mercoledì 15 dicembre 2010

Scenari post-fiducia

Una giornata importante quella di ieri nei due rami del Parlamento, dove si votavano le mozioni di sfiducia al governo Berlusconi.
Sfiducia respinta senza troppi problemi in Senato e giocata fino all’ultimo minuto alla Camera con ambigui passaggi di deputati da una parte all’altra.
Alla fine, alla Camera, la maggioranza di governo si è imposta con 314 voti contro 311. Con Pdl e Lega hanno votato i deputati di Noi Sud-Pid, i tre del nuovo Movimento di responsabilità nazionale Massimo Calearo, Bruno Cesario e Domenico Scilipoti, il Libdem Maurizio Grassano, l'ex Idv Antonio Razzi (ora con Noi Sud) e Catia Polidori, Giampiero Catone e Maria Grazia Siliquini di Fli.
Gli unici due che non hanno partecipato al voto, oltre a Fini, sono stati Silvano Moffa (Fli) e Antonio Gaglione (ex Pd passato con Noi Sud).
Di tutti questi, avevano apposto la firma sotto alle mozioni di sfiducia presentate solo: Razzi, Scilipoti, Moffa, Polidori e Siliquini.
Il Partito Democratico è andato in aula compatto per la sfiducia, come si è affrettato a ricordare il capogruppo Dario Franceschini: «Su 206 deputati presenti, abbiamo assicurato 206 voti», riuscendo a far partecipare addirittura Federica Mogherini (prossima al parto) e Marco Fedi (eletto in Australia e affetto da gravi problemi di salute). [Tutti gli interventi delle dichiarazioni di voto degli esponenti del Pd>>]

Da tutto questo emergono in modo evidente due cose: i “comprati” dell’ultima ora appartengono tutti a Idv e Fli.
Per l’Idv che ha giocato l’intera linea politica sull’antiberlusconismo, lo smacco è stato grande e lo ha fatto notare qualche giorno fa Michele Serra su Repubblica, nella sua Amaca, affermando che «Sorge il sospetto che neppure il modello "opposizione tutta d'un pezzo", pancia in dentro petto in fuori, che ha consentito all'Idv una discreta fortuna elettorale, tuteli da fuoruscite imbarazzanti, alla Calearo: e se il Pd ha l'attenuante dei grandi numeri (le comitive folte sono spesso indisciplinate), l'Idv non ha neanche quella».
Per Fli, invece, la vicenda è semplicemente grave: Berlusconi voleva isolare Fini, dimostrargli che non contava nulla e, portandogli via tre voti, ci è riuscito. Fini è riuscito a contenere le defezioni del gruppo di Moffa, il quale però ha subito chiesto le dimissioni di Bocchino, facendo così intuire che la sua linea politica è ben differente da quella espressa dal capogruppo di Fli.
A Casini è andata meglio, i suoi deputati sono fuggiti altrove con qualche settimana di anticipo e lui in aula ha preso le distanze dagli ami lanciatigli da Berlusconi ma, adesso che il governo ha ottenuto una così labile fiducia, resisterà ancora?
Berlusconi e Bossi si sono affrettati a far sapere a Casini di volerlo nel governo: sono ben consapevoli che una maggioranza di tre voti non è sufficiente a garantire la stabilità per portare in aula serenamente i prossimi decreti e, per non fare la misera fine di Prodi, le uniche alternative sarebbero o continuare a comprare voti o andare direttamente alle urne.
A Casini, da buon democristiano, le poltrone sono sempre piaciute. Certo è che di “acqua sotto i ponti” ne è passata da quando ha scaricato Berlusconi e il Pdl e ha avviato la costruzione del “Terzo Polo” e sarebbe un po’ assurdo fare marcia indietro proprio ora.
Tuttavia, sono mesi che si sentono pronunciare da tutti parole come «responsabilità»… E non sarebbe forse un gesto di «responsabilità» andare a soccorrere un governo che non ce la fa, per il bene del Paese che è attanagliato dalla crisi e per cui andare alle urne «sarebbe una sciagura» (come tutti ripetono in continuazione)?
Oltretutto piacerebbe molto anche negli ambienti vaticani, a cui il partito di Casini è tanto legato…
Certo se Casini dovesse giocarsi male questa partita e mettere la faccia su “leggi-vergogna” o leggi ad personam non ne uscirebbe bene ma i politici sono sempre pronti a rivendersi come opere buone per la nazione qualsiasi cosa.
L’unico vero problema di Casini, in questa partita, è il suo tanto amato terzo poloperché inevitabilmente andrebbe a frantumarsi: Berlusconi ha detto in tutti i modi che con Fini ha chiuso e il gesto di comprare i suoi deputati ieri, rifiutando anche ogni trattativa al Senato, ne è stata la chiara dimostrazione.
Fini, da solo, senza Casini, non può fare assolutamente nulla, sarebbe politicamente morto.
Basterà Fini a trattenere Casini dalle tentazioni di Berlusconi?

