venerdì 29 luglio 2016

L'aggiornamento di Windows10

Ieri sera, dopo tante segnalazioni, mi sono decisa a scaricare Windows10. Ci sono stata dalle 21.30 alla 1.30 di notte. Oggi scadeva la possibilità di averlo gratuitamente e ho pensato che era meglio farlo e se ci sono riusciti tutti senza problemi perché non avrei dovuto riuscirci io?! Eh... già, perché?!
Il computer ha fatto le sue cose da solo; alla 1.30, quando ha finito di scaricare e si è avviato, ho fatto un rapido giro di perlustrazione e mi sembrava che fosse tutto ok.
Mi sembrava anche più bello di prima. Poi ho chiuso tutto regolarmente.
Stamattina il computer non si avvia più. Segnala un imprecisato errore e non c'è modo di farlo partire.
Premesso che sono contraria a questa mania degli aggiornamenti continui e dell'autogestione dei sistemi operativi e che non capisco perché vengono dati da fare se poi mandano in tilt gli apparecchi anziché farli funzionare meglio, qui proprio non mi capacito del fatto che si è chiuso bene con tutto e ora neanche parte. E' un computer relativamente nuovo (del 2014) e ancora in garanzia, peccato che della garanzia non me ne faccio niente perché quel computer mi serve per lavorare e mi serve in fretta. Lì dentro ho tutto il mio lavoro, compreso un file impostato ieri controvoglia e che avrebbe dovuto farmi da base per le prossime settimane. Cosa me ne faccio di una garanzia (pagata) che si realizza con il riportare il computer nel negozio in cui l'ho preso, il quale lo rimanda alla casa di produzione, dove quando hanno tempo ci guarderanno e poi lo riporteranno al negozio e se sono fortunata mi torna in mano tra un mese?
E' ovvio che garanzie così sono inutili o vanno bene per chi il computer ce l'ha per gioco o per hobby e non per lavoro. A me ora tocca chiamare qualche smanettone a pagamento e sperare che capisca come risolvere il problema.
Sempre che prima non decida di tirare una martellata al computer.

