mercoledì 15 giugno 2011

La felicità della democrazia

Sala piena ieri sera alla presentazione del libro “La felicità della democrazia di Gustavo Zagrebelsky ed Ezio Mauro (edito da Laterza), organizzata da Liberta e Giustizia, a cui ha partecipato anche Gad Lerner.
La platea era quella consueta degli eventi di Libertà e Giustizia (foto), con noti intellettuali ed esponenti della borghesia milanese; in prima fila come sempre Umberto Eco e Sandra Bonsanti.
Pochi i giovani (per lo più operatori dell’informazione) e tanti vivacissimi anziani che, nell’attesa che la presentazione cominciasse, discutevano animatamente dei risultati elettorali e referendari milanesi, delle manifestazioni di piazza (a cui tutti confermavano di esser stati presenti, da quella di febbraio delle donne fino alla festa per Pisapia) ma anche dei programmi televisivi (amati solo i canali Rainews, Repubblica Tv, Rai 3 e La7 e praticamente aboliti dal telecomando Rai 1 e Rete 4, del tutto non prese in considerazione le reti Mediaset).
All’arrivo degli ospiti illustri, le signore non si sono trattenute dal commentarne il look e grande stupore ha suscitato l’eleganza perfetta di Gad Lerner, in completo blu: «Abbiamo vinto e si sono tutti vestiti a festa!», è stato il commento di una sorridente donna anziana.
E di festa sono stati anche i primi minuti della presentazione, quando un sorridentissimo Lerner ha accennato al clima milanese delle ultime settimane, affermando che «A Milano abbiamo trovato un nesso tra il clima di felicità e la democrazia».
Lerner ha, così, ripercorso un po’ tutte le tappe che hanno portato alla vittoria di Giuliano Pisapia, dalle manifestazioni delle donne, al Palasharp di Libertà e Giustizia, alla campagna elettorale, fino alla festa di Piazza Duomo il giorno della vittoria: «E’ cambiato tutto rispetto all’inizio di maggio», ha commentato il giornalista.
Nell’introdurre il libro di Mauro e Zagrebelsky, invece, Lerner ha spostato l’attenzione sugli anni ’90 a Torino, periodo dell’inizio della carriera di tutti e tre a La Stampa e del loro rapporto con gli intellettuali di allora come Bobbio e Galante Garrone, ricordando come questi fossero già molto anziani e loro si chiedevano se, nelle generazioni successive, ci sarebbe stato qualcuno in grado di sostituirli.
Ezio Mauro ha, quindi, colto l’occasione per accennare all’azionismo, che oggi «non significa nulla ma che allora voleva dire lotta partigiana, antifascismo, opposizione alla dittatura e, in qualche caso, anche esilio». Da quel periodo, secondo Mauro sono nate le istituzioni repubblicane, quelle stesse che negli ultimi anni la maggioranza di governo ha cercato di demolire con attacchi continui, a partire dalla celebrazione del 25 aprile (data che «rappresenta un accadimento e non è una sovrastruttura ideologica», ha sottolineato il direttore di Repubblica).
Zagrebelsky – che ha fatto da contraltare ad Ezio Mauro – ha esordito facendo battute sul suo accento torinese e sul suo presunto “sguardo torvo”, per poi affermare convintamente: «credo di stare bene tra coloro che stanno in minoranza», manifestando anche un certo disagio verso la gioia incontenibile che hanno scatenato gli accadimenti delle ultime settimane, in quanto, a suo avviso, «ciò che è avvenuto non risolve il problema di cosa fare da qui in avanti: i risultati ci dicono che forse un ciclo sta finendo ma noi non sappiamo come aprire quello nuovo e non bisogna sedersi sugli allori perché se da questi eventi si creasse poi una delusione, sarebbe terribile; sarebbe addirittura molto peggio di prima».
Gad Lerner, in riferimento al caso Milano, ha ricordato come le enormi divisioni del mondo riformista abbiano pesato nella lunga egemonia della destra. In merito al libro, invece, ha citato una frase di Zagrebelsky in cui si afferma che «Il popolo è il miglior interprete del proprio interesse» e ha segnalato come quante volte sia sorto il dubbio che non fosse così, dato l’enorme peso avuto dalla propaganda televisiva berlusconiana sulle masse, rischiando però di assumere una posizione elitarista secondo cui gli ignoranti non sono in grado di governare.