In tutto questo, emerge anche il dramma del Pd che si è comportato bene sia alla Camera che al Senato, che è reduce da una manifestazione di piazza piena di gente nel cuore di Roma ma che ha investito quasi tutta la sua linea politica nell’alleanza con il terzo polo di Fini e Casini.
Casini si era già dimostrato un alleato frivolo alle elezioni Regionali, ma da allora sono accadute molte cose. Fini, invece, ha sempre detto pubblicamente che ad alleanze con il Pd non era interessato (se poi lo pensi davvero o no, non è dato saperlo, ma almeno è abbastanza furbo da non disorientare il suo potenziale elettorato, in prevalenza di destra).
È chiaro che nessuno ha la sfera di cristallo e non si possono prevedere le situazioni come quella in cui ci si è trovati a votare la mozione di sfiducia alla Camera, salvo quando si è a ridosso dell’evento ma, forse, un po’ di lungimiranza in più in alcune scelte del Pd non sarebbe guastata.
In seguito ad una riunione Pd, pare che il MoDem (di Veltroni, Fioroni, Gentiloni) abbia ricominciato a pestare i piedi e a chiedere un cambio di passo nella linea politica per riportare il partito al centro. Il tutto è stato poi smentito, ovviamente, ma l’impressione è che qualche disagio ci sia.
Non si tratta di pura battaglia interna o di contrapporre sogni meravigliosi a realtà ben diverse, ma la sensazione che qualcosa non funzioni per il verso giusto e che ci si debba correggere, c’è.
È un po’ paradossale che, in questi mesi, il Pd non abbia fatto altro che convocare conferenze stampa nel disperato tentativo di attirare l’attenzione dei media sulle sue proposte concrete per il Paese e puntualmente il giorno dopo un esponente a turno rilasciava interviste su alleanze, scenari e simili, perché puntualmente sui giornali ci finivano queste ultime e le proposte sparivano (anche perché in quanto espresse da un partito dell’opposizione avevano ben poca possibilità di vedersi concretizzare).
Il Pd continua ad affidarsi troppo agli altri presunti potenziali alleati - o almeno così appare dalle innumerevoli interviste che rilasciano i suoi esponenti su giornali e tv - e di questi altri, che prima mostravano scarso interesse, ieri qualcuno è anche caduto.
Fini (tanto ricercato dal Pd, anche su Repubblica e al Tg3 di ieri Bersani ne parlava) si è rivelato insignificante in Parlamento, con un partitino spaccato.
L'Udc tutt’ora non è chiarissimo cosa voglia fare.
L'Idv si è dimostrato un partito di comprabili.
Vendola aspira alla leadership e fa sognare il popolo della sinistra.
In tutto questo scenario, forse sarebbe il caso che il Pd si occupasse davvero un po' di rilanciare se stesso: ha da poco concluso i cosiddetti “porta per porta” (che se li sono filati in pochi), ha fatto anche una grande manifestazione sabato che avrebbe dovuto servire a questo, non a rincorrere gli altri o lanciare con decisione governi tecnici quando già i numeri cominciavano a traballare (e ieri questa ipotesi è definitivamente morta). Non perché gli alleati non contino o perché il governo tecnico fosse sbagliato ma perché tatticamente conveniva non farlo, dato che già sabato si aveva la sensazione che qualcosa non stesse andando nel verso sperato nel pallottoliere della Camera.
Forse sarebbe il caso che il Pd in pubblico cercasse di parlare al Paese con delle proposte politiche e non di lanciare ami a potenziali alleati (questo lo può fare benissimo lavorando in Parlamento o in privato).
La manifestazione del Partito Democratico di sabato scorso avrebbe dovuto consentire al Pd di emergere nel crollo berlusconiano, ma in questo tempo veloce dove tutto si consuma in fretta e sovraffollato di notizie e informazioni, ad emergere è stato prima lo scricchiolio della certezza della sfiducia al governo e poi il ko di Fini.
Non è una colpa specifica del Pd (che, a dire il vero, di sforzi ne fa tanti per emergere, ma probabilmente non tutti nel verso giusto): i giornalisti fiutano la notizia e, al giorno d’oggi, sembra che ci siano molte cose più interessanti per la stampa che non il rilancio del Pd; eppure senza una buona presenza mediatica non si smuovono le opinioni dei cittadini.

