mercoledì 15 dicembre 2010

Scenari post-fiducia

Una giornata importante quella di ieri nei due rami del Parlamento, dove si votavano le mozioni di sfiducia al governo Berlusconi.
Sfiducia respinta senza troppi problemi in Senato e giocata fino all’ultimo minuto alla Camera con ambigui passaggi di deputati da una parte all’altra.
Alla fine, alla Camera, la maggioranza di governo si è imposta con 314 voti contro 311. Con Pdl e Lega hanno votato i deputati di Noi Sud-Pid, i tre del nuovo Movimento di responsabilità nazionale Massimo Calearo, Bruno Cesario e Domenico Scilipoti, il Libdem Maurizio Grassano, l'ex Idv Antonio Razzi (ora con Noi Sud) e Catia Polidori, Giampiero Catone e Maria Grazia Siliquini di Fli.
Gli unici due che non hanno partecipato al voto, oltre a Fini, sono stati Silvano Moffa (Fli) e Antonio Gaglione (ex Pd passato con Noi Sud).
Di tutti questi, avevano apposto la firma sotto alle mozioni di sfiducia presentate solo: Razzi, Scilipoti, Moffa, Polidori e Siliquini.
Il Partito Democratico è andato in aula compatto per la sfiducia, come si è affrettato a ricordare il capogruppo Dario Franceschini: «Su 206 deputati presenti, abbiamo assicurato 206 voti», riuscendo a far partecipare addirittura Federica Mogherini (prossima al parto) e Marco Fedi (eletto in Australia e affetto da gravi problemi di salute). [Tutti gli interventi delle dichiarazioni di voto degli esponenti del Pd>>]

Da tutto questo emergono in modo evidente due cose: i “comprati” dell’ultima ora appartengono tutti a Idv e Fli.
Per l’Idv che ha giocato l’intera linea politica sull’antiberlusconismo, lo smacco è stato grande e lo ha fatto notare qualche giorno fa Michele Serra su Repubblica, nella sua Amaca, affermando che «Sorge il sospetto che neppure il modello "opposizione tutta d'un pezzo", pancia in dentro petto in fuori, che ha consentito all'Idv una discreta fortuna elettorale, tuteli da fuoruscite imbarazzanti, alla Calearo: e se il Pd ha l'attenuante dei grandi numeri (le comitive folte sono spesso indisciplinate), l'Idv non ha neanche quella».
Per Fli, invece, la vicenda è semplicemente grave: Berlusconi voleva isolare Fini, dimostrargli che non contava nulla e, portandogli via tre voti, ci è riuscito. Fini è riuscito a contenere le defezioni del gruppo di Moffa, il quale però ha subito chiesto le dimissioni di Bocchino, facendo così intuire che la sua linea politica è ben differente da quella espressa dal capogruppo di Fli.
A Casini è andata meglio, i suoi deputati sono fuggiti altrove con qualche settimana di anticipo e lui in aula ha preso le distanze dagli ami lanciatigli da Berlusconi ma, adesso che il governo ha ottenuto una così labile fiducia, resisterà ancora?
Berlusconi e Bossi si sono affrettati a far sapere a Casini di volerlo nel governo: sono ben consapevoli che una maggioranza di tre voti non è sufficiente a garantire la stabilità per portare in aula serenamente i prossimi decreti e, per non fare la misera fine di Prodi, le uniche alternative sarebbero o continuare a comprare voti o andare direttamente alle urne.
A Casini, da buon democristiano, le poltrone sono sempre piaciute. Certo è che di “acqua sotto i ponti” ne è passata da quando ha scaricato Berlusconi e il Pdl e ha avviato la costruzione del “Terzo Polo” e sarebbe un po’ assurdo fare marcia indietro proprio ora.
Tuttavia, sono mesi che si sentono pronunciare da tutti parole come «responsabilità»… E non sarebbe forse un gesto di «responsabilità» andare a soccorrere un governo che non ce la fa, per il bene del Paese che è attanagliato dalla crisi e per cui andare alle urne «sarebbe una sciagura» (come tutti ripetono in continuazione)?
Oltretutto piacerebbe molto anche negli ambienti vaticani, a cui il partito di Casini è tanto legato…
Certo se Casini dovesse giocarsi male questa partita e mettere la faccia su “leggi-vergogna” o leggi ad personam non ne uscirebbe bene ma i politici sono sempre pronti a rivendersi come opere buone per la nazione qualsiasi cosa.
L’unico vero problema di Casini, in questa partita, è il suo tanto amato terzo poloperché inevitabilmente andrebbe a frantumarsi: Berlusconi ha detto in tutti i modi che con Fini ha chiuso e il gesto di comprare i suoi deputati ieri, rifiutando anche ogni trattativa al Senato, ne è stata la chiara dimostrazione.
Fini, da solo, senza Casini, non può fare assolutamente nulla, sarebbe politicamente morto.
Basterà Fini a trattenere Casini dalle tentazioni di Berlusconi?

In tutto questo, emerge anche il dramma del Pd che si è comportato bene sia alla Camera che al Senato, che è reduce da una manifestazione di piazza piena di gente nel cuore di Roma ma che ha investito quasi tutta la sua linea politica nell’alleanza con il terzo polo di Fini e Casini.
Casini si era già dimostrato un alleato frivolo alle elezioni Regionali, ma da allora sono accadute molte cose. Fini, invece, ha sempre detto pubblicamente che ad alleanze con il Pd non era interessato (se poi lo pensi davvero o no, non è dato saperlo, ma almeno è abbastanza furbo da non disorientare il suo potenziale elettorato, in prevalenza di destra).
È chiaro che nessuno ha la sfera di cristallo e non si possono prevedere le situazioni come quella in cui ci si è trovati a votare la mozione di sfiducia alla Camera, salvo quando si è a ridosso dell’evento ma, forse, un po’ di lungimiranza in più in alcune scelte del Pd non sarebbe guastata.
In seguito ad una riunione Pd, pare che il MoDem (di Veltroni, Fioroni, Gentiloni) abbia ricominciato a pestare i piedi e a chiedere un cambio di passo nella linea politica per riportare il partito al centro. Il tutto è stato poi smentito, ovviamente, ma l’impressione è che qualche disagio ci sia.
Non si tratta di pura battaglia interna o di contrapporre sogni meravigliosi a realtà ben diverse, ma la sensazione che qualcosa non funzioni per il verso giusto e che ci si debba correggere, c’è.
È un po’ paradossale che, in questi mesi, il Pd non abbia fatto altro che convocare conferenze stampa nel disperato tentativo di attirare l’attenzione dei media sulle sue proposte concrete per il Paese e puntualmente il giorno dopo un esponente a turno rilasciava interviste su alleanze, scenari e simili, perché puntualmente sui giornali ci finivano queste ultime e le proposte sparivano (anche perché in quanto espresse da un partito dell’opposizione avevano ben poca possibilità di vedersi concretizzare).
Il Pd continua ad affidarsi troppo agli altri presunti potenziali alleati - o almeno così appare dalle innumerevoli interviste che rilasciano i suoi esponenti su giornali e tv - e di questi altri, che prima mostravano scarso interesse, ieri qualcuno è anche caduto.
Fini (tanto ricercato dal Pd, anche su Repubblica e al Tg3 di ieri Bersani ne parlava) si è rivelato insignificante in Parlamento, con un partitino spaccato.
L'Udc tutt’ora non è chiarissimo cosa voglia fare.
L'Idv si è dimostrato un partito di comprabili.
Vendola aspira alla leadership e fa sognare il popolo della sinistra.
In tutto questo scenario, forse sarebbe il caso che il Pd si occupasse davvero un po' di rilanciare se stesso: ha da poco concluso i cosiddetti “porta per porta” (che se li sono filati in pochi), ha fatto anche una grande manifestazione sabato che avrebbe dovuto servire a questo, non a rincorrere gli altri o lanciare con decisione governi tecnici quando già i numeri cominciavano a traballare (e ieri questa ipotesi è definitivamente morta). Non perché gli alleati non contino o perché il governo tecnico fosse sbagliato ma perché tatticamente conveniva non farlo, dato che già sabato si aveva la sensazione che qualcosa non stesse andando nel verso sperato nel pallottoliere della Camera.
Forse sarebbe il caso che il Pd in pubblico cercasse di parlare al Paese con delle proposte politiche e non di lanciare ami a potenziali alleati (questo lo può fare benissimo lavorando in Parlamento o in privato).
La manifestazione del Partito Democratico di sabato scorso avrebbe dovuto consentire al Pd di emergere nel crollo berlusconiano, ma in questo tempo veloce dove tutto si consuma in fretta e sovraffollato di notizie e informazioni, ad emergere è stato prima lo scricchiolio della certezza della sfiducia al governo e poi il ko di Fini.
Non è una colpa specifica del Pd (che, a dire il vero, di sforzi ne fa tanti per emergere, ma probabilmente non tutti nel verso giusto): i giornalisti fiutano la notizia e, al giorno d’oggi, sembra che ci siano molte cose più interessanti per la stampa che non il rilancio del Pd; eppure senza una buona presenza mediatica non si smuovono le opinioni dei cittadini.

E se si andasse davvero alle elezioni a marzo (come tanti ipotizzano) qualche motivo agli elettori per farsi votare bisognerà pur darlo e, non sempre, le tante battaglie positive portate avanti dal Pd in questo periodo di opposizione sono sufficienti per convincere cittadini sempre più lontani dalla politica.
Anche questa non è una colpa del Pd, ma il clima generale che si respira nel Paese non è positivo e occorre difendersi ogni giorno con più forza da attacchi non sempre giustificati, alzare maggiormente la voce anche su questioni che dovrebbero esser palesi e invece improvvisamente non le sono più.
Mentre nei palazzi delle istituzioni andava in scena il teatrino della sfiducia al governo e della compra-vendita dei parlamentari, ieri, le strade di Roma erano piene di cittadini che manifestavano il loro profondo dissenso per l’operato del governo: c’erano gli studenti contro il ddl Gelmini, c’erano i metalmeccanici, c’erano i terremotati dell’Aquila… Poi, purtroppo, sono sopraggiunti i violenti che hanno devastato la città.
A guardare i siti web dei giornali e delle agenzie di stampa in quei momenti faceva impressione il quadro che emergeva: era terribile l’accostamento tra i cori della Camera, le botte, lo sventolamento di bandiere, il sorriso di Berlusconi e le immagini della strada, le auto a fuoco, i fumi dei lacrimogeni, i primi feriti, gli scontri.
In quelle strade c’era un pezzo di Paese (poi strumentalizzato da infiltrati facinorosi che nulla avevano a che vedere con le cause della manifestazione) che non trova ascolto dentro i palazzi della politica e che è stanco e sta cominciando a non poterne più di questi teatrini che alla fine favoriscono solo la casta dei politici (che vengono percepiti quasi tutti allo stesso modo e poco importa se ieri se la sono presi con i “venduti”, perché domani i bersagli saranno altri).
Nel Paese c’è un clima pericoloso che può degenerare facilmente e l’unica via di uscita è che la politica si assuma le proprie responsabilità e smetta di giocare a barcamenarsi tra i palazzi ma dia le risposte ai cittadini, si occupi di loro, dei loro problemi.

