lunedì 9 gennaio 2017

Serve un lavoro culturale e mostrare le differenze tra chi lavora e chi guadagna facendo solo propaganda

Nell’articolo di Ilvo Diamanti pubblicato dal quotidiano La Repubblica in cui si commenta il Rapporto Demos riguardante gli italiani e lo Stato ci sono sostanzialmente due questioni: la prima riguarda la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni e i partiti nonostante l’aumento di voglia di partecipazione al processo decisionale, mentre la seconda riguarda l’idea della necessità di riformare le istituzioni e le regole dello Stato, nonostante il prevalere dei No al Referendum sulla Riforma Costituzionale che aveva proprio quell’obiettivo.
Mi soffermerò sulla prima questione: la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni, nella politica, nei partiti perché passa da qui la strada per capire come si andrà avanti in futuro e, eventualmente, come cercare di cambiare la rotta.
Diamanti scrive che i cittadini «Provano sfiducia nei confronti delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Ma, soprattutto, verso i soggetti di rappresentanza politica. I partiti, lo stesso Parlamento. Sono, come sempre, in fondo alla classifica. Evidentemente, è in questione il fondamento della nostra democrazia, visto che i principali attori della rappresentanza, i partiti, non sono solamente sfiduciati, ma vengono ritenuti "corrotti". Quanto e più che ai tempi di Tangentopoli. Il No al referendum costituzionale, d'altronde, ha avuto - anche - questo significato. Un No al sistema dei partiti. E ai politici che li guidano. In testa: il Premier. La sfiducia diffusa nella società, peraltro, avvolge anche la sfera delle relazioni personali, dei "rapporti con gli altri". Guardati con prudenza da gran parte dei cittadini. Chissà: ci potrebbero fregare...».
Qui c’è la chiave del problema.
La sfiducia parte indubbiamente da lontano e da una lunga disillusione sulle troppe promesse al vento fatte da sempre e su problemi che, invece, restano lì immobili nel tempo o addirittura si aggravano anziché venire risolti.
Ma non è solo questo: è anche e, soprattutto, il “come ci possono fregare” perché si ritiene che siano tutti “corrotti” il vero fulcro della questione.
Del resto le inchieste con cui quotidianamente viene “beccato” qualcuno con le mani nel sacco sono infinite e, anche dove i contorni accusatori sono molto labili e da dimostrare, quotidiani e telegiornali sono più veloci della magistratura e “sbattono il mostro” (in questo caso “il politico”) in prima pagina insieme a tutti i suoi capi di accusa, come se questo fosse già stato condannato.
L’opinione pubblica si forma così.
Come si fa a pensare di recuperare la fiducia dei cittadini se quotidianamente ci sono politici, imprenditori, dirigenti, funzionari pubblici, vip o altri soggetti percepiti come le élite della società, cioè coloro che dovrebbero rappresentarne il meglio, che vengono coinvolti in giri di affari poco puliti?
La realtà non sempre coincide con il percepito: ci sono 945 parlamentari in Italia e quelli coinvolti in inchieste sono una parte esigua, lo stesso dicasi per gli altri esponenti della classe politica o i funzionari pubblici eppure quei pochi emergono con un clamore esorbitante. Questo clamore, nel corso del tempo, da un lato è servito da avvertimento alla classe politica: un monito per ricordare che chi ricopre delle cariche pubbliche lo deve fare a servizio dei cittadini e non degli affari propri e chi si fa gli affari propri prima o poi viene “beccato” e finisce in galera.
Ma dall’altro lato questo prevalere della narrazione del malaffare ha portato al diffondersi nell’opinione pubblica dell’idea che “sono tutti corrotti” indistintamente o, come si usa dire oggi “sono tutti parte della casta” che si costruisce le leggi per arricchirsi e autoassolversi.
La diffusione di un pensiero di questo tipo, inevitabilmente, porta al diffondersi della sfiducia nei cittadini e al trionfo di forze “di protesta” come può essere il Movimento Cinque Stelle.
Fanno molto sorridere i politici del PD e i loro spin doctors della comunicazione quando si vedono su Twitter a replicare ad ogni contraddizione che Grillo e i suoi seguaci lanciano perché la realtà è che il Movimento Cinque Stelle non prende voti per le sue proposte e neanche per le capacità di governo o la rappresentatività dei propri dirigenti (lo si è visto bene dagli scarsi voti online con cui molti sono stati eletti in Parlamento alcuni dei loro big o dal disastro romano ormai sotto gli occhi di tutti) ma li prende perché sono “contro tutti”. Chi è arrabbiato contro “i ladri”, “i corrotti”, “la casta” finisce per votare il Movimento Cinque Stelle e li vota per questo non perché condivide l’idea della decrescita felice, la teoria del ritorno alla povertà o il terrore delle scie chimiche.
