venerdì 17 giugno 2011

Pubblico attonito per "L'inizio del buio"

Una presentazione emotivamente intensa quella che si è tenuta ieri alla Feltrinelli Express di Milano per il libro di Walter Veltroni L’inizio del buio” (edito da Rizzoli) a cui, oltre all’autore, hanno partecipato Ilaria D’amico e Carlo Verdelli.
La Feltrinelli Express è un luogo un po’ diverso dalle altre librerie della stessa catena; la stessa sala delle presentazioni si trova in un piano a parte, fuori dal consueto caos di lettori che girano tra gli scaffali ed è rigorosamente blindata: vi si accede soltanto accompagnati dal personale della libreria o della sicurezza e quando lo stabiliscono loro. Ed è un peccato perché sembra una location un po’ asettica (dall’arredamento spoglio, molto minimal) e, per quanto molto grande, rimane isolata e quindi invisibile ai tanti che frequentano la libreria che, se non sono informati di cosa si sta svolgendo, non hanno possibilità di scoprirlo per caso. Spiace un po’ vedere questa chiusura in un luogo notoriamente aperto come Feltrinelli. Tanto che lo stesso Veltroni, che solitamente si trova sommerso da una folla immensa alle presentazioni dei suoi libri, questa volta si è trovato con un pubblico un po’ più ristretto di quello che realmente è in grado di raccogliere.
In sala, oltre ai comuni interessati al libro e all’autore, c’erano anche molti esponenti del Pd milanese, dagli assessori Majorino e Maran, alle senatrici Adamo e Garavaglia (quest’ultima, all’arrivo di Veltroni, gli si è fiondata incontro ad accoglierlo), fino a qualche neoeletto in Consiglio Comunale.
In molti in sala tenevano tra le mani il libro di Veltroni e suscitava un certo stupore la quarta di copertina tutta riempita da un’immagine dell’autore a mezzo busto, più simile ad un manifesto pubblicitario che non al retro di un libro, oltretutto in forte contrasto con il colore scuro del resto.
Ha aperto la presentazione Carlo Verdelli che, con la sua voce profonda, ha tracciato un racconto intenso ed emozionante del testo di Veltroni e delle storie che racchiude.
Verdelli ha citato l’articolo di Magris sul Corriere della Sera di qualche tempo fa in cui denunciava l’indifferenza degli italiani di fronte alla tragedia del Nord Africa e agli sbarchi a Lampedusa, a cui è seguita la risposta di Giorgio Napolitano che confermava la perdita del senso di solidarietà civile del nostro Paese. La causa di questo, secondo Verdelli, va ricercata nella politica ma anche in una certa informazione «che ha esibito in modo sconciato il dolore» (da quello degli omicidi efferati alle semplici banalità) e questa «overdose di sofferenza spettacolarizzata ha finito per produrre assuefazione».
Verdelli ha ricordato come trent’anni fa non esistevano né internet né telefonini, era appena arrivata la tv a colori e c’era stato lo scoperchiamento della P2. Nelle immagini che si trovano al centro del libro si vede l’Italia di allora e il punto di rottura della nostra storia nazionale: per Verdelli si tratta delle foto di «due calvari», quello di Alfredino Rampi e quello di Roberto Peci.
Alfredo Rampi all’età di 6 anni cade nel pozzo come Alice nel Paese delle meraviglie ma, ricorda Verdelli, l’epilogo della sua storia non è quello di una fiaba. Il pozzo (che non doveva esserci perché costruito abusivamente per prendere l’acqua gratis), come è scritto nel libro di Veltroni, è profondo 36 metri (quanto un grattacielo) e il bambino ci rimane dentro vivo per 60 ore: «Noi, leggendo, cadiamo dentro con lui», afferma Verdelli.
E poi c’è il ruolo della televisione, a cui rimangono attaccati 28 milioni di italiani, che riprende, promette e non riesce a mantenere la promessa perché più passa il tempo più si comprende che il lieto fine svanisce.
Il secondo «calvario», come lo definisce Verdelli, è quello di Roberto Peci, antennista venticinquenne di San Benedetto del Tronto, fratello di un terrorista pentito e per questo rapito e ucciso, con modalità mafiose e le foto della sua esecuzione sono state diffuse dai terroristi perché facessero da monito ad altri.
Verdelli ha definito il libro di Veltroni come un «viaggio dentro a qualcosa che ci appartiene. Se ne esce addolorati ma dopo il cuore è un po’ meno intontito. Il libro cura l’indifferenza dentro cui viviamo quotidianamente».