mercoledì 27 luglio 2016

Un’intera mattina persa all’ospedale

Un’intera mattina persa all’ospedale di Niguarda.
Appuntamento di mamma alle 8.00 per “prelievo + prima visita” ma già avvisate che il medico comunque sarebbe arrivato intorno alle 9:00.
Nel salone pieno, un’infermiera gira come una trottola e un signore vaga in camice bianco. Fermo lui perché fermare lei è difficile, in quanto corre molto. Lui sembra ancora nel mondo dei sogni, a fatica mi dice di andare a prendere il numerino senza dirmi bene per cosa.
Una signora in attesa ci sente, si avvicina e mi spiega lei cosa fare.
Guardo il bigliettino uscito dal totem e penso che siamo fortunate: abbiamo il n.3, dovremmo fare presto.
Non finisco neanche di pensarlo che l’infermiera folletto corre in sala e ci dice che è tutto bloccato: si è piantato il sistema informatico e l’ospedale è in tilt, non si può fare niente finché non viene ripristinato tutto.
Qui comincia una lunga serie di incazzature.
Dopo un po’ ci dicono che sono arrivati i tecnici ma che per ripristinare il sistema ci vorrà un’ora se tutto va bene, nel frattempo l’infermiera folletto chiama i “lavoratori” che, giustamente, hanno diritto di precedenza. E qui già si comincia a capire che il numerino uscito dal totem vale poco.
Dopo un po’ di caos, di gruppi che vengono portati dentro e poi di nuovo fuori, riesco a intercettare l’infermiera folletto e chiedo cosa deve fare mia mamma.
L’infermiera ci spiega che dobbiamo fare tante cose, quindi, ci dobbiamo muovere subito, ci imbuca alla accettazione e poi ci porta via insieme a un gruppo. Prende tutte le nostre carte e sparisce.
Nel frattempo il sistema operativo torna a funzionare ma il caos non si ferma.
Dopo un bel po’ di tempo, l’infermiera torna da noi: il prelievo fatto lunedì non va più bene perché le pastiglie che prende mia mamma possono aver cambiato molte cose, per cui si torna all’accettazione (imbucandosi in mezzo alla fila) e si fa una nuova richiesta, la si riconsegna e poi mia mamma viene imbucata a fare una prova di coagulazione del sangue. Mamma esce ma dimentica di prendersi il foglietto con il risultato. Ci sediamo in corridoio e stiamo lì tutta la mattina.
Davanti ci passano di tutto: lavoratori, anziani, imbucati che devono solo chiedere una informazione e che stanno dentro mezzora… Prima del nostro inutile numero 3 passano il 54, il 63 e molti altri, infilati a caso a seconda di ciò che passa per la testa dei medici presenti (due, uno per le prime visite e uno che prescrive le terapie senza guardare i pazienti di lungo corso).
Mamma non ha fatto colazione ma il bar non è vicino e nessuno sa dirci verso che ora ci chiameranno, per cui è complicato spostarsi. Il corridoio e il salone hanno anche l’aria condizionata piuttosto freddina, per cui chiedo a mamma se vuole qualcosa di caldo dalle macchinette ma dice di no perché se beve le viene voglia di fare pipì e non si sa mai che ci chiamino mentre siamo in bagno.
L’infermiera folletto riappare in tarda mattinata e cerca il foglio del prelievo che mia madre non ha preso. Lo recupera, lo porta dentro alla stanza dei medici e poi scompare con altri gruppi.
Il nostro turno di visita arriva alle 11:40 e dopo svariate lamentele. Entriamo in una stanzetta dal clima polare con una cafona che neanche ci guarda in faccia quando entriamo e continua serenamente a scrivere al computer. Dopo cinque minuti che siamo in quel Polo Nord in cui mancano solo i pinguini, la cafona alla scrivania alza la testa dalla tastiera e chiede a mia mamma il suo percorso medico.
Non riusciamo a dire neanche tre frasi che suona il telefono dello studio e la dottoressa, non solo risponde, ma resta attaccata alla cornetta per 10 minuti a dispensare consigli ad una collega incapace di curare una paziente a cui pare che gli esami vadano male.
Non so cosa mi trattenga dall’urlarle dietro, forse il freddo della stanza che mi ha congelato la lingua, oltre a farmi venire voglia di andare in bagno.
Poi finalmente la telefonata finisce, la maleducata riprende in mano le carte di mia mamma e dice: “mi stava dicendo della recidiva al fegato”…
Io e mia madre ci guardiamo come a chiederci se questa qui è scema: nessuno ha mai nominato il fegato e sulle carte presentate non è mai citato.
Sto per rispondere che il fegato è quello della paziente della sua collega con cui è stata al telefono oltre 10 minuti e che adesso ne abbiamo veramente abbastanza.
Poi la svampita si riprende, rilegge le carte, scrive una terapia valida fino alla prossima settimana e ci saluta. Alle 12:15 usciamo dalla stanza dei pinguini.
Cioè, ci hanno tenute in ospedale dalle 8.00 alle 12.15 per un prelievo di due minuti con esito immediato e una visita di 35 minuti con dentro 10 minuti di telefonata altra.
Se la prossima settimana al controllo succede lo stesso caos, pianto una scenata che rivolto l’ospedale.

