sabato 30 maggio 2015

La Bindi e gli impresentabili

Ci sono molti punti labili a proposito della scelta della preparazione e diffusione della lista degli “impresentabili” da parte di Rosy Bindi, in qualità di Presidente della Commissione Antimafia.
Premettendo che Rosy Bindi, in conferenza stampa, ha pesato accuratamente le parole, non ha mai fatto uso del termine “impresentabile” e ha fornito un’ampia serie di giustificazioni alla decisione di presentare quella lista, tralasciando per un attimo le contese di fazione all’interno del PD e prescindendo per un momento dalla vicenda inerente Vincenzo De Luca, ci sono una serie di motivazioni sull’inopportunità di tutto quel lavoro da parte della Commissione Antimafia che vanno poste alla base.

Innanzitutto va chiarito di cosa si sta parlando: si sta parlando di una commissione parlamentare bicamerale (cioè formata al suo interno da deputati e senatori, quindi, soggetti eletti in Parlamento, non magistrati o poliziotti) che si arroga il diritto di giudicare se altri soggetti che stanno candidandosi in politica sono adatti a farlo o meno.
Tradotto si sta parlando di politici che giudicano politici o aspiranti tali.

Va anche detto che Rosy Bindi ha fatto sapere subito che la scelta dei nomi è stata fatta sulla base di informazioni ricevute dalle Procure, quindi, dati in qualche modo certi.
E qui sorge già un primo dubbio: se proprio una lista di “impresentabili” ci doveva essere e se i dati vengono forniti dalle Procure, forse sarebbe stato più consono che a stilarla fossero state le Procure stesse.

Ma sui dati sorge anche il secondo problema: la lista presentata da Rosy Bindi, come lei stessa ha precisato, non considera tutti i reati in cui possono essere incappati i vari soggetti candidati ma soltanto alcuni considerati in qualche modo “reati spia” di possibile coinvolgimento di mafia stabiliti sulla base del Codice Etico, scritto e approvato all’unanimità dalla Commissione Antimafia prima delle elezioni europee e comunali del 2014, poi discusso anche in Parlamento ma non approvato e rinviato a data da destinarsi perché non vi era la convergenza di tutti i gruppi politici.

E qui di problemi ne sorgono più di uno.
Innanzitutto la legittimità del Codice Etico a cui Rosy Bindi fa riferimento come metro di giudizio delle candidature. Si parla di un Codice che non è una Legge dello Stato e, quindi, non è valida obbligatoriamente per tutti e su cui non vi era nemmeno la convergenza di tutti i partiti politici, tanto che il Parlamento l’aveva discusso ma non approvato. Quindi, come si fa a dire al candidato di un partito che non ha approvato quel Codice che lui è “impresentabile” perché non rispetta quel Codice, che comunque non è una legge ma è un’indicazione uscita da una Commissione senza obbligo di adottarla?

Un altro aspetto controverso è che quel Codice preparato dalla Commissione Antimafia, ovviamente, si interessa dei reati di mafia e quelli la Bindi si è preoccupata di andare a cercare incrociando i dati delle Procure. Tutti gli altri reati non vengono contemplati.
Dai giornali delle scorse settimane si poteva leggere un elenco ben più grave di soggetti “impresentabili” rispetto a quello presentato da Rosy Bindi, con tanto di curriculum e biografie ben sintetizzate, tra questi anche uno accusato di violenza su minori e poi mogli incensurate di mariti ampiamente compromessi che venivano messe in lista per consentire appigli ai traffici dei consorti e molti altri casi, senza dimenticare soggetti magari che non avevano condanne pendenti sul capo ma che avevano trascorsi politici molto discutibili (il candidato fascista inserito in una lista civica di centrosinistra in Campania ad esempio). La stessa Rosy Bindi aveva ben presente tutto questo, tanto che in conferenza stampa, alla domanda se tra gli “impresentabili” vi erano anche soggetti indagati per peculato (con particolare riferimento alle vicende delle “spese pazze” che ha visto il coinvolgimento di più Consiglio Regionali), ha chiarito che quel reato non era stato preso in considerazione perché le vicende presentavano molte variabili da una Regione all’altra e anche da un soggetto all’altro e sarebbe stato impossibile dare un giudizio omogeneo ma, se fosse stata presa in considerazione quell’accusa, il numero degli “impresentabili” sarebbe certamente aumentato.
È evidente, quindi, che di fronte a questo quadro, la lista presentata da Rosy Bindi risulta molto parziale (perché basata su dati parziali), incompleta e con la quale si rischia addirittura che bollando pubblicamente solo alcuni soggetti come “impresentabili” si finisca per legittimarne altri ben più discutibili.

E anche qui, la domanda che torna spontanea è: se proprio si doveva fare una lista di “impresentabili”, non sarebbe stato meglio se l’avesse fatta la Procura, elencando per bene tutti i capitoli penali e i trascorsi dei vari candidati così da presentare ai cittadini un quadro realistico, completo e non parziale? Insomma, nulla contro la trasparenza, ma se deve essere trasparenza che la sia per davvero e fino in fondo.

Ovviamente, il meglio sarebbe che non ci fosse bisogno di alcuna lista, in quanto i partiti dovrebbero selezionare con maggiore attenzione i soggetti da cui vogliono farsi rappresentare nelle istituzioni e, in alternativa, sarebbe molto più utile che, anziché stilare liste di proscrizione tardive e parziali, magari la Commissione Antimafia si mettesse a lavorare per approvare una legge che non consenta a soggetti condannati o indagati per alcuni reati (che magari non siano solo quelli considerati “spia” di mafia) di candidarsi alle elezioni. Fin tanto che non ci sono leggi che vietino la possibilità di candidarsi a soggetti dal dubbio curriculum penale, è abbastanza inutile stilare liste di proscrizione (per di più scritte da altri politici, magari alcuni dei quali a loro volta indagati per qualcosa), al massimo si può chiedere alle Procure di segnalare pubblicamente il profilo penale di ciascun candidato, in modo che i cittadini possano prenderne atto e decidere da soli se quei soggetti vale la pena di votarli o meno.

E sulla questione delle leggi, in qualche modo torniamo al punto di partenza e cioè ai compiti della Commissione Parlamentare Antimafia, che sono definiti dal disegno di legge con cui ad ogni legislatura viene istituita, citato anche dalla stessa Bindi durante la conferenza stampa.

Sul lavoro della Commissione Antimafia, però, occorre subito far notare alcuni aspetti: in questa legislatura, contrariamente al passato, la Commissione ha assunto un taglio più concreto e meno di pura analisi storica. La Commissione Antimafia, cioè, si è occupata meno delle grandi stragi che hanno avvelenato l’Italia e che in parte sono rimaste avvolte nei misteri e con cui gli esponenti che se ne sono occupati andavano in giro per conferenze e convegni costruendosi un’aurea quasi magica alludendo a mezze verità che avevano visto ma che non potevano raccontare fino in fondo; mentre gran parte del lavoro di questa legislatura si è concentrato sulle attività e la presenza della criminalità organizzata attuale, sugli scenari emersi dalle inchieste in corso e sulle richieste provenienti da chi opera nel contrasto alle mafie per cercare di costruire leggi più adeguate ed efficaci e, su questa strada, molte cose positive sono anche state prodotte.
Insomma, la Commissione Parlamentare Antimafia stava lavorando e lo stava facendo bene prima di andarsi a impelagare in questa vicenda assurda delle liste degli “impresentabili” con cui, invece, si è ampiamente squalificata nel metodo, nel merito e nella tempistica.

E qui, emerge il perché della responsabilità attribuita a Rosy Bindi. La Bindi è la Presidente della Commissione, cioè colei che organizza i lavori, che ne stabilisce la tempistica e dà gli indirizzi. È, quindi, ovvio che la responsabile principale di ciò che avviene e di ciò che è prodotto in Antimafia va alla Bindi, nel bene come nel male e anche prescindendo dalla vicenda della lista degli “impresentabili” e di chi l’avrebbe potuta vedere o meno. Ovviamente, accanto a lei vi è anche un “Ufficio di Presidenza” che era stato nominato poco dopo la sua elezione a Presidente e in assenza di esponenti di Forza Italia che, non gradendo il suo ruolo, avevano scelto di non partecipare ai lavori della Commissione Antimafia. Quindi, oltre alla Presidente Bindi, a governare in qualche modo i lavori della Commissione Antimafia, vi sono anche i Vicepresidenti Claudio Fava (esponente di Sinistra Ecologia e Libertà) e Luigi Gaetti (Movimento Cinque Stelle) a cui seguono i Segretari Angelo Attaguile (Lega Nord) e Marco Di Lello (PSI). Non ci vuole molto a capire che ciò che manca all’interno di quell’Ufficio di Presidenza è l’equilibrio politico: intanto non vi sono rappresentate tutte le forze principali che siedono in Parlamento e, secondariamente, i vertici sono fortemente sbilanciati verso una sorta di tendenza giustizialista. Questo non è necessariamente un fatto positivo o negativo ma, è chiaro, che quando si tratta poi di assumere delle decisioni finiscono con l’andare in una sola direzione che non sempre è rappresentativa dell’opinione di tutta la Commissione.
Se, comunque, anche questa precisazione non la si volesse considerare, rimane il fatto che il Presidente è il responsabile della Commissione e del suo operato a tutti gli effetti. Da qui il fatto che il primo bersaglio, per quanto avvenuto sulle liste degli “impresentabili”, sia diventata Rosy Bindi: la sarebbe stata comunque, anche se non si fosse tirata in mezzo la vicenda di Vincenzo De Luca.

