mercoledì 5 settembre 2012

Pd: la guerra interna continua

Da un po’ di tempo a questa parte, le pagine dei grandi quotidiani sono piene di articoli riguardanti il dibattito interno al Partito Democratico.
Dibattito, spesso dai toni piuttosto accesi, che è innescato in prevalenza per questioni generazionali (di “rinnovamento” o “rottamazione”).
L’ufficializzazione della candidatura di Matteo Renzi alle primarie (quali? Al momento non risulta alcuna data stabilita) ha ridato fiato alle mai sopite polemiche tra la vecchia guardia del partito e il nuovo che vorrebbe avanzare ma, non riuscendoci, urla.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, se non che, questa mattina, ad aprire i giornali e a leggere le pagine riguardanti il Partito Democratico, c’era da mettersi le mani nei capelli. Su tutte le testate campeggiano le battute al veleno che si rimbalzano Renzi e i suoi avversari di partito dai vari dibattiti alle Feste Democratiche: se prima lo scontro era Renzi-Bersani, negli ultimi giorni è diventato Renzi-Orfini, Renzi-D’Alema (il quale ha definito il sindaco di Firenze “inadatto” a governare, con il rischio di fargli un grande favore in termini di accaparramento del consenso), Renzi-Bindi (quest’ultima ha invocato l’intervento del segretario per ripristinare il rispetto… cosa seria ma che al giorno d’oggi, detta così poi, fa scappare da ridere).
La litania di Renzi è sempre la stessa: tutti i big del Pd, considerato che hanno già oltrepassato i 15 anni in Parlamento e alcuni sono anche stati membri dei due governi Prodi finiti male, devono andare a casa, farsi da parte perché hanno già fatto abbastanza.
Una litania che, però, non è ripetuta solo dal sindaco rottamatore: al congresso del 2009 era l’area di Franceschini a invocare con più forza il rinnovamento, poi quella richiesta si è sopita, è stata portata avanti prevalentemente da Debora Serracchiani (per lo più perché le pongono domande sul tema, come è accaduto di recente a Sky, in cui avrebbe dichiarato “D'Alema? Se non sbaglio ha perso. All'estero, di solito, chi perde si ritira o fa un passo indietro”) e ultimamente si sono aggiunti i “Giovani turchi” (che, però, intendono rimuovere i vecchi nella speranza di andare poi a ricoprirne gli incarichi).
Il quadro della situazione, decisamente degenerata, lo ha dato questa mattina un articolo di Repubblica, in cui si lascia intendere una battaglia generazionale di tutti contro tutti. Difficile negare la situazione perché, al di là delle buone intenzioni di Bersani lanciate prima delle vacanze con la Carta degli Intenti e il tentativo di dialogare anche all’interno delle Feste Democratiche con i vari attori e le varie forze in campo per “rifare l’Italia”, troppo spesso ciò che finisce all’esterno dei dibattiti svolti sono le battute e le stoccate dei vari esponenti democratici rivolte all’interno. Tuttavia, colpisce che ci sia stato bisogno di vedere una rappresentazione del Pd così brutta come quella apparsa oggi su tutti i giornali perché i vari esponenti prendessero atto di quale immagine del partito stavano trasmettendo all’esterno (sempre che tutti ne abbiano davvero preso atto). E così il segretario è stato costretto a intervenire per porre fine alla querelle (in particolare sulla questione della presunta spartizione di posti in caso di vittoria elettorale) ma a parlare è stata anche Marina Sereni che ha segnalato: “Vedo rappresentato sui media un dibattito che ruota tutto sui destini personali di questo o quel dirigente. Tutte le aspirazioni personali sono legittime, c’è una domanda giusta di rinnovamento della politica e delle classi dirigenti che il Pd deve saper raccogliere ma non possiamo trasformare le primarie nel centrosinistra in una lotta senza regole e senza contenuti. Non possiamo prestare il fianco e favorire il disegno di quanti forse vorrebbero impedire al Pd e alle forze progressiste di guidare una stagione di innovazione e di crescita”; che tradotto significa: datevi una regolata quando parlate all’esterno.
Staremo a vedere nei prossimi giorni se il messaggio intelligente della Sereni sarà colto o se i vari esponenti democratici continueranno a farsi guerra tra loro.
Resta, però, il problema vero del rinnovamento che, in questa lotta di posizionamenti, rischia di finire schiacciato e accantonato come se il nome di qualcuno che sostituisce qualcun altro di per sé fosse sufficiente a risolvere la questione.
Il discorso del rinnovamento era, appunto, stato affrontato inizialmente con la campagna congressuale del 2009, poi il tutto si è un po’ ridimensionato e adesso è tornato a esplodere con prepotenza.
Non che la segreteria Bersani si sia dimenticata dei giovani, anzi, li ha inseriti nei gruppi dirigenti, li ha portati avanti, molti sono anche stati eletti nelle istituzioni, solo che poi questi giovani non li vede nessuno perché puntualmente l’immagine e la rappresentanza del Partito Democratico rimangono saldamente ancorate a Bindi, D’Alema, Finocchiaro, Veltroni… e allora c’è un problema perché il rinnovamento invisibile non serve a nessuno.