E se si andasse davvero alle elezioni a marzo (come tanti ipotizzano) qualche motivo agli elettori per farsi votare bisognerà pur darlo e, non sempre, le tante battaglie positive portate avanti dal Pd in questo periodo di opposizione sono sufficienti per convincere cittadini sempre più lontani dalla politica.
Anche questa non è una colpa del Pd, ma il clima generale che si respira nel Paese non è positivo e occorre difendersi ogni giorno con più forza da attacchi non sempre giustificati, alzare maggiormente la voce anche su questioni che dovrebbero esser palesi e invece improvvisamente non le sono più.
Mentre nei palazzi delle istituzioni andava in scena il teatrino della sfiducia al governo e della compra-vendita dei parlamentari, ieri, le strade di Roma erano piene di cittadini che manifestavano il loro profondo dissenso per l’operato del governo: c’erano gli studenti contro il ddl Gelmini, c’erano i metalmeccanici, c’erano i terremotati dell’Aquila… Poi, purtroppo, sono sopraggiunti i violenti che hanno devastato la città.
A guardare i siti web dei giornali e delle agenzie di stampa in quei momenti faceva impressione il quadro che emergeva: era terribile l’accostamento tra i cori della Camera, le botte, lo sventolamento di bandiere, il sorriso di Berlusconi e le immagini della strada, le auto a fuoco, i fumi dei lacrimogeni, i primi feriti, gli scontri.
In quelle strade c’era un pezzo di Paese (poi strumentalizzato da infiltrati facinorosi che nulla avevano a che vedere con le cause della manifestazione) che non trova ascolto dentro i palazzi della politica e che è stanco e sta cominciando a non poterne più di questi teatrini che alla fine favoriscono solo la casta dei politici (che vengono percepiti quasi tutti allo stesso modo e poco importa se ieri se la sono presi con i “venduti”, perché domani i bersagli saranno altri).
Nel Paese c’è un clima pericoloso che può degenerare facilmente e l’unica via di uscita è che la politica si assuma le proprie responsabilità e smetta di giocare a barcamenarsi tra i palazzi ma dia le risposte ai cittadini, si occupi di loro, dei loro problemi.

Il Pd, in questi mesi, ha sempre mostrato attenzione per i problemi reali del Paese, eppure in questo clima cupo e surriscaldato, non sempre viene percepito ma, anzi, è il primo soggetto che rischia di venire buttato in mezzo al calderone del “tutto è uguale a tutto” dell’antipolitica e di esserne travolto.
Ecco perché allora occorre davvero rilanciare il Pd, i progetti che intende mettere in campo per il Paese e fare in modo di distinguersi sempre dai biechi maneggi del centrodestra. E per farlo occorre partire dal parlare all’esterno di quelle cose e non di alleanze (che sono indispensabili per vincere nelle battaglie parlamentari come nelle urne e vanno fatte, ma non vanno discusse a mezzo stampa ogni settimana) perché altrimenti l’unità del gruppo dirigente non serve a nulla se non a essere uniti sull’orlo del baratro in cui si rischia di cadere dentro tutti insieme.

giovedì 9 dicembre 2010

Le sedi opportune

In rete continuano commenti e battute sulla scelta di Matteo Renzi di incontrare Berlusconi ad Arcore.
Per la maggior parte delle persone la giustificazione di Renzi - “l’ho fatto per il bene di Firenze” - non è sufficiente ad appoggiare una simile decisione.
Per qualcuno si tratta di una pura questione di forma.

