mercoledì 25 luglio 2012

L'economia e il vuoto della politica

Leggendo i giornali in queste settimane si fa un gran parlare di Europa ma solo per via delle drammatiche vicende economico-finanziarie che stanno interessando alcuni degli Stati membri dell'Unione. L'impressione generale, comunque, è che ci sia un Nord Europa (ricco e benestante) che non ha intenzione di accollarsi la situazione del Sud Europa (tutt'altro che rosea) e su questo campo si gioca la crisi, la speculazione e anche le soluzioni.
Altro argomento gettonatissimo è l'andamento della borsa e dello spread, di cui improvvisamente tutti sembrano essere diventati massimi esperti.
Delle altre vicende interne agli Stati colpiscono le dure misure di risamento che stanno cercando di attuare alcuni Paesi in difficoltà e le proteste sempre più forti dei cittadini che si sentono minacciati da questi provvedimenti. Nessuna parte politica pensa di rimettersi a giocare in un simile scenario ma ciò non toglie che le diversità di visioni restano. In generale, però, l'impressione è che vi sia una distanza abissale tra ciò che avviene nelle sfere della finanza e dei governi e il sentire dei cittadini, i quali, il più delle volte, si trovano a subire le conseguenze dei tagli e delle misure (anche necessarie) attuate e non ne comprendono minimamente né eventuali benefici né tanto meno la prospettiva che possa essere contenuta in simili provvedimenti.
Quello che manca in questa fase così delicata e drammatica è la politica: è la politica che deve indicare una prospettiva, un progetto, una visione per il futuro del Paese. Oggi non si vede nulla di tutto questo. Si vedono solo i tagli (necessari) e vengono percepiti come imposti dalla crisi, indicati solo come una soluzione (inefficace) per ripianare un debito e per i mercati. Questa non è una prospettiva di futuro (e cambia poco che vi si abbini la parola Italia o Europa). I tagli devono essere fatti per trovare risorse per costruire un Paese migliore, più efficiente, più moderno, più competitivo e per aiutare chi - anche a causa della crisi - non ce la fa da solo con i propri mezzi. Questo discorso manca completamente oppure rimane implicito ed è sbagliato perché non può rimanere un discorso implicito ma deve essere espresso con chiarezza perché altrimenti non si capisce più per chi e per cosa si stanno facendo dei sacrifici tanto pesanti. Non si può neanche far finta di non vedere che alcuni tagli (per quanto giusti o necessari) comportano dei costi sociali: si tagliano dei servizi (e, molte volte, chi ne usufruisce è chi ne ha bisogno e non ha alternative) e, spesso, quelli che si vanno a tagliare sono anche posti di lavoro e quindi sono persone, famiglie, gente che non sempre ha la possibilità di reinventarsi qualcosa (anche per via della crisi). Di questo occorre che se ne tenga conto, perché, come è chiaro, la crisi pesa di più sui più deboli, perché gli altri (quelli con molti soldi, con grandi patrimoni, con altre possibilità lecite o meno che siano) il modo di stare a galla lo trovano comunque.
Insomma, sembra che la politica stia affannosamente cercando di inseguire un'economia sfuggente e non riesca in alcun modo metterle le briglie. In tutto questo gran parlare di banche, di economia, di mercati, di spread, mancano i cittadini. Le persone in tutto questo dove sono? E soprattutto in che modo vengono considerate? L'emergenza che stiamo attraversando, probabilmente, durerà ancora a lungo, allora - oltre alle misure necessarie per cercare di farvi fronte - è bene che si cominci anche parlare di prospettive (anche non rosee) per l'avvenire, che si cominci a tracciare una rotta, che si faccia capire dove ci si vuole dirigere, quale Paese si vuole costruire e su quali pilastri. Senza chiarirsi su questo punto, restano solo delle manovre economiche incomprese e non sempre efficaci e resta aperto un varco in cui è più facile infilarsi per chi urla di più pur non avendo nulla di dire.