Gli unici nuovi che si vedono sono i giovani che urlano, quelli in perenne contrasto con il gruppo dirigente. Solo di recente hanno cominciato a fare la voce grossa e, quindi, ad assumere visibilità anche i giovani della segreteria di Bersani (i Giovani turchi, che poi ad ascoltarli bene si capisce che sono tutto tranne che nuovi). Perciò bisogna essere chiari, il rinnovamento non è solo una questione generazionale: ci sono soggetti percepiti come nuovi che giovani non sono (si veda i membri del governo Monti e l’impatto che hanno avuto sull’opinione pubblica rispetto agli eletti in Parlamento dei vari partiti), così come ci sono giovani che sono più vecchi dei vecchi perché cresciuti e formati secondo gli schemi che c’erano una volta. E allora il rinnovamento non è solo una questione di giovani contro anziani, ma è il cercare persone nuove (anche l’immagine conta, difficile spacciare come nuovo qualcuno che si vede in giro da vent’anni e che gli si è visto assumere tutte le posizioni politiche possibili), nel senso che abbiano idee nuove adatte ai tempi nuovi, capaci di presentare progetti e prospettive in linea con le aspettative attuali.
Su questo terreno si gioca la questione del rinnovamento. Questione che è esplosa perché la si è lasciata inaffrontata per troppo tempo e adesso non ci crede più nessuno all’idea che si voglia cambiare davvero e sentir parlare di possibili posti garantiti (che in altri contesti avrebbero una ragione seria e sensata dietro), oggi, fa orrore e diventa un ulteriore elemento di diffidenza dei cittadini e un’arma in più nelle mani di chi dice “rottamiamo tutti perché tanto questi non se ne vanno”.
Legata alla questione del rinnovamento, ve ne sono poi altre due: la prima è quella del presunto fallimento di chi c’era prima e la seconda è quella che riguarda il concetto del nuovo.
Il discorso fatto da Debora Serracchiani a Sky su D'Alema, secondo cui “Se non sbaglio ha perso. All'estero, di solito, chi perde si ritira o fa un passo indietro” è lo stesso identico discorso che ci si poneva al congresso del 2009 nell’allora mozione Franceschini.
Qualcuno obietta che D’Alema, così come gli altri esponenti dei precedenti governi di centrosinistra, non hanno perso nulla, hanno svolto il loro compito egregiamente, poi altri hanno fatto cadere i governi. Discorso opinabile ma poco importa perché il punto è un altro: nella testa degli italiani i due governi Prodi del centrosinistra sono rimasti come due governi caduti e quindi falliti, così come deluse sono state le speranze che vi erano appese, con il risultato che, per la proprietà transitiva, anche chi era un esponente di quei governi ha fallito o comunque ha delle responsabilità in quel fallimento e, la conseguenza, è che chi perde deve andare via (soprattutto nel caso che si sia perso non una volta sola ma ben due, tre e in alcuni casi anche quattro volte). Insomma, i mali della sinistra italiana, per gli italiani, stanno in quella classe dirigente e adesso non la vogliono più rivedere a dirigere nulla.
Se non entra questo nella testa di chi deve rinnovare, non si va molto lontano.
Ovviamente questa è una percezione che i cittadini hanno e non significa che tale percezione corrisponda alla realtà ma o si è talmente bravi da riuscire a ribaltare questa percezione (cosa che fino ad ora non è riuscita per niente) oppure si procede con il rinnovamento e si fa in modo che questo sia visibile, così da mettere a tacere una volta per tutte le voci insistenti su garantismi e simili.
Rinnovare non significa buttare via una storia, non significa cancellare delle persone (anche se qualcuno probabilmente lo meriterebbe), ma significa guadare avanti, fare un bilancio di dove si è arrivati fin qui e delle risorse a disposizione, guardarsi intorno per capire che aria tira e come si può mettere a frutto il patrimonio (di esperienze maturate e di idee) per cercare di elaborare un progetto adeguato alla situazione attuale, collocando le caselle che si hanno nel modo più adatto. Questo è ciò che deve fare il Pd al suo interno. Altrimenti non c’è rinnovamento, c’è solo una sostituzione di una persona con un’altra, la quale probabilmente finirà per volersi attaccare alla poltrona come chi l’ha preceduta e di innovazione se ne vedrà ben poca.
L’altra questione poi riguarda proprio la direzione che il “nuovo dovrebbe prendere, che poi è la vera questione che serpeggia e divide il Pd: per una parte del Pd il nuovo coincide con l’andare verso destra mentre il vecchio è tutto ciò che guarda a sinistra. Questo, ovviamente, genera l’astio profondo da chi la pensa all’opposto. Il vero problema del Pd non è generazionale, ma la questione irrisolta su quale profilo deve assumere il partito, la mancata sintesi tra parte più liberale e quella più di sinistra, che è una divisione molto più profonda di quella tra ex Ds ed ex Margherita perché le due posizioni si sono spinte molto più all’estremo e ad oggi la sintesi continua non vedersi o a vedersi per qualche fugace momento, per poi frantumarsi di nuovo e palesarsi in ogni scontro interno tra i vari esponenti (come dimostrano anche le ultime battute Boccia-Orfini). È questo il primo nodo da risolvere e il segretario la sintesi l’aveva fatta con la Carta degli intenti ma nessuno nel partito ha pensato di mantenerla.
Intanto la guerra interna continua e ogni pretesto è buono per scatenarla.