Ezio Mauro ha replicato dicendo che ciò che è avvenuto lascia chiaramente intendere che il sistema politico in Italia è contendibile, ma certamente ci sono delle enormi anomalie racchiuse in Berlusconi, a partire dal conflitto di interessi, allo strapotere economico e al potere che è diventato insofferente ad ogni forma di controllo (sia questo dettato dagli organi di garanzia, sia dell’opinione pubblica e quindi della stampa, sia della Presidenza della Repubblica ecc.). Mauro ha anche denunciato l’assuefazione verso l’idea del conflitto di interessi: «agli italiani dà fastidio che se ne parli ancora, ma nel frattempo esso opera e un esempio è stata la trasmissione di Porta a Porta che la notte dei risultati referendari ha parlato di altro, mentre Vespa ha passato annate intere a campare esclusivamente di politica», ha detto con enfasi il direttore di Repubblica.
Mauro ha evidenziato anche che è vero che è stata ottenuta un’importante vittoria, ma senza lo strapotere mediatico di Berlusconi si sarebbe vinto prima e anche meglio e comunque le condizioni in cui si è disputata la gara erano diseguali. Per questo, secondo il direttore di Repubblica, è più che mai necessario liberare la Rai e consentire che eserciti davvero la sua funzione di servizio pubblico.
Gustavo Zagrebelsky ha scherzato un po’, segnalando la necessità di trovare un'altra formula per definire il “conflitto di interessi” perché in realtà si tratta di una pluralità di interessi concentrati in una persona sola, la quale però sta benissimo, mentre l’accezione “conflitto” potrebbe suscitare anche una sorta di compassione verso il soggetto che ne è portatore.
Il confitto di interessi, inoltre, secondo Zagrebelsky, riguarda le strutture profonde della nostra società, in quanto consiste nel fatto che il potere conquistato nella sfera economica venga esercitato in quella mediatica e questo genera un’influenza culturale.
In merito all’accusa di elitarismo, Zagrebelsky ha risposto che «la democrazia mette tutti sullo stesso piano, sia i colti che gli incolti, poi è compito di chi esercita le professioni intellettuali cercare di elevare tutti ad un livello di consapevolezza necessaria per avere una democrazia degna di essere rappresentativa, di alta qualità e non di massa o fanatismo».
Ezio Mauro, citando Russel, ha detto che occorre «parlare alle persone fuori dalla magia delle immagini e delle parole», segnalando che i dati elettorali manifestano che sta nascendo una domanda politica molto diversa da prima che si è creata anche un immaginario diverso: «la rete è stata la grande protagonista delle ultime campagne elettorali e quindi i giovani che hanno fatto sberleffo dei politici per come appaiono in tv e li hanno visti come le loro parodie», ha affermato il giornalista.
A proposito della comunicazione politica, Gad Lerner ha citato l’esempio di Tremonti, che tutti sanno essere un accademico, lettore e scrittore di molti libri e che, però, in pubblico, al popolo va a dire frasi tipo «il prossimo sindaco di Bologna si chiamerà Alì Babà; noi di destra che non leggiamo libri; alla destra piacciono gli agnolotti e alla sinistra piace il cus cus», per mettere in luce il modo in cui vengono considerati i cittadini da alcuni esponenti politici.
Lerner ha segnalato come ad un certo punto il “popolo” abbia creato da sé gli anticorpi e ci sia stato un rigetto verso alcune forme di espressione politica, citando le scritte su “zingaropoli” apparse sui manifesti della campagna elettorale milanese e la reazione che ne è seguita. «La classe dirigente ha cercato di assecondare il popolo nel suo peggio e questo è perché hanno un’idea offensiva della cittadinanza», ha sottolineato Lerner.
Secondo Lerner, ad incidere sulle elezioni milanesi e italiane, è stato anche il vento di rivolta che ha coinvolto i giovani dell’area mediterranea (a partire dai Paesi africani in cui il popolo si è ribellato a personaggi che sembravano inamovibili, ma anche agli “indignados” spagnoli): «E’ scattata contemporaneamente in diversi luoghi del mondo l’idea che una democrazia partecipata era attuabile».
