sabato 21 novembre 2020

Non dobbiamo chiudere gli occhi sulle mafie


Tre anni fa ero ad un'iniziativa per la legalità organizzata da Confcommercio con imprenditori, magistrati e istituzioni in cui si discuteva delle infiltrazioni mafiose nelle attività economiche e, in particolare, negli esercizi commerciali. 
Una tematica che torna drammaticamente attuale oggi, con la crisi che molti settori stanno attraversando a causa degli stop alle attività imposti nel tentativo di rallentare la diffusione del virus. 
Più volte in questi mesi, è capitato di leggere le interviste di magistrati allarmati dal rischio che le mafie sfruttino i danni economici e sociali generati dalla pandemia per acquisire attività e accrescere il loro potere sui territori, sulle persone in difficoltà e su settori economici in crisi (come gli esercizi commerciali) o in espansione (è di ieri la notizia dell'inchiesta che smascherava un interesse della camorra per fare business con le imprese di sanificazione). 
Per questo è importante mantenere alta l'attenzione su ciò che succede nelle nostre realtà e le istituzioni devono lavorare per fare in modo che sia lo Stato ad arrivare presto a sostenere chi è in difficoltà, non lasciando spazio alle organizzazioni criminali. 
Oggi, a ricordarci il quadro entro cui ci muoviamo è un sondaggio realizzato da Demos e Libera e spiegato con un'analisi di Diamanti su Repubblica, secondo cui il 70% degli intervistati ritiene che, in Italia, in seguito al Covid, si stia diffondendo ancora di più la corruzione e le mafie aumentino la loro presenza e il loro potere. 
Non dobbiamo chiudere gli occhi su questo.

mercoledì 4 novembre 2020

Le persone hanno paura di perdere tutto e di non risollevarsi

Non ho capito cosa c'era di incomprensibile nel DPCM del Governo arrivato questa mattina e perché oggi sui social network si è scatenata l'isteria (fomentata a volte anche da giornalisti che in rete si lasciano andare a esternazioni personali pesanti mentre esercitano la professione). 
Oggi pomeriggio, io sono andata in giro per il mio quartiere per comprare alcune cose che immaginavo non avrei trovato se fosse arrivato il lockdown domani. 
In molti devono aver avuto la mia stessa idea perché le vie erano piuttosto piene, sebbene i bambini fossero già usciti da scuola. 
Tanti i commercianti che ho visto sugli ingressi dei negozi: alcuni parlavano tra loro, altri parlavano con i clienti in uscita, altri sistemavano cartelli sulle vetrine con le informazioni su come fare per avere consegne a domicilio e sugli orari per gli ordini; insomma, erano già tutti organizzatissimi in vista di una chiusura considerata ormai certa e imminente.
Alcuni commercianti erano arrabbiati per gli investimenti fatti e la mancata compensazione economica di tanti sacrifici affrontati in breve tempo; altri erano più rassegnati da questa situazione così strana e incomprensibile ma tutti erano preoccupati per l’incertezza del futuro, per la paura di non sapere se sarebbero arrivati gli aiuti economici e se sarebbero stati sufficienti per far fronte alla chiusura e anche a rimettersi in piedi dopo.
Non c’era nessuno, quindi, che non avesse capito cosa fare o cosa stesse per succedere e nessuno che si preoccupasse di che colore fosse la Lombardia perché tutti davano ormai per certo che sarebbe stata una “zona rossa”.
I giornalisti, in questi giorni, hanno caricato molto questa spinta alla zona rossa. Ben prima che si parlasse di un nuovo DPCM, infatti, era iniziato il tormentone sulla necessità di chiudere o meno il Paese o le Regioni, con i giornali e tv che pullulavano di interviste a virologi o presunti tali che si contraddicevano l'un l'altro e questo non ha aiutato a rasserenare un clima già teso. 
In strada, però, tra la gente vera, tutta questa ansia isterica da misure in arrivo non c'era, in quanto le possibili nuove norme erano già considerate certe; c’era invece un’inquietudine profonda per la situazione economica propria, dei propri cari e del Paese. Chiacchierando, in molti manifestavano una grande paura di perdere tutto: il lavoro, l’attività, la possibilità di mantenere la propria famiglia; la paura di non essere in grado di reinventarsi o di rimettere in piedi ciò che si è dovuto fermare e attorno a cui si è costruito la propria vita fino ad oggi.
Questa è la grande paura delle persone a cui occorre cercare di trovare soluzioni

