martedì 2 giugno 2015

Expo in progress

Altro giro ad Expo, altri padiglioni ma, soprattutto, altre trasformazioni. Sì, perché il sito espositivo è in progress e muta il suo aspetto. Chi va a visitarlo in questi giorni, troverà ad accoglierlo all’ingresso dalla parte della metropolitana un gruppo di una sorta di guerrieri del cibo, opere d’arte dello scenografo da Premio Oscar Dante Ferretti, così come suoi sono i banchi enormi disseminati lungo il decumano con l’esposizione di alimenti o di ciò che diventerà alimento.
Lo scenografo alle sue opere ci tiene molto e per quelle aveva già polemizzato a lungo con la dirigenza di Expo, tuttavia, a vedere il gran traffico di persone che circolano lungo il decumano e l’ingombro occupato da questi banchi espositivi (oltretutto dai colori scuri), forse si poteva anche evitare di farli.
Una bellissima sorpresa, invece, è l’orto all’ingresso del Padiglione della Francia che cresce e comincia a dare i suoi frutti: sono ben visibili infatti insalate, pomodori e carciofi.
Altra novità sono i visitatori che aumentano tutti i giorni della settimana, con particolari punte nei giorni di festa: si può essere fortunati da arrivare ai tornelli in orari poco frequentati, ma poi, arrivati all’interno, è facile accorgersi che la gente presente è tantissima in ogni luogo.
Se i visitatori aumentano, il sito di Expo aumenta anche le attrezzature per accoglierli: si sono moltiplicati gli spazi per sedersi, i furgoncini della Street food con bevande e cibi vengono fatti circolare ovunque, sono spuntati ombrelloni e tettoie accanto ai padiglioni più gettonati per evitare che chi attende in lunghe code si sciolga sotto al sole. Insomma Expo si adegua alle esigenze del momento e adatta di volta in volta la sua area.
Questo è indubbiamente un fattore positivo, segno che da parte della direzione vi è attenzione a quel che avviene giorno per giorno e si è pronti a far fronte tempestivamente a qualsiasi evenienza.
Meno positivo è il fatto che più il sito di Expo si riempie di installazioni e attrazioni lungo il decumano, più somiglia sempre di più ad una qualsiasi fiera e fa perdere l’attenzione per i temi che invece vengono proposti (anche in modo originale, innovativo e tecnologico) all’interno dei padiglioni.
Nei padiglioni, infatti, bisogna entrare: i veri contenuti di Expo stanno dentro, non fuori. E ci sono padiglioni meravigliosi, come testimoniano anche alcune lunghe code per accedervi.
Purtroppo non tutti hanno la pazienza o la resistenza fisica di stare in coda ore e allora in qualche spazio non proprio in tema può capitare di incapparci. Senza coda – ma verrebbe da dire anche senza Expo – sono i padiglioni dell’Ungheria (espongono produzioni in lana o in legno tipiche della zona e ogni tanto vi sono spettacoli musicali), della Romania (grazioso il bar a forma di capanna sul tetto ma il resto non è neanche di aiuto al turismo), la Moldavia (una piantina geografica per localizzare lo zona, uno schermo con immagini turistiche e un bar), la Slovacchia (al suo interno ma anche al suo esterno ospita una serie di opere d’arte e di composizioni artistiche, molto belle esteticamente ma poco in tema con la manifestazione).
Molto belli ma non del tutto inerenti al tema di Expo sono invece i padiglioni della Repubblica Ceca (la cui piscina esterna è gettonatissima da grandi e piccini, mentre all’interno si comincia con un percorso tra natura e silenzio per arrivare all’arte come forma di rappresentazione), della Lituania (tecnologie moderne, opere d’arte, schermi esplicativi delle produzioni del Paese) e della Bielorussia (tutto viene proiettato sulle pareti con qualche schermo esplicativo).