Il Pd, in questi mesi, ha sempre mostrato attenzione per i problemi reali del Paese, eppure in questo clima cupo e surriscaldato, non sempre viene percepito ma, anzi, è il primo soggetto che rischia di venire buttato in mezzo al calderone del “tutto è uguale a tutto” dell’antipolitica e di esserne travolto.
Ecco perché allora occorre davvero rilanciare il Pd, i progetti che intende mettere in campo per il Paese e fare in modo di distinguersi sempre dai biechi maneggi del centrodestra. E per farlo occorre partire dal parlare all’esterno di quelle cose e non di alleanze (che sono indispensabili per vincere nelle battaglie parlamentari come nelle urne e vanno fatte, ma non vanno discusse a mezzo stampa ogni settimana) perché altrimenti l’unità del gruppo dirigente non serve a nulla se non a essere uniti sull’orlo del baratro in cui si rischia di cadere dentro tutti insieme.

giovedì 9 dicembre 2010

Le sedi opportune

In rete continuano commenti e battute sulla scelta di Matteo Renzi di incontrare Berlusconi ad Arcore.
Per la maggior parte delle persone la giustificazione di Renzi - “l’ho fatto per il bene di Firenze” - non è sufficiente ad appoggiare una simile decisione.
Per qualcuno si tratta di una pura questione di forma.

La realtà è che quella degli incontri istituzionali in residenze private è una forma ampiamente utilizzata da Berlusconi e, ormai, nessuno se ne stupisce più e, forse, anche lo stesso Renzi non ci ha fatto troppo caso e per questo ha accolto l’invito senza badare troppo alle conseguenze di un simile gesto.
Eppure, in politica, forma e sostanza spesso sono intrinseche. Non è colpa di Renzi, ma tutta l’impostazione berlusconiana della politica è basata sulla commistione tra pubblico e privato: da sempre Berlusconi riceve politici italiani e capi di Stato stranieri nelle sue residenze private (tanto che furono molte le polemiche intorno alla sua villa in Sardegna, quando venne modificata per ragioni di sicurezza e gestita come se fosse una sede istituzionale) e da sempre il Cavaliere unisce rapporti d’affari a legami d’amicizia con ovvie interferenze (come confermerebbero anche le rivelazioni di WikiLeaks).
Evidentemente Berlusconi, in quanto capo di Stato, si sente padrone assoluto anche delle istituzioni e delle sedi istituzionali, tanto che, per lui, Arcore o Palazzo Chigi sono la stessa cosa e riceve gli ospiti dove gli fa più comodo. Peccato che uno dei due luoghi, adesso, sia balzato alle cronache per il bunga-bunga e forse non risulta più così adeguato a incontri istituzionali.

Tuttavia questa forma di fusione tra il ruolo pubblico e la vita privata è altamente pericolosa e andrebbero messi dei paletti.
Chiunque arriverà dopo Berlusconi dovrà avere anche il compito di riportare la politica nelle sedi istituzionali che le sono proprie e lasciare le residenze private e gli affari personali per altre occasioni.
Matteo Renzi - che è un personaggio piuttosto furbo e intelligente - stupisce un po’ per questa improvvisa ingenuità: davvero pensava fosse normale andare ad Arcore senza suscitare polemiche, in un momento così delicato e instabile politicamente? È veramente così ingenuo da non essersi reso conto del pasticcio in cui si stava mettendo? O è davvero così strafottente da non curarsi minimamente di queste cose e di tirare dritto per la sua strada, parandosi dietro alla giustificazione che è “per il bene di Firenze”?
Uno così perspicace e che dice di voler bene al Pd, anche se alcuni suoi componenti sono da “rottamare”, lascia stupefatti a vedere che non si è curato di questi particolari.
I sostenitori del sindaco di Firenze (pochi, questa volta) insistono a citare una frase di Bersani di qualche tempo fa: “Ho già detto che se si vuole parlare di misure immediate per alleggerire i colpi di questa crisi e discutere sul serio di un pacchetto di riforme in campo economico e sociale, io vado veramente a piedi ad Arcore.” ( Pier Luigi Bersani - 9 aprile 2010). Ma era, appunto, qualche tempo fa, con un’altra situazione politica, decisamente meno traballante. Tuttavia, anche quella di Bersani non fu un’uscita felice perché la politica si svolge in luoghi istituzionali e non nelle residenze private.

Un altro esempio di questa degenerazione delle forme (che comporta spesso anche ad una degenerazione della sostanza), tipica espressione dei governi di Berlusconi, avvenne qualche anno fa con i “Quattro saggi di Lorenzago” (come li aveva ribattezzati la stampa) mandati in Cadore a riscrivere la Costituzione per una riforma poi bocciata da un referendum. Allora furono molte le polemiche e si disse che la Costituzione Italiana era nata in un’Assemblea Costituente per opera di molti illustri uomini politici, mentre lì veniva fatta riscrivere da quattro signori (uno per ogni partito della maggioranza di governo) sostanzialmente in vacanza.
Adesso, qualcuno ha scritto che Renzi è caduto in trappola e forse un po’ lo è davvero. In una situazione politica precaria e confusa come quella attuale, ogni mossa può essere pericolosa e Renzi - “per il bene di Firenze” (ma anche del Pd, che già non brilla di suo) - avrebbe fatto meglio a chiedere un incontro a Berlusconi in una sede istituzionale.
>Il sospetto è che Renzi sia stato invitato da Berlusconi e lui, per curiosità, abbia accettato e ne abbia approfittato per parlare di Firenze. Certo è che un capo di governo prossimo alla sfiducia (almeno così sembrava fino al giorno in cui Renzi è stato ad Arcore) per Firenze avrebbe potuto davvero far poco…
Il risultato non cambia ma la politica va riportata nelle sedi che le sono consone al più presto.

martedì 23 novembre 2010

Milano, l'università e Bonanni

Mi piace rimettere il naso nelle università, quando ne ho l'occasione: si incontrano sempre tanti ragazzi, tanta vita, tanti sogni e tante idee per il presente e per il domani. Oggi, all'università cattolica ho visto appesi manifesti di Forza Nuova e ascoltato ragazze discutere di come rilanciare un'iniziativa sionista, ho visto una mostra d'arte di grande valore e un'aula che sembrava la stanza delle feste di un castello (cose che in statale non abbiamo mai né avuto né immaginato che in università esistessero), poi ho sentito sindacalisti parlare come industriali. All'ingresso un ragazzo mi ha messo in mano l'invito per un locale dove si balla: era dai tempi delle scuole superiori che non venivo fermata da un pr delle discoteche e, anche allora, non è che mi fermassero tanto (era bruttina)... Forse mi farebbe bene andare a ballare.
Quando sono uscita dal convegno la città era già buia ma avevo voglia di camminare e ho deciso di arrivare a piedi fino alla metropolitana del Duomo. L'università cattolica è accanto alla Basilica di Sant'Ambrogio e altre affascinanti edifici medievali: è una zona che conosco poco e in quelle vie tortuse, per quanto rimesse a nuovo, finsco sempre per perdermi. Percorrendo la via Carducci, in direzione del centro, ho visto palazzi bellissimi di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza: così belli da non sembrare nemmeno di essere a Milano... Questa mia Milano che tante volte ho maledetto in questi anni e che continuerò a maledire per l'eternità perché nella vita le oppotunità non sono mai pari, neanche se vivi a Milano.
Mentre camminavo mi sono sfrecciate accanto l'auto blu di Raffaele Bonanni e quella della polizia con la sua scorta, a sirene spiegate: avrei voluto fermarli e chiedere al Segretario Cisl dov'è che riceve tutti quegli attestati di stima per il suo lavoro sindacale che ha citato al convegno come "fatti dai cittadini che mi fermano per strada" se gira circondato da agenti (ce n'erano tantissimi in università al suo seguito, dentro e fuori dalla sala in cui parlava) e blindato sulle auto blu?! Ma si sa, è un personaggio con un ruolo difficile e di contestazioni pericolose ne ha già ricevute.
Dopo un bel po' di strada a piedi, con gli occhi sulle vetrine dei negozi, sono arrivata in piazza del Duomo e anche lì c'era pieno di auto blu, con tanto di autisti sopra. Normalmente mi sarei fermata per chiedere che evento si stava svolgendo, ma oggi non mi interessava, ho girato lo sguardo sul grande albero di Natale che stavano innalzando e che da giorni riempie le pagine della cronaca milanese dei quotidiani per la polemica tra chi ci deve mettere la firma (il Duomo, il Comune, la gioielleria Tiffany, le associazioni...) e poi sono scesa in metropolitana per tornare a casa.

lunedì 22 novembre 2010

Franceschini incontra Mestre

Grande partecipazione all'incontro organizzato dal Pd di Mestre, ieri mattina, con Dario Franceschini.

La conferenza è iniziata tardi rispetto al previsto ma è andata avanti veloce e a parlare si sono susseguiti una serie di dirigenti locali che hanno posto all’attenzione di Franceschini le problematiche della Regione Veneto. Il territorio è pieno di aziende piccole, medie e grandi che stanno chiudendo, sono coinvolti oltre 14.000 lavoratori e i giovani non riescono ad accedere al mondo del lavoro, in particolare, la situazione di Marghera è molto grave e gli esponenti del Pd Veneto hanno invocato una legge speciale che dia rilevanza nazionale alla questione. Gravi anche i tagli che saranno conseguenti alla finanziaria perché ricadranno sugli enti locali e quindi sui servizi e poi la questione dei paesi lagunari per cui occorrerebbe un’altra legge speciale, mentre i soldi sono stati trovati solo per finanziare il Mose, lasciando scoperto tutto il resto e dimenticando la salvaguardia del patrimonio di Venezia.
Sul Partito Democratico, dai dirigenti locali, unanime è arrivata la richiesta di unità e di mettere fine ai personalismi lesivi della coesione interna.
Tra i tanti, a prendere la parola c’è stato anche il nuovo coordinatore dei Giovani: un ragazzo molto preparato e dalla parlantina fluida (ascoltarlo suscitava entusiasmo perché era lontano anni luce dai toni compassati e dal politichese che troppo spesso in bocca ai giovani li fanno apparire come cloni dei loro big di riferimento).

Franceschini ha ascoltato tutti, scrivendo e mandando messaggi con il telefonino. A lui è toccato prendere la parola per ultimo e in un ampio discorso di chiusura ha fatto un po’ il quadro del panorama politico italiano che si sta delineando e delle possibilità del Pd. È stato un discorso molto bello (pressoché identico a quello che ha fatto qualche tempo fa a Cortona) e in questa cornice veneta, più snella dal punto di vista di forma e tempi, è riuscito ad essere molto efficace e a conquistare la sala piena di gente, che spesso lo ha interrotto con applausi.