E contro un voto deciso in questo modo non serve perdere tempo a inseguire i grillini sul loro terreno per cercare di smontarne la propaganda: è giusto ma è sostanzialmente una perdita di tempo perché si finisce per dare ancora più fiato alle loro trovate.
Così come non serve cercare di essere più grillini dei grillini perché quel terreno è il loro punto di forza e giocano tutto su quello: uno degli errori dell’ultima campagna referendaria è stato anche questo, il cercare di fare gli “anti-casta” mentre si stava sulle poltrone governative percepite come “casta” per antonomasia.
Quello che invece è necessario è un ampio e complesso lavoro culturale da compiere a tutti i livelli della società.
Serve che la politica (ma anche il sindacato) sia più concreta, si occupi dei problemi dei cittadini e faccia promesse che poi è in grado di mantenere perché il vedere risultati è fondamentale se si vuole recuperare credibilità.
E poi serve anche che la politica trovi in modo di far emergere il lavoro per arrivare ad ottenere dei risultati.
Il mondo dei media non è escluso.
È vero che le brutte notizie fanno più effetto e catturano maggiormente i lettori rispetto alle buone notizie ma c’è da dire anche che, sui quotidiani, le buone notizie che ci sono sembrano spesso storie eccezionali, quasi piccoli miracoli e mai la normalità quotidiana di chi fa il proprio lavoro e compie normalmente il proprio dovere e questo è oggettivamente un problema.
C’è da rabbrividire quando si leggono articoli sui parlamentari assenti nelle Aule o le classifiche di presentazione di atti in Parlamento, come se il vero lavoro politico fosse solo lo stare in Aula a schiacciare bottoni o presentare proposte a caso che tanto non avrebbero alcuno sbocco concreto.
Fa anche un certo effetto leggere tutti i commentatori sulle varie dinamiche interne ai partiti e i posizionamenti in vista dei passaggi chiave della vita istituzionale: sono articoli interessantissimi per gli appassionati di politica ma sono articoli che fanno irritare i cittadini che hanno difficoltà concrete quotidiane e vedono sulle pagine dei giornali che va in scena il “teatrino” anziché la ricerca delle soluzioni per loro. Non che il “teatrino” non sia importante, anzi, in base alle dinamiche che si scatenano lì spesso si determinano poi le scelte ma se appare solo quello e non il resto è evidente che si crea una distanza con i cittadini non così esperti o appassionati di politica ma più pressati da altre incombenze.
Ha ragione Michelle Obama quando, salutando gli studenti, ricorda l’importanza dell’istruzione e dice ai ragazzi «Dovete prepararvi a far contare la vostra voce, dovete essere informati e impegnati come cittadini, a dare il vostro contributo. Significa ricevere la migliore istruzione possibile, in modo da pensare criticamente, esprimervi chiaramente, trovare un buon lavoro, supportare la famiglia, essere una forza positiva per la comunità».
La realtà, purtroppo, è che spesso le masse sono poco istruite e non tutti hanno la voglia e la capacità di vagliare tutte le informazioni a disposizione criticamente. Alcuni non ne hanno neanche il tempo perché hanno cose più urgenti da fare.
Ecco perché una narrazione corretta e che diffonda un’informazione veritiera è importante.
Ed è importante che anche la politica impari a fare di se stessa una narrazione diversa, che faccia emergere con più forza il proprio lavoro, al centro del quale devono esserci l’interesse del Paese e dei cittadini e che non abbia paura di raccontarlo questo lavoro. Lo si faccia vedere il cosa si fa e il come lo si fa negli uffici, nelle Aule istituzionali, nelle riunione decisionali.
Si metta in luce la differenza tra chi lavora e lo stipendio (alto o basso che sia) se lo guadagna e chi, invece, sta sulla poltrona a parlare e basta senza fare nulla.
I veri “ladri”, la vera “casta che ruba lo stipendio” scaldando le poltrone e non facendo niente di concreto sono i signori della propaganda.
Se non riesce a mostrare questo, se non si riesce a far passare le differenze, continueranno a prevalere i polveroni delle notizie sulle inchieste con cui si alimenterà solamente il vento degli esperti di propaganda che ci soffiano sopra e non si avrà mai un recupero della fiducia da parte dei cittadini.