partito Democratico in Consiglio Regionale e per la quale tutto il Pd si era speso molto.
Peccato che proprio oggi Luca Gaffuri sia andato in vacanza.
Chiariamo subito che la presenza o l’assenza di Gaffuri in aula non cambia di una virgola la discussione della mozione di sfiducia a Formigoni e l’esito della votazione (la maggioranza di Pdl e Lega è ben ancorata alle proprie poltrone e non ha la minima intenzione di mollarle, anche perché è ben consapevole del fatto che, lasciandole, difficilmente riuscirebbe ad accaparrarsene altre).
Tuttavia, il problema dell’opportunità politica di una vacanza in una giornata come questa e delle conseguenze di immagine per il Pd tutto - e non solo per Gaffuri - si pone.
In molti interventi degli esponenti della maggioranza che siede in Consiglio Regionale, infatti, si è enfatizzato proprio questo aspetto e lo stesso hanno fatto anche i potenziali alleati del Pd (Sel e Idv) sui social network, lasciando intendere ironicamente che tutto sommato il Pd non è poi tanto diverso dalle forze politiche che dice di voler mandare “a casa” (si leggano le “simpatiche” allusioni di Giulio Cavalli al Pd commentando gli interventi di Marcora dell’Udc e di Pozzi del Pdl e la canzone dei 99 Posse rilanciata da alcuni).
Stessa enfasi messa sull’assenza di Gaffuri anche dal Tg Regionale e da altri media locali che rimbalzano le agenzie con i discorsi tenuti in aula.
Ufficialmente Gaffuri risulta assente per motivi familiari (come lui stesso ha fatto poi sapere tramite agenzie di stampa). Per chi è intervenuto in aula, invece, il capogruppo Pd è semplicemente in vacanza in Grecia.
Poco importa che questa assenza sia stata annunciata da tempo e giustificata; non sono stati molto svegli nemmeno quei consiglieri Pd che, nel tentativo di difendere il capogruppo, hanno scritto su twitter che lui le vacanze se le paga da solo e non le fa a spese di altri: il punto è che Gaffuri oggi doveva essere in Consiglio Regionale perché lì è il suo posto, perché è il capogruppo Pd, perché oggi si discute di qualcosa di importante.
Con il clima di astio e di antipolitica che c’è questo periodo, ma come fa un capogruppo a farsi venire in mente di prenotarsi le vacanze proprio in una giornata del genere? Oltretutto, come se i cittadini non sapessero che la Regione Lombardia, come tutte le istituzioni politiche, ha delle lunghe pause estive e non c’è bisogno di andare in vacanza proprio adesso.
Difficile stabilire poi se la verità dell’assenza di Gaffuri siano i motivi familiari (anche privati, che comprensibilmente non è che tutti abbiano sempre voglia di dare in pasto ai giornali per placare gli animi di un’opinione pubblica che ormai dà in escandescenza per ogni minima cosa) o le vacanze, come furbescamente hanno sostenuto gli esponenti degli altri partiti (di fatto avvallati dai consiglieri Pd che hanno affermato che almeno le vacanze il capogruppo se le paga da solo). Il problema è che sui media, nella prima parte della giornata, tutta l’attenzione si è concentrata su questo e non sugli interventi importanti tenuti in aula da Maurizio Martina (che è anche segretario regionale del Pd) e da altri consiglieri del Pd che entravano nel merito delle questioni politiche per cui si è chiesto di votare la sfiducia a Formigoni. Non è solo una questione che alcune cose fanno più notizia di altre o che alcuni media sono più vicini al centrodestra ma è che proprio si è scivolati su una buccia di banana prevedibilissima.
Gli elettori del Pd e quelli che non votano Pd ma che potenzialmente potrebbero farlo si aspettano di meglio di un partito che ha un capogruppo che, nel giorno cruciale, decide di andare in vacanza.
Sono queste le cose che fanno incattivire le persone, già profondamente irritate verso “i politici” identificati come “casta” e verso i “partiti”.
Pazienza se le cose fondamentali sono altre, se non è una vacanza nel giorno sbagliato a cambiare le azioni politiche di mesi, perché quella vacanza ha comunicato un messaggio sbagliatissimo e potente ai cittadini in un momento in cui, invece, il Pd dovrebbe dare il massimo per raccogliere consenso attorno a sé e cominciare a costruire un’alternativa credibile per presentarsi alle elezioni in Regione e in Italia.
I nostri elettori si aspettano di meglio, si aspettano di più, anche dal punto di vista dell’immagine. Quello che comunicano gli esponenti politici con i loro comportamenti personali, spesso, conta di più di molte altre azioni istituzionali.
Il risultato di questa “genialata” di Gaffuri non la paga Gaffuri ma rischia di scontarla tutto il Partito Democratico.

venerdì 1 giugno 2012

A proposito del Papa a Milano

In rete e sui giornali si leggono molte stupidaggini sulla visita del Papa a Milano. E' ovvio che un evento di tale portata ha dei costi elevati (molti dei quali vanno a carico della città che ospita).
Quello che è stato messo in piedi è tutto ciò che si farebbe per un qualsiasi grande evento e con ospiti grandi personalità, con i suoi costi, le sue misure di sicurezza e le annesse problematiche.
Milano è una grande città, perché mai dovrebbe rinunciare ad un grande evento che porta qui tantissime persone? Milano deve forse rinunciare a ospitare eventi e personalità perché costano e creano disagio?
Personalmente, credo di no. Il dubbio mi viene sulla scelta del luogo che deve ospitare l'evento: un'area dentro ad un parco, in una zona molto abitata e che coinvolge decisamente molti cittadini nelle misure di sicurezza (anche fastidiose), ma altri grandi spazi in città non esistono...