«C’è bisogno di un Pd presente e unito per affrontare le settimane e i mesi difficili che abbiamo davanti», è stato l’esordio di Dario Franceschini.
Franceschini ha segnalato che siamo di fronte al tramonto del berlusconismo e tutto ciò che è avvenuto ultimamente non erano altro che scosse di avvertimento rispetto al crollo politico di questo sistema.
Innanzitutto, è fallita l’azione di questo governo, secondo Franceschini: la legislatura era cominciata con una larga maggioranza, con due soli partiti in coalizione e un capo assoluto, ma non è stata fatta alcuna riforma strutturale per il Paese, solo annunci e interventi tampone, collocabili nell’ordinaria amministrazione.
L’unica cosa importante che è rimasta al Paese di questi ultimi anni, per Franceschini, è l’entrata nell’euro ad opera del governo Prodi.
Anche sul fronte della crisi, ha denunciato il capogruppo Pd alla Camera, non è stato fatto nulla, solo si è cercato di nasconderla con il controllo dei mezzi di comunicazione, ma «i dati ci dicono che il 2011 sarà un anno drammatico e in Italia la crescita è più lenta che negli altri Paesi». «Le piccole e medie imprese che - non hanno la cassa di risonanza che può avere una grande azienda sul piano mediatico - rischiano di fallire e quando saltano fanno un male terribile perché lasciano imprenditori pieni di debiti che hanno cercato di fare qualsiasi cosa pur di salvare la loro azienda e lavoratori che restano senza ammortizzatori sociali», ha detto Franceschini, rilanciando la proposta di un welfare universale che garantisca a tutti, indipendentemente dai contratti, indennizzi di disoccupazione e diritti.

Franceschini si è soffermato un po’ sul controllo della comunicazione, strappando applausi quando ha ricordato che Berlusconi è andato a L’Aquila e a Napoli ad annunciare miracoli con un seguito di telecamere compiacenti, ma poi ha spento i riflettori sulle manifestazioni di protesta dei terremotati che si sono tenute sabato nel capoluogo abruzzese e sui rifiuti ha cercato di far passare un provvedimento che metteva nel ruolo di commissari i presidenti delle Province che sono i soggetti da commissariare perché hanno causato il problema e, oltretutto, sono parlamentari.
In questo, Franceschini ha rivendicato il ruolo del Pd che, come opposizione, oltre a mettere in campo le proprie proposte deve anche dar voce a chi non ha voce.

Franceschini ha puntato il dito poi sul fallimento del progetto politico del Pdl, costruito attorno all’anomalia della destra italiana e ha ricordato che Fini e Casini sono usciti nel tentativo di condurre il centrodestra alla normalità ma Berlusconi è inconciliabile con ciò e per questo il loro campo non si può ricomporre.
«Berlusconi ha un concetto proprietario delle istituzioni, dello Stato e figuriamoci del suo partito», ha detto Franceschini, evidenziando il fatto che il Pd, in Parlamento, in questi mesi ha lavorato per far leva sulle contraddizioni del centrodestra e farle esplodere: «Se avessimo spinto per chiedere le dimissioni di Fini prima e di Berlusconi poi, li avremmo ricompattati. Abbiamo presentato la mozione di sfiducia quando abbiamo ritenuto che ci fosse la reale possibilità di far cadere il governo», ha commentato il leader Pd.

Franceschini ha ricordato anche il fatto che l’Italia sta vivendo una situazione di emergenza democratica, proprio per via dell’anomalia di Berlusconi e del fatto che difficilmente uscirebbe di scena senza problemi e, per questo, pone l’esigenza di fare fronte comune con le altre forze di opposizione, innanzitutto per cambiare la legge elettorale vigente e gestire le emergenze del Paese.
«Questa legge elettorale consegna il 55% dei seggi anche a chi vince le elezioni con il 35% dei consensi» - ha spiegato Franceschini - «Non si può governare il Paese con il 30% dei voti e se vincesse solo uno dei poli così, sarà in grado di affrontare la crisi? Serve una forza numerica e politica che comprenda che c’è un’emergenza del Paese, serve avere dentro Confindustria e i sindacati per fare riforme strutturali e chiedere sacrifici».

Sul bipolarismo, Franceschini ha detto che è cambiato il sistema politico: «il terzo polo è nato con persone provenienti in prevalenza dal centrodestra, ma adesso esiste e il sistema è tripolare». Un terzo polo che - ha sottolineato Franceschini - oggi è un po’ una novità e, come tutte le cose nuove, ha capacità attrattiva, per questo è indispensabile dialogarci, anche perché «una parte del nostro campo non è utilizzabile come forza di governo».

Il ruolo del Pd deve comunque essere quello di parlare all’Italia, per Franceschini, spiegare ai cittadini dove si vuole portare il Paese, proponendo una visione alternativa a quella del centrodestra e mettendo in campo battaglie che facciano distinguere da essi.
Franceschini non ha risparmiato accuse alla Lega: «ha usato delle paure reali e le ha enfatizzate per dividere, mettendo tutti contro tutti all’insegna del “si salvi chi può”, ma in tutto il mondo, il messaggio che la politica deve dare è che dobbiamo salvarci tutti insieme».
Franceschini poi ha segnalato che «dobbiamo riappropriarci di parole come regole, merito perché non possiamo rinunciare a fare andare avanti chi è più bravo, altrimenti i giovani vanno in altri Paesi, mentre la creatività è una nostra risorsa che può renderci competitivi nel mondo e, per questo, occorre investire in scuola, formazione, università, ricerca».
Collegandosi alle problematiche del territorio, Franceschini ha rilanciato anche la sfida della green economy: «dobbiamo investire sull’ambiente, sarà ciò che è stata l’informatica negli anni ‘80».

Franceschini ha chiuso con una considerazione sul Partito Democratico, ricordando che si deve difendere l’idea di un partito che è nato per cambiare tutto e, per questo, «non dobbiamo dilaniarci al nostro interno: le sfide che abbiamo davanti riguardano il destino del Paese e non consentono divisioni».
Video del discorso di Franceschini a Mestre di Stefano Saoncella:
prima parte, seconda parte, terza parte.

Pd Mestre

Un grazie speciale a Stefano, Mario e a tutte le persone conosciute a Mestre: siete stati gentilissimi, è stato davvero un piacere scambiare qualche parola e qualche impressione con voi e spero che non mancheranno altre belle occasioni per incontrarci. Grazie a tutti!

lunedì 15 novembre 2010

Pisapia, le primarie e il Pd

A Milano si è appena conclusa una domenica di primarie. Il centrosinistra ha scelto il suo candidato sindaco per le elezioni comunali: Giuliano Pisapia.
In corsa, questa volta, c’erano dei validissimi candidati e la sfida è stata vera.
Giuliano Pisapia aveva il sostegno ufficiale di Sinistra Ecologia e Libertà, ma è stato largamente apprezzato anche dalla base del Pd (come poi ha dimostrato l’esito del voto). Stefano Boeri aveva l’appoggio del Pd (tutto a livello ufficiale e con qualche distinzione rimasta però per lo più in ombra). La candidatura di Valerio Onida è nata con l’appoggio di un comitato esterno anche se vicino al Pd (e forse proprio questa candidatura ha giocato in sfavore di Boeri). L’ecologista Michele Sacerdoti era il candidato più in ombra e autonomo.
La giornata di pioggia non ha certamente incentivato le persone ad andare a votare, anche se guardando le tante code ai seggi, il calo di affluenza che è poi risultato dai conteggi non era affatto percepibile.
Quello che invece si percepiva benissimo era il tipo di elettorato che partecipava: a sfilare davanti ai seggi delle primarie erano in prevalenza persone anziane (anche molto anziane), tutti ex qualcosa (ex-pci, ex-ds, ex-socialisti, ex-sinistra). Sono loro la base che sempre si mobilita per questi appuntamenti elettorali in prevalenza e, se da un lato è ammirevole l’impegno e la dedizione per degli ideali da parte di queste persone che spesso, pur acciaccate, escono di casa e si mettono pazientemente in fila, dall’altro lato non si può non notare che puntualmente esprimono scelte di voto più vicine al passato che non al futuro. Alle primarie per l’elezione del segretario del Pd vinse Bersani e qui ha vinto un candidato di chiara espressione di sinistra: insomma, se non è ancora chiaro, la base che il Partito Democratico riesce a mobilitare è sempre la stessa ed è di sinistra e non smette di chiedere al suo partito di fare scelte di sinistra.
Il Pd ci prova in tutti i modi a scommettere su progetti diversi e su candidati meno legati a quel passato ma, non c’è nulla da fare, il nuovo non si mobilità, non viene a votare e trionfa l’ideologia: “gli elettori hanno preferito un candidato di bandiera”, ha scritto qualcuno su facebook ed è così.
È evidente che se la situazione è questa, il Pd dovrà anche cominciare a studiare altre forme di partecipazione (oltretutto in questo caso le primarie sono state anche poco partecipate) e soprattutto prestare più attenzione alle candidature che sceglie di mettere in campo.
La scarsa affluenza ai seggi delle primarie di per sé dovrebbe far aprire una discussione interna: davvero è solo la pioggia che ha tenuto gli elettori a casa?
Probabilmente no.
Probabilmente la bellissima campagna elettorale organizzata non ha saputo raggiungere adeguatamente tutti i cittadini (del resto bastava partecipare a qualche appuntamento per comprendere che le facce presenti erano più o meno sempre le stesse di persone dei circoli o legate alle amicizie dei circoli e pochissimi gli estranei). In questo senso il “porta a porta” è sicuramente una scelta utile, da intendersi come “fare una comunicazione capillare in grado di raggiungere tutti” e non tanto di suonare ai vari campanelli e quindi c’è senza dubbio la necessità di organizzazione.
Ma questo da sola non basta, occorrono anche scelte politiche credibili.
Qualche considerazione sulle scelte fallimentari del Pd milanese e lombardo, infatti, va fatta perché la sconfitta del candidato che aveva scelto di appoggiare alle primarie è solo l’ultima di una lunga serie.
In queste primarie, molti hanno contestato che il Partito Democratico sostenesse ufficialmente un candidato, ma la realtà è che il Pd ha diritto di schierarsi, scegliere chi gli pare e sostenerlo; esattamente come Sel ha appoggiato Pisapia.
Solo che, forse, il Pd ha scelto il candidato sbagliato a cui si è aggiunta la successiva candidatura di Onida (arrivata poco dopo che il Partito Democratico aveva espresso il suo sostegno a Boeri) e che inevitabilmente ha sottratto voti.
L’architetto Boeri era quello di minor spessore dal punto di vista politico tra i candidati in campo (per non dire per nulla politico). Il Pd ha sostenuto Boeri perché lo ha ritenuto in grado di raccogliere un consenso vasto sulla città di Milano, così da poter battere il centrodestra (perché l’obiettivo vero che deve essere chiaro a tutti è che non basta vincere le primarie, ma conquistare il comune).
Per Boeri è stata fatta una splendida campagna elettorale, moderna, aperta, partecipata ma, probabilmente, il problema vero era proprio Boeri stesso e la sua non appartenenza politica per la base dell’elettorato che ha votato alle primarie (senza contare le implicazioni nella vicenda expo dell’architetto e l’amicizia con il tanto contestato palazzinaro Ligresti).
Insomma, Boeri è stato bravissimo, simpatico, ha mostrato grandi competenze e capacità e magari sarebbe stato anche un ottimo sindaco ma politicamente è inconsistente e l'elettorato arrivato a votare oggi era fortemente connotato politicamente.
“Le indicazioni del partito da una parte, gli elettori dall'altra”, ha commentato qualcuno sulla rete. E non è una novità, per questo, il Pd milanese qualche responsabilità è il caso che se la assuma.
Ovviamente è difficile che ciò accada perché il sostegno alla candidatura di Boeri è stato espresso ufficialmente da tutti, anche da coloro che non erano d’accordo (innanzitutto perché non ci sono state molte occasioni per discuterne e poi perché le defezioni sono rimaste piuttosto “silenziose” e hanno agito senza disturbare troppo il lavoro ufficiale, per giusto senso di responsabilità verso il partito) e la candidatura unitaria implica una responsabilità generale e quindi è come dire che non è colpa di nessuno.