Altri luoghi in cui non si trovano e code per accedere sono i tanto decantati cluster: quando sono stati presentati è stato detto che lì si sarebbero concentrati i veri contenuti di Expo, al loro interno si sarebbero dovuti trovare gli spazi espositivi dei Paesi produttori di alcune specificità e si sarebbe discusso del tema della manifestazione. Tutto questo è da dimenticare. A parte la difficoltà di alcuni di questi ad avviarsi, oggi sostanzialmente si può dire che i cluster sono aperti e in parte funzionano. In parte perché bisogna chiarire cosa si intende per funzionare. Gli spazi espositivi e di vendita esterni ai cluster di cacao, caffè e anche riso (quest’ultimo in prevalenza alla sera) funzionano alla grande: la gente, arriva, si siede, compra, mangia, guarda ciò che c’è da vedere. Gli interni funzionano un po’ meno.
C’è sicuramente un problema “estetico”: non è carino dirlo ma esteticamente alcun cluster sono brutti, o comunque non hanno le forme spettacolari e appariscenti degli altri padiglioni per cui sono poco attrattivi: si tratta per lo più di grossi cubi rivestiti in legno o con pannelli colorati o a specchi nel caso del riso ma appunto cubi insignificanti.
Nel caso di cacao e caffè, l’idea di mettere fuori bar e stand di vendita, oltre che spazio per le presentazioni, si è rivelata geniale perché in molti vi sono attratti; altri come Frutta e Spezie che hanno il nulla fuori o più nascosti come il Bio-Mediterraneo richiamano proprio poco.
Dopo di che il problema vero resta l’interno: i Paesi non espongono le produzioni locali e neanche spiegano cosa fanno ma molto spesso utilizzano quei punti come rivendita di paccottaglie spacciate per artigianato locale (quasi tutti i Paesi africani) o, in alcuni casi, come luoghi di promozione turistica (le Maldive dentro al cluster del Mare che promuovono le loro spiagge, Malta dentro al cluster Bio-Mediterraneo che promuove il territorio da visitare).
Uno sforzo scenografico e esplicativo lo ha fatto il Brunei, nell’area Frutta e Spezie, in cui racconta il proprio modo di produrre. Così come interessante e gradevole è la tavola imbandita del Libano nell’area Bio-Mediterraneo. L’area Bio-Mediterraneo è quella che ha fatto arrabbiare la Regione Sicilia (che lì espone) per gli investimenti fatti. Si tratta di uno spazio molto grande ma un po’ nascosto, oltre il cardo (corridoio orizzontale) e sul lato destro del Lago con l’Albero della vita per chi arriva dall’ingresso della metropolitana. L’esterno è preceduto da una striscia di terra con alberi e arbusti chiamata “Parco della Biodiversità” (a ridosso del gettonatissimo padiglione della Coca Cola). L’area centrale è contornata da tavoloni con le scritte in greco e un palco spettacoli (lunedì 1 giugno vi si alternavano cantanti siciliani) e a chiuderlo sui lati vi sono i cubi dei padiglioni. La gente dentro c’era, girava da uno spazio all’altro, si fermava a sentire la musica… solo che sembrava di stare ad una qualsiasi fiera del turismo (con tanto di cantanti che cercavano di vendere al pubblico il loro cd) invece che ad Expo. Forse, però, le responsabilità non sono di Expo ma dei singoli Paesi che hanno affittato quello spazio e lo utilizzano decisamente molto male. All’interno del cluster vi sono anche la Grecia (dove il cartellone all’ingresso “Ellenic Tourism” chiarisce subito che si parla di turismo), l’Albania (lo spazio è quasi vuoto, vi sono dei quadri e un’opera d’arte in legno, non si sa se non è completato o se resterà così), la Serbia (vuoto, in cui sul muro che campeggia lo slogan “The future is sharing”), la Croazia, la Tunisia e l’Egitto (quest’ultimo diverte molto i bambini per gli ologrammi dei faraoni con cui si può giocare e farsi fotografare).

Qualche problema sul messaggio che si vuole mandare c’è anche in qualche stand (difficile chiamarli “padiglioni”) nell’area italiana: Palazzo Italia è sempre molto gettonato ma le file chilometriche non sono cosa sopportabile per tutti, mentre lungo il cardo le varie Regioni si mettono in mostra oppure offrono i loro prodotti. Qui ci sono lo spazio delle produzioni di Piacenza, Casa Citterio, Granarolo, gli spazi ristoro Calabria e Basilicata, la gelateria della Coldiretti, la Terrazza Martini e poi cominciano ad aprire anche punti promozionali delle varie Regioni: la Lombardia sta cercando di aggiustarsi l’immagine dopo la bruttissima figura dei primi giorni, la Liguria è bellissima con piantine appese alle pareti insieme alle ricette di alcuni suoi piatti tipici; di recente hanno aperto le Marche (con schermi che mostrano le bellezze artistiche e territoriali, esattamente come alla fiera del turismo). Molto gettonato e anche molto grande è il padiglione del Vino.

In sintesi, si può dedurre facilmente che dove non c’è coda, sarà più semplice entrare ma decisamente ne vale meno la pena rispetto ad altri spazi che invece meritano attenzione. Tornando ai padiglioni ufficiali, si scorre facilmente per visitare la Cina, dal bellissimo ingresso in mezzo ai fiori gialli. L’interno è tutto giocato sulla tecnologia con spazi interattivi e chiusura del percorso sul campo di “grano della speranza” fatto da alti pali luminosi che cambiano colore.

