sabato 30 maggio 2015

La Bindi e gli impresentabili

Ci sono molti punti labili a proposito della scelta della preparazione e diffusione della lista degli “impresentabili” da parte di Rosy Bindi, in qualità di Presidente della Commissione Antimafia.
Premettendo che Rosy Bindi, in conferenza stampa, ha pesato accuratamente le parole, non ha mai fatto uso del termine “impresentabile” e ha fornito un’ampia serie di giustificazioni alla decisione di presentare quella lista, tralasciando per un attimo le contese di fazione all’interno del PD e prescindendo per un momento dalla vicenda inerente Vincenzo De Luca, ci sono una serie di motivazioni sull’inopportunità di tutto quel lavoro da parte della Commissione Antimafia che vanno poste alla base.

Innanzitutto va chiarito di cosa si sta parlando: si sta parlando di una commissione parlamentare bicamerale (cioè formata al suo interno da deputati e senatori, quindi, soggetti eletti in Parlamento, non magistrati o poliziotti) che si arroga il diritto di giudicare se altri soggetti che stanno candidandosi in politica sono adatti a farlo o meno.
Tradotto si sta parlando di politici che giudicano politici o aspiranti tali.

Va anche detto che Rosy Bindi ha fatto sapere subito che la scelta dei nomi è stata fatta sulla base di informazioni ricevute dalle Procure, quindi, dati in qualche modo certi.
E qui sorge già un primo dubbio: se proprio una lista di “impresentabili” ci doveva essere e se i dati vengono forniti dalle Procure, forse sarebbe stato più consono che a stilarla fossero state le Procure stesse.

Ma sui dati sorge anche il secondo problema: la lista presentata da Rosy Bindi, come lei stessa ha precisato, non considera tutti i reati in cui possono essere incappati i vari soggetti candidati ma soltanto alcuni considerati in qualche modo “reati spia” di possibile coinvolgimento di mafia stabiliti sulla base del Codice Etico, scritto e approvato all’unanimità dalla Commissione Antimafia prima delle elezioni europee e comunali del 2014, poi discusso anche in Parlamento ma non approvato e rinviato a data da destinarsi perché non vi era la convergenza di tutti i gruppi politici.

E qui di problemi ne sorgono più di uno.
Innanzitutto la legittimità del Codice Etico a cui Rosy Bindi fa riferimento come metro di giudizio delle candidature. Si parla di un Codice che non è una Legge dello Stato e, quindi, non è valida obbligatoriamente per tutti e su cui non vi era nemmeno la convergenza di tutti i partiti politici, tanto che il Parlamento l’aveva discusso ma non approvato. Quindi, come si fa a dire al candidato di un partito che non ha approvato quel Codice che lui è “impresentabile” perché non rispetta quel Codice, che comunque non è una legge ma è un’indicazione uscita da una Commissione senza obbligo di adottarla?

Un altro aspetto controverso è che quel Codice preparato dalla Commissione Antimafia, ovviamente, si interessa dei reati di mafia e quelli la Bindi si è preoccupata di andare a cercare incrociando i dati delle Procure. Tutti gli altri reati non vengono contemplati.
Dai giornali delle scorse settimane si poteva leggere un elenco ben più grave di soggetti “impresentabili” rispetto a quello presentato da Rosy Bindi, con tanto di curriculum e biografie ben sintetizzate, tra questi anche uno accusato di violenza su minori e poi mogli incensurate di mariti ampiamente compromessi che venivano messe in lista per consentire appigli ai traffici dei consorti e molti altri casi, senza dimenticare soggetti magari che non avevano condanne pendenti sul capo ma che avevano trascorsi politici molto discutibili (il candidato fascista inserito in una lista civica di centrosinistra in Campania ad esempio). La stessa Rosy Bindi aveva ben presente tutto questo, tanto che in conferenza stampa, alla domanda se tra gli “impresentabili” vi erano anche soggetti indagati per peculato (con particolare riferimento alle vicende delle “spese pazze” che ha visto il coinvolgimento di più Consiglio Regionali), ha chiarito che quel reato non era stato preso in considerazione perché le vicende presentavano molte variabili da una Regione all’altra e anche da un soggetto all’altro e sarebbe stato impossibile dare un giudizio omogeneo ma, se fosse stata presa in considerazione quell’accusa, il numero degli “impresentabili” sarebbe certamente aumentato.
È evidente, quindi, che di fronte a questo quadro, la lista presentata da Rosy Bindi risulta molto parziale (perché basata su dati parziali), incompleta e con la quale si rischia addirittura che bollando pubblicamente solo alcuni soggetti come “impresentabili” si finisca per legittimarne altri ben più discutibili.