La realtà è che quella degli incontri istituzionali in residenze private è una forma ampiamente utilizzata da Berlusconi e, ormai, nessuno se ne stupisce più e, forse, anche lo stesso Renzi non ci ha fatto troppo caso e per questo ha accolto l’invito senza badare troppo alle conseguenze di un simile gesto.
Eppure, in politica, forma e sostanza spesso sono intrinseche. Non è colpa di Renzi, ma tutta l’impostazione berlusconiana della politica è basata sulla commistione tra pubblico e privato: da sempre Berlusconi riceve politici italiani e capi di Stato stranieri nelle sue residenze private (tanto che furono molte le polemiche intorno alla sua villa in Sardegna, quando venne modificata per ragioni di sicurezza e gestita come se fosse una sede istituzionale) e da sempre il Cavaliere unisce rapporti d’affari a legami d’amicizia con ovvie interferenze (come confermerebbero anche le rivelazioni di WikiLeaks).
Evidentemente Berlusconi, in quanto capo di Stato, si sente padrone assoluto anche delle istituzioni e delle sedi istituzionali, tanto che, per lui, Arcore o Palazzo Chigi sono la stessa cosa e riceve gli ospiti dove gli fa più comodo. Peccato che uno dei due luoghi, adesso, sia balzato alle cronache per il bunga-bunga e forse non risulta più così adeguato a incontri istituzionali.

Tuttavia questa forma di fusione tra il ruolo pubblico e la vita privata è altamente pericolosa e andrebbero messi dei paletti.
Chiunque arriverà dopo Berlusconi dovrà avere anche il compito di riportare la politica nelle sedi istituzionali che le sono proprie e lasciare le residenze private e gli affari personali per altre occasioni.
Matteo Renzi - che è un personaggio piuttosto furbo e intelligente - stupisce un po’ per questa improvvisa ingenuità: davvero pensava fosse normale andare ad Arcore senza suscitare polemiche, in un momento così delicato e instabile politicamente? È veramente così ingenuo da non essersi reso conto del pasticcio in cui si stava mettendo? O è davvero così strafottente da non curarsi minimamente di queste cose e di tirare dritto per la sua strada, parandosi dietro alla giustificazione che è “per il bene di Firenze”?
Uno così perspicace e che dice di voler bene al Pd, anche se alcuni suoi componenti sono da “rottamare”, lascia stupefatti a vedere che non si è curato di questi particolari.
I sostenitori del sindaco di Firenze (pochi, questa volta) insistono a citare una frase di Bersani di qualche tempo fa: “Ho già detto che se si vuole parlare di misure immediate per alleggerire i colpi di questa crisi e discutere sul serio di un pacchetto di riforme in campo economico e sociale, io vado veramente a piedi ad Arcore.” ( Pier Luigi Bersani - 9 aprile 2010). Ma era, appunto, qualche tempo fa, con un’altra situazione politica, decisamente meno traballante. Tuttavia, anche quella di Bersani non fu un’uscita felice perché la politica si svolge in luoghi istituzionali e non nelle residenze private.

Un altro esempio di questa degenerazione delle forme (che comporta spesso anche ad una degenerazione della sostanza), tipica espressione dei governi di Berlusconi, avvenne qualche anno fa con i “Quattro saggi di Lorenzago” (come li aveva ribattezzati la stampa) mandati in Cadore a riscrivere la Costituzione per una riforma poi bocciata da un referendum. Allora furono molte le polemiche e si disse che la Costituzione Italiana era nata in un’Assemblea Costituente per opera di molti illustri uomini politici, mentre lì veniva fatta riscrivere da quattro signori (uno per ogni partito della maggioranza di governo) sostanzialmente in vacanza.
Adesso, qualcuno ha scritto che Renzi è caduto in trappola e forse un po’ lo è davvero. In una situazione politica precaria e confusa come quella attuale, ogni mossa può essere pericolosa e Renzi - “per il bene di Firenze” (ma anche del Pd, che già non brilla di suo) - avrebbe fatto meglio a chiedere un incontro a Berlusconi in una sede istituzionale.
>Il sospetto è che Renzi sia stato invitato da Berlusconi e lui, per curiosità, abbia accettato e ne abbia approfittato per parlare di Firenze. Certo è che un capo di governo prossimo alla sfiducia (almeno così sembrava fino al giorno in cui Renzi è stato ad Arcore) per Firenze avrebbe potuto davvero far poco…
Il risultato non cambia ma la politica va riportata nelle sedi che le sono consone al più presto.