A questo punto, però, dopo che sono stati esposti tutti gli elementi, resta da porsi l’ultima domanda: perché una Commissione Antimafia, che sta lavorando bene e cercando di portare a casa leggi valide che vadano ad incidere concretamente nel contrasto alla criminalità organizzata, sente il bisogno di andarsi ad impelagare in un terreno scivoloso e profondamente dubbio delle candidature “impresentabili”? A chi giova una simile forzatura?

Probabilmente, la risposta va cercata prima di tutto dalle pagine dei giornali: per intere settimane hanno presentato soggetti delle biografie non limpide tra i candidati alle elezioni mettendo così in dubbio la credibilità dei partiti che li avevano espressi; lo stesso Roberto Saviano aveva lanciato svariati anatemi e il Movimento Cinque Stelle - infervorato dal livore ghigliottinaro più che dalla sete di giustizia e dalla smania di ergersi a unici paladini della legalità – li aveva ampiamente cavalcati così che gli altri partiti si devono essere sentiti in obbligo di ricostruirsi una dignità. Facile a quel punto cadere in un cortocircuito. Il PD, probabilmente, non voleva apparire come il partito che negava il consenso alla discussione sulla onorabilità o meno dei candidati, anche per far vedere che non vi era nulla da nascondere al proprio interno perché è evidente a tutti cosa sarebbe accaduto se M5S, SEL e la Presidente Bindi avessero espresso desiderio di rendere pubblici i nomi degli “impresentabili” e il PD avesse fatto battaglia per non farlo: su tutti i media sarebbero comparsi infervorati grillini a gridare “al complotto!” e il che il PD copre la mafia e via di questo passo. Un danno enorme nelle ultime settimane di campagna elettorale in un clima già poco sereno. Tuttavia gestire un percorso così controverso era tutt’altro che semplice e gli scivoloni – o i trappoloni – come si è visto erano dietro l’angolo.

A questo punto la domanda da farsi è un’altra: vale la pena che il PD si metta a inseguire ogni stupidata richiesta dal Movimento Cinque Stelle e fomentata dai media invece che fare le battaglie davvero giuste? 
Perché, è ormai chiaro, che stilare una lista di “impresentabili”, arrogandosi il diritto di definire alcuni candidati come tali sulla base di dati parziali e in nome di un diritto dei cittadini di venire informati su chi andranno a votare a pochi giorni dall’apertura delle urne è tutto tranne che una battaglia giusta e tranne che dare una corretta informazione agli elettori.
Aveva un senso impelagarsi in questa questione? Non era più sensato ammettere che questa cosa era una pagliacciata e come tale andava liquidata e, caso mai, intervenire con delle leggi affinché i veri “impresentabili” non possano candidarsi o fare in modo che vengano diffuse informazioni complete su tutti i presenti in lista e che poi ciascun cittadino si va a guardare se lo ritiene opportuno?

La Bindi, in quanto Presidente della Commissione Antimafia e esponente del PD, porta anche la responsabilità di aver assecondato questa deriva su pressione del Movimento Cinque Stelle che, oltretutto, aveva richiesto questo lavoro con l’intento meramente speculativo nei confronti degli altri partiti e non certo con intenzioni nobili e informative. L’atteggiamento non costruttivo del Movimento Cinque Stelle è sotto gli occhi di tutti, impossibile che fosse sfuggito a Rosy Bindi che, nonostante tutto, ha scelto di seguire la loro strada, sul loro stesso terreno, e poi addirittura di sposarne le tesi impallinando il candidato PD alla Presidenza della Regione Campania.
Insomma, una deriva dietro l’altra. 
Un modo non corretto di utilizzare il proprio ruolo all’interno di importanti istituzioni per regolare i conti nei partiti alla vigilia delle elezioni… non è esattamente un bello spettacolo che la politica dovrebbe dare ai cittadini.

A parte la vicenda politica tutta interna al PD, restano due risvolti che invece riguardano le ricadute di tutto questo sui cittadini: sarà interessante vedere quanto la lista degli “impresentabili” influirà sull’opinione pubblica e poi ci sarebbe da riflettere sul ruolo dei media.

Per quanto riguarda il primo punto, il dubbio è: può un cittadino recarsi serenamente alle urne per votare un candidato, che magari ha conosciuto durante la campagna elettorale e che può avere un buon consenso (non esclusivamente De Luca, anche un semplice candidato al Consiglio Regionale), definito pubblicamente “impresentabile”? Cosa deve pensare un cittadino che magari ritiene valido un candidato definito “impresentabile” dalla Bindi? Dov’è la credibilità della politica di fronte a questo scenario? Andare a definire un candidato “impresentabile” a pochi giorni dal voto, dopo che tutta la campagna elettorale è stata fatta e magari il consenso si è già costruito sembra un po’ un colpo di teatro grottesco, un modo poco carino per dire ai cittadini “scusate, fino adesso vi abbiamo preso in giro, quel signore lì che vi abbiamo presentato e che ha conquistato la vostra fiducia, non è ciò che sembra”. Il risultato è che la politica dà l’idea di assomigliare ad una farsa. È difficile che un consenso costruito con mesi o anni di lavoro vada in fumo in un giorno - a prescindere dalla reale onorabilità della persona - ma il vero dubbio è che in molti scelgano di non andare a votare perché delusi da questo ennesimo screditamento di tutti contro tutti senza che vi sia una minima traccia di interesse per il bene comune.

Sul ruolo dei media, invece, la questione è più seria e complessa: il modo in cui la pressione mediatica può orientare l’opinione pubblica è da tempo oggetto di preoccupazioni ma più che altro perché da un lato ci sono i partiti che si preoccupano di come i consensi possano essere orientati verso di loro e dall’altro lato vi sono invece gli operatori della comunicazione che si preoccupano di capire dove soffia il vento per alimentarlo così da vendere qualche copia in più dei giornali o alzare i dati di ascolto dei programmi tv. Il risultato di tutto ciò è che i media finiscono per farsi oggetto di mera propaganda a casaccio e non di informazione, come invece dovrebbero essere.
In merito alla vicenda degli “impresentabili”, lo si vede molto bene: i giornali hanno incrementato per settimane il sospetto che la politica stesse supportando soggetti dal curriculum sporco invece che allontanarli, poi, quando la Bindi ha fatto sapere che la Commissione Antimafia avrebbe diffuso una lista di soggetti se non “impresentabili” quanto meno discutibili, hanno spinto al massimo il dibattito sul quando questa lista sarebbe arrivata e sui possibili inclusi o esclusi e, ora, alla luce del pasticcio avvenuto (che va oltre il problema e le polemiche interne al PD) pubblicano fior di editorialisti e costituzionalisti che spiegano che quell’elenco non andava fatto, che è contro la Costituzione e lo Stato di diritto e fuori dalle prerogative dell’Antimafia. Sarebbe stato sufficiente che i media avessero gestito con più attenzione e con una pluralità di voci fin dall’inizio tutto il dibattito sul tema, invece che soffiare sul fuoco per poi arrivare ora a dire che forse ci si è bruciati.