E anche qui, la domanda che torna spontanea è: se proprio si doveva fare una lista di “impresentabili”, non sarebbe stato meglio se l’avesse fatta la Procura, elencando per bene tutti i capitoli penali e i trascorsi dei vari candidati così da presentare ai cittadini un quadro realistico, completo e non parziale? Insomma, nulla contro la trasparenza, ma se deve essere trasparenza che la sia per davvero e fino in fondo.

Ovviamente, il meglio sarebbe che non ci fosse bisogno di alcuna lista, in quanto i partiti dovrebbero selezionare con maggiore attenzione i soggetti da cui vogliono farsi rappresentare nelle istituzioni e, in alternativa, sarebbe molto più utile che, anziché stilare liste di proscrizione tardive e parziali, magari la Commissione Antimafia si mettesse a lavorare per approvare una legge che non consenta a soggetti condannati o indagati per alcuni reati (che magari non siano solo quelli considerati “spia” di mafia) di candidarsi alle elezioni. Fin tanto che non ci sono leggi che vietino la possibilità di candidarsi a soggetti dal dubbio curriculum penale, è abbastanza inutile stilare liste di proscrizione (per di più scritte da altri politici, magari alcuni dei quali a loro volta indagati per qualcosa), al massimo si può chiedere alle Procure di segnalare pubblicamente il profilo penale di ciascun candidato, in modo che i cittadini possano prenderne atto e decidere da soli se quei soggetti vale la pena di votarli o meno.

E sulla questione delle leggi, in qualche modo torniamo al punto di partenza e cioè ai compiti della Commissione Parlamentare Antimafia, che sono definiti dal disegno di legge con cui ad ogni legislatura viene istituita, citato anche dalla stessa Bindi durante la conferenza stampa.

Sul lavoro della Commissione Antimafia, però, occorre subito far notare alcuni aspetti: in questa legislatura, contrariamente al passato, la Commissione ha assunto un taglio più concreto e meno di pura analisi storica. La Commissione Antimafia, cioè, si è occupata meno delle grandi stragi che hanno avvelenato l’Italia e che in parte sono rimaste avvolte nei misteri e con cui gli esponenti che se ne sono occupati andavano in giro per conferenze e convegni costruendosi un’aurea quasi magica alludendo a mezze verità che avevano visto ma che non potevano raccontare fino in fondo; mentre gran parte del lavoro di questa legislatura si è concentrato sulle attività e la presenza della criminalità organizzata attuale, sugli scenari emersi dalle inchieste in corso e sulle richieste provenienti da chi opera nel contrasto alle mafie per cercare di costruire leggi più adeguate ed efficaci e, su questa strada, molte cose positive sono anche state prodotte.
Insomma, la Commissione Parlamentare Antimafia stava lavorando e lo stava facendo bene prima di andarsi a impelagare in questa vicenda assurda delle liste degli “impresentabili” con cui, invece, si è ampiamente squalificata nel metodo, nel merito e nella tempistica.

