giovedì 5 gennaio 2017

I CIE

Nella discussione polemica di questi giorni sui CIE si dimentica un dato sostanziale: i CIE di cui parlano la circolare del Capo della Polizia Gabrielli e il Ministro dell'Interno Minniti sono di fatto dei centri che servono per l'identificazione e l'espulsione di persone che non hanno i requisiti per restare in Italia, non c'entrano nulla con l'accoglienza e l'integrazione (per cui probabilmente sono più adeguati altri tipi di strutture). Sicuramente occorrerà che vengano esplicitate meglio le modalità di formazione e gestione di queste strutture, così come resta il dubbio sulla questione delle espulsioni (è un po' difficile espellere persone prive di documenti e, quindi, non identificabili e senza accordo con i Paesi di provenienza o addirittura non conoscendone lo Stato di provenienza). Tuttavia, prima di discutere va compreso questo dato sostanziale per cui il CIE non è preposto né all’accoglienza né tanto meno all’integrazione. Il che non vuol dire che i CIE debbano diventare dei lager, anzi, si auspica proprio il contrario e che si creino le condizioni affinché le persone che vi debbano entrare possano trovare delle situazioni rispettose.
L’accoglienza diffusa sui territori e il lavoro per l’integrazione, però, è tutt’altra cosa che non c’entra con i CIE che si intendono realizzare per gestire le espulsioni.
È vero che avrebbe dovuto essere così anche qualche anno fa e la situazione è poi degenerata con migranti che si sono ritrovati più prigionieri che ospiti di strutture non adeguate e difficili da gestire, anche per periodi molto lunghi.
Il fatto che si è fallito una volta, però, non implica che si debba fallire nuovamente, anzi, forti di quell’esperienza non positiva, si dovrebbero avere gli elementi per riuscire a realizzare soluzioni migliori rispetto al passato.
Il dire semplicemente No, non è una soluzione al problema che purtroppo esiste e va fronteggiato.