Gustavo Zagrebelsky ha, quindi, citato Gianfranco Miglio, il quale riteneva che anche la democrazia, come ogni creatura dell’uomo, è soggetta ad un ciclo di vita limitata: nasce, si sviluppa e si corrompe quando la politica diventa il luogo dei propri affari. Secondo Zagrebelsky, attualmente, dovremmo essere giunti alla conclusione del ciclo di corruzione della democrazia ma, dato che ogni ciclo secondo Miglio dura il tempo di una generazione politica (e quindi 20 anni), non si può far finta che questo tempo non ci sia stato e che alcune persone non ne abbiano fatto parte, auspicando che gli elettori si ricordino al momento di tornare alle urne di quei deputati che hanno votato una mozione secondo cui Ruby era ritenuta dal Premier davvero come la nipote di Mubarak e non li rieleggano perché di anni ne hanno già rubati parecchi.
Ezio Mauro ha quindi ricordato la cultura alla base del berlusconismo: «Berlusconi aveva promesso la liberazione delle proprie potenzialità individuali» e il modello dominante attuale dice che la felicità sta nel privilegio, nella dismisura nella vita privata e nell’abuso nella vita pubblica, in cui le regole vengono considerate come un impaccio. Secondo il direttore di Repubblica, «il populismo ha offerto una semplificazione governante della democrazia, l’idea del tagliar corto, che è l’illusione che si accompagna alla delega perché ciò che conta è che il cittadino si faccia i fatti suoi che al governo ci pensa il leader».
In merito a Berlusconi, Mauro ha segnalato che secondo alcuni sondaggi il suo apice è stato con il discorso del 25 aprile 2009 ad Onna, quando un partigiano gli ha messo addosso un fazzoletto rosso, mentre il suo declino è cominciato subito dopo con l’esplosione del caso di Noemi Letizia e la denuncia di Veronica Lario sulle candidature delle giovani donne al Parlamento Europeo.
Zagrebelsky ha manifestato il suo disgusto verso il discorso di Onna, in quanto falso sotto ogni punto di vista: «non lo ha neanche scritto Berlusconi e noi abbiamo bisogno di verità nella comunicazione politica mentre lui si appropria di cose non sue come il fazzoletto rosso partigiano e poco tempo dopo, in Parlamento, il fazzoletto verde leghista», ha affermato l’intellettuale, evidenziando che il leader si pone a simbolo di qualcosa.
Gad Lerner, in chiusura di serata, è tornato sugli eventi milanesi e ha ricordato l’emozione di vedere Benedetta Tobagi sul palco della manifestazione in piazza Duomo a sostegno di Pisapia, dopo l’attacco che aveva fatto Letizia Moratti su Sky: «L’assassinio di Tobagi è stato usato più volte per esasperare le divisioni della sinistra italiana ed era importante che quel nome tornasse su un palco di sinistra», ha affermato il conduttore dell’Infedele, segnalando anche come i vari Tognoli, Tabacci e Borghini, uniti attorno a Pisapia abbiano dato l’impressione del superamento della spaccatura che c’è stata e dell’apertura di una nuova fase.
Anche Ezio Mauro ha concordato sul fatto che oramai è tempo di unificazione di tutti i riformismi, soffermandosi sul fatto che con quella parola, a sinistra, si è fatto un po’ da paravento perché non è mai stato fatto il rendiconto dell’esperienza comunista. «Milano è stata la capitale spirituale dell’avventura politica berlusconiana, è stata un soggetto attivo e ispiratore e qui c’è stato il primo grande scossone che ha importanza per tutto il Paese», ha sottolineato Mauro, ricordando anche, però, che senza la forza dei partiti non si sarebbe vinto e che «il movimento ha sovrastato l’antipolitica, di cui il capostipite è Bossi che invitava a non votare al Referendum mentre Maroni e Zaia ci andavano». In merito alla questione del leader e alle sue provenienze, Ezio Mauro ha detto che «non è importante da dove viene ma conta dove va».