E qui, emerge il perché della responsabilità attribuita a Rosy Bindi. La Bindi è la Presidente della Commissione, cioè colei che organizza i lavori, che ne stabilisce la tempistica e dà gli indirizzi. È, quindi, ovvio che la responsabile principale di ciò che avviene e di ciò che è prodotto in Antimafia va alla Bindi, nel bene come nel male e anche prescindendo dalla vicenda della lista degli “impresentabili” e di chi l’avrebbe potuta vedere o meno. Ovviamente, accanto a lei vi è anche un “Ufficio di Presidenza” che era stato nominato poco dopo la sua elezione a Presidente e in assenza di esponenti di Forza Italia che, non gradendo il suo ruolo, avevano scelto di non partecipare ai lavori della Commissione Antimafia. Quindi, oltre alla Presidente Bindi, a governare in qualche modo i lavori della Commissione Antimafia, vi sono anche i Vicepresidenti Claudio Fava (esponente di Sinistra Ecologia e Libertà) e Luigi Gaetti (Movimento Cinque Stelle) a cui seguono i Segretari Angelo Attaguile (Lega Nord) e Marco Di Lello (PSI). Non ci vuole molto a capire che ciò che manca all’interno di quell’Ufficio di Presidenza è l’equilibrio politico: intanto non vi sono rappresentate tutte le forze principali che siedono in Parlamento e, secondariamente, i vertici sono fortemente sbilanciati verso una sorta di tendenza giustizialista. Questo non è necessariamente un fatto positivo o negativo ma, è chiaro, che quando si tratta poi di assumere delle decisioni finiscono con l’andare in una sola direzione che non sempre è rappresentativa dell’opinione di tutta la Commissione.
Se, comunque, anche questa precisazione non la si volesse considerare, rimane il fatto che il Presidente è il responsabile della Commissione e del suo operato a tutti gli effetti. Da qui il fatto che il primo bersaglio, per quanto avvenuto sulle liste degli “impresentabili”, sia diventata Rosy Bindi: la sarebbe stata comunque, anche se non si fosse tirata in mezzo la vicenda di Vincenzo De Luca.

A questo punto, però, dopo che sono stati esposti tutti gli elementi, resta da porsi l’ultima domanda: perché una Commissione Antimafia, che sta lavorando bene e cercando di portare a casa leggi valide che vadano ad incidere concretamente nel contrasto alla criminalità organizzata, sente il bisogno di andarsi ad impelagare in un terreno scivoloso e profondamente dubbio delle candidature “impresentabili”? A chi giova una simile forzatura?

Probabilmente, la risposta va cercata prima di tutto dalle pagine dei giornali: per intere settimane hanno presentato soggetti delle biografie non limpide tra i candidati alle elezioni mettendo così in dubbio la credibilità dei partiti che li avevano espressi; lo stesso Roberto Saviano aveva lanciato svariati anatemi e il Movimento Cinque Stelle - infervorato dal livore ghigliottinaro più che dalla sete di giustizia e dalla smania di ergersi a unici paladini della legalità – li aveva ampiamente cavalcati così che gli altri partiti si devono essere sentiti in obbligo di ricostruirsi una dignità. Facile a quel punto cadere in un cortocircuito. Il PD, probabilmente, non voleva apparire come il partito che negava il consenso alla discussione sulla onorabilità o meno dei candidati, anche per far vedere che non vi era nulla da nascondere al proprio interno perché è evidente a tutti cosa sarebbe accaduto se M5S, SEL e la Presidente Bindi avessero espresso desiderio di rendere pubblici i nomi degli “impresentabili” e il PD avesse fatto battaglia per non farlo: su tutti i media sarebbero comparsi infervorati grillini a gridare “al complotto!” e il che il PD copre la mafia e via di questo passo. Un danno enorme nelle ultime settimane di campagna elettorale in un clima già poco sereno. Tuttavia gestire un percorso così controverso era tutt’altro che semplice e gli scivoloni – o i trappoloni – come si è visto erano dietro l’angolo.

A questo punto la domanda da farsi è un’altra: vale la pena che il PD si metta a inseguire ogni stupidata richiesta dal Movimento Cinque Stelle e fomentata dai media invece che fare le battaglie davvero giuste? 
Perché, è ormai chiaro, che stilare una lista di “impresentabili”, arrogandosi il diritto di definire alcuni candidati come tali sulla base di dati parziali e in nome di un diritto dei cittadini di venire informati su chi andranno a votare a pochi giorni dall’apertura delle urne è tutto tranne che una battaglia giusta e tranne che dare una corretta informazione agli elettori.
Aveva un senso impelagarsi in questa questione? Non era più sensato ammettere che questa cosa era una pagliacciata e come tale andava liquidata e, caso mai, intervenire con delle leggi affinché i veri “impresentabili” non possano candidarsi o fare in modo che vengano diffuse informazioni complete su tutti i presenti in lista e che poi ciascun cittadino si va a guardare se lo ritiene opportuno?

