mercoledì 27 luglio 2016

Un’intera mattina persa all’ospedale

Un’intera mattina persa all’ospedale di Niguarda.
Appuntamento di mamma alle 8.00 per “prelievo + prima visita” ma già avvisate che il medico comunque sarebbe arrivato intorno alle 9:00.
Nel salone pieno, un’infermiera gira come una trottola e un signore vaga in camice bianco. Fermo lui perché fermare lei è difficile, in quanto corre molto. Lui sembra ancora nel mondo dei sogni, a fatica mi dice di andare a prendere il numerino senza dirmi bene per cosa.
Una signora in attesa ci sente, si avvicina e mi spiega lei cosa fare.
Guardo il bigliettino uscito dal totem e penso che siamo fortunate: abbiamo il n.3, dovremmo fare presto.
Non finisco neanche di pensarlo che l’infermiera folletto corre in sala e ci dice che è tutto bloccato: si è piantato il sistema informatico e l’ospedale è in tilt, non si può fare niente finché non viene ripristinato tutto.
Qui comincia una lunga serie di incazzature.
Dopo un po’ ci dicono che sono arrivati i tecnici ma che per ripristinare il sistema ci vorrà un’ora se tutto va bene, nel frattempo l’infermiera folletto chiama i “lavoratori” che, giustamente, hanno diritto di precedenza. E qui già si comincia a capire che il numerino uscito dal totem vale poco.
Dopo un po’ di caos, di gruppi che vengono portati dentro e poi di nuovo fuori, riesco a intercettare l’infermiera folletto e chiedo cosa deve fare mia mamma.
L’infermiera ci spiega che dobbiamo fare tante cose, quindi, ci dobbiamo muovere subito, ci imbuca alla accettazione e poi ci porta via insieme a un gruppo. Prende tutte le nostre carte e sparisce.
Nel frattempo il sistema operativo torna a funzionare ma il caos non si ferma.
Dopo un bel po’ di tempo, l’infermiera torna da noi: il prelievo fatto lunedì non va più bene perché le pastiglie che prende mia mamma possono aver cambiato molte cose, per cui si torna all’accettazione (imbucandosi in mezzo alla fila) e si fa una nuova richiesta, la si riconsegna e poi mia mamma viene imbucata a fare una prova di coagulazione del sangue. Mamma esce ma dimentica di prendersi il foglietto con il risultato. Ci sediamo in corridoio e stiamo lì tutta la mattina.
Davanti ci passano di tutto: lavoratori, anziani, imbucati che devono solo chiedere una informazione e che stanno dentro mezzora… Prima del nostro inutile numero 3 passano il 54, il 63 e molti altri, infilati a caso a seconda di ciò che passa per la testa dei medici presenti (due, uno per le prime visite e uno che prescrive le terapie senza guardare i pazienti di lungo corso).
Mamma non ha fatto colazione ma il bar non è vicino e nessuno sa dirci verso che ora ci chiameranno, per cui è complicato spostarsi. Il corridoio e il salone hanno anche l’aria condizionata piuttosto freddina, per cui chiedo a mamma se vuole qualcosa di caldo dalle macchinette ma dice di no perché se beve le viene voglia di fare pipì e non si sa mai che ci chiamino mentre siamo in bagno.
L’infermiera folletto riappare in tarda mattinata e cerca il foglio del prelievo che mia madre non ha preso. Lo recupera, lo porta dentro alla stanza dei medici e poi scompare con altri gruppi.
Il nostro turno di visita arriva alle 11:40 e dopo svariate lamentele. Entriamo in una stanzetta dal clima polare con una cafona che neanche ci guarda in faccia quando entriamo e continua serenamente a scrivere al computer. Dopo cinque minuti che siamo in quel Polo Nord in cui mancano solo i pinguini, la cafona alla scrivania alza la testa dalla tastiera e chiede a mia mamma il suo percorso medico.
Non riusciamo a dire neanche tre frasi che suona il telefono dello studio e la dottoressa, non solo risponde, ma resta attaccata alla cornetta per 10 minuti a dispensare consigli ad una collega incapace di curare una paziente a cui pare che gli esami vadano male.
Non so cosa mi trattenga dall’urlarle dietro, forse il freddo della stanza che mi ha congelato la lingua, oltre a farmi venire voglia di andare in bagno.
Poi finalmente la telefonata finisce, la maleducata riprende in mano le carte di mia mamma e dice: “mi stava dicendo della recidiva al fegato”…
Io e mia madre ci guardiamo come a chiederci se questa qui è scema: nessuno ha mai nominato il fegato e sulle carte presentate non è mai citato.
Sto per rispondere che il fegato è quello della paziente della sua collega con cui è stata al telefono oltre 10 minuti e che adesso ne abbiamo veramente abbastanza.
Poi la svampita si riprende, rilegge le carte, scrive una terapia valida fino alla prossima settimana e ci saluta. Alle 12:15 usciamo dalla stanza dei pinguini.
Cioè, ci hanno tenute in ospedale dalle 8.00 alle 12.15 per un prelievo di due minuti con esito immediato e una visita di 35 minuti con dentro 10 minuti di telefonata altra.
Se la prossima settimana al controllo succede lo stesso caos, pianto una scenata che rivolto l’ospedale.