Più facile sarà cercare di scaricare la colpa sulle primarie, che certamente qualche problema lo creano se vengono gestite male, ma anche su Valerio Onida (che sicuramente ha portato via dei voti utili a Boeri e che ha fatto una campagna elettorale piuttosto brutta e tutta giocata contro il Pd per guadagnare qualche titolo sui giornali).
La realtà, però, è che Onida è una persona di alto spessore politico e noto sia nel mondo cattolico che tra i giustizialisti di sinistra che lo hanno ascoltato tante volte nei convegni in cui si parlava della difesa della costituzione e, forse, se fosse stato sponsorizzato al posto di Boeri (nonostante l’età non proprio giovane in tempi di “rottamazione”) avrebbe potuto spuntarla, ma ormai il Pd aveva scelto l’architetto ed era difficile tornare indietro.
La domanda che sorge spontanea è: ma possibile che nel Pd non si sapesse che Onida stava per accettare la candidatura? E se lo si sapeva, perché non si è scelto un candidato dal così alto spessore politico ma certamente non un estremista per preferire un candidato “civico” fratello di un economista famoso (perché ovviamente quello noto era Tito, non l’architetto Stefano)? Ha senso puntare su un candidato “civico” dopo la gestione disastrosa della Moratti (che politica non è) quando si ha a disposizione un così valido esponente politico non legato ai partiti?
Domande da riunioni interne al Pd. Domande che forse adesso sono inutili e che comunque difficilmente avranno risposta perché adesso sono già tutti pronti a concentrarsi sulla nuova campagna elettorale che dovrà portare Pisapia a Palazzo Marino. Cosa giustissima, anche se la politica fatta all’esterno non deve essere un alibi per nascondere il problema interno.
Il vero problema di oggi è: Pisapia, potrà battere la Moratti?
Quanti elettori non di sinistra lo voterebbero?
L’affluenza alle primarie al di sotto delle aspettative, come scrive Civati (in una cautissima analisi), indica che in questo momento il centrosinistra non sta bene.
E soprattutto ha senso una candidatura legittimata da una parte ristretta di elettorato? È chiaro che non è colpa di quelli che hanno votato se una parte, magari in disaccordo con il loro voto, non si è presentata alle urne ed è chiaro anche che una legittimazione di 68mila persone è sempre molto più ampia di quella di pochi dirigenti chiusi in una stanza, ma il problema esiste.
La città di Milano è grande e tendenzialmente vota a destra... Basteranno i disastri fatti dalla Moratti per convincere i cittadini a non rivotarla?
Oltretutto Pisapia è il candidato di Sel, che è un partito che conta poco o nulla ma che adesso alzerà inevitabilmente la posta in gioco e pretenderà di avere un bel peso.
Adesso sono tutti bravi a dire che daranno il loro sostegno a Pisapia e non c’è dubbio che lo facciano davvero: la base del Pd non avrà difficoltà a appoggiarlo e il voto di oggi lo ha dimostrato ma il problema è capire se il resto della città vorrà votare un candidato così marcatamente di sinistra. Probabile un ritorno sulla scena di Berlusconi che gridi il pericolo del ritorno dei comunisti o una campagna martellante della Lega su immigrazione e insicurezza.
Ovviamente gli elettori di Pisapia non si sono mai posti questi problemi, per loro è il miglior candidato che ci sia (e sicuramente è validissimo). Qualcuno, su facebook, afferma che ha vinto Vendola (per il grosso apporto che il leader di Sel ha dato alla campagna elettorale), qualcun altro ironizza “Per il futuro della sinistra rivolgersi a Fini”.
Altro punto su cui discutere, infatti, è l’assenza dei big nazionali Pd per Milano. Lo scenario si era già visto ai ballottaggi per le elezioni provinciali che portarono alla sconfitta di Filippo Penati (giugno 2009), alle elezioni regionali (con qualche iniziale eccezione) che portarono sempre alla sconfitta di Penati e adesso (mentre per Pisapia è arrivato Nichi Vendola).
La domanda che viene da farsi è: i leader nazionali hanno così paura a metterci la faccia sulle questioni lombarde perché sanno di andare incontro a sconfitte certe? Nel caso dei ballottaggi alle provinciali, Penati disse di non volere l’appoggio di nessuno perché in Lombardia ce la saremmo cavati da soli. Difficile dire se era la verità, una scelta tattica perché anche allora il Pd nazionale non stava benissimo (inoltre era guidato da Franceschini e non è che con Penati andasse proprio d’accordo) o se fu una scelta per dimostrare che il Nord sa compiere le sue scelte senza bisogno che arrivino imbeccate da Roma. Sta di fatto che il Pd ha sempre perso e l’attenzione che sanno suscitare esponenti di spicco della scena politica nazionale, difficilmente riesce ad averla un candidato locale e, anche solo dal punto di vista della “capillarità della comunicazione” e dell’attenzione dei media, avere qualche politico di peso da spendere sul campo sarebbe stato utile (il centrodestra stesso mette in campo Berlusconi in prima persona).
La realtà comunque è che Pisapia non è Vendola e adesso ha bisogno di campagna elettorale forte e che sia in grado di parlare davvero a tutti e non solo ad una parte politica.

lunedì 8 novembre 2010

Firenze e Roma

Firenze e Roma
I “rottamatori” e il “partito”.
“Prossima Fermata Italia” e “Assemblea Nazionale dei Circoli”.
Due eventi importanti per gli appartenenti al Partito Democratico, entrambi perfettamente riusciti (ciascuno secondo il suo punto di vista) ma entrambi nati con l’intento di essere l’uno contrapposto all’altro.
I “rottamatori” - come sono stati ribattezzati dalla stampa quelli che si sono riuniti a Firenze, sulla scia di una battutaccia fatta da Matteo Renzi in un’intervista sulla necessità di «rottamare» la vecchia classe dirigente del Pd, insieme alle idee di cui sono portatori - però di strada ne hanno percorsa da quell’annuncio potente di rivoluzione in nome del rinnovamento all’assemblea in corso in questi giorni.
I richiami fatti a Renzi da tutto l’establishment del Pd in queste settimane (dalla richiesta di «rispetto» al non «picconare la ditta» in un momento politicamente delicato) probabilmente hanno funzionato e il risultato è che hanno prodotto l'effetto di correggere profondamente il tiro dell’assemblea fiorentina e, abbandonato il vocabolario della rottamazione (se non per qualche battuta leggera) ne sta uscendo una buona discussione, per lo più centrata su contenuti di interesse per il Paese e non sul partito.
Lo stesso Matteo Renzi, che in televisione appare come un tipo antipatico e arrogante, è riuscito a trasformarsi in un tranquillo e simpatico conduttore, la cui ironia serve a far divertire e ad alleggerire la tensione del momento e a rendere godibile la lunga assemblea.
Idem per Pippo Civati, abile blogger, ma sempre piuttosto spocchioso che, invece, in questa occasione, sembra più tranquillo e normale.
A seguire dal web le due assemblee si notavano le enormi differenze, sia dal punto di vista della forma che dei contenuti.
Da Firenze la diretta web (su più siti) va e viene, forse per i troppi contatti, però quello che appare è un incontro sereno che avviene in un clima molto friendly, piacevole da seguire, in una forma molto innovativa, con Renzi e Civati che giocano a fare un po' i personaggi con il loro modo di condurre ma che creano vivacità (che nelle assemblee è utile per non addormentarsi).
Il vero rinnovamento di Firenze sembra proprio qui: nella formula scelta per l’assemblea, più che nell’età dei suoi protagonisti (i giovani di età non sono poi tantissimi) e dei contenuti (le proposte moderne e innovative si alternano ad altri spunti di riflessione non proprio contemporanei).
Insomma la rivoluzione a Firenze non sembra esserci, però, quell’assemblea aggiustata in corsa ha permesso di far rientrare in modo utile i termini della contestazione al gruppo dirigente ed ha prodotto una discussione vivace e interessante per il Paese oltre che per il Pd (o almeno per quel pezzo di Pd che fatica a riconoscersi nella linea espressa da Bersani).
Roma, invece, è un’altra storia.
L’Assemblea dei circoli è stata indetta in questa giornata con il chiaro intento di portare via persone da Firenze (sebbene il gruppo dirigente lo abbia sempre negato). E, in un clima politicamente surriscaldato (sia all’esterno che all’interno del Pd), è naturale che la maggior parte degli appartenenti al partito scelga di compattarsi attorno al segretario.
È naturale tanto più alla luce di come si era posta l’assemblea dei cosiddetti “rottamatori” (che appunto minacciavano di voler «rottamare» tutto e tutti) e delle ambizioni sempre troppo evidenti di Renzi (visto da molti come il Berlusconi del Pd).
Da quell’impostazione iniziale delle cose, da Roma non è stato fatto alcun passo avanti, come se tutte le aperture e gli ammorbidimenti di Renzi avvenuti in questi giorni non avessero cambiato il clima di una virgola e lo show che andato in scena all’auditorium di via della Conciliazione, più che un’assemblea dei circoli, è sembrata una resa dei conti dei bersaniani contro tutto il resto.
La scenografia utilizzata era la stessa dell’assemblea nazionale di Varese, il palco era bellissimo ma anche profondamente impegnativo (era quello di un teatro vero), così come un certo timore poteva incuterla la grande sala affollata dalle luci abbassate.
Un’impostazione molto diversa da quella di Franceschini alla Fiera di Roma dello scorso anno, con lo spazio per parlare al centro e tutta la gente intorno.
A guardarla via web, l’assemblea romana è sembrata vecchia, così come vecchi sembravano molti di quelli che hanno preso la parola, compresi i giovani che parevano zombie mentre lanciavano volutamente strali contro «la politica hollywoodiana» (ricordando tanto la lettera dei giovani turchi).
La discussione è proseguita con un susseguirsi di formule antiche per lo più e volutamente dette contro qualcuno (più contro Veltroni che contro Renzi a dire il vero): in generale, ad essere contestata è tutta l’impostazione che il Partito Democratico si era dato alla sua nascita e poi portata avanti da Franceschini e che, in parte, è ritornata anche nelle richieste di Firenze.
Insomma, a Firenze, rispetto all'annunciata rottamazione, si è corretto il tiro e il clima si è molto ammorbidito e ne sta uscendo una buona assemblea (indipendentemente dalla validità o meno dei contenuti proposti).
A Roma, invece, doveva esserci un'assemblea dei circoli per parlare delle istanze locali e portarle al segretario, invece è rimasta per lo più un'assemblea “contro”, in cui molti intervenuti sembravano una pura espressione dell’apparato e hanno usato quel palco per parlare contro altri (spesso con argomenti anche di una politica vecchio stile, legittima - soprattutto perché i circoli nella fase veltroniana hanno subito molti sbandamenti e si sono ritrovati privi di un reale ruolo politico - ma qui è stata usata volutamente contro qualcuno).
La sintesi di tutto avrebbe dovuta trarla il segretario Bersani, cercando di mediare metodi e temi, ma ciò non è avvenuto. In quel «non sono uno permaloso, si può discutere», Bersani ha espresso chiaramente qual è il suo punto di vista: fregarsene e tirare dritto per la sua strada, non ascoltando nessuno. Questo è il dramma del Pd: è giusto che un segretario decida, Bersani ha vinto il congresso e ha diritto di scegliere la linea politica del partito (che poi ha espresso nel corso del suo discorso: niente partito personalistico, niente nome nel simbolo, radicamento sul territorio, porta a porta, aderenza alle proposte presentate nei giorni scorsi, manifestazione contro il governo l’11 dicembre), ma ha anche il dovere di prendere atto che c’è una parte del suo partito che in quella linea fa fatica a riconoscersi e chiede conto di alcune questioni. 