Molto frequentato anche ciò che c’è del Padiglione del Nepal: si tratta di una serie di pagode a cielo aperto senza niente altro. Sono molto belle esteticamente, ma quello che attrae i visitatori è indubbiamente la tragedia che ha colpito il Paese e per cui si possono lasciare offerte.

Padiglioni veri e propri sono anche quelli degli sponsor, tra questi sul decumano c’è ENEL, con tubi luminosi e cartelli esplicativi in cui si ribadisce in continuazione che l’illuminazione di Expo è fornita da loro.

Altro luogo frequentatissimo è la nuovissima area attrezzata con lettini e ombrelloni sulla fontana dietro al Padiglione della Lindt. E’ anche una zona abbastanza ombreggiata e nei momenti in cui il sole è molto alto, si rivela essere un ottimo luogo per riprendere fiato e, ora che comincia ad essere conosciuto, riesce a far concorrenza alla piscina assolata della Repubblica Ceca.

Per svagarsi, però, il luogo migliore resta la terrazza del Padiglione degli Stati Uniti: la musica è bella, l’aria non è troppo calda, si può ballare (sono le hostess stesse a farlo, anche quando hanno addosso la divisa) e nell’area sul retro del padiglione sono posizionati sei furgoncini per il Food Truck dove si può mangiare e bere a prezzi più o meno normali.

Arriviamo alla questione prezzi. Tutto ciò che riguarda Expo ha un costo e anche piuttosto elevato e, questo, oggettivamente, considerato il costo già alto del biglietto di ingresso è un po’ fastidioso.
Partiamo dai gadget: oggi i gadget di Expo, oltre che all’Expo Gate in Piazza Castello a Milano si possono trovare anche all’interno del sito espositivo ma i prezzi restano alti in ogni caso.
All’Expo Gate, gestito dal gruppo La Rinascente (o almeno così sono firmati gli scontrini) si possono trovare servizi di sei tazze con logo Expo da 36 a 77 euro a seconda della dimensione, sacchetti in stoffa da 16,00 euro, magnete rettangolare con logo Expo a 5,00 euro, spilletta tonda con logo Expo a 4,00 euro.
Sul sito espositivo, invece, hanno aperto gli store di OVS ed Excelsior. Questi due punti, all’inizio del Decumano per chi arriva dall’ingresso collegato alla metropolitana, non vendono solo gadget della manifestazione ma anche altro: in OVS si vendono tranquillamente i vestiti. La scelta è un po’ discutibile anche se con gli sbalzi caldo/freddo o con i bagni improvvisati in piscine e fontane, trovare una maglietta di cambio può anche essere utile in alcuni momenti.
OVS è lo store meno costoso: vende magliette con logo Expo, ma anche sacchetto/zaino con logo Expo in stoffa consistente a 12,00 euro, borsa con logo Expo a 14,00 euro. Excelsior vende gadget e prodotti firmati (portachiavi, cover per telefoni, puzzle per bambini ma anche oggettistica varia che c’entra poco con la manifestazione) ma ovviamente i prezzi salgono.
Novità degli ultimi giorni è il “Passaporto di Expo” che, annunciano dagli altoparlanti, si può far timbrare nei vari padiglioni che si visitano, così da portarsi a casa un ricordo del giro virtuale intorno al mondo. Il Passaporto non è altro che un libretto di carta piccolino ma se ci si illude che sia gratuito, si sbaglia: si paga anche quello e, comunque, non tutti i padiglioni sono già attrezzati con i timbri!
Un altro punto di acquisto è il Book shop Mondadori che, pur vendendo libri, si è adeguato e espone molte cose in tema della manifestazione: un quaderno a quadretti con logo Expo costa 5,00 euro, un quadernino piccolo tipo blocchetto da borsetta con logo Expo costa 3,50 euro e il sacchetto di carta per portarveli a casa costa 0,20 centesimi.
Ci sono poi i punti shop all’interno di ogni padiglione che vedono o prodotti tipici del Paese a cui si riferiscono o puro merchandising (quest’ultimo di solito prevale). In Francia si vendono posate, tazze, asciughini, grembiuli, portachiavi, torri Eiffel colorate e similari (una busta in stoffa con scritto Francia e bandierina francese costa 10,00 euro). In America vendono tazze (servizio da due a 20,00 euro), piatti (a 12,00 euro l’uno), foulard con logo del padiglione a 75,00 euro, borsa in stoffa nera grande a 130,00 euro. In Lituania si vendono gioiellini e campanelle in terracotta dipinte (le quali, in forma piccola, costano 8,00 euro l’una). In Belgio si vedono i cioccolatini Guillaumes a forma di frutti di mare (scatola piccola 3,00 euro, scatola media 8,00 euro).