venerdì 29 maggio 2015

L'uso personale delle istituzioni

Rosy Bindi poteva scegliere se concludere bene questa legislatura (visto che ricopre un ruolo importante, delicato e con cui si può lavorare per concretizzare leggi che tutelino meglio il nostro Paese dal problema delle mafie), o concludere con una figuraccia. 
Ha scelto di concludere con una figuraccia, dimostrando di non avere per nulla il senso delle istituzioni e di aver utilizzato il suo importante ruolo di Presidente della Commissione Antimafia, non per combattere la mafia ma per combattere Renzi, al pari del Movimento Cinque Stelle; come se la gestione delle istituzioni fosse un qualcosa di collegabile alle problematiche interne al PD. Personalmente, sono schifata da un partito che gioca in continuazione a fare i congressi nelle sedi istituzionali e da una classe dirigente che, dopo aver fallito tutto quello che poteva fallire, anziché mostrare il senso di responsabilità verso il ruolo che ricopre, mostra solo il proprio astio e la propria voglia di sopravvivere cercando di far fallire gli altri perché ottengono risultati migliori del nulla di cui sono stati capaci loro. 
Oltretutto, trovo che sia un'assurdità che una commissione parlamentare si metta a dare patenti di presentabilità o impresentabilità ai candidati alle elezioni, basandosi su codici parziali che contestano alcuni reati ma ne tralasciano altri. 
La presentabilità o meno di certe candidature era emersa in modo molto più netta da alcuni articoli di giornale nelle scorse settimane in cui si ripercorrevano curricula e biografie di soggetti che avrebbero dovuto essere tenuti molto alla larga dalle istituzioni. 
Rosy Bindi, probabilmente, basandosi su una pressione mediatica forte intorno a quanto stava avvenendo in tema di candidature (i giornali ne avevano scritte di tutti i colori, c'erano anche gli anatemi di Roberto Saviano) e sull'enfasi ghigliottinara del Movimento Cinque Stelle, ha trascinato un'istituzione importante, quale è la Commissione Antimafia, in un terreno a metà tra la corrida elettorale e le beghe di corrente. 
Così facendo, Rosy Bindi rischia di far perdere valore anche a tutto il lavoro importante di contrasto vero alle infiltrazioni criminali che la Commissione Antimafia stava facendo. 
Mi spiace perché, prima di oggi, di Rosy Bindi avevo un'idea migliore.

venerdì 22 maggio 2015

100 Comuni contro le mafie

Questa mattina a Milano, nell’Expo Gate davanti al Castello Sforzesco, si è parlato di lotta alle mafie con l’incontro organizzato dall’ANCI “100 Comuni contro le mafie”, in cui è stato anche presentato il rapporto redatto dall’Associazione dei Comuni sul tema delle politiche pubbliche nella prevenzione e nel contrasto alla criminalità organizzata.
Tanti gli ospiti illustri delle istituzioni – non solo sindaci - affiancati dai protagonisti della lotta alla mafia.
Il saluto di apertura dell’incontro è stato fatto dal Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha ricordato che nel 2013 e nei primi mesi del 2014 sono stati oltre 1.200 gli amministratori locali che hanno ricevuto minacce e non devono essere lasciati soli. «È importante creare un fronte comune unito contro la mafia perché questo fa paura alla mafia», ha affermato il Sindaco.
Inoltre, Pisapia ha segnalato che le presenze mafiose creano ai territori un danno sociale, economico e di immagine e, anche per questa ragione, il Comune di Milano si è sempre costituito parte civile nei processi di mafia.
Pisapia ha poi rivendicato l’efficacia dei protocolli per la legalità siglati da istituzioni, forze dell’ordine e autorità competenti, con particolare riferimento a quelli per Expo 2015 che hanno prodotto importanti risultati con le interdittive con cui si sono potute escludere dai lavori aziende che erano sembrate non del tutto trasparenti, tanto che sono stati utilizzati anche come esempio per altri Paesi europei.
«Ovviamente, però, - ha sottolineato Pisapia – i protocolli da soli non sono sufficienti a fermare i tentativi di infiltrazione criminale ma è necessario che vi siano anche i controlli» e, su questo tema, il Sindaco di Milano ha ricordato che per i controlli sul sito di Expo (che è un’area interna a più Comuni) è stato siglato un protocollo che consente alle forze dell’ordine di agire anche in caso di extraterritorialità e, ad oggi, a questa formula hanno aderito anche le forze dell’ordine dei Comuni della Città Metropolitana, così da consentire che non vengano fermate le indagini quando il campo d’azione si sposta dal territorio di un Comune ad un altro.
Pisapia ha concluso il suo intervento segnalando che la vera forza di contrasto alle mafie sta nell’antimafia sociale e nella cittadinanza attiva: «Sono il miglior modo di combattere la mafia. – ha affermato il Sindaco di Milano - Dai sindaci può poi partire quello scatto d'orgoglio che diventa anche scatto di concretezza nella lotta alla mafia».

Moderatore della prima parte della mattinata è stato il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris che ha ribadito più volte che l’ANCI è vicina a tutti i sindaci e gli amministratori locali che hanno subito minacce e si sta attivando per costruire una vera e propria rete contro le mafie. Sul fronte dei controlli, De Magistris ha segnalato che sarebbe opportuno che questi siano preventivi e per questo, a metà luglio, ANCI e ANAC firmeranno un protocollo di intesa che consentirà la realizzazione di controlli preventivi per aiutare i sindaci a «non sbagliare» e ad accorgersi per tempo dei tentativi di infiltrazione criminale.
De Magistris ha poi denunciato la lentezza dei pagamenti dei debiti da parte della Pubblica Amministrazione alle aziende come una delle cause che spingono gli imprenditori – in particolar modo quelli delle PMI – a cercare crediti dai criminali per non andare incontro al fallimento, soprattutto in tempi difficili come questi segnati dalla crisi economica.
Inoltre, ha ricordato De Magistris in conclusione del suo intervento: «La lotta alle mafie non si fa solo con la repressione dei criminali ma anche con la riqualificazione urbana perché più i cittadini stanno in strada, meno ci stanno i criminali».

Delle richieste chiare ai legislatori sono state presentate da Roberto Scanagatti, Sindaco di Monza e Presidente di ANCI Lombardia che ha sottolineato la necessità di una semplificazione normativa che consenta di non perdersi nell’interpretazione delle norme e di poter accedere a white list già controllate in modo che gli amministratori non sbaglino quando devono fare selezioni.
Scanagatti ha poi concluso il suo intervento con un monito: «I Comuni nonostante i tagli che hanno subito, hanno sempre garantito la spesa per i servizi sociali e questo ha consentito di mantenere la coesione sociale. Altri tagli sarebbero insostenibili e non garantire la spesa sociale provoca rischi di infiltrazioni di criminali che verrebbero visti come coloro che garantiscono ciò che lo Stato non è più in grado di garantire».

Elisabetta Tripodi, Sindaco di Rosarno, ha denunciato i tanti modi di fare intimidazioni da parte dei mafiosi: «Non ci sono solo le minacce dirette ma esistono anche le intimidazioni indirette, il portare a far dimettere improvvisamente persone vicine al Sindaco, lo svuotare le amministrazioni a poco a poco delle persone pulite, il fare in modo che lascino». Tra le richieste portate all’attenzione degli uditori quella di rivedere le norme che regolano i beni confiscati e, in particolar modo, le aziende confiscate perché se queste dopo la confisca falliscono, oltre a dare un messaggio profondamente negativo creano anche un problema sociale per coloro che perdono il lavoro e, in tante realtà del Sud, è un fatto drammatico. Un’altra richiesta del Sindaco di Rosarno è poi quella di rivedere l’art.143 della normativa sullo scioglimento dei Comuni perché se questi vengono sciolti più volte significa che il risanamento non ha funzionato.

Sul tema delle intimidazioni agli amministratori locali, è stato ricordato un rapporto di Avviso Pubblico secondo cui queste sarebbero in forte aumento e la prima causa è l’aumento dell’estensione delle mafie sui territori a cui, però, si aggiunge anche l’aumento dei soggetti che denunciano.

Alfonso Sabella, Assessore alla Legalità a Roma, in materia di infiltrazioni criminali negli Enti Locali, ha affermato con toni accesi che gli amministratori devono essere in prima linea nel contrasto le mafie e ha segnalato anche un cambio di strategia nel malaffare: «Prima si pagava la politica mentre ora si paga l'amministrazione e c'è una moltiplicazione di piccole mazzette».

A ricordare il ruolo della polizia locale come strumento di presenza e controllo del territorio è stato Marco Granelli, Assessore alla Sicurezza al Comune di Milano, il quale ha ricordato anche l’esperienza di collaborazione positiva che è stata avviata tra amministrazione e Prefettura a partire dal monitoraggio delle presenze della criminalità organizzata all’interno delle case popolari svolta su richiesta della Commissione Parlamentare Antimafia.
Granelli si è poi soffermato sul tema dei beni confiscati, che sono molti anche nel territorio milanese e spesso i cittadini non ne sono a conoscenza e, al fine di fare in modo che tutti abbiano consapevolezza di dove sono stati i luoghi della delinquenza poi recuperati e restituiti alla società, era stato organizzato il Festival dei Beni Confiscati alle Mafie.