Il discorso di Bersani di oggi all’Assemblea dei Circoli - in cui ha mischiato argomenti interni di partito a linea politica a messaggi per l’esterno - tutto sommato è stato anche ben articolato dal punto di vista comunicativo, condivisibile in molti punti, ma completamente privo di aperture verso quella parte che gli ha espresso un disagio e a cui si è limitato a dire che sono stati inseriti molti giovani nelle segreterie (come se il rinnovamento fosse solo un problema anagrafico: lo si è visto anche dai discorsi fatti in assemblea che c’è un problema di discordanza di vedute) e che comunque occorre «rispetto per la ditta e per gli appartenenti all’associazione». 

Probabilmente la colpa è anche dei “rottamatori” che inizialmente sembravano avergli mosso una dichiarazione di guerra, ma la realtà è che pure se avessero usato altre parole, sarebbero stati ignorati ed è un peccato perché il Pd è più vario e articolato della maggioranza del suo gruppo dirigente. Inoltre, come ben segnalava David Sassoli nell’ultimo incontro di AreaDem a Cortona, è vero che il momento politico è delicato e nel Pd c’è bisogno di unità, ma è anche vero che questa unità non può essere solo praticata dalla minoranza: spetta anche e soprattutto alla maggioranza che ha vinto il congresso cercarla e, nell’assemblea dei circoli di oggi, un po’ più di equilibrio non avrebbe guastato.

Personalmente, sono rimasta colpita da questa gestione assurda delle vicende.
Non amo Renzi e nemmeno Civati. Fino a qualche settimana fa non li ho nemmeno presi in considerazione, poi molti amici di AreaDem (giovani e meno giovani) mi hanno chiesto se sarei andata a Firenze e allora ho cominciato a guardare cosa stava accadendo.
Vorrei segnalare ai tanti che guardano con malcelato schifo l’Assemblea della Stazione Leopolda che in quella sala c’è gente del Pd, gente a cui sta a cuore il Pd e che non si riconosce nella linea espressa dalla segreteria e cerca uno spazio per esprimere il suo pensiero e magari trovare qualcuno che lo raccoglie e non qualcuno che dice «discutete pure, tanto poi faccio come mi pare».
A molti di quelli presenti in quella stazione non importa niente delle mire ambiziose di Renzi, ma sono curiosi di capire quali idee verranno messe in campo.
Molte di quelle persone che sono lì erano e sono anche in AreaDem e chiedono lì le stesse cose che hanno cercato da noi e che forse ora faticano a trovarle: «Noi non ci fermiamo» - mi aveva detto un ragazzo a Cortona - «Noi andremo ovunque portando le nostre idee e se vorranno ascoltarle ci farà piacere, lottiamo per questo, non per altro». E quel ragazzo merita rispetto per l’impegno che mette e per quanto ci crede.
Renzi non è Veltroni, il metodo della «rottamazione» non è il «documento dei 75»: sono sbagliati entrambi, solo che Renzi lo ha capito che non conveniva giocare in salita contro il mondo e ha cambiato registro e dalla riunione fiorentina sta uscendo una discussione vivace e interessante; i 75 formalmente non si sono mossi di una virgola, poi nella pratica hanno fatto marcia indietro ma ciò che è rotto non si ricompone.
Personalmente provo un disagio enorme di fronte a questa situazione: vogliamo tutti un cambiamento ma ci siamo frammentati sempre di più e così facendo avremo sempre meno possibilità di ottenerlo.
Personalmente non condivido il linguaggio di Renzi e l’ergersi sempre un piano sopra gli altri di Civati e non condivido nemmeno molte delle istanze che sono state portate in quell’assemblea e per questo non ho voluto andare a Firenze: i tempi, i modi, le forme e anche i contenuti contano.
Ma quando vedo i miei amici di AreaDem a Firenze, non posso fare a meno di chiedermi perché quelle cose sono dovuti andarle a dire lì? Perché non le hanno più trovate da noi? E non credo sia sempre colpa degli altri: qualche sbaglio lo abbiamo fatto anche noi se perdiamo pezzi.
Di Firenze, poi, salverei la formula: quell’approccio friendly (conduzione vivace, interventi a tempi certi, intermezzi di filmati) è utilissimo nelle assemblee e tutto il Pd dovrebbe farne tesoro.
Se avessi dovuto scegliere, probabilmente, oggi sarei andata a Roma perché l’Assemblea dei circoli era un incontro ufficiale del Pd e alle ricorrenze ufficiali mi piace essere presente. Eppure sono certa che se fossi stata a Roma avrei provato un enorme disagio per i discorsi che sono stati fatti sul palco: non sono una veltroniana, ma quell’accanirsi contro la politica hollywoodiana e quei richiami continui all’organizzazione erano un attacco pesante a tutto il Pd precedente ed erano un profondo modo di guardare indietro anziché avanti.
I circoli hanno vissuto male l’inizio del Pd perché si sono visti spodestati del loro ruolo politico in nome di una modernità presunta e si sono trovati a fare solo da distributori di volantini. Tuttavia non è eliminando la cosiddetta “politica hollywoodiana” che torneranno a fare politica e il radicamento sul territorio non esclude una caratterizzazione più marcata delle leadership e dei programmi e questo qualcuno lo doveva spiegare! Lo si deve spiegare ai circoli che stanno a dare volantini sul territorio tutti i giorni durante le campagne elettorali che, se non prendono un voto e il Pd non viene nemmeno percepito, non è colpa loro ma il problema sta nei mass media che fanno opinione e lì il Pd ne esce un disastro perché comunica malissimo a livello centrale!
Domani si volta pagina, domani ci si concentrerà sul “porta a porta” e poi sui preparativi della manifestazione dell’11 dicembre. Tutto giustissimo, ma non nascondiamo in continuazione la polvere sotto al tappeto, certe cose è meglio dirsele e magari risolvere una volta per tutte per poi ripartire tutti insieme più serenamente e più convinti con ciò che si deve portare avanti.

domenica 7 novembre 2010

Nichi affascina Milano

Folla per Nichi Vendola al Teatro Dal Verme di MilanoTanta gente, anzi tantissima quella arrivata al Teatro Dal Verme di Milano questa sera per ascoltare Nichi Vendola.
L’appuntamento era per le 20.30 ma alle 20.45 le persone rimaste fuori dal teatro di 1500 posti, perché già troppo pieno, erano moltissime e tutte assiepate intorno ad uno schermo che trasmetteva ciò che accadeva all’interno.
Ufficialmente si trattava di un incontro per la campagna per le primarie di Giuliano Pisapia (sostenuto da Sinistra Ecologia e Liberà) ma le persone che hanno continuato ad arrivare nel corso della serata e che hanno occupato anche tutta l’area intorno al teatro non erano solo i suoi sostenitori ma anche appartenenti ad altre formazioni politiche che semplicemente volevano ascoltare Vendola.
Sì Nichi Vendola, l’uomo che ha ridato speranza alla sinistra con la sua “narrazione”, la passione e l’enfasi che mette nei discorsi; che ha saputo davvero creare una visione alternativa di società al modello imposto dal centrodestra. Una visione certamente molto identitaria, di sinistra ma allo stesso tempo moderna, diversa da quella degli altri gruppi extra-parlamentari di quel campo e forse in grado di tradursi anche in forza di governo partendo dall’esperienza maturata nella Regione Puglia.
La curiosità di vedere e di ascoltare quest’uomo dei miracoli che, presentandosi sempre per ciò che è (gay, comunista e cattolico), ha sovvertito tutte le logiche illogiche dei partiti, vincendo per due volte le elezioni regionali e suscitando emozioni, squarciando il grigiore piatto che da troppo tempo accompagna le parole della politica nel campo del centrosinistra, era davvero tanta anche nei milanesi.
Impossibile avvicinarsi a Nichi (così lo chiamavano tutti) appena arrivato al teatro: troppa folla, troppa ressa di giornalisti, fotografi, addetti alla sicurezza, ragazzi appassionati che cercavano di eludere le forze dell’ordine (piuttosto irascibili e maleducate) presentando tessere di qualsiasi cosa pur di riuscire a farsi trovare un posto all’interno.
Niente da fare: i posti a sedere sono spariti subito, molti occupati come sempre dall’establishment dei partiti, dagli invitati illustri e dai raccomandati di turno e quelli restanti presi al volo da chi si è presentato al teatro con largo anticipo.
Per tutti gli altri non è rimasto altro che il piazzale antistante, lo schermo messo troppo in basso per poter essere visto e le casse per ascoltare almeno le parole.
E sulle parole, Nichi Vendola ha fatto un po’ impressione quando ha parlato di Milano, lui che è stato a Milano da oggi pomeriggio al seguito di Pisapia e che prima lo si era visto solo il 25 aprile. Gli argomenti negativi ovviamente erano tirati fuori solo in chiave elettorale, al fine di far comprendere come Letizia Moratti ha ridotto la città, ma faceva impressione ugualmente ascoltare un non milanese che Milano la conosce davvero poco, parlare in un quel modo della città.
Tuttavia, un grande applauso, Nichi lo ha strappato subito dicendo che, se il pasticcio che ha combinato Letizia Moratti con l’Expo fosse accaduto in una città del Sud, sarebbero piovuti immediatamente giudizi pesanti e accusatori nei confronti del Meridione, mentre essendosi trattato di Milano, nessuno ha aperto bocca.
La serata - moderata da Gad Lerner - è poi proseguita con i temi della campagna elettorale, accenni alla situazione nazionale e le persone che hanno continuato ad arrivare sempre più numerose intorno al teatro.