Tralasciando i gadget, di cui si può anche fare a meno, veniamo al cibo che, invece, in alcuni momenti è indispensabile. Anche su questo fronte ci sono diversi problemi di costo: intanto bisogna sapere subito che mangiare in Expo è costoso, soprattutto se nel corso della giornata si vogliono prendere più cose; tuttavia si può cercare di fare attenzione a scegliere di mangiare dove costa un po’ meno.
I ristoranti e i self service hanno primi che vanno dai 7 ai 12 euro, in alcuni casi utilizzano delle formule “menù” con cui si può risparmiare un po’.
La pizza margherita rotonda a Rosso Pomodoro nello spazio Eataly costa 10,00 euro (e spesso c’è una coda lunghissima per ottenerla).
Sempre in Eataly, al ristorante della Sicilia, un piatto di mezze maniche con sugo di tonno, pomodoro e olive costa 7,50 euro. Una crepes alla Nutella nel Nutella Concept Bar (spazio Eataly, primo piano) costa 4,50 euro e l’acqua 1,50 euro.
Il costo dell’acqua è molto variabile a seconda di dove la si compra (va da 1 a 2 euro), è anche vero che disseminate lungo il sito espositivo ci sono le “case dell’acqua” dove si può bere o riempirsi le bottiglie ma è ovvio che per farlo bisogna avere con sé almeno un bicchierino o una bottiglia che da qualche parte andrà pur comprata.
Al bar del Belgio la bottiglietta d’acqua costa 2,00 euro ma lì si trova anche il mitico cono di buonissime patatine fritte (a 4,00 euro).
La bottiglietta d’acqua costa soltanto 1,00 euro allo stand rotondo della Beretta, dove vendono anche ottimi panini a poco prezzo (quello con salame 2,50 euro): mangiare lì conviene, il cibo è ottimo e si spende pochissimo. Si spende poco anche nel chiosco emiliano situato dietro al padiglione della Corea e prima di Cascina Triulza con cestino di tigelle e salumi, soltanto che è molto affollato e bisogna avere la fortuna di capitare in orari giusti.
Nello spazio Italia ci sono poi anche i salumi Ferrarini e Citterio che vengono serviti in vassoietti di cartone accompagnati da grissini: le chiamano degustazioni e si può scegliere la quantità che si desidera e in base a quello si paga. Il listino prezzi dello stand Citterio prevede 3 prodotti a 4,00 euro oppure 7 prodotti 7,00 euro; l’acqua da sola costa 1,00 euro ma 3 prodotti + acqua sul listino in distribuzione è calcolato 5,00 euro.
Anche la pizza si può comprare in altri punti: nello stand dentro lo spazio circolare di Copagri un trancio di pizza margherita costa 4,00 euro mentre da Via Vai trancio della stessa dimensione di pizza margherita costa 5,50 euro.
Da Mc Donald in qualche modo ce la si cava sempre: patatine medie 1,80 euro, acqua naturale 1,20 euro, toast 1,70 euro.
Anche sui gelati i prezzi sono molto variabili, se si è fortunati si parte da 2,50 euro e si può arrivare 4,00 euro a seconda dello stand. A venderli sono in tanti Grom, Lindt, Pernigotti, Caffarel, Nutella… A Casa Algida restano attuati i prezzi di listino: Magnum Classico 2.50 euro, Fiordifragola 1,50 euro ecc.

Se i primi giorni non era così semplice capire come e dove mangiare, oggi questo problema è stato risolto perché lungo il decumano ma anche un po’ disseminati per il sito espositivo hanno cominciato a girare i furgoni della Street food e qualcosa di buono lo si trova sempre. Più difficile è riuscire a fare attenzione al costo: il sito di Expo è grande e, quando si gira, si vedono molte cose ma poi difficilmente rimane in memoria dove le si sono viste o si ha voglia di tornare in quel punto quando magari si è già parecchi metri più avanti, per cui si finisce per fermarsi dove ci si trova nel momento in cui si ha fame con qualche rischio per il portafoglio. Complessivamente, comunque, i visitatori mangiano e bevono, bar e ristoranti sono sempre piuttosto affollati, tanto poi i conti si fanno a casa.