Ilaria D’Amico ha definito Verdelli un «narratore di sentimenti» e Veltroni un «facitore di storie umane, nella cui narrativa c’è sempre la voglia di partire dall’origine». I due fatti citati nel libro, secondo la D’Amico, raccontano l’Italia e possono cambiare il modo di percepire le cose e il nostro senso di colpa, sgombrando il campo da chi dice che quelli passati della Prima Repubblica erano “bei tempi”. La giornalista ha poi definito il viaggio nel libro di Veltroni «bellissimo e tremendo», perché crea un racconto che «ti lascia completamente immerso lì dentro e contiene un’analisi critica di cosa siamo».
Ilaria D’Amico ha ricordato che l’Italia non è l’unico Paese che va a caccia di reality ma ce ne sono tanti altri e nel libro c’è il racconto di questo Paese che vive di follia e in cui anche il Presidente della Repubblica Pertini che si precipita sul luogo della tragedia, inconsapevolmente, sembra essere qualcosa di stonato perché non sa ancora valutare i momenti in cui bisogna esserci e quelli in cui è bene non apparire.
Ilaria D’Amico, però, salva la televisione: «una Rai che allontanava il microfono nei momenti più strazianti di Alfredino», molto diversa da quella attuale.
Veltroni ha raccontato che scrivere quel libro non è stato facile dal punto di vista emotivo e, anche gli incontri preparatori si chiudevano sempre con le lacrime agli occhi degli intervistati (persone che, ha precisato l’autore, in tutti questi anni, non si sono mai più visti in televisione, contrariamente a ciò che accade nel mondo attuale).
Veltroni ha parlato di «meraviglia della sofferenza» e si è detto affascinato da quelle opere dell’ingegno che producono sensazioni fisiche (che siano ridere o piangere), ricordando che ad essere potenti sono le parole perché anche le storie più forti, se raccontate male, non suscitano la minima emozione.
Per scrivere questo libro, Veltroni ha detto di avere seguito una metodologia giornalistica (cioè raccogliere fonti, guardare la documentazione, ricercare sul web) ma poi di avere scelto una forma di scrittura letteraria per restituire le emozioni.
Veltroni ha spiegato che l’idea di questo libro è nata guardando i parenti di Sarah Scazzi in televisione continuamente e di essersi domandato «dove è cominciato tutto questo?» e la risposta è stata con la tragedia del Vermicino perché è lì che per la prima volta «la vita e la morte di una persona (non di una personalità) sono diventate di interesse pubblico».
Del Vermicino restano le voci, ha detto Veltroni, perché le immagini sembrano quelle di un film di Fellini, con una folla di gente scomposta che parla in dialetto e che si inventa le soluzioni più strampalate per fornire un aiuto impossibile: «c’è stata della generosità da parte della gente ma sembrava una follia collettiva», ha ricordato l’autore.
Di Roberto Peci, Veltroni ha ricordato che soltanto oggi a San Benedetto del Tronto esiste una via che lo riconosce come «vittima del terrorismo».
«L’Italia è stata così e per questo non bisogna avere nostalgie. Una volta c’era la P2, adesso è raddoppiata in P4 ma è il passato che ha messo i suoi tentacoli. Il terrorismo ci ha tolto degli anni, io non potevo andare in alcune piazza perché ero di sinistra e quelli di destra non potevano andare in altre piazze», ha affermato Veltroni, segnalando l’importanza della memoria come antidoto perché certe situazioni non si ripetano.
Non era una presentazione semplice quella del libro di Veltroni perché non era semplice l’argomento del suo libro. L’emozionato ed emozionante Carlo Verdelli ha tenuto attonita la platea mentre raccontava le storie narrate in “L’inizio del buio” e faceva una certa impressione guardare le facce serissime e stordite da quell’immersione improvvisa nel dolore, mentre la sala era in ascolto assoluto chiusa in un silenzio pesantissimo. Silenzio che è durato per tutta la presentazione: non una parola è stata scambiata tra vicini di posto, non un commento, non un movimento, come se tutti fossero stati trasportati in un’altra dimensione e fossero rimasti imprigionati dalla potenza delle parole di chi stava sul palco a raccontare quelle vicende drammatiche. Vicende che, forse, nessuno in un caldo pomeriggio di giovedì aveva particolarmente voglia di trovarcisi immerso, neanche quelli che il libro lo hanno comprato perché è difficile aver voglia di farsi travolgere da un dolore così profondo come quello che emergeva dai particolari narrati, eppure tutti vi si sono trovati imprigionati per un’ora e mezza.
Una splendida presentazione, però il libro non l’ho comprato.