Le soluzioni, purtroppo, non saranno facili da trovare perché nessuno ha la bacchetta magica e le risorse non sono illimitate.
In una fase così drammatica e delicata dove, oltre che per la salute, la vita delle persone è in gioco anche per ragioni economiche occorre fare molta attenzione ai messaggi che si mandano e credo che non facciano bene le tifoserie da social network tra chi spinge per il lockdown (spesso persone che giustamente hanno paura della malattia ma che fanno parte in qualche modo di categorie garantite economicamente) contro chi invoca l’apertura sempre e comunque a prescindere dalla situazione sanitaria (perché fa parte di una categoria che, se chiude, non ha più entrate economiche). 
Serve equilibrio, serve sforzarsi di comprendere il disagio dell’una e dell’altra parte e serve che - chi ha la mente lucida e non oppressa dalle preoccupazioni - rifletta e ragioni prima di esprimersi, soprattutto sui mezzi di informazione.
Serve poi che i giornalisti tornino a fare il loro mestiere, che è quello di raccontare la realtà, non di inventarsela o di diffondere suggestioni che passano per la testa mentre si è annoiati e seduti alla scrivania davanti a uno schermo.
Il Governo non ha la bacchetta magica o ricette miracolose e nemmeno le Regioni e i Comuni. 
Tutti auspichiamo che si trovino risorse e strumenti per far fronte alla situazione e fare in modo che le persone non vengano lasciate sole ora e possano poi rimettersi in piedi ma ognuno deve fare la propria parte e non aspettare che ci pensi qualcun altro. 
Si è parlato per mesi, durante il lockdown dello scorso inverno, della necessità di reinventare gli orari delle città e del lavoro per non affollare i mezzi pubblici in orari di punta. Lo ha fatto qualcuno? C’è qualche azienda che ha modificato l’orario di ingresso e di uscita dei suoi dipendenti? No. Qualche azienda si è dotata di bus aziendale per i propri dipendenti per evitare che affollassero i mezzi pubblici? No. Ecco, allora poi è inutile andare in giro a pontificare contro il trasporto pubblico affollato o contro il sacrificio degli studenti, costretti a studiare a casa davanti al computer invece che in una scuola insieme ai compagni, se poi chi doveva fare qualcosa per dare una mano a migliorare la situazione non se ne è minimamente preoccupato. Non avremo pensato davvero che avrebbero messo altri mezzi pubblici?! Dove li andavano a prendere? E dove li mettevano che le strade sono tornate ad essere trafficatissime tra auto, bici, motorini e anche monopattini proprio perché le persone hanno paura di prendere i mezzi pubblici?!
A questo giro, dopo tanti paroloni a vuoto delle varie categorie produttive, stanno pagando ancora gli studenti e le scuole, che sono le uniche realtà su cui il Governo può intervenire: lì si erano fatti gli orari diversificati di entrata e uscita, eppure ora i ragazzi si devono fermare e rinunciare a una parte importante della loro formazione personale (perché stare in classe non è solo studiare cosa c’è scritto sui libri ma è costruire relazioni, legami, confrontarsi, impostare comportamenti) per non fermare la produzione e, quindi, l’economia. 
Oggi pomeriggio nei bar del mio quartiere era pieno di ragazzini seduti con cappuccini o aperitivi: erano tutti arrabbiatissimi e delusi del fatto che si fosse promesso loro che non avrebbero chiuso le scuole e invece da domani si sarebbero dovuti vedere solo sul web. 
Anche questi ragazzi rischiano di vedere compromesso il loro futuro se nessuno si farà carico di una parte del problema per fare in modo che a loro venga consentito di tornare a scuola. 

P.S.: Diffidate di chi racconta il mondo chiuso dentro a una stanza senza aver mai messo un piede fuori e parlato con la gente per strada.