mercoledì 20 luglio 2016

Dopo Expo, EXPerience

Dopo Expo è arrivata EXPerience.
Il nome è bello, evocativo e promette molto, il sito web anche e annuncia una serie di eventi e aperture programmate di spazi e iniziative.
La realtà è molto diversa.
Gli orfani di Expo ma anche quelli che in Expo non erano riusciti ad arrivare, scoraggiati dalle lunghe code degli ultimi mesi e dai costi alti dei biglietti, ci vanno con la voglia di ritrovare un po’ di ciò che hanno vissuto o visto nelle immagini televisive.
Quello che si trova, però, soprattutto per chi ha vissuto Expo, ha visto i Padiglioni, la gente, il caos, la “festa” e quell’atmosfera un po’ da parco dei divertimenti, ora si trova davanti uno scenario abbastanza desolante e deprimente.
Desolante perché c’è davvero poco niente e anche quello che c’è non sempre è accessibile. Quando si arriva, con tanta emozione e curiosità di rivedere i luoghi che sono stati al centro del mondo per sei mesi, ci si trova davanti il vuoto assoluto: niente folle, varchi aperti, niente musica o annunci dagli altoparlanti che ti invitano a partecipare a qualcosa, nessuna possibilità di ripercorrere alcuni tratti del Decumano (sebbene molte strutture di ex padiglioni siano ancora lì ma transennate). Ci sono solo molti gentilissimi operatori che indicano il percorso esterno o la navetta per arrivare al Cardo, dove ciò che resta aperto si concentra.
Chi si incammina a piedi dall’ingresso della Metropolitana di Rho si affatica inutilmente: la strada che si può percorrere è quella totalmente esterna al sito espositivo. Dalle recinzioni si intravedono il retro di padiglioni, lavori in corso, alberi e canali ma decisamente non ha senso incamminarsi a piedi tra il niente e il cemento: molto meglio sarebbe stato incamminarsi lungo il Decumano ma i cantieri in essere non lo rendono possibile.
Chi arriva dall’ingresso di Roserio, invece, può percorrere a piedi il tratto di Decumano che lo conduce al Cardo. Non c’è molto da vedere: tutto è recintato da teli che preannunciano cose che saranno ma non sono, palizzate con sopra disegni di Street Art, panchine vuote sparse; eppure in quel piccolo tratto di niente in via di smantellamento si ritrova un po’ di ciò che è stato e fa una certa impressione trovarlo così deserto e morto, dopo che è stato vivacissimo e colmo per mesi interi.
Un altro accesso con percorso interno è quello accanto alla Cascina Triulza ma dà sul parcheggio del Carcere di Bollate, quindi, è solo per chi arriva in macchina. Da qui si arriva all’area della Cascina e agli spazi dedicati ai bambini. Per raggiungere il Cardo, si può camminare lungo il retro dei padiglioni, costeggiando il canale (ormai ridotto ovunque a stagno degradato) ed è facile incontrare gli operatori pronti a dare indicazioni o a verificare che qualcuno non tenti di intrufolarsi altrove.
L’area “viva” è quella del Cardo, dunque, e l’ingresso più prossimo è quello di Merlata (ci si arriva con navetta o con l’auto, visto che il parcheggio funziona).
Il primo impatto, comunque, è deprimente: anche qui non ci sono le folle ma non ci sono neanche le attività. Tutto è morto, vuoto, silenzioso. Nessuno spazio ha riaperto: non un bar, non un ristorante… a vendere hamburger e patatine sono posizionati due furgoncini e poco distante ce n’è un altro che vende bibite e gelati. Solo lo scorso week end ha riaperto il Mc Donald (proprio il suo padiglione, sul fondo del Decumano), che offre un po’ più di varietà culinaria e sparge musica nel nulla che c’è intorno.