P.s.: Purtroppo anch’io sono tra quelli rimasti fuori e ad un certo punto mi sono arresa, perché anche l’ascolto si faceva difficile, e sono venuta via. Mi spiace perché ero davvero curiosa di ascoltare Vendola ma, purtroppo, ogni volta che torna a Milano è impossibile incontrarlo. Ci riproverò la prossima volta.

domenica 31 ottobre 2010

Maschilismo istituzionale

Della vicenda di Ruby e Berlusconi sono tanti i punti che farebbero rabbrividire se fossimo un Paese normale.
In un Paese normale, non credo sia così accettabile che un Presidente del Consiglio, un capo del Governo, si possa permettere la libertà di rivendicare il diritto ad andare con le prostitute, per di più minorenni. In Italia si può fare.
In Italia, e probabilmente anche altrove, la maggior parte degli uomini di potere (politico, economico, industriale) va a prostitute perché lo ritiene uno status symbol oltre che per “divertimento” (parola da usare nell’accezione puramente maschile).
Solo che altrove, se si scopre che un rappresentante delle istituzioni va a prostitute, per di più minorenni, se gli va bene fa scoppiare uno scandalo, ma di solito arriva a dimettersi.
In Italia è normale che i politici vadano a prostitute (le chiamano “escort” perché “fa più figo”) e, se si scopre, pretendono pure di archiviare il tutto come vicenda privata, incuranti di tutte le leggi che hanno cercato di emanare per arginare il fenomeno della prostituzione, delle sanzioni ai clienti e di tutti gli anatemi che lanciano dal pulpito dei comizi durante le campagne elettorali quando si tocca un tema del genere.
In un Paese normale non credo sia accettabile che nelle residenze del capo del Governo si svolgano feste e festini a luci rosse o quasi. In Italia, invece, è diventato normale che ciò accada.
Berlusconi si definisce «eletto dal “popolo”» e quindi rappresentante di esso. Chissà se il “popolo” è contento di avere un simile rappresentante istituzionale? Magari quello dei suoi elettori, sì (eppure dovrebbero capire che l’unica vera libertà fino ad ora invocata da Berlusconi è la sua - attraverso lodi, leggi ad personam, bugie varie - e non quella del suo “popolo” che pure vorrebbe esser liberato da tanti ingombri e magari vorrebbe anche essere invitato a quegli allegri festini con donnine tanto disponibili).
Tuttavia, Berlusconi dovrebbe ricordarsi che, da Presidente del Consiglio, rappresenta anche quegli italiani che non lo hanno votato e che, magari, da un uomo delle istituzioni si aspettano qualcosa di diverso che “donne, viagra e lap dance”.
Ma tutto questo avrebbe senso se l’Italia fosse un Paese normale, invece è semplicemente l’Italia.
E allora è inutile sforzarsi di capire a che punto di bassezza istituzionale e non solo siamo arrivati, però c’è una frase, in quest’ultima assurda vicenda, che mi ha colpita particolarmente ed è una dichiarazione in cui Berlusconi si giustifica grossolanamente per l’accaduto: «Amo la vita e le donne. Faccio una vita terribile, ho orari disumani. Io sono una persona giocosa, se ogni tanto sento il bisogno di una serata distensiva come terapia mentale per pulire il cervello da tutte le preoccupazioni, nessuno alla mia età mi farà cambiare stile di vita del quale vado orgoglioso».
Personalmente, trovo che questa frase sia ancora più grave di tutto il quadro in cui si inscrive la vicenda di Ruby.
Con questa frase, Berlusconi ha lasciato emergere tutto il peggio del pensiero maschile e maschilista secondo cui le donne sono da considerarsi come oggetti per “serate distensive”.
Pensiero questo che, purtroppo, è ancora nella mente di tanti uomini ma che è tanto più grave se è detto con tanta nonchalance dal Presidente del Consiglio, rappresentante istituzionale di donne e di uomini.
Che garanzia è per le donne un rappresentante istituzionale che pensa di loro una simile cosa?
Personalmente, rabbrividisco.


mercoledì 27 ottobre 2010

Da Cortona una nuova AreaDem


Una nuova partenza per AreaDem a Cortona il 22-23-24 ottobre, dopo la fuoriuscita dei 75 firmatari del documento di Veltroni-Fioroni-Gentiloni e dopo la riunione riorganizzativa che si è tenuta a Roma lo scorso settembre.
Una nuova partenza per un gruppo che ha scelto una strada di responsabilità verso la gestione bersaniana del Partito Democratico ma che al tempo stesso non ha rinunciato ad esprimere un proprio punto di vista sulle questioni politiche che maggiormente interessano al Paese.
E allora di nuovo a Cortona, dunque, per «scegliere la strada: la strada per noi, la strada per il Partito Democratico e la strada per il Paese, sapendo che ci aspettano mesi difficili», come ha detto bene Dario Franceschini nella sua ampia relazione di introduzione all’incontro.

Una relazione molto importante quella di Franceschini, in cui sono stati illustrati un po’ tutti i temi a cui mettere mano nelle tre giornate di discussione, riprendendo il messaggio di sfidare la destra sul piano dei valori per proporre un modello di società alternativo e rivisitando in chiave ancora più moderna e innovativa le idee lanciate nel corso della sua campagna congressuale come legalità, regole, merito, attenzione alle donne, mobilità territoriale, diversità come opportunità, welfare universale...
Se avete voglia, leggete il mio commento sull'incontro di Cortona: i contenuti affrontati, gli umori della sala e i nuovi assetti di AreaDem.
AreaDem a Cortona - ottobre 2010

sabato 16 ottobre 2010

AreaDem di nuovo a Cortona

Dal 22 al 24 ottobre prossimi, a Cortona, si tiene un nuovo appuntamento nazionale di AreaDem, l'area del Pd guidata da Dario Franceschini.
I lavori inizieranno alle ore 15.00 di venerdì 22 con la relazione di Franceschini e si chiuderanno alle ore 13.00 di domenica 24 con l'intervento di Piero Fassino.
Sono previsti, tra gli altri, gli interventi del prof. Aldo Schiavone sulla crisi del berlusconismo (venerdì), dell'economista Franco Barucci che affronterà il tema della ripresa e lo sviluppo (sabato), di Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) su nuovi esclusi e nuovi diritti (sabato) e del sociologo Mauro Magatti, preside di sociologia alla Cattolica di Milano, su diseguaglianze e modelli di sviluppo (domenica).
L'incontro si terrà presso il Centro Convegni S. Agostino, via Guelfa 40 a Cortona (Ar).

Un programma così composto si preannuncia interessante anche perché indubbiamente lascia intendere che – al di là del presumibile dibattito assembleare – verranno messi sul tavolo anche contenuti importanti su cui probabilmente si dovranno snodare le proposte politiche di AreaDem (e anche dello stesso Pd).
A voler fare uno sforzo interpretativo di queste poche righe, infatti, si denotano già alcuni contenuti-chiave:
- crisi del berlusconismo: apre le porte alla discussione che si è innescata negli ultimi mesi in merito alla democrazia e alle regole e permette di rendere un po’ più chiaro lo scenario di «emergenza democratica» che spesso ha presentato Franceschini.
- ripresa e sviluppo: può essere l’occasione per offrire possibili proposte per uscire dalla crisi (creando così anche un’importante occasione per AreaDem e per lo stesso Pd di emergere con un contenuto di stretta attualità che coinvolge la vita dei cittadini e le difficoltà che si trovano ad affrontare tutti i giorni).
- immigrazione: l’approccio che si sceglie di dare, attraverso la scelta di Laura Boldrini come relatrice, è in linea con quanto detto da Dario Franceschini durante l’Assemblea Nazionale di Varese (in cui ha sottolineato che sarà sempre contro chi spara ai barconi e, in merito ai rom, ha detto di pensarla come il Cardinale di Milano Tettamanzi) in evidente contrapposizione alla visione veltroniana dell’ingresso a punti presentato in un controverso documento alla stessa Assemblea. Il tema non è da sottovalutare perché la Lega ci ha giocato intere campagne elettorali sulla paura dell’invasione straniera, ma il tipo di approccio scelto è altrettanto importante. Se il documento presentato dal Movimento Democratico e uscito dall’Assemblea Nazionale sull’immigrazione sembra andare verso modelli scelti anche dal centrodestra, Franceschini ha sempre dichiarato la volontà di sfidare la destra sui valori, proponendo propri modelli culturali, diventando dunque l’alternativa al centrodestra e non una fotocopia uscita male. Proposta giusta su molti fronti ma che, andando a scegliere proprio la materia dell’immigrazione per distinguersi, rischia molto.
- diseguaglianze e modelli di sviluppo: altro tema su cui il centrosinistra può giocare le proprie carte e presentare una visione della società ben diversa da quella che si è imposta in 15 anni di berlusconismo.
A leggere le poche righe del comunicato stampa, però, c’è anche un’altra cosa che salta all’occhio e non è da poco: «I lavori inizieranno alle ore 15.00 di venerdì 22 con la relazione di Franceschini e si chiuderanno alle ore 13.00 di domenica 24 con l'intervento di Piero Fassino».
Apre Franceschini e chiude Fassino… Eccola qui la nuova AreaDem: Franceschini – Fassino (esattamente come è stata la campagna congressuale).
Una coppia che, tutto sommato, funziona; anche perché i due gruppi del loro seguito sono riusciti per davvero a “mescolarsi” e lavorare insieme senza troppo guardare alle provenienze.
Quelli che hanno avuto meno difficoltà sono stati i fassiniani perché Franceschini, politicamente, si è comportato spesso come un diessino… Molti problemi in più li hanno avuti i popolari, tanto che in parecchi sono fuggiti al seguito di Fioroni e degli altri –Oni.
Franceschini – Fassino dunque.
Franceschini che, a Roma, all’incontro nazionale di AreaDem indetto in fretta il 30 settembre, in seguito alla rottura con i 75 del documento di Veltroni-Fioroni-Gentiloni, aveva detto di volersi far carico della sua componente, in nome del fatto che era stato lui il candidato alle primarie e i voti erano stati espressi per lui e non per altri.
Franceschini che, però, nello stesso incontro, aveva anche parlato della necessità di «mescolarsi», perché troppo spesso la vecchia Area Democratica era sembrata una sorta di «federazione con gli amici di Tizio e gli amici di Caio».
E Franceschini che, sempre a Roma, aveva espresso la necessità di mettere da parte personalismi inutili e si era appellato alla «generosità personale», ma sembrava una frase rivolta all’uscita di Veltroni che cercava una nuova affermazione per la sua leadership.
Poi Fassino che, a maggio, a Cortona, in un lunghissimo discorso (quasi di chiusura), parlando del tanto inneggiato ricambio generazionale e di eventuali papa stranieri, aveva detto che «i cardinali non possono essere sempre gli stessi».
Lo stesso Fassino che, però, a Roma il 30 settembre, doveva averci ripensato perché il suo discorso (in cui lasciava intendere delle chiare direttive in merito alla necessità di strutturare AreaDem) sembrava tutto tranne che quello di uno che ha voglia di farsi da parte.