Un lungo ed appassionato intervento è stato quello di Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, il quale ha aperto con la citazione di Paolo VI «La politica è la più alta forma di carità», per segnalare che la politica è, quindi, una forma di «servizio al bene comune».
«La cittadinanza è il cuore della città mentre l'amministrazione è la mente. Ma la cittadinanza è anche corresponsabilità, tutti devono concorrere al bene comune», ha affermato Don Ciotti, sottolineando che «C'è tanta gente che si commuove di fronte alle tragedie ma non basta, occorre che ci si muova. Serve avere una consapevolezza di ciò che avviene mentre oggi c'è tanta ignoranza».
Il fondatore di Libera si è, quindi, soffermato, sull’importanza dell'educazione come investimento sul futuro ma ha precisato che «in città ogni contesto deve essere educativo, serve creare città educative dove tutte le componenti del territorio possano dare il loro contributo; non si può relegare l’educazione solo alla scuola e alla famiglia. Non basta neanche la moltiplicazione delle attività ma serve un progetto che comprenda una visione».
«Oggi c'è una generazione di giovani che vive l'angoscia del futuro e dobbiamo tenerne conto. – ha proseguito Don Ciotti - Oggi i giovani non sperano in un futuro migliore ma sperano che un futuro ci sia. L'unico mercato che non cambia mai è quello della droga e questo dimostra che la guerra alla droga è fallita. Così come delle stragi non si conosce mai la verità e la gente poi perde la fiducia nelle istituzioni. Oggi ci sono ancora molta omertà e timore mentre, invece, bisogna insegnare alla gente ad avere più coraggio. Libera si costituisce parte civile nei processi di mafia per essere vicina a vittime e magistrati, per non lasciarli soli».
Parlando della sua associazione, Don Ciotti ha segnalato che recentemente Libera ha aperto sportelli S.O.S. sul territorio con l’intento di essere dei presidi visibili ma anche un punto di appoggio e riferimento per chi ha bisogno.
Venendo agli aspetti legislativi, Don Ciotti ha ribadito che serve accelerare la riforma delle norme che regolano la gestione dei beni confiscati per darli alla collettività ed in particolare serve potenziare l'Agenzia dei beni confiscati e renderla un ente pubblico ed economico e non soltanto un dipartimento del Ministero dell'Interno. «Il Parlamento deve fare in fretta a recepire le indicazioni su questo tema che sono state prodotte dal lavoro della Commissioni Antimafia», ha detto il fondatore di Libera, segnalando che «se lo facesse, arriverebbero alla collettività circa 55.000 beni».
«Parliamo meno di legalità. – ha poi affermato Don Ciotti, in conclusione del suo discorso – La legalità è diventata un idolo sulla bocca di tutti, ce l'hanno rubata e svuotata. Oggi sono gli stessi mafiosi a organizzare i convegni antimafia! Prima di “legalità” viene la parola “responsabilità” e i due concetti vanno saldati. Anche “antimafia” è un problema di “responsabilità” e di “coscienza” perché le mafie non sono un mondo a parte ma sono parte del nostro mondo, camminano insieme a noi, non hanno bisogno di una nuova definizione ma di una nuova comprensione del fenomeno. Inoltre, serve porre attenzione alle commemorazioni: oggi fioriscono targhe, piazze, vie intitolate alle vittime di mafia ma non va bene se tutto finisce lì e si fa solo retorica della memoria. La memoria non deve essere sporadica ma riconoscenza viva».

Piero Fassino, Sindaco di Torino e Presidente Nazionale dell’ANCI è intervenuto per portare il suo saluto all’iniziativa e ha ricordato che ogni territorio è a rischio infiltrazioni criminali, soprattutto quelli più ricchi ma un territorio, per offrire opportunità ai suoi cittadini, deve essere sicuro. Fassino ha annunciato che prenderà il via un osservatorio dell’ANCI sul fenomeno della criminalità organizzata sui territori perché è indispensabile costruire una strategia attiva tra istituzioni locali, forze dell'ordine e magistratura e servono strumenti adeguati. «Oggi ci sono leggi per tutelare gli amministratori locali dalle minacce e dalle infiltrazioni ma i dati dimostrano che purtroppo la loro applicabilità non funziona», ha ricordato Fassino, segnalando che comunque, oltre ai fronti legislativi, anche la società civile deve essere impegnata nel contrasto alle mafie, in un rapporto con le istituzioni.
Fassino ha mostrato un forte apprezzamento per l’approvazione della nuova legge anticorruzione perché – ha ricordato - «spesso dalla corruzione partono i tentativi di infiltrazione criminale nei territori e nelle amministrazioni ed è da lì che prende corpo l’illegalità».
Come gli altri relatori, anche Fassino ha segnalato la necessità di riformare le norme sulla gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, in quanto si tratta di un patrimonio ingente ma scarsamente riutilizzato e, tenere i beni confiscati inerti, indebolisce la lotta alle mafie.

In conclusione della prima parte dei lavori della mattinata è intervenuta Rosy Bindi, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, la quale ha aperto la sua relazione sul problema della presenza delle mafie al Nord e del fatto che, pur essendo un fenomeno consistente e insediato, sia ancora possibile combatterlo. In merito alla discussione fatta sul tema dei beni confiscati, toccata da più persone nel corso dei lavori, Rosy Bindi ha segnalato che il lavoro della Commissione Antimafia è stato fatto fino in fondo ed ora l'iter di discussione partirà dalla Camera dei Deputati ma – ha precisato – quella prospettata non è una riforma a costo zero. Ripercorrendo gli argomenti affrontati nel corso della mattinata, Bindi ha affermato inoltre che «Oggi il riferimento per ottenere qualcosa sui territori non sono più i parlamentari nazionali ma i politici locali, gli assessori, gli amministratori e per questo poi vengono minacciati: le decisioni si prendono sul territorio. Indebolire gli Enti Locali aiuta i criminali a infiltrarsi ma questa non è una polemica con l’attuale Governo perché i tagli ai Comuni li hanno messi in pratica già parecchi governi. Sui codici etici, tutti quelli che abbiamo visto sono legati ad atti giudiziari, a parte la Carta redatta da Avviso Pubblico che ha cercato di individuare il profilo della buona politica. E non arriverà mai la buona politica finché c'è una politica clientelare. La politica clientelare, anche con il cittadino per bene, è la base del voto di scambio perché indebolisce il rapporto diritto-dovere tra cittadino e amministrazione».