Sempre sul fondo del Decumano c’è uno spazio “disco” con tre furgoncini reduci dal padiglione americano e musica fantastica (di quella che si sentiva sulla terrazza del Padiglione USA) a tutto volume, ma è un’area imboscata dietro l’ex cluster di Bolivia-Zimbabwe-Togo-Haiti, quasi introvabile e, forse anche per questo, totalmente vuota. Attorno ci dovrebbero essere l’area sportiva e la spiaggia, o almeno questo è ciò che sta scritto sugli striscioni appesi alle recinzioni, in cui viene anche indicata come data di apertura quella del 15 luglio, già passata e senza che quelle aree potessero essere agibili, in quanto ancora con la terra smossa e in rifacimento. Chiedendo agli operatori viene indicata come nuova possibile data di apertura quella del 29 di luglio… un po’ tardi se si considera che l’area doveva essere utile a chi passa le ferie in città ma evidentemente non è semplice portare a compimento i lavori necessari e, forse, qualcuno comincia anche ad avere il sospetto che non ne valga la pena. A dirlo a mezza voce è uno degli operatori: “Non vede signorina? Siamo più noi che visitatori. – mi ha detto, mentre aspettavo la navetta del ritorno, indicando la moltitudine di soggetti con pettorina gialla luminescente seduti attorno al chiosco degli hamburger – Qui tornano tutti quelli che sono stati a Expo perché vogliono rivedere i posti dove sono stati ma poi non trovano niente e rimangono delusi”. Ed è così, la prima volta che si torna e si vede tutto quel niente ci si rimane proprio male e neanche si capisce tanto bene il perché è finita così: “Hanno detto che ci facevano un parco estivo ma come mai non lo hanno portato a termine? – ho provato a chiedere – Lungo il Cardo le strutture di bar e ristoranti e servizi erano già fatte, sarebbe stato sufficiente mettere la gestione a gara oppure rinnovare i contratti a quelli che le gestivano prima, ci sarebbe stata un po’ più di vita”. “Forse ci hanno provato ma non hanno trovato nessuno che voleva prendersi il rischio di continuare. Oppure semplicemente non ci sono riusciti per via dei tempi di rifacimento”, ha risposto perplesso il mio operatore.
E questi sono i veri dubbi di fondo che aleggiano nella mente mentre ci si incammina negli spazi grandi e deserti del dopo-Expo: che senso ha aprire un parco estivo quando visibilmente manca tutto? Se le possibilità non c’erano, forse era meglio lasciare perdere oppure, molto banalmente, bastava evitare i grandi annunci e dire solo ciò che effettivamente si sarebbe trovato una volta arrivati lì.
Ci sono, comunque, due punti di interesse dei visitatori: le “mostre” della Triennale (due padiglioni a lato del Cardo con in mezzo un “Orto Planetario” e due chioschetti per gelati e frullati) e Palazzo Italia con davanti l’Albero della Vita.
Entrare dentro a Palazzo Italia senza un briciolo di coda è qualcosa che dà una soddisfazione enorme e poco importa se le mostre dentro sono diverse da quelle che c’erano con Expo: va più che bene così e i saloni degli specchi, in cui tutti si divertono a farsi i selfie anziché capire cosa si sta proiettando, sono più che sufficienti per chi di Expo aveva già visto quasi tutto il resto.
Così come il fermarsi a riposare sotto l’Albero della Vita (in cui si può anche arrivare fino all’interno, dove dei tabelloni mostrano foto degli spettacoli e ne spiegano storia e funzionamento) è qualcosa che continua a piacere a tutti. Peccato che sono state rimosse tutte le panchine dalla Lake Arena e si è obbligati a sedersi sul cemento. Il primo impatto con quel che resta di Expo, dunque, come experience è davvero poco gratificante.
Al secondo giro, forse anche perché si arriva con meno aspettative, l’impressione è un po’ meno desolante: si comincia a prendere confidenza con il vuoto e il silenzio, si comincia a girare tra quel che c’è per capire cosa è rimasto e cosa è cambiato, si vedono le ninfee fiorire meravigliose negli stagni, si ascolta il fruscio dell’acqua e del vento che corre vicino ai canali, si prende il sole e il caldo degli spazi aperti, si prende il freddo dell’aria condizionata dei pochi spazi espositivi disponibili, si prova a sbirciare tra le grate delle recinzioni, si sentono le ranocchie nelle retrovie che portano alla Cascina Triulza, si prova a ripercorrere i tratti di Decumano e i corridoi laterali dove sono accessibili. Insomma, ci si ambienta e, quando ci si stanca, ci si va a sedere sul cemento dei gradini della Lake Arena a guardare l’Albero della Vita.
Niente a che fare con ciò che è stato Expo, quindi, e per ora neanche con un parco estivo ma, per tutti gli orfani dell’Esposizione Universale, qualche giro ad EXPerience si può anche farlo.