E allora cos’è questa coppia Franceschini-Fassino? È un nuovo equilibrismo a due punte?
Fassino è un politico di valore, un “uomo di partito”, uno che lavora e non si è mai fatto prendere da egocentrismo personalistico (insomma, non è un Veltroni) ma dopo quanto è appena accaduto con i 75 del documento, questa nuova “federazione” un po’ preoccupa.
Siamo sicuri che la nuova visibilità guadagnata da Fassino sia solo un modo per aiutare le componenti a «mescolarsi» meglio e che non si riprodurrà nuovamente la «federazione degli amici di Tizio e gli amici di Caio»?
Lo scopriremo a Cortona.
Viene da chiedersi, tuttavia, se questa «generosità personale» di Franceschini non sia un po’ eccessiva…
Insomma, Dario Franceschini politicamente è emerso grazie al ruolo di segretario a tempo determinato del Pd, in seguito alle dimissioni di Veltroni. Non è stato semplice per lui imporsi sulla scena: è un abile comunicatore, conosce perfettamente i meccanismi dei media, ma non gli è bastato per ottenere il consenso che gli serviva.
Oggi, però, è passato molto tempo da allora e Franceschini è a tutti gli effetti uno dei leader del Pd, un uomo politico che conta e sa mettersi in risalto con il suo lavoro in Parlamento.
E dopo tutta la fatica che ha fatto per emergere e per far sapere che forse vale qualcosa, ora che fa? Si nasconde dietro a Fassino?
Piacerebbe dire che c’è una squadra e si è tutti insieme a giocare per portare a casa il risultato, ma la verità che nel Pd in particolare ma anche nella politica in genere, più che in una squadra si è in un branco di squali e vige la regola che “mors tua vita mea” e, allora, anche questi equilibrismi non sono cose di poco conto.
E poi tutti quei bei discorsi che si fanno sempre sulla necessità del ricambio generazionale? Lo si mette in pratica riesumando uno che – per dirla brutalmente come Matteo Renzi – è «da rottamare»?
A parte la brutalità di Renzi e il valore indiscutibile di Piero Fassino, la questione non è da poco, soprattutto alla luce della società di oggi che – fomentata dall’antipolitica – vorrebbe far molto peggio che «rottamare».
Dario Franceschini è più giovane rispetto a Fassino, non solo come fatto anagrafico: anche politicamente è emerso dopo (pur avendo una lunghissima esperienza che, in politica, è cosa utile e non da buttar via) e può rappresentare una buona prospettiva per il futuro del Pd e dell’Italia.
E allora perché “lancia il sasso e nasconde la mano”? Perché rivendica l’Area come sua e poi nasconde la gestione dietro altri?
Oltretutto, oramai, AreaDem ha dichiarato di non voler essere una corrente di opposizione interna ma di voler portare il proprio contributo in collaborazione con Bersani, per cui Franceschini non rischia nemmeno troppo per il suo ruolo di Capogruppo alla Camera…
È davvero solo una questione di «generosità personale» e della necessità di fare squadra o è anche opportunismo di non scoprirsi troppo onde evitare di bruciarsi prima del tempo?
Probabilmente entrambe le cose.
Tuttavia non è una casualità ma una scelta precisa, strategica o meno che sia.
Certo è che tutte queste formalità di convenienza, non aiutano a fare chiarezza e, dopo quello che è appena accaduto con i 75 firmatari del neonato Movimento Democratico, qualche inquietudine la lascia questa scelta.
Lavorare insieme per ottenere lo stesso risultato è una cosa che si impara giorno per giorno e la politica è una pessima palestra per praticare il gioco di squadra.
A Cortona, comunque, ci si proverà e si spera di raggiungere buoni risultati.

A Dario Franceschini
Sono una rompiscatole, una che non si accontenta mai, che pretende sempre moltissimo, a volte anche troppo.
Sono una che si fa un mare di problemi, che “si fascia la testa prima di cadere” - come si usa dire – e, forse questa volta, dovrei aspettare di vedere cosa accade prima di parlare ma, in fondo, sono convinta che le cose sia meglio metterle in chiaro prima, quando non è tutto già definito e c’è ancora spazio per cambiamenti. Prima, insomma, che sia troppo tardi e che il parlarne diventi un’inutile lamentela.
E allora, Dario, te lo dico prima.
Te lo dico da una posizione di sostanziale ignoranza perché gli elementi che ho per valutare la situazione sono pochissimi.
E te lo dico sulla base delle sensazioni che ho percepito man mano che le cose si manifestavano e i posizionamenti che si delineavano.
Insomma, a me questa situazione continua a non piacere. Non sono contenta per niente perché vedo equilibrismi che non mi convincono affatto.
Personalmente sono una che fa tanti distinguo: non metto la faccia su tutto e per tutto, ma quando la metto è perché ci credo e mi impegno fino in fondo e pretendo il massimo anche dagli altri, a maggior ragione lo pretendo dalle persone per cui mi sono impegnata.
Il “per chi” mi impegno non è secondario al “per cosa” mi impegno: le idee corrono insieme alle persone che le portano avanti.
E allora scusa ma, ancora una volta, devo chiederti di più.
Io voglio di più, Dario, voglio che ti prenda le tue responsabilità e che tu ci metta la faccia.
Devi farlo tu perché è per te che ce l’hanno messa in tanti e devi farlo tu se l’Area è la tua.
Questo non implica una compromissione del lavoro di squadra, ma implica che quando si fa una scelta ci si assume anche le responsabilità di questa scelta e ci si espone.
Adesso non ci sono motivi per restarne ai margini, dato che è stato ampiamente dichiarato che non si sta lavorando contro Bersani.
Non è lavoro di squadra mandare avanti un altro. È un risultato incompiuto, è un fermarsi davanti alla porta vuota e, anziché tirare per fare goal, farsi soffiare la palla da sotto i piedi; è come ritirarsi a un passo dal traguardo, proprio quando invece c'è da spingere sull'acceleratore.
Questo lo dico senza voler attaccare Fassino, di cui ho una grandissima stima e, per il quale, probabilmente, mi sarei comunque impegnata, magari anche mettendoci la faccia. Il problema non è Fassino che chiude ma il messaggio che si dà facendo chiudere a Fassino.
Te lo dico perché credo che, a volte, sia necessario fare un po’ di chiarezza: è per te che ci siamo impegnati al congresso, è per te che abbiamo chiesto i voti, è per te e per le idee (erano le tue o di qualcun altro?) che tu hai portato avanti dentro al Pd quando lo gestivi e in AreaDem dopo le primarie che abbiamo continuato ad impegnarci ed è per te e per la linea politica che tu hai espresso che abbiamo scelto di continuare a stare qui invece di schierarci con i 75; e, oltretutto, stiamo anche rispolverando molto della tua piattaforma congressuale, con l’idea di sfidare la destra sui valori e allora ce la vuoi mettere la faccia o devi aspettare che ti arrivi sulla testa un altro documento di delegittimazione per farlo?
Questo cedere improvvisamente è un limite che ho visto spesso per tutto il congresso: forse è un’impressione mia ma molti passaggi li ho percepiti come errori, invece le tue erano scelte strategiche. Stesse scene per la prima Area Democratica, ma allora forse ti era più difficile esporti perché gli equilibri interni erano più fragili e il tuo ruolo di Capogruppo alla Camera ti imponeva di non eccedere con le critiche a Bersani, ma oggi tutto questo non esiste più dato che la linea politica scelta è di collaborazione con il segretario.
E allora dov’è il problema? Non lo capisco.
Per te è una questione di convenienze e pure formalità, per me no: a me non viene in tasca niente e lo voglio sapere per chi sto mettendo la faccia (oltre che per cosa la sto mettendo).
Io voglio di più, Dario. Scusa se non mi accontento.
Sono sicura che a Cortona andrà tutto benissimo, che sarà bellissimo come sempre, ma non vorrei che finisse per diventare di nuovo uno stupido gioco di equilibri.
Forse pretendo troppo, forse ho solo poca pazienza, ma ti ho scelto e continuo a sceglierti per la politica, Dario, non per fare l’equilibrista.

domenica 10 ottobre 2010

L'assemblea, il Nord, la Lega, il Pd

Assemblea Nazionale Pd VareseIl Pd è specializzato per la scelta di location irraggiungibili, ma così irraggiungibili come Malpensafiere non era mai capitato.
I delegati, per fortuna, nella maggior parte dei casi non se ne sono accorti, perché il partito, questa volta, ha organizzato tutto per loro.
I lombardi appiedati, invece, se ne sono accorti eccome della difficoltà di raggiungere il centro congressi, disperso nelle campagne intorno all’aeroporto di Malpensa.
Le navette Pd, infatti, recuperavano le persone nel viaggio di andata del giorno 8 da tutte le stazioni, ma il ritorno era previsto solo a partire dalle ore 23.00 con destinazione hotel. Chi non necessitava di hotel, doveva arrangiarsi. La mattina del giorno 9, le navette recuperavano le persone dagli hotel, quindi gli altri dovevano arrangiarsi.
Nulla di male, è giusto che il partito pensi ai suoi delegati, ma dato che si era annunciata questa assemblea a Varese come luogo simbolo per parlare al Nord, magari sarebbe stato il caso di incentivarlo un po’ il Nord a venire a vederla questa assemblea.
Malpensafiere è raggiungibile solo in macchina: non esistono mezzi pubblici che portano lì; le stazioni ferroviarie di Busto Arsizio distano circa 4 Km e l’aeroporto ne dista 15. Se vuoi spendere meno in taxi, devi andare a Busto Arsizio ma, se vuoi trovarlo il taxi, devi andare all’aeroporto…
Mi spiace perdere le due giornate più importanti del mio partito, dove hanno anche detto di volersi occuparsi del Nord, così telefono a mezzo mondo, mando e-mail ma non c’è niente da fare: di questa assemblea non frega niente a nessuno.
Maurizio Martina, qualche settimana fa, aveva inviato un’e-mail ai circoli per dire di far partecipare le persone, poi però non aveva fatto sapere più nulla. La verità è che Martina si è sbagliato, ha confuso l’assemblea (luogo di lavoro dei delegati e di equilibrismi pericolosi dei big del partito e con accesso riservato a delegati, invitati e giornalisti accreditati) con una manifestazione e quando si è accorto della stupidaggine che aveva scritto ha smesso di inviare comunicazioni.
Ma tanto è uguale, pure se avesse mandato gli inviti per tutti, non sarebbe andato nessuno: la maggioranza degli iscritti del Pd è di età molto adulta, di assemblee ne ha viste tante, anche con esponenti politici migliori di quelli attuali, sai cosa gliene importa di andare a sorbirsi due giorni di discussioni vuote nel deserto della campagna varesotta?!
Così al primo giorno rinuncio anch’io: non mi fido ad andare in un luogo del genere sapendo di dover tornare a casa da sola la sera senza aver chiaro con quale mezzo (anche le 21.00 di sera, là in mezzo al niente non sono un bello scenario).
Ci vado sabato, prendo il treno delle 9 fino a Busto Arsizio e spero di trovare un taxi (ovviamente mi porto dietro anche i numeri di Malpensafiere, che non si sa mai).