domenica 17 maggio 2015

Altre impressioni da Expo

Altra settimana, altro giro ad Expo.
Più i giorni passano, più Expo migliora.
Va chiarito subito, però, che c’è una differenza tra l’andarci durante le giornate lavorative (magari di giorno) e l’andarci nel week end o la sera dopo le 19:00 (quando il costo del biglietto è ridotto e arrivano folle di persone di ogni genere).
Durante la settimana, normalmente, si incontrano le scolaresche, i gruppi organizzati, molti operatori del settore e addetti ai lavori; i volontari girano a gruppetti sfaccendati, non tutto è aperto e accessibile (in particolare al lunedì che è un po’ una “giornata morta”, non perché la gente non ci sia ma perché è sicuramente inferiore nei numeri rispetto agli altri giorni e gli organizzatori si adeguano e, magari, colgono l’occasione per ridimensionare un po’ persone e risorse).
Nel fine settimana lo scenario cambia radicalmente: tutto è aperto, tutto funziona a pieno regime, tutti gli operatori e i volontari sono affaccendatissimi a dare indicazioni ai visitatori e sia il corridoio centrale che i padiglioni o il retro dei padiglioni si animano anche di bar, spazi aperitivo, musica, aree relax.
La sera, poi, è un altro mondo ancora: all’interno di Expo arriva il popolo della movida (molto variegato perché si spazia dai ragazzini casinisti ai giri di persone firmate da capo a piedi, agli impiegati in cerca di relax dopo il lavoro fino ai soggetti vestiti come ragazzi/e immagine da festa in discoteca, esattamente come in qualsiasi luogo della movida notturna) e il sito espositivo si adegua e diventano molto più visibili i punti in cui si può bere o mangiare attorno ai padiglioni o nelle aree relax a bordo piscina/fontane o giostrine. Quando sono passate le 19:00 - e l’ingresso è concesso a 5,00 € - si vede un cambio radicale dei soggetti che si aggirano per Expo: il popolo della gita con zainetti, scarpe basse e cappellini si avvia all’uscita (spesso con aria stanca per il tanto camminare) o si appisola su sdraio, prati, panche o qualsiasi altro punto d’appoggio mentre arriva un’ondata di persone vestite in modo più appariscente e le donne sono tutte con tacchi alti e truccatissime. Ovviamente, cambiano anche i luoghi di approdo e le lunghe code cominciano a spostarsi dai padiglioni ai luoghi di ristoro (in particolare i camioncini francesi e olandesi dell’area giostre, il baretto del Belgio con le patatine (assaltato a tutte le ore del giorno e della notte) ma anche i bar di Spagna, Messico, Argentina, Corea.
Expo, insomma, la sera diventa un luogo per la movida al pari di Brera, dei Navigli o di Corso Como.
In generale, sui visitatori di Expo ci sono un po’ di cose da chiarire: le persone vengono lì principalmente per divertirsi, svagarsi e prendere parte all’evento mondiale.
L’interesse per i contenuti presentati è abbastanza scarso, non perché non vogliano vedere i padiglioni, anzi, le lunghe code un po’ ovunque dimostrano il contrario ma perché una volta entrati – un po’ anche per via della stanchezza delle attese, un po’ per il giro che spesso è lungo, un po’ perché si vogliono vedere più cose possibili in una sola giornata - si tende a passare all’interno degli spazi scorrendo con lo sguardo sulle cose che si incontrano senza prestare troppa attenzione al perché sono disposte in un certo modo e a cosa rappresentano; si tende a non leggere i cartelli esplicativi che vi sono e ad ascoltare distrattamente le hostess che vi sono all’interno e che illustrano ciò che si sta guardando. Insomma, molto spesso, la visita ai padiglioni si traduce in una passeggiata rapida lungo il percorso interno in cui si cerca più lo stupore per la tecnologia utilizzata per la rappresentazione dei contenuti che non il cercare di capire il contenuto stesso.
Non è sempre una colpa o una forma di disinteresse, in molti casi è proprio la stanchezza fisica a non consentire di concentrarsi troppo, in altri casi sono le condizioni economiche: entrare ad Expo di giorno costa molto e chi è lì vuol vedere più cose possibili e, quindi, finisce che gira come una trottola da un posto all’altro, imbucandosi al momento in cui non trova troppa coda, anche se magari si sta già dirigendo verso casa dopo una lunga giornata nel sito, per poter almeno “fare un giro” dentro ad un Paese che difficilmente avrebbe altre occasioni per guardare e questo, indubbiamente, non agevola l’attenzione a ciò che si osserva.
Una colpa dei visitatori, invece, è la scarsa educazione nei confronti delle cose: si siedono e si sdraiano ovunque (soprattutto sui prati), lasciano cadere le cose per terra (nonostante il sito sia disseminato di cestini per i rifiuti), si rinfrescano nelle “case dell’acqua” (che servono per bere e non per lavarsi).
L’acqua in Expo non manca così come ci sono le fontane, il canale che scorre intorno al sito e gli spazi verdi (alberi, aree relax, prati, alberelli, orti). Il problema è che non tutti gli spazi verdi sono adeguatamente irrigati, in particolar modo quelli a cura dei padiglioni (che appunto dipendono dal singolo Paese che li ha progettati) e questo può provocare qualche problema visto che buona parte di questi spazi si trova sotto al sole e abbiamo l’estate davanti: è facile trovare già alcuni punti un po’ spelacchiati per il troppo sole (se verticali) o per il troppo calpestare (se orizzontali) e si spera che vengano trovate soluzioni per arrivare con le aree in buono stato fino alla fine dei sei mesi.
I padiglioni che hanno scelto come loro claim il verde (che sia orto, agricoltura, bosco, giardino, foresta) sono, infatti, moltissimi, a partire da Israele (con l’orto verticale, ampiamente irrigato), l’esterno francese (con l’orto in grandi vasi che formano un labirinto attraverso cui si accede allo spazio espositivo con accanto megaschermi che spiegano le varie fasi del raccolto), il Brasile (diventato famoso per la grossa rete su cui tutti vogliono provare a camminare sospesi ma che al suo interno si compone di una serie di piante e prodotti della terra, ampiamente irrigati, e tavole tecnologiche interattive ed esplicative del percorso) ma anche il Regno Unito (con il giardino sollevato ad altezza ape) e l’Iran (con fiori, piante e frutti, che diventano cibo, cultura e tradizione).
Un po’ a sorpresa, è poco verde quella che nei luoghi comuni viene chiamata la “verde Irlanda”: all’interno si parla dei cicli agricoli, degli strumenti da lavoro e dell’allevamento ma il tutto su megaschermi che proiettano le varie fasi. Di verde vero si vede solo qualche pianta all’esterno (alcune delle quali non proprio in buona salute a causa del vento forte dei giorni scorsi).
Al verde è dedicata la Collina Mediterranea, a ridosso dell’ingresso di Roserio al sito espositivo, ben costruita, molto squadrata ma anche molto assolata e dalla cui cima si sentono i rumori delle strade vicine… insomma, non proprio un luogo riposante. Va molto meglio nell’isola della biodiversità più sotto, gestita molto bene da Slow Food, con arredi semplici e in legno e molta documentazione istruttiva sia per gli adulti che per i ragazzi.
È paradossale ma, vicino a Slow Food, c’è anche Mc Donald, sicuramente poco salutare ma molto pratico ed economico (che per l’occasione ha predisposto anche pannelli su cui effettuare l’ordinazione e pagare con bancomat), un po’ rumoroso ma affollatissimo da persone di tutte le età.
Nella stessa zona si trova anche il padiglione del Sultanato dell’Oman che ha puntato tutto sul concetto di acqua come luogo di vita e accoglie i visitatori con una fontana dai giochi d’acqua e architetture color sabbia che richiamano le oasi. All’interno è un mix di oggetti veri e virtuali ricostruiti con la tecnologia (le statue sembrano animarsi e spiegano ciò che rappresentano). Dietro al padiglione vi è anche il ristorante, sempre costruito nella stessa architettura spettacolare.
In generale, ogni padiglione dispone di un’area espositiva (più o meno ampia), un piccolo spazio shop (di gadget del Paese d’origine e acquistabili spesso a prezzi molto elevati) e un punto ristoro (bar o ristorante). In alcuni casi il percorso interno è strutturato in modo che il visitatore parta dall’area espositiva e termini nel punto shop o ristoro, in altri casi l’ingresso all’area espositiva è totalmente separata dall’area shop, bar o relax e entrare in uno spazio non implica l’accesso anche all’altro. È il caso della Germania, il cui percorso all’interno del padiglione espositivo è molto divertente e interattivo anche se lungo e con ampi tempi di attesa ma è totalmente separato dallo spazio esterno, dove pure vi sono dei tabelloni esplicativi dei concetti che si trovano meglio esplicitati all’interno, delle innovazioni tecnologiche in particolare legate al vento ma dove dominano le panche e i pergolati per il relax con vista sui tetti di Expo e da cui si può scendere con uno scivolo.
Più o meno lo stesso discorso vale per gli Stati Uniti, dove l’ingresso principale fa approdare in un’area con tabelloni con immagini a scorrimento sulle politiche americane in materia di agricoltura e alimentazione che termina con uno spazio shop con oggetti costosissimi e da lì si può scegliere se salire al piano superiore con bar e ristorante (su ampia terrazza da cui si domina Expo e si ascolta bellissima musica) o scendere per accedere all’area espositiva in cui, dopo aver fatto un po’ di coda, si viene separati in gruppetti per assistere ad un percorso fatto di mini-filmati (che però quasi nessuno guarda e tutti cercano di imbucarsi nel gruppo più avanti, saltando dei giri) all’interno di sale buie.
Quello che non fanno i Paesi, a volte lo fanno gli sponsor: è il caso dell’Olanda, il cui padiglione è un labirinto di specchi con accanto una ruota panoramica di dimensioni ridotte e i camioncini con cibo e bevande (praticamente un mini luna-park) mentre un’azienda olandese che si occupa di agricoltura ha creato un padiglione espositivo piuttosto evidente anche se non è situato lungo le vie principali con un tetto fatto di prato verde con un trattore sopra e all’esterno ha parcheggiato una serie di piccoli trattorini con cui si divertono a giocare i bambini.
A metà tra la natura e la tecnologia sono, invece, i bellissimi padiglioni di Angola e Polonia. Il padiglione dell’Angola è enorme e curato in ogni dettaglio. Una prima parte più esterna e legata a sponsorizzazioni si compone di piante mediterranee inserite nell’architettura all’interno di un percorso incantevole che poi porta ad un ristorante. Il padiglione vero è proprio, invece, ha l’ingresso sul lato opposto ed è un percorso strutturato su più piani in cui vengono presentati diversi concept legati all’alimentazione e al ciclo della vita e del cibo con suoni, video, immagini, strutture interattive. Salendo lungo il percorso, a più tappe, si incontra anche la natura vera con piante e una piccola serra fino all’ultimo piano del padiglione in cui, oltre alla presentazione di alcuni alimenti locali, alle donne viene donato un piccolo ventaglio di cartone che servirà per l’accesso alla terrazza sul tetto, disseminata di piante e panchine ma terribilmente calda. Lungo la discesa, prima dell’uscita, è possibile vedere anche un’area in cui si trovano delle opere d’arte contemporanea del Paese. Un vero e proprio capolavoro di architettura, tecnologia, innovazione e natura! Una sorpresa davvero bella da parte di un Paese che, bisogna ammetterlo, la maggior parte dei visitatori non conosce e che sicuramente non si sognerebbe mai di andare a visitare ma che, invece, almeno per come si presenta in Expo e per ciò che vuole comunicare, oltre che per l’impegno e l’investimento (sicuramente ingente) per la realizzazione di quel padiglione, merita un po’ di attenzione.
Un caso analogo, ma dalle dimensioni più ridotte, è il padiglione della Polonia. Si entra con una citazione di Dante capovolta: “Abbiate ogni speranza, voi che entrate” e hanno ragione. Dopo una lunga salita si accede ad un delicato giardino di fiori, piante e farfalle racchiuso dentro pareti di specchi. Un incanto molto romantico e piacevole che allontana dal caos esterno. Da qui si accede poi all’interno del padiglione dove invece domina la tecnologia e il gioco: si può guidare un’auto (in videogioco), produrre energia con il movimento, parlare ad uno schermo con il volto di medusa che replica ciò che gli viene detto. Il tutto termina con il consueto approdo al punto shop di prodotti locali (anche alimentari) mentre fuori, davanti all’ingresso, si susseguono spettacoli in costume.
Anche l’Estonia è metà giardino e metà altro, dove per “altro” però si intendono produzioni locali che non c’entrano molto con Expo (sono esposti un pianoforte, una moto, altri oggetti in legno). La vera forza dell’Estonia – oltre alla gradevolissima terrazza ventilata in legno con piante e fiori e buchi da cui si vedono gli animali del bosco – sono le altalene dislocate lungo il percorso e su cui si può sedere e sostare. Sono la gioia dei bambini ma anche dei grandi. Le altalene funzionano, ci si può dondolare davvero (magari gli adulti, soprattutto se non magrissimi, farebbero meglio a farlo con cautela invece di fiondarcisi come bisonti) e sono una vera attrazione (nel senso che “attirano a sé”) molto rilassante. Un’oasi tranquilla di relax per riprendere fiato dal lungo cammino e allontanarsi dai rumori caotici del Decumano.
Un altro Paese che sembra aver capito solo a metà il senso di Expo è il Belgio. La vera coda in Belgio non è per visitare il padiglione ma per il bar che vende il cono di patatine fritte. Il padiglione presenta un primo piano espositivo delle produzioni locali compresi i gioielli (bellissimi ma non si capisce cosa c’entrino con Expo), poi si scende al piano inferiore dove, invece, si arriva ad Expo con il ciclo della vita, delle coltivazioni (c’è una serra) e i pesci nell’acquario, la cui acqua era pulita all’inizio della manifestazione ma ora fa davvero impressione e si spera, per il bene di quei poveri pesci, che venga cambiata. Il tutto termina con il consueto punto shop (dove ci sono ottimi cioccolatini) e un bellissimo bar.
La Spagna, invece, ha giocato tutto sulla tecnologia. L’ingresso non è comprensibilissimo: campeggiano valigie e valigie volanti su sfondo giallo, poi però all’interno vengono presentati – grazie a schermi, immagini, proiezioni su pareti e pavimenti – le specificità spagnole in tema di alimentazione e biodiversità. Il tutto termina con l’approvo ai bar più gettonati della movida di Expo.
Insomma, i contenuti, a volerli cercare ci sarebbero anche, ma spesso anche quando vengono presentati nelle forme più coinvolgenti, interattive e spettacolari sono i visitatori a ignorarli per prediligere l’aspetto ludico dell’esposizione. Per non parlare di quando si ha a che fare con le hostess che, all’interno dei vari padiglioni, cercano di raccontare ciò che si sta vedendo: il più delle volte, i visitatori (che, oltre a volersi divertire, hanno anche fretta di fare il giro e passare ad altro) le ascoltano con malcelato fastidio.
Qualche perplessità, sempre sui contenuti, la lascia anche la “casa delle associazioni”, Cascina Triulza. È un po’ paradossale ma il luogo del Terzo Settore, dove vengono organizzati importanti iniziative e interessanti dibattiti per discutere del tema di Expo (cioè “Nutrire il Pianeta”) e dove c’è una grande attenzione alla biodiversità e alla sostenibilità, al loro esterno ospitano un Mercato (si chiama così, lo indica il cartello che vi campeggia davanti) di poche bancarelle di produzioni varie (sabato c’erano alimentari siciliani e di qualche altra Regione uniti a venditori di gioielli o gadget indiani e bengalesi), a metà tra quelli che si trovano alla fiera Fa la cosa giusta e i venditori di patacche delle feste di via. Chi lo gestisce garantisce che si tratta di un mercato “equosolidale” e di produzioni artigianali, nella pratica sono bancarelle piazzate davanti alla Cascina con venditori che fermano i visitatori e cercano di piazzare i loro prodotti… un po’ spiacevole, visto che quella è la sede in cui si dovrebbe fare altro.
A lavorare molto sui contenuti – legati ad Expo ma nono solo - ci hanno pensato il Vaticano (con un padiglione intitolato “Non di solo pane”) e la Casa Don Bosco (che si occupa di progetti educativi per i ragazzi).
Complessivamente, comunque, Expo nei week end è il centro del mondo per chi è a Milano e la vera emozione, per tutti, è essere lì. Ci sono Paesi che hanno realizzato padiglioni meravigliosi e ricchi di contenuti interessanti, in cui presentano concept in modo spettacolare che, nei giorni di punta delle visite, esprimono il loro meglio, facendo vedere cose stupende e divertendo il pubblico.

