domenica 7 ottobre 2018

Il bosco della droga di Rogoredo

A Milano, tra le fermate della metropolitana di Porto di Mare e Rogoredo c'è un parco che si chiama "Parco Cassinis" ma che su tutte le pagine dei quotidiani è semplicemente il "bosco della droga".
E' un parco grande, in alcuni punti anche molto bello, con dei giochi per i bambini, tantissimo verde, dei fiori.
E' un parco difficile per la storia che lo caratterizza (un'area consistente era una discarica e i rifiuti hanno lasciato eredità pesanti che renderebbero necessarie bonifiche) ma potrebbe essere un luogo bellissimo se riqualificato, curato e mantenuto degnamente dai suoi frequentatori.
Invece, addentrandosi dove gli alberi sono più alti, lo scenario che si palesa alla vista è terribile.
Ci sono due "laghetti" o stagni o qualcosa che contiene acqua, rami, tronchi d'albero, oggetti buttati dentro, papere che nuotano, topi. Solo che l'acqua è ricoperta da uno strato verde chiaro - dicono naturale e non inquinante - che rende il tutto inquietante. Ci sono insetti ovunque e di ogni tipo, che vengono addosso e persistono anche dopo esser stati scacciati via (tante mosche, cimici, zanzare, persino farfalle colorate).
E poi, soprattutto, ci sono i luoghi della droga: spazi più o meno grandi che si aprono tra gli alberi in cui è impossibile fare un passo senza appoggiare i piedi su una o due siringhe. Sono terreni interamente ricoperti di rifiuti di ogni genere, avanzi di chi è stato lì per qualche dose e che lì poi torna, incurante dello schifo che c'è. A tornare sono in tanti, tutti ridotti a rifiuti umani dalle facce perse, tutti diretti negli stessi posti, sempre scrutati dagli occhi attenti di spacciatori e vedette che saltano fuori a controllare chi transita e cosa è venuto a fare.
Difficile mettere ordine in una situazione del genere e poi riuscire a mantenerlo, per tanti motivi.
Quello che mi colpisce, però, il non limite dell'abisso della disperazione umana.
Come si può finire lì, addentrarvisi passo dopo passo, siringa dopo siringa e continuare senza curarsi di quel contesto così degradato e degradante in cui ci si lascia sprofondare?
Cosa spinge una persona ad annullarsi in quel modo, a diventare un rifiuto umano messo lì insieme agli altri rifiuti buttati a terra, nella sporcizia, con gli insetti che si avventano?
Come si può sopportare di lasciarsi finire in quell'orrore?
Non c'è riqualificazione dei luoghi che possa salvare gli uomini che si lasciano sprofondare così in basso.
Nel "bosco della droga" si riaprono le stesse domande che mi facevo quando leggevo "Noi ragazzi dello zoo di Berlino".