La Bindi, in quanto Presidente della Commissione Antimafia e esponente del PD, porta anche la responsabilità di aver assecondato questa deriva su pressione del Movimento Cinque Stelle che, oltretutto, aveva richiesto questo lavoro con l’intento meramente speculativo nei confronti degli altri partiti e non certo con intenzioni nobili e informative. L’atteggiamento non costruttivo del Movimento Cinque Stelle è sotto gli occhi di tutti, impossibile che fosse sfuggito a Rosy Bindi che, nonostante tutto, ha scelto di seguire la loro strada, sul loro stesso terreno, e poi addirittura di sposarne le tesi impallinando il candidato PD alla Presidenza della Regione Campania.
Insomma, una deriva dietro l’altra. 
Un modo non corretto di utilizzare il proprio ruolo all’interno di importanti istituzioni per regolare i conti nei partiti alla vigilia delle elezioni… non è esattamente un bello spettacolo che la politica dovrebbe dare ai cittadini.

A parte la vicenda politica tutta interna al PD, restano due risvolti che invece riguardano le ricadute di tutto questo sui cittadini: sarà interessante vedere quanto la lista degli “impresentabili” influirà sull’opinione pubblica e poi ci sarebbe da riflettere sul ruolo dei media.

Per quanto riguarda il primo punto, il dubbio è: può un cittadino recarsi serenamente alle urne per votare un candidato, che magari ha conosciuto durante la campagna elettorale e che può avere un buon consenso (non esclusivamente De Luca, anche un semplice candidato al Consiglio Regionale), definito pubblicamente “impresentabile”? Cosa deve pensare un cittadino che magari ritiene valido un candidato definito “impresentabile” dalla Bindi? Dov’è la credibilità della politica di fronte a questo scenario? Andare a definire un candidato “impresentabile” a pochi giorni dal voto, dopo che tutta la campagna elettorale è stata fatta e magari il consenso si è già costruito sembra un po’ un colpo di teatro grottesco, un modo poco carino per dire ai cittadini “scusate, fino adesso vi abbiamo preso in giro, quel signore lì che vi abbiamo presentato e che ha conquistato la vostra fiducia, non è ciò che sembra”. Il risultato è che la politica dà l’idea di assomigliare ad una farsa. È difficile che un consenso costruito con mesi o anni di lavoro vada in fumo in un giorno - a prescindere dalla reale onorabilità della persona - ma il vero dubbio è che in molti scelgano di non andare a votare perché delusi da questo ennesimo screditamento di tutti contro tutti senza che vi sia una minima traccia di interesse per il bene comune.

Sul ruolo dei media, invece, la questione è più seria e complessa: il modo in cui la pressione mediatica può orientare l’opinione pubblica è da tempo oggetto di preoccupazioni ma più che altro perché da un lato ci sono i partiti che si preoccupano di come i consensi possano essere orientati verso di loro e dall’altro lato vi sono invece gli operatori della comunicazione che si preoccupano di capire dove soffia il vento per alimentarlo così da vendere qualche copia in più dei giornali o alzare i dati di ascolto dei programmi tv. Il risultato di tutto ciò è che i media finiscono per farsi oggetto di mera propaganda a casaccio e non di informazione, come invece dovrebbero essere.
In merito alla vicenda degli “impresentabili”, lo si vede molto bene: i giornali hanno incrementato per settimane il sospetto che la politica stesse supportando soggetti dal curriculum sporco invece che allontanarli, poi, quando la Bindi ha fatto sapere che la Commissione Antimafia avrebbe diffuso una lista di soggetti se non “impresentabili” quanto meno discutibili, hanno spinto al massimo il dibattito sul quando questa lista sarebbe arrivata e sui possibili inclusi o esclusi e, ora, alla luce del pasticcio avvenuto (che va oltre il problema e le polemiche interne al PD) pubblicano fior di editorialisti e costituzionalisti che spiegano che quell’elenco non andava fatto, che è contro la Costituzione e lo Stato di diritto e fuori dalle prerogative dell’Antimafia. Sarebbe stato sufficiente che i media avessero gestito con più attenzione e con una pluralità di voci fin dall’inizio tutto il dibattito sul tema, invece che soffiare sul fuoco per poi arrivare ora a dire che forse ci si è bruciati.