Qui il racconto delle prime visite ad Expo, delle prime impressioni e dei primi padiglioni visitati»

domenica 10 maggio 2015

Prime impressioni da Expo

Primi giri ad Expo e prime impressioni.
Expo 2015 doveva essere un evento di portata mondiale per discutere, riflettere e presentare progetti legati alla nutrizione del Pianeta. Ad oggi, del tema in oggetto se n’è ricordato solo Papa Francesco e le associazioni del Terzo Settore. Per tutti gli altri, Expo è innanzitutto un grande evento.

A dispetto dei no-Expo e dei “gufi”, Expo suscita una grande curiosità nelle persone e quasi tutti vogliono andarci almeno per vedere di che cosa si tratta o anche solo per poter dire di aver preso parte a un grande evento di portata mondiale. Il mondo ad Expo c’è: c’è nei padiglioni costruiti dai Paesi partecipanti, c’è nelle hostess che lavorano negli spazi e accolgono i visitatori, c’è nei gruppi organizzati dei turisti che vengono accompagnati dalle guide lungo il percorso, c’è nei prodotti presentati e, quindi, a maggior ragione ci vogliono essere i milanesi e gli italiani che hanno voglia di incontrare un pezzetto di mondo.
Il mondo che si presenta ad Expo, inoltre, è particolarmente bello, spettacolare, divertente, moderno e tecnologico. I padiglioni sono spettacolari, enormi e con al loro interno moltissime innovazioni da vedere. Non sono dei semplici spazi espositivi intesi nel senso tradizionale fieristico, in quanto l’esposizione (che pure c’è ed è prevalente) viene concepita come “experience” (“esperienza” nel senso di “vivere” qualcosa, partecipare a ciò che si vede e con cui si viene in contatto). Il che si traduce in un effetto “Disneyland” (come scriveva anche qualche quotidiano) in cui tutto è percepito come l’essere parte di un gioco spettacolare, a volte interattivo e divertente ma sempre e comunque sorprendente e bello.

È impensabile riuscire a vedere tutto in una volta sola o due, non solo per le enormi dimensioni degli spazi (in alcuni casi, forse, un po’ eccessive) ma anche perché ogni padiglione avrebbe la pretesa di essere l’unico e di trattenere al suo interno i visitatori il più a lungo tempo possibile, proprio per consentire davvero a chi entra di percepire il tutto come “experience” e non soltanto come una visita di passaggio. L’idea è molto nobile, soprattutto nei casi in cui si vogliono comunicare anche contenuti importanti e istruttivi ma poco agevole se si pensa al costo elevato del biglietto di ingresso e al fatto che, spesso, chi arriva non ha poi possibilità (economiche o di tempo) di tornare e vuole cercare di vedere più cose possibili in quell’occasione.

Alcuni giornali si sono soffermati a raccontare più volte le cose che non funzionerebbero: in realtà, chi arriva in Expo dei malfunzionamenti se ne accorge poco, così come ha poca importanza il fatto che non tutti i padiglioni e i cluster siano perfettamente attivi e operativi, perché di cose da vedere ce ne sono talmente tante che non si avvertono le mancanze.
L’unico reale dubbio riguarda la scarsa percezione del tema di cui Expo si dovrebbe occupare e, in questo, forse una maggior segnalazione degli eventi (conferenze, dibattiti, ospiti, incontri, presentazioni, inaugurazioni dei padiglioni) sarebbe sicuramente di grande aiuto perché ad oggi un calendario delle iniziative non è pubblicato da nessuna parte e non arriva neanche ai giornalisti accreditati. Le hostess spiegano gentilmente a chi lo chiede che è meglio guardare sul sito quotidianamente perché c’è una media di 77 eventi al giorno nelle giornate di punta e diventa difficile stilare un calendario preciso, inoltre, chi arriva può guardare sui tabelloni appesi ad ogni colonna del “Decumano” (corridoio centrale). Tutto vero solo che anche sul sito e sui tabelloni non sempre le iniziative sono segnalate oppure, anche quando sono segnalate, non sempre sono accessibili (un esempio è stato il collegamento con l’astronauta Samantha Cristoforetti di venerdì pomeriggio: nessuno tra il pubblico che si aggirava per il sito era consapevole del fatto che ci fosse e dove si svolgesse o se vi si potesse assistere o meno). Idem per gli ospiti istituzionali: chi è conoscenza delle visite, lo è per canali suoi ma inviti e annunci non vengono fatti (presumibilmente anche per ragioni sicurezza).