La giornata è grigissima e anche piuttosto fredda. Sul treno ci sono solo stranieri.
Alla stazione di Legnano c’è un bambino seduto in braccio ai nonni che guarda i treni passare e saluta con la mano.
In mezz’ora sono a Busto Arsizio, come il treno apre la porta mi trovo davanti un muro giallo con la scritta «ti amo principessa». Sorrido.
Cerco il sottopassaggio, scendo le scale e poi non so se andare a destra o a sinistra: non ci sono cartelli, solo scritte di ragazzi sui muri e cattivi odori.
Vado a destra e sbaglio: esco su una strada in cui non c’è niente.
Torno indietro, verso sinistra e finalmente esco sulla stazione: piccola, buia e deserta.
Fuori sulla piazza c’è un signore che fuma, ha una giacca blu, sembra un uomo delle FS, gli chiedo informazioni sui taxi o sui bus.
È un delegato Pd di Milano, il taxi glielo hanno fregato due donne, ma il taxista ha giurato di tornare in un quarto d’ora. Tuttavia, l’amico delegato non è troppo convinto del taxista: «ieri sera per tornare a casa è stato un inferno: avevano chiamato due taxi dalla fiera e non ne arrivava neanche uno, poi ne è arrivato un terzo prenotato da un’altra persona che doveva andare in aeroporto e sono salito anch’io», mi racconta.
Cerco tra i miei numeri di telefono, provo il radiotaxi di Busto ma resto allibita quando sento che a suonare è la colonnina dietro le mie spalle sul piazzale… A cosa serve un radiotaxi del genere?
Chiamo Malpensafiere, mi risponde Giovanni e si offre di aiutarci: cerca un altro taxi ma non c’è, alla fine intercetta una navetta Pd, «sta andando all’aeroporto a caricare delle persone, se volete poi la dirotto da voi, però ci impiegherà mezzora».
Stiamo per accettare, quando appare il nostro taxi, in un tempismo perfetto. Ringraziamo Giovanni e ci mettiamo in macchina verso il centro congressi.
Il taxista è un leghista, ci detesta perché sappiamo solo fare opposizione e odia Di Pietro perché insulta e offende. Vani sono i tentativi di spiegargli che anche Bossi insulta e offende («no, è diverso, è rozzo ma sono solo battute così», risponde) e che il ruolo dell’opposizione è opporsi e il centrodestra faceva lo stesso quando al governo c’era il centrosinistra («quello di Prodi non era un governo e poi i politici fanno così», sentenzia).
Il taxista ci crede al federalismo di Bossi, è convinto che, con quella legge, la Lombardia diventerà come il Trentino Alto Adige.
Mentre il taxista leghista e il delegato Pd discutono, capisco che qui al Nord c’è davvero tanto lavoro da fare e il Pd ha fatto bene a venire, solo che doveva farlo con un’altra forma: non servono i politici se stanno blindati in un’assemblea chiusa e sperduta nel nulla; serve che si facciano vedere, che parlino in piazza, che discutano con le persone, che spieghino loro le bugie della Lega (ma non su un volantino, come dice Bersani, che va bene ma non basta: ci vuole di più, ci vogliono le parole di persone che hanno credibilità, non solo dei comuni iscritti).
Per fortuna il tragitto è breve (8€ che paga l’amico delegato).
Arrivati in fiera scopriamo che c’è già Fassino sul palco a parlare e la sala è stracolma di gente e non ci sono sedie libere.
Abbandono la giacca al guardaroba, faccio un giro di perlustrazione, studio tatticamente i luoghi migliori per piazzarmi poi vado anche in bagno (che non si sa mai che dopo non abbia più tempo).
Bersani mi porta sfortuna, ogni volta che lo incontro mi capita qualcosa e stavolta non sto bene! Non ho preso pastiglie perché me ne sono accorta troppo tardi e non sono sicura di riuscire a stare in piedi tutto quel tempo.
Decido immediatamente di rimuovere il pensiero, quindi cerco di distrarmi come posso: scatto foto e giro un po’ per il padiglione alla ricerca dei conoscenti milanesi e non e ne trovo tanti (Ettore, Piera, Matteo, Diana, Teresa, Roberto, Carlo, Emanuele, Debora, Luca, Sara…).
Wanda mi trova lei: dice che mi ha vista sullo schermo…
Molti mi salutano, mi conoscono ma io ci impiego un po’ a riconoscere loro: la sala è buia e, nonostante gli occhiali, ho difficoltà a distinguere bene le persone (soprattutto quelle viste poche volte).
La platea, che viene salutata con un «Cari dirigenti del Pd» da Bersani (suscitando svariate ilarità), è piuttosto appassionata, segue, commenta e applaude i suoi leader di riferimento.
I massimi esponenti del Pd sono tutti nelle prime file.
I big del partito seduti al tavolo della presidenza hanno facce serissime: ascoltano chi interviene, leggono documenti, scrivono, giocano con i telefoni, giocano con il computer (Scalfarotto twitta tutto, ma anche Sarubbi a bordo palco).
Il computer è il vero protagonista di questa assemblea: chi è collegato ad internet può leggere tutti i cinguettii dei vari delegati in tempo reale.
Franceschini sbircia spesso il monitor di Scalfarotto e Scalfarotto riesce anche a strappare una risata a Franceschini (cosa rara nelle riunioni di partito, ci riuscirà poi anche Bersani con una delle sue frasi incomprensibili).
Sassoli scrive e ogni tanto si alza e fugge, forse a salutare qualcuno o forse a fumare.
Scalfarotto digita sempre.
In sala, i giornalisti vanno e vengono a seconda di chi prende la parola sul palco: Fioroni e Franceschini fanno il pieno (oltre ovviamente a Bersani).
Incontro spesso Balzoni del Tg1 (la cosa mi sorprende perché credevo che avessero inviato un'altra persona) e Chiara Geloni che fa avanti e indietro dalle prime file; cerco l’amica Elisabetta del Tg3 ma non la vedo.
L’assemblea è tranquilla, nella giornata di venerdì, i vari gruppi sembravano essersi venuti reciprocamente incontro con diverse aperture (Letta, Veltroni, Finocchiaro) e, in generale, sembra che l’unità del Pd sia stata ritrovata, nonostante l’intervento di Fioroni molto critico (ma il suo discorso sembra essere rivolto volutamente contro Franceschini e quindi perde consistenza) e Ignazio Marino che – come sempre – ne ha per tutti (memorabile quando ha chiesto a Bersani di spiegare il Nuovo Ulivo perché nessuno ha capito cosa sia)!

Franceschini è chiaro, forte e deciso. Il suo intervento è sulla stessa linea di quello che ormai va raccontando in ogni intervista e in ogni festa democratica: presenta un doppio scenario in cui, nel caso che il governo Berlusconi reggesse ci si deve concentrare sul progetto del Pd, mentre in caso la situazione precipitasse si dovrebbe fronteggiare la possibile emergenza democratica con una risposta di emergenza. A tutto questo, unisce la proposta sul welfare universale, l’importanza di reintrodurre il merito, l’attenzione a come viene trattato il tema dell’immigrazione e un finale importante in cui dice: «Non vorrei che diventassimo un partito che sospende lo scontro il giorno dell'assemblea nazionale e che poi lo riprende il giorno dopo sui giornali», fino poi ad appellarsi direttamente a Bersani per ricordare che alle primarie ha promesso che chi avesse perso avrebbe sostenuto il segretario eletto.
Gli applausi sottolineano più punti del discorso di Franceschini.
Un grande discorso, un grande Franceschini (come sempre e come sempre sono più convinta che mai di averlo sostenuto e di continuare a stare dalla sua parte).
Tuttavia questo finale con questi richiami diretti a Bersani mi turbano non poco: sono correttissimi e sono le stesse identiche cose che Franceschini ha detto anche nelle riunioni di Area Dem (e che comunque condivido), ma questo è un altro contesto e, al di là del clima generale disteso e delle aperture di tutti, un po’ mi inquieta… non vorrei che finissero per aprire spazi ad altre brillanti iniziative di qualche -one di turno…
Personalmente finisco sempre per uscire turbata dalle assemblee politiche, il più delle volte per ragioni di natura non politica. Questa volta il mio turbamento è sia personale che politico, ma ogni dubbio mi viene spazzato via poco dopo quando, nello spazio di un saluto, capisco che chissenefrega, a me va bene così, va bene lo stesso e se sorgeranno problemi li si affronteranno volta per volta: io ho scelto da che parte stare e ne sono fierissima, comunque sia.
Il discorso di Bersani, invece, parte moscio e sconclusionato. Nessuno capisce le battute in bersanese del segretario. Dopo un paio di frasi, ci guardiamo tutti in faccia e ci chiediamo reciprocamente che sta dicendo: bho, non si sa.
Sullo schermo appare inquadrata una signora che sbadiglia, stiracchiandosi le braccia. Lei si accorge, avvampa e si ricompone. La platea scoppia in una fragorosa risata: quello sbadiglio rappresenta tutti noi, è l’emblema del discorso di Bersani. La delegata che sbadiglia è l’immagine simbolo dell’assemblea.
Pian piano il discorso si risolleva e anche il bersanese sembra diventare meglio comprensibile (almeno per una parte della platea). Franceschini diventa il traduttore simultaneo per Scalfarotto, in particolare sull’espressione «sgrugnare» (che fa ridere tutta la sala).
Io sto sempre in piedi e comincio a non poterne più.
Appena Bersani finisce (meglio di come aveva cominciato), tutti si alzano: i dirigenti scendono dal palco, i delegati girano per la sala e cominciamo a salutarsi.
L’assemblea prosegue con i voti sui documenti elaborati nella notte, qualcuno va a mangiare, altri si preparano per ripartire subito.
Anch’io faccio gli ultimi giri della sala, saluto un po’ di gente, mangio qualcosa e mi dirigo verso le navette.
Mi va bene: riesco a prendere quella diretta verso la stazione centrale di Milano. L’autista ci dice che in tre quarti d’ora arriviamo.
Mi siedo, appiccico la faccia al finestrino per un ultimo sguardo al centro congressi, alla gente che continua ad uscire, alle auto blu parcheggiate… Mi dispiace che sia già finita e sia già ora di tornare a casa.
Sono stanca e comincio davvero a non stare bene, nonostante l’aspirina presa in pausa pranzo, ma cerco di non pensarci.
La radio passa le canzoni di Alessandra Amoroso e dei Modà: mi piacciono queste musiche da ragazzini.
Devo avere un’espressione da ebete mentre tengo lo sguardo fisso nel finestrino e i pensieri altrove, mi chiedo cosa penserà la mia vicina di posto. Mi giro, la guardo: non pensa niente, si è addormentata, è stanca anche lei.
Sul pullman ci sono anche Patrizia Toia e Vincenzo Vita: si incontrano per la prima volta, si presentano, parlano tra loro per tutto il viaggio.
A Milano arriviamo in fretta, tra canzoni e commenti politici. In stazione, i delegati raccolgono le loro valigie e si salutano, si ritroveranno a Napoli; io, invece, cerco l’autobus che mi riporta a casa.


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