C’è da dire che, probabilmente, il grande pubblico non è nemmeno troppo interessato a questo tipo di incontri mentre sembra prediligere la “festa” e l’evento appunto e, in questo ambito, i momenti di divertimento non mancano, a partire dalla caotica e rumorosa parata di Foody e di altri pupazzoni con cui tutti si cimentano a scattare selfie: un appuntamento chiassoso e un po’ carnevalesco che sicuramente piace ai bambini ma che diverte anche i grandi. Così come divertono gli spettacoli del Kazakistan, nel piccolo palco davanti al padiglione, in cui a volte appaiono ballerine in costume e altre volte c’è spazio per la musica dance. La musica è presente anche intorno ad altri padiglioni (ad esempio Azerbaijan o Messico) oppure viene portata da animatori improvvisati del Decumano in vari punti del percorso.

Cose belle ce ne sono anche nei padiglioni degli sponsor e delle tanto contestate multinazionali: lo spazio della Coca Cola è sempre affollatissimo, così come lo sono quello della Lindt o dei Baci Perugina (molto romantico) o l’Algida ma è molto bello e interessante anche lo spazio della Granarolo. C’è da dire che gli spazi delle multinazionali e degli sponsor sono anche stati i primi ad essere pronti perché, normalmente, quando un’azienda investe in qualcosa ha tutto l’interesse a guadagnarci anche in ritorno di immagine e, quindi, garantisce immediatamente la piena operatività del suo investimento, cosa che, purtroppo, non tutti gli Stati (per varie ragioni) sono riusciti a fare.

In generale, in Expo funziona che le cose si trovano ma non sempre si riescono a cercare: la segnaletica è quasi completamente assente ma, anche in questo caso, non è che se ne senta la mancanza perché ci sono molte cose da vedere e quello che non si trova in un punto, sicuramente, ci sarà in un altro. Così come mancano le panchine lungo il Decumano e mancano gli “sgabelli” nel Lago dell’Albero della Vita, ma ci si può sedere lo stesso ovunque sui prati, sui bordi o sulle gradinate di alcuni padiglioni, ai tavolini o alle sdraio dei bar…
Spiace anche un po’, nei primi giorni, non aver trovato il cosiddetto “bookshop” ufficiale con i gadget ufficiali della manifestazione: oltre ai “negozi” interni ai singoli padiglioni (in cui ciascun Paese vende il proprio merchandising), infatti, l’unico bookshop aperto era la libreria Mondadori (che pure vendeva libri su Expo, guide al sito espositivo e gadget) ma non è la stessa cosa, soprattutto pensando ai turisti che magari vogliono portarsi a casa un ricordo della visita all’evento. Gadget ufficiali di Expo sono disponibili presso l’Expo Gate in piazza Cairoli a Milano ma, a parte i prezzi altissimi (servizio di sei tazze con logo Expo da 36 a 77 euro a seconda della dimensione, sacchetti in stoffa da 16 euro, portachiavi con Foody e poco altro) non è che ci sia proprio un gran che da scegliere e, soprattutto, nulla che ricordi la manifestazione. Quindi, meglio armarsi di buone macchine fotografiche, dotate di validi flash (perché gli interni dei padiglioni sono spesso scuri per creare atmosfera) e portarsi a casa qualche bella immagine di ciò che si ha avuto la possibilità di vedere.

Girando per il Decumano e guardando dall’esterno i padiglioni, comunque, le architetture per quanto grandi e spettacolari sono nulla rispetto allo spettacolo che vi è all’interno di essi.
Tra questi, meritano sicuramente il Padiglione Zero, all’inizio del Decumano per chi arriva dalla metropolitana o dalla stazione FS con i Frecciarossa. Si tratta di un padiglione enorme e meraviglioso, che racchiude al suo interno la storia dell'umanità, riprodotta con immagini, suoni, modellini, tecnologia e innovazione. Entrare lì dentro appena arrivati ad Expo è un ottimo modo per immergersi nella meraviglia della manifestazione ripercorrendo le tappe racchiuse nei cassetti della “Biblioteca della memoria” (riprodotta in dimensioni enormi) dal mondo animale alla coltivazione dei campi, al paesaggio urbanizzato fino all’età moderna di speculazioni di borsa e sprechi.

Altrettanto spettacolare ma allo stesso tempo dinamico e interattivo è il padiglione della Germania. Dentro è fantastico: si può toccare qualunque cosa, giocare con gli oggetti, sentire il vento, animare con il computer una galleria di prodotti da supermercato che alla vista sembrano tutti uguali, percorrere una serra, vedere spuntare i germogli grazie ad un cartoncino bianco che prende vita appoggiandolo sui vari oggetti esposti... I bambini si divertono moltissimo e gli adulti anche. L’unico difetto è che si tratta di un percorso obbligato che si fa in gruppo e che dura circa mezzora, con tanto di spettacolino finale (molto bello e divertente a cura di due giovani che riproducono il suono degli animali) e si è sempre in piedi perché non c’è nulla per sedersi. Insomma, fantastico, da non perdere perché merita davvero ma da fare esclusivamente se si è riposati e se non si ha fretta perché, una volta che si è entrati, si deve seguire il percorso fino alla fine e non si può uscire come e quando si vuole.

Un mondo a parte è, invece, il padiglione del Regno Unito: è un giardino delicato e sollevato da terra (perché rappresenta il prato visto come lo vedono le api) e all’interno si dimentica il vociare caotico della “fiera” e si sentono solo i suoni della natura. Ci sono anche delle piccole panchine in legno per chi ha voglia di fermarsi e restare un po’ a godersi il verde e il relax. Il tutto culmina con un grande alveare metallico (su cui è installato un palco per suonare), a cui si accede tramite una scala che porta al piano superiore, dove si trova anche il bar.

Atmosfera tipicamente americana la si respira nel padiglione degli Stati Uniti, con ampi spazi, tabelloni luminosi con immagini e messaggi a scorrimento e hostess che sorridono e salutano ad ogni passaggio.

La Francia non si smentisce mai e anche ad Expo non perde occasione per mostrare la sua “Grandeur”, esponendo (in modo spettacolare, calandoli dal soffitto o da strani ombrelli) i suoi prodotti tipici e le sue migliori produzioni ciascuna legandola alla propria zona di origine.
Subito fuori dal padiglione, accanto alle giostre dei bambini, ci sono anche i camioncini “Street Food” (metà francesi e metà americani) con baguette, crepes, hamburger e cibo a prezzi abbastanza abbordabili.

Quello del mangiare in Expo, infatti, è un vero problema. Sembrerà paradossale ma alla manifestazione dedicata al cibo, riuscire a trovare cose commestibili in tempi rapidi e a prezzi economici non è proprio semplice.
Gli spazi gestiti da Eataly sono molto grandi e ben attrezzati: al loro interno ci sono “ristoranti” di tutte le Regioni e anche pizzerie ma i prezzi non sono sempre adeguati per tutte le tasche e, soprattutto, non sempre quando si arriva a visitare un evento gigantesco (per dimensioni) quale è Expo si ha voglia di fermarsi troppo al ristorante per mangiare, mentre magari si preferisce prendere qualcosa di spiccio e fermarsi giusto un attimo per riposare ma poi riprendere il fretta il giro (anche perché appunto, con i prezzi dei biglietti, non tutti hanno la possibilità di tornare più volte).
Un self-service a prezzi più contenuti è all’inizio del Decumano (per chi entra dalla parte della metropolitana), altri bar sono disseminati nelle aree gioco per i bambini oppure vanno cercati in fondo ai padiglioni o di lato o comunque non in luoghi troppo visibili ma, purtroppo, non in tutti i bar si mangia: in alcuni si può soltanto bere. Nel bar accanto al padiglione del Belgio vendono le patatine fritte ma, ovviamente, appena si sparge la voce, il locale viene assaltato (soprattutto dai ragazzi ma non solo) e conquistarsi il cono di patatine, in alcuni orari, è complicato.
Altri luoghi economici sono gli stand dei “Toast”, italiani, ma quelli che vendono comunque non sono toast oppure il Mc Donald (lontano per chi gira a piedi e arriva dalla metropolitana).
Si può mangiare anche in alcuni padiglioni ma, ovviamente, i prezzi salgono perché si tratta di cibo tipico del Paese in cui si è ospiti. Poi ci sono i vari punti di cibo bio (slow-food, coldiretti, area padiglione Italia, terzo settore in Cascina Triulza).
In generale, però, è complicato gestire il come mangiare perché, anche quando si è notato un luogo poco costoso o con il cibo che si gradisce, non sempre si ha la possibilità di andarci perché è molto più facile fermarsi dove ci si trova quando ci si accorge di avere fame e cercare di accontentarsi con quello che c’è in quell’area senza stare a tornare indietro alla ricerca di posti che magari poi risultano già pieni.
Resta che, purtroppo, a parte i ristoranti, mangiare qualcosa di spiccio oppure cercare di fare una merenda al pomeriggio con qualcosa di salato (pizzette, focaccine, toast) è praticamente impossibile. L’unica vera salvezza sono i gelati: ci sono alcune gelaterie artigianali (una nel cluster del cacao e un’altra in Italia) ma sono più comodi i carrettini del Magnum Algida che girano lungo il Decumano e che, prima o poi, si ha la fortuna di incrociare e riuscire a mangiare almeno un gelato!

Per avere indicazioni su qualunque cosa, comunque, ci sono i cosiddetti “volontari”, vestiti da capo a piedi con cose a marchio Expo, che sono tantissimi, si aggirano ovunque e – a dire il vero – non sembrano avere molto da fare, anzi, molto spesso sembrano turisti: visitano i padiglioni, si siedono sulle panchine o nei prati, girano in compagnia. I “volontari” hanno anche le cartine del sito di Expo ma occorre chiederle: di loro spontanea volontà non dànno niente e nemmeno dicono niente ma non è che ci sia poi molto da dire perché quello che c’è si vede e, se serve qualcosa di non visibile, lo si può sempre chiedere. Probabilmente, il loro supporto è più utile nei week end, che sono giornate di grandissimo afflusso.

In generale, comunque, l’afflusso delle persone è enorme anche durante la settimana dove, se non ci sono i turisti, ci sono le scolaresche, i giornalisti, gli operatori del settore e ci sono soprattutto ora che l’evento è appena cominciato, è forte del lancio da parte dei media e c’è molta attenzione e curiosità di andare a vedere di che si tratta.
Fino ad ora le maggiori code per accedere ai padiglioni si hanno nei Paesi europei (Italia, Austria, Germania, Spagna, Francia) e poi Brasile (dove tutti vogliono provare la camminata sospesi sulla rete), Messico, Stati Uniti, Israele e qualche Stato Arabo (in cui i più giovani si divertono a scattare foto con le persone dell’accoglienza, tutte in costume tradizionale; ma anche per salire sulla sabbia del Kuwait).

Il Padiglione Italia è il più ricercato dagli italiani, ovviamente. Grande successo lo riscuote anche il lago con l’Albero della Vita, dove di giorno volano le bolle di sapone e di sera inizia lo spettacolo delle luci e dei giochi s’acqua.
L’acqua, comunque, la si trova anche tutto intorno al sito di Expo, nel canale che attornia i padiglioni e in altre fontane di vario tipo sparse all’interno dell’area.
Unico “padiglione” – se così lo si può chiamare – veramente brutto è quello di Regione Lombardia: una stanza, un po’ imboscata con un tetto spiovente all’esterno in cui vi era una grossa croce in legno verde su un prato verde, poi ricoperta un telo di plastica bianco con sopra le rose camune simbolo della Regione (che, a guardarlo, sembra una cosa non finita, ancora impacchettata in attesa di essere scoperta), con davanti una specie di cane lupo verde chiaro (sembra in plastica) e all’interno le immagini del territorio lombardo proiettate sulle pareti accompagnate dall’apparizione di ologrammi di personaggi (un po’ inquietanti) che parlano in lingue sconosciute. Alcuni giornali hanno scritto che in quel “padiglione” sono vietate le foto, in realtà non c’è alcuna segnaletica che lo indica ma verrebbe da pensare che è meglio così, almeno il mondo eviterà di vedere una tale bruttura che può solo far sfigurare rispetto alla bellezza strabiliante di tutto il resto.

Un altro luogo molto frequentato e molto ben funzionante è il cluster del cacao, o meglio, ciò che vi è attorno: la gelateria, i piccoli stand di vendita di cioccolato (in tavolette, liquido, in crepes, in yogurt, in gadget) e l’area dibattiti in cui si alternano continuamente presentazioni e momenti di intrattenimento sul tema del cacao. La fortuna di quest’area è sicuramente dovuta alla passione di tutti per il cioccolato ma anche perché si trova ben visibile lungo il Decumano e sufficientemente vicino all’inizio del percorso per chi arriva dalla metropolitana. Un ottimo avvio lo ha avuto anche il cluster del caffè (inaugurato pochi giorni dopo e già affollato) e in parte quello del riso (la cui partenza è stata un po’ più problematica). Anche questi ultimi si trovano lungo il Decumano a poca distanza dal cluster del cacao e, quindi, facilmente raggiungibili e ben visibili.

Per agevolare la visita, lungo il perimetro esterno di Expo corre anche la navetta, che è molto utile per arrivare da un’estremità all’altra del sito senza stancarsi. L’unico problema è che non è indicata, per cui bisogna avventurarsi verso il retro dei padiglioni fino a cercare di capire dove si trovano le fermate. La realtà è che essendoci comunque da camminare molto, si finisce per preferire camminare dentro al Decumano e farsela a piedi vedendo qualcosa anziché avventurarsi all’esterno alla ricerca della navetta.

Gli aspetti da migliorare, insomma, sicuramente non mancano ma l’evento è appena partito e ci sarà il tempo di aggiustare ciò che deve esserlo. In ogni caso, dalla maggior parte delle persone non vengono percepiti grossi disagi ma, anzi, in generale, tornando a casa, rimane la sensazione di aver visto qualcosa di spettacolare accompagnato dall’emozione di aver preso parte ad un grande evento. Resta lo stupore per l’attrattività di alcuni padiglioni, la sensazione di aver respirato l’aria di alcuni Paesi visitati e l’idea di una sorta di grande festa collettiva in cui ci si è divertiti.

sabato 9 maggio 2015

Enzo Baldoni tra le vittime del terrorismo

Alla commemorazione delle vittime del terrorismo a Palazzo Marino, si sono ricordati anche di Enzo Baldoni, giornalista ammazzato in Iraq e per troppo tempo dimenticato (o peggio insultato) in Italia.
Il ricordo di ieri l'ho trovato molto importante e anche un giusto riconoscimento per una persona uccisa mentre stava cercando di svolgere il suo lavoro, al pari di tutte le altre vittime e non più bistrattato, come è stato per troppi anni.

domenica 3 maggio 2015

Nessuno Tocchi Milano

Oggi alla manifestazione ‪#‎NessunoTocchiMilano‬ eravamo tantissimi. Un fiume infinito di persone da Cadorna alla nuova Darsena in giro per le vie a riprendersi la città. Un bellissimo percorso, un'ottima iniziativa. Bello anche vedere tanti giovani e ance alcuni bimbi con spugnette e detersivi a ripulire i muri dalle scritte: il senso civico comincia anche da queste cose. La città è nostra e non dobbiamo rovinarla o farla rovinare.

venerdì 1 maggio 2015

La devastazione di Milano mentre il mondo ci guarda

La devastazione e la guerriglia di una zona centrale di Milano, nel giorno della festa, in cui gli occhi del mondo sono puntati sulla città per Expo è semplicemente una vergogna inaccettabile.
Quella di oggi pomeriggio era una violenza annunciata: fino a ieri erano stati sequestrati oggetti utili a quello scempio ed erano state identificate persone (anche provenienti da altre zone del'Europa) che si preparavano per compiere questo disastro e hanno lasciato correre.
Non è normale e non è accettabile che una zona di una città venga messa a ferro e fuoco da un gruppo di violenti. Non è normale e non è accettabile che una manifestazione si trasformi in una devastazione, che si brucino le auto e i negozi (di persone che oltretutto nulla hanno a che vedere con il motivo della manifestazione).
Non è normale e non è accettabile che episodi come questi, purtroppo sempre più frequenti in concomitanza con le manifestazioni, diventino la prassi ogni volta che c'è una qualsiasi protesta nelle nostre città o un qualsiasi evento e nessuno faccia nulla per impedirlo, come se oramai fosse un fatto ineluttabile.
Questi delinquenti non hanno giustificazione.
Lo scempio di oggi a Milano è una vergogna. Non andava permesso.
Auspico che non siano i cittadini milanesi a pagare i danni di questa guerriglia, perché mi pare che abbiano pagato ampiamente anche in termini